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Mese: Settembre 2017
E’ uscito il numero 98 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21
E’ uscito il numero 98 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21
Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n98-s.pdf
In questo numero:
28 e 30 settembre: le donne si riprendono la piazza
“Il Movimento 5 Stelle? Centrista e non estremista”
La politologa Nadia Urbinati a Lumsanews
di Christian Dalenz
La CGIL e il referendum per la “Autonomia” della Lombardia
L’apocalisse dei socialdemocratici. La Linke cresce, Berlino est è sua
di Jacopo Rosatelli
Ken Loach: «Sto con Corbyn, rifonderà la sinistra»
di Luigi Ippolito
Arnaldo Otegi: “la sinistra non può avere dubbi sul referendum catalano”
di Andrea Quaranta
Buona lettura e diffondete!
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Referendum “autonomista” in Lombardia, federalismo fiscale, regionalismo.
Milano 24 luglio 2017. Interessante seminario di Articolo 1 Lombardia con una introduzione di Onorio Rosati sull’iter del referendum, del prof. Alessandro Santoro sul cosiddetto federalismo fiscale e della prof.essa Maria Agostina Cabiddu sugli aspetti costituzionali e giuridici. Molto utile per orientarsi in vista della data del 22 ottobre quando in Lombardia e Veneto ci sarà il referendum…
http://www.puntorosso.it/seminari.html
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L’autunno catalano, lo Stato e il referendum
Articolo di Dario Lovaglio sul conflitto indipendentista a pochi giorni dal referendum
FONTE EFFIMERA
Il rumore dell’elicottero in sottofondo è diventato una constante per chi vive a Barcellona. In queste ultime settimane dall’1 ottobre, data in cui viene annunciato il referendum indipendentista, lo Stato democratico ha messo in opera, con un metodo degno della sua genealogia post-franchista, la revoca dell’autonomia della Catalogna con 14 arresti di alti funzionari; ha inoltre centralizzato i poteri della Conselleria d’Economia e la polizia della comunità autonoma, i Mossos d’Esquadra. Un Coup d’Etat dice il presidente della comunità autonoma catalana su The Guardian. Una dozzina di sedi di partito perquisite e occupate senza mandato, oltre alle tipografie e alle testate implicate nella produzione del materiale del referendum; la sospensione di conferenze ed atti pubblici sia a Valencia sia a Bilbao; circa settecento sindaci sanzionati e precettati per aver appoggiato pubblicamente la consulta con le loro dichiarazioni; un impiego massiccio delle forze dell’ordine della Guardia Civil – la polizia statale – con due barche da crociera ormeggiate nel porto di Barcellona.
GERMANIA: TRA MINIJOB E AFD –
FONTE R/PROJECT CHE RINGRAZIAMO
il modello a cui si ispira Macron
di Olivier Cyran* dal numero di settembre del mensile francese Le Monde Diplomatique.
I tedeschi, chiamati alle urne il 24 settembre, non hanno mai avuto un numero così basso di persone in cerca di occupazione. E nemmeno così tanti precari. Lo smantellamento della previdenza sociale avvenuta a metà degli anni 2000 ha trasformato i disoccupati in lavoratori poveri. Queste riforme hanno ispirato la revisione del codice del lavoro che il governo cerca di imporre per decreto.
Ore 8: il Jobcenter (Agenzia per l’impiego N.d.T.) del quartiere berlinese di Pankow ha appena aperto i battenti che già una quindicina di persone fanno la coda davanti allo sportello dell’accettazione, ciascuna rinchiusa in un ansioso silenzio. “Perché sono qui? Perché, se non rispondi alla loro convocazione, ti tolgono quel poco che ti danno”, sbotta a bassa voce un cinquantenne, “comunque non hanno niente da proporre, a parte, forse, un lavoro da venditore di mutandine borchiate, chissà”. L’allusione gli strappa un leggero sorriso. Un mese fa, una madre sola di 36 anni, insegnante disoccupata, ha ricevuto unalettera dal Jobcenter di Pankow che la invitava, a pena di sanzioni, a candidarsi per un posto di rappresentante di commercio di un sexy shop. “Ne ho passate di tutti i colori con il mio Jobcenter, ma questo è il colmo”, ha risposto via internet l’interessata, prima di annunciare la sua intenzione di sporgere denuncia per abuso d’ufficio.
All’esterno, nel parcheggio del blocco di case popolari, l’“unità mobile di sostegno” del centro disoccupati di Berlino ha già iniziato l’attività. La signora Nora Freitag, 30 anni, sistema sul tavolo pieghevole, piazzato davanti al minibus degli operatori, un pacco di opuscoli intitolati Come difendere i miei diritti nei confronti del Jobcenter.
“Questa iniziativa è stata organizzata nel 2007 dalla Chiesa evangelica: c’è molta disperazione, e anche molta impotenza, davanti a questo mostro burocratico che i disoccupati percepiscono, non a torto, come una minaccia”.
Una signora, sessant’anni suonati, si avvicina con passo esitante, sembra molto infastidita di doversi presentare a degli estranei. La sua pensione, inferiore a 500 euro al mese, non le basta per vivere, riceve un’integrazione versata dal suo Jobcenter. Poiché fatica comunque a sbarcare il lunario, fa da poco un lavoro precario part-time (“minijob”) come donna delle pulizie in una casa di cura che le garantisce un salario netto mensile di 340 euro. “Figuratevi”, dice con una vocina agitata, “la lettera del Jobcenter mi dice che non ho dichiarato i miei redditi e che devo rimborsare 250 euro, ma questi soldi, io non li ho! Per giunta, li ho dichiarati fin dal primo giorno, i miei redditi, come potete immaginare; ci deve essere un errore…”. Uno degli operatori la prende sottobraccio per darle dei consigli in disparte: a chi indirizzare un ricorso, a quale porta bussare per sporgere denuncia se il ricorso ha esito negativo, ecc. Talvolta il minibus serve da rifugio per trattare un problema in maniera riservata. “È uno degli effetti di Hartz IV”, osserva la signora Freitag, “la stigmatizzazione dei disoccupati è così pesante che molti provano vergogna perfino a parlare della loro situazione di fronte ad altri”.
Una delle normative più vincolanti d’Europa
Hartz IV: questo marchio sociale deriva dal processo di deregolamentazione del mercato del lavoro, chiamato Agenda 2010, messo in essere tra il 2003 e il 2005 dalla coalizione del cancelliere Gerhard Schröder tra il Partito socialdemocratico (SPD) e i Verdi. Battezzata con il nome del suo ideatore, Peter Hartz, ex direttore del personale della Volkswagen, il quarto e ultimo pacchetto di queste riforme ha unificato i sussidi sociali e le indennità dei disoccupati di lungo termine (senza impiego da oltre un anno) in un unico sussidio forfettario, versato dal Jobcenter. Il presupposto è che lo scarso importo di questa somma – 409 euro al mese nel 2017 per una persona sola (1) – dovrebbe motivare il beneficiario, ribattezzato “cliente”, a trovare o a riprendere al più presto un impiego, anche mal retribuito e poco aderente alle sue attese o alle sue competenze. Il riconoscimento del sussidio è subordinato a un programma di controlli tra i più vincolanti d’Europa.
Alla fine del 2016, l’ambito di applicazione di Hartz IV coinvolgeva circa 6 milioni di persone, di cui 2,6 milioni di disoccupati ufficiali, 1,7 milioni di disoccupati sommersi non contabilizzati dalle statistiche attraverso la trappola dei “dispositivi di avviamento al lavoro” (formazione, addestramento, impieghi da 1 euro, minijobs, ecc.) e 1,6 milioni di figli di beneficiari del sussidio. In una società strutturata sul culto del lavoro, queste persone sono spessodescritte come scoraggiate o come bande di fannulloni e talvolta anche peggio. Nel 2005, in un opuscolo del ministero dell’economia, con la prefazione del ministro Wolfang Clement (SPD) e intitolata Priorità alle persone oneste. Contro gli abusi, le truffe e il fai da te nello Stato sociale, si poteva leggere: “I biologi sono concordi nell’utilizzare il termine ‘parassita’ per designare gli organismi che si sostentano a spese di altri esseri viventi. Ovviamente, sarebbe totalmente fuori luogo estendere agli esseri umani nozioni proprie del mondo animale”. E, ovviamente, l’espressione “parassita Hartz IV” è stata abbondantemente ripresa dalla stampa scandalistica, Bild in testa.
La vita dei beneficiari dei sussidi è uno sport da combattimento.
Quando la somma percepita, a livello di sussistenza, non consente al beneficiario di pagarsi un affitto, il Jobcenter se ne fa carico, a condizione che l’affitto non superi il tetto massimo fissato dall’amministrazione a seconda delle zone geografiche. “Un terzo delle persone che vengono da noi, lo fanno per problemi legati all’abitazione”, dichiara la signora Freitag, “nella maggior parte dei casi perché il rialzo degli affitti nelle grandi città, in particolare a Berlino, ha fatto loro superare i massimali del Jobcenter; allora i beneficiari dei sussidi devono traslocare, ma senza sapere dove, poiché il mercato delle case in affitto è saturo, oppure devono pagare di tasca propria la differenza eccedente il massimale, tagliando le spese alimentari”. Dei 500.000 “Hartz IV” che vivono a Berlino, il 40% paga un affitto che supera il limite normativo.
Il presidente ‘divino’. di Rossana Rossanda
fonte SBILANCIAMOCI
Da un certo punto di vista quella che è riuscita a Macron è una operazione eccezionale: ha demolito il panorama politico dell’ultimo mezzo secolo, venendo incontro all’ondata populista che ha pervaso anche la Francia, ma poi al posto dei partiti storici e dei loro leader è riuscito a porre se stesso come un potere quasi […]
Fin dalla prima mezz’ora dopo essere stato eletto, Macron ha prediletto le immagini di se stesso in maestà, e parlando non è certo agli “io” che ha rinunciato. Da un certo punto di vista gli è riuscita una operazione eccezionale: ha demolito il panorama politico dell’ultimo mezzo secolo, venendo incontro all’ondata populista che ha pervaso anche la Francia, ma poi al posto dei partiti storici e dei loro leader ha posto se stesso come un potere quasi incondizionale. Una manovra populista di prima grandezza.
Crollo Spd, Merkel si salva La destra vince sul terreno della sinistra
FONTE STRISCIAROSSA.IT CHE RINGRAZIAMO
La CDU di Angela Merkel crolla di 8 punti, la SPD precipita nel disastro, col peggior risultato da quando esiste la Repubblica federale, e l’estrema destra di Alternative für Deutschland diventa il terzo partito della Germania e porta nel Bundestag il vento dell’intolleranza e del risentimento, con un risultato che cambia radicalmente lo scenario politico del paese più importante d’Europa. Dalle urne tedesche esce un panorama pieno di incognite e con due sole certezze. La prima è che la groβe Koalition è finita. Lo ha certificato, tre minuti dopo il primo exit-poll, la Ministerpräsidentin socialdemocratica del Meclemburgo Manuela Scheswig, impietosamente spedita in tv a commentare risultati che nelle ultime ore s’era capito sempre più che sarebbero stati disastrosi. All’alleanza degli elefanti con la CDU/CSU la SPD ha sacrificato troppo: non solo programmi ed elettori ma anche la propria anima. Quando Martin Schulz lo ha confermato alla folla che si era raccolta nella Willy-Brandt-Haus la depressione generale s’è sciolta in un’esplosione di applausi. Parevano abbastanza incongrui, considerato il miserevole 20,8% che in quel momento le prime proiezioni indicavano sugli schermi, ma dicevano una cosa chiara: si torna all’opposizione. Con un sentimento di liberazione che era quasi fisicamente percepibile.
La seconda certezza è che c’è una sola coalizione che, spazzata via dal tavolo l’alleanza tra i due partiti (nonostante tutto) più grandi, ciò che è uscito dalle urne rende numericamente possibile. E’ la cosiddetta “coalizione Jamaica” formata dai tre colori della bandiera di quel paese: il nero di CDU/CSU, il giallo dei liberali e il verde dei Verdi. I liberali della FDP tornano nel Bundestag, dopo quattro anni di astinenza perché nel 2013 avevano mancato la soglia fatidica del 5%, e tornano con un buon risultato, intorno al 10%. I Verdi, intorno al 9%, hanno riguadagnato un po’ di quel che avevano perso quattro anni fa.
In queste ore tutti dànno per scontato che si dovrà cominciare da qua. Ma appare un’impresa titanica: i programmi dei liberali e dei Verdi sono uno l’opposto dell’altro in materia economica e sociale. La FDP vuole un radicale abbattimento delle tasse, un’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro, sostegni alle imprese e alle esportazioni, una politica europea molto meno accomodante verso i paesi dal debito alto; i Grünen propongono una supertassa sui redditi più alti, misure contro la povertà, più apertura verso l’integrazione europea e misure di condivisione del debito. E dopo la svolta a destra imposta al partito dai nuovi dirigenti liberali capitanati da Christian Lindner neanche delle antiche consonanze sul terreno dei diritti civili c’è più traccia. Pure sul problema dell’accoglienza si capisce già che il dialogo sarà molto difficile. La segretaria generale della FDP Nikola Beer ha già annunciato che il suo partito vuole nuove norme per regolare il diritto di asilo. E che indirizzo dovrebbero avere
L’ARTICOLO SEGUE ALLA FONTE SU STRISCIAROSSA.IT
Berlino, una campagna noiosa
SEGNALIAMO LA NASCITA DI STRISCIAROSSA.IT, UN SITO DELLA SINISTRA CUI COLLABORANO PRESTIGIOSE FIRME DEL DEFUNTO QUOTIDIANO L’UNITA’ “KILLERATO ” DALL’ATTUALE DIRIGENZA PD (EDITOR ONDE CORTE )
Autore dell’articolo Paolo Soldini
fonte strisciarossa.it
Berlino, in questo scorcio d’estate, è come il salotto di casa: accogliente, comodo, prevedibile, benevolmente consueto. Il 24 settembre è vicinissimo, ma la campagna elettorale vivacchia sotto traccia. La sobrietà dei grandi partiti tedeschi, d’altronde, è proverbiale: qualche manifesto di candidati appeso ai lampioni o appiccicato alle colonnine della pubblicità (non sui muri, per carità!), qualche manifestazione pubblica, preferibilmente al chiuso, su cui le tv di stato riferiranno con esemplare imparzialità, qualche ragionato endorsement sui giornali. Se fosse un film, questa campagna, sarebbe noioso come tutti quelli il cui finale si intuisce dall’inizio. Mancano i cattivi. O meglio ci sono ma fanno le comparse: rumorosi, fastidiosi, ma mai al centro della scena. I fascistoidi di Alternative für Deutschland (chiamiamo le cose col loro nome) hanno avuto i loro exploits e in una elezione regionale nel lontano e negletto Meclemburgo hanno pure sorpassato la Cdu. Hanno inquietato un po’ tutti, ma è acqua passata. Oggi la loro capa Frauke Petry non è più la Marine Le Pen dei tedeschi: d’altronde non ha mai avuto la verve demagogica della francese. E poi s’è visto che fine ha fatto l’originale. Quelli di AfD hanno avuto il loro momento d’oro quando al comando c’era l’economista Bernd Lucke, il quale predicava l’uscita dall’euro ed altre eresie con l’aria di uno che comunque se ne intende e anche per questo incassava la simpatia di una parte del mondo industriale più aggressivamente nazional-egoista. La signora Petry invece è un’estremista pura e dura che non parla d’economia, cavalca le paure dell’immigrazione e della “islamizzazione”e tiene nel suo partito loschi figuri che vorrebbero demolire i monumenti all’Olocausto e cocotteggiano con i neonazisti. AfD prenderà l’8-9% dei voti, dicono i sondaggi. È molto, è troppo, ma non servirà a nulla, se non a segnalare che anche in Germania come in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale c’è uno zoccolo di elettori esposti alla demagogia più primitiva. Ci sono ma, come succede in Francia, nei Paesi Bassi, in Belgio e non (purtroppo) in Italia, non entrano nel gioco del potere. Nessuno li corteggia, nessuno li insegue: restano lì a segnalare disagi, fallimenti della politica, rovine della cultura popolare. Materia per i sociologi.
L’insidia che si nasconde sotto le acque chete di questa campagna tedesca è, semmai, un’altra. Se un cattivo c’è è la FDP, il partito liberale, che si è risollevato dal baratro in cui era caduto quattro anni fa, quando nella costernazione generale mancò la soglia per entrare nel Bundestag. Stavolta i liberali entreranno, ristabilendo la classica costellazione parlamentare della Germania. Ma sotto la guida del giovane e spregiudicato presidente Christian Lindner la FDP ha cambiato pelle. Dire che è diventato un partito antieuropeo forse sarebbe troppo, ma certo s’è allontanato parecchio dalla tradizione dei grandi liberali europeisti, i Genscher, gli Scheel, i Lambsdorff. Nell’alleanza di governo con la CDU, tra il 2009 e il 2013, fu l’ispiratore più coerente della politica di austerity che la Germania impose a Bruxelles, con tutti i guai che ne derivarono. E da allora le posizioni della FDP, che si è fissata come specifico compito quello di recuperare, inseguendoli, i voti “antieuropei” scivolati su AfD, si sono ulteriormente irrigidite. Al punto da giudicare troppo morbido verso i paesi dal debito alto perfino il durissimo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Insomma, dietro l’anima nera dell’austerity ultraliberista made in Germany si profilano anime ancor più nere.
L’ARTICOLO SEGUE ALLA FONTE SU STRISCIAROSSA.IT
Perché meno gommoni dalla Libia, mentre in mare si muore di più
FONTE OPENIMMIGRATION CHE RINGRAZIAMO
Perché meno gommoni dalla Libia, mentre in mare si muore di più
21 settembre 2017 –
A luglio e agosto del 2017, il numero di migranti arrivati in Italia via mare è drasticamente diminuito: rispetto alla scorsa estate (luglio-agosto 2016), il calo è del 65 per cento.
Difficile trovare una spiegazione: normalmente l’estate rappresenta il periodo più “caldo” per via delle condizioni meteo favorevoli. Mentre ci si chiede se una tale diminuzione sarà permanente o se si tratti di una tregua estiva, sui media nazionali e internazionali si rincorrono le ipotesi: colpa delle condizioni del mare, troppo agitato per effettuare partenze; merito del governo italiano, e del suo piano di contrasto all’immigrazione – in questa direzione vanno le parole del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, secondo cui “il codice delle Ong è un pezzo fondamentale” della strategia per ridurre i flussi migratori (l’altro pezzo sarebbe costituito dalcontestatissimo accordo tra l’Italia e Fayez al-Serraj, presidente del Governo di accordo nazionale di Tripoli, per delegare alla Guardia costiera libica il blocco dei barconi in partenza dalle coste nordafricane); un’altra, allarmante lettura ritiene invece che all’origine del calo ci siano le milizie armate che controllano il nord della Libia, principale punto di partenza dei barconi. Qui facciamo luce sui numeri degli arrivi e verifichiamo le diverse ipotesi.
I numeri
Che un calo negli arrivi, e netto, ci sia stato, lo dicono i numeri. Se nel periodo gennaio-agosto 2016 in Italia sono arrivati 115.068 migranti, nello stesso periodo del 2017 il numero scende a 99.127 (fonte Unhcr). Un calo del 13,85 per cento.
Considerando solo i mesi di luglio e agosto, nel 2016 sono sbarcati in Italia 44.846 migranti, mentre nel 2017 sono stati 15.375: il 65,72 per cento in meno. Il calo, registrato già a luglio (-50 per cento su luglio 2016), è diventato più marcato ad agosto (-82 per cento). Quello che non cambia è il punto di partenza delle imbarcazioni: il 95 per cento di quelle dirette in Italia parte ancora dalla Libia. Cosa è cambiato negli ultimi mesi? Alcuni fanno notare come le condizioni meteorologiche nel mese di luglio siano state particolarmente sfavorevoli, impedendo ai barconi di partire. Un’ipotesi, a dire il vero, debole: perché mai i trafficanti che stipano centinaia di persone su un gommone di pochi metri dovrebbero preoccuparsi di effettuare viaggi in sicurezza? Secondo quanto dichiarato all’agenzia Reuters da Chris Catrambone, co-fondatore di Moas, anche quando il mare si presentava “piatto come un lago” c’erano poche barche pronte alla partenza.
Una prima spiegazione: il codice di condotta delle Ong
Per il premier Gentiloni, il massiccio calo negli arrivi sarebbe conseguenza diretta dell’applicazione del codice di condotta delle Ong voluto dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, e sottoscritto (ai primi di agosto) da cinque organizzazioni umanitarie che effettuano salvataggi nel Mediterraneo: Proactiva Open Arms, Save the Children, Moas, Sea-Eye e, da ultimo, Sos Mediterranée; qui la nostra intervista al direttore di Msf Italia sulle ragioni del “no” della sua organizzazione. Questo codice, si ragiona in ambienti di governo, previene le Ong dall’effettuare operazioni non autorizzate, quali recuperare i migranti in acque territoriali libiche, e pone il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso sotto un controllo più stringente. Le conclusioni del governo (più controllo sulle Ong = meno arrivi) sembrano accreditare l’equazione tra la presenza delle organizzazioni umanitarie nel Mediterraneo e l’aumento degli arrivi (e dei morti) nel 2016, criminalizzando l’operato delle Ong contro ogni evidenza.
Il discorso non regge: il codice è stato approvato a fine luglio, quando il trend degli arrivi aveva già iniziato a cambiare segno. A ben vedere, poi, il famoso e strategico codice contiene pochi interventi rilevanti (o nessuno): le novità principali, molto contestate, sono state poi ridimensionate grazie all’addendum proposto da Sos Mediterranée. Questa Ong, all’atto di sottoscrivere il codice, ha ribadito che “il codice di condotta non è legalmente vincolante e prevalgono le regolamentazioni e le leggi nazionali ed internazionali”. Il codice, a questo punto, è praticamente inutile.
A ridurre l’attività delle Ong, più che il codice, è stata invece l’improvvisa decisione della Libia di estendere la sua zona di ricerca e soccorso ben oltre il limite delle sue acque territoriali, di fatto escludendo le Ong (anche a colpi di mitraglietta) dall’attività di salvataggio in acque internazionali. Ed è proprio alla mancanza di sicurezza in mare che alcune Ong (Msf, Sea-Eye e Save the Children) hanno imputato la sospensione delle loro attività di ricerca e soccorso in mare.
Caso Regeni:The Egyptian Commission for Rights and Freedoms (ECRF) is alarmed at the Egyptian government’s attempt to intimidate ECRF by a surprise visit aiming at closing ECRF’s office in Cairo
September 2017
The Egyptian Commission for Rights and Freedoms (ECRF) is alarmed at the Egyptian government’s attempt to intimidate ECRF by a surprise visit aiming at closing ECRF’s office in Cairo.
A committee from the Investment authority – accompanied by National Security and a police van – entered ECRF’s office claiming to hold a decision to close down the organization and attempted to put a wax seal on the office’s door on grounds that remain unknown.
Lawyers present at the office rejected these claims on the grounds of their lawlessness as ECRF is a law firm operating according to the national legislation. This was enough to prevent the closure of the office but the committee said they will come again. ECRF includes several law firms and therefore cannot be closed by the Investment Authority.
In October 2016, another committee from the Investment Authority had made a similar surprise visit and searched the office. It found law and international law books as well as casefiles of disappeared persons.
The Regeni family is deeply concerned for their lawyers and consultants in a Cairo. “One more time, it seems that the freedom and safety of those helping us in shading light on Giulio’s death is at risk” said Paula and Claudio Regeni and lawyer Alessandra Ballerini.
“This visit is yet another attempt to silence civil society in Egypt. The timing of the visit is not a coincidence as less than a month ago ECRF published its annual report on Enforced Disappearances in Egypt. The report documented 378 cases between August 2016 and August 2017, and labeled the Egyptian security apparatuses as the main actor to be held account for these violations. Additionally, on September 5, 2017, the Egyptian government blocked ECRF’s website”, said the Egyptian Commission for Rights and Freedoms.
This raid follows the arrest of lawyer Ibrahim Metwally, Coordinator of the Association of the Families of Victims of Enforced Disappearances in Egypt, an association that ECRF supports with legal advice.
It is also not coincidence to the fact that ECRF was soon to receive Giulio Regeni’s family members, to continue facilitating the investigation of Regeni’s enforced disappearance followed by death in 2016
Lo sporco baratto italo-libico e il neo-genocidio liberista dell’UE – di Salvatore Palidda
FONTE EFFIMERA CHE RINGRAZIAMO
Dopo la scelta europea del 2015, la tragedia dei migranti in Grecia, poi i 6 miliardi offerti al neo-sultano fascista e affarista Erdogan per trattenerli a prescindere dalla schiavizzazione assicurata anche dei bambini tramite i circa 100 mila neo-padroni siriano-turchi, era apparso chiaro che si andava verso il massacro. Come si evince ora dalla “brillante” operazione realizzata dal fulgido ministro Minniti “tutto si tiene”: il demagogico stop degli arrivi in Italia passa per il “reclutamento” di una nota banda criminale che così diventa forza legittima dello stato libico e che –soprattutto- promette di garantire gli interessi e attività dell’ENI-Agip in Libia –fra cui lo stop dei furti e del contrabbando del petrolio e le minacce di sequestro di tecnici italiani- e anche di Finmeccanica e il mercato degli armamenti italiani. In altri termini siamo davanti alla stessa logica che governa la riproduzione delle guerre permanenti, dei disastri sanitari, ambientali ed economici, delle neo-schiavitù e lo sprezzo totale dei migranti disperati, siano essi scampati alle guerre, alla fame, alle epidemie, al disastro economico e a ogni sorta di violenza e dominio (tranne una piccola parte affidata al business di ONG embedded cioè dell’umanitario neoliberista[1]).
La documentazione che illustra i diversi aspetti e anche i dettagli dell’escalation è ampia e articolata. La sequenza comincia nel 1990 cioè dopo il crollo del socialimperialismo sovietico che evidentemente non regge la competizione neo-liberista giostrata dai think tanks statunitensi; ma va ricordato che la premessa è nel Fiscal Year di Weimberger nel 1979[2] quando afferma che gli USA non possono più tollerare la crisi della loro egemonia mondiale non tanto per opera del mondo “comunista”, ma soprattutto a causa dell’autonomizzazione di diverse aree nei Sud del mondo. E per giustificare il lancio delle guerre contro questi Sud i think tanks usa incitano alla guerra ai narcotrafficanti e a tutte le mafie, e agli “stati canaglia”. La pseudo bonifica delle terre dei narcos scalfisce poco questi mentre devasta la Colombia e fa sprofondare il centro America e parte dell’America latina nel disastro grazie alla guerra finanziaria e l’imposizione di misure che aumentano l’impoverimento[3]
La Prefettura di Milano invita i Comuni milanesi a revocare le ordinanze sindacali anti-richiedenti asilo
FONTE ASGI
Dopo la segnalazione di ASGI e di altre associazioni, il Prefetto di Milano rende nota la lettera inviata alle amministrazioni rientranti nel territorio di sua competenza per segnalare i forti dubbi di legittimità delle ordinanze anti-richiedenti asilo.
Il Prefetto di Milano segnala ai Sindaci che le ordinanze pretendono di intervenire su una materia di competenza statale, sulla base di un presunto pericolo grave e imminente che non sussiste e che comunque sarebbe costituito, secondo le ordinanze stesse, dal generale fenomeno migratorio che palesemente non riguarda i singoli comuni e non determina emergenze socio sanitarie e di ordine pubblico di esclusiva rilevanza locale.
La lettera contesta inoltre le ordinanze nella parte in cui, prevedendo sanzioni amministrative e responsabilità penale in caso di inosservanza dei vincoli imposti, si pongono in contrasto con l’art.1 della legge n. 689 del 1981 (secondo la quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione) nonché con gli art. 3, 10, 25, comma 2 e 41 della costituzione.
Il Prefetto segnala infine che l’adozione delle ordinanze potrebbero esporre le amministrazioni a “responsabilità in sede giurisdizionale” di fatto invitando i sindaci alla revoca.
ASGI si augura che anche gli altri prefetti interessati (Brescia, Bergamo, Varese, Como, Vercelli, ma anche altri) si muovano tempestivamente nella stessa direzione e che i sindaci vogliano ottemperare all’invito e provvedere alla revoca di ordinanze che hanno il solo scopo di fomentare allarmismo nella popolazione e contrastare i piani di accoglienza.
La lettera del prefetto di Milano al sindaco del comune di Cologno Monzese
Macron, il nuovo ritorno al vecchio liberalismo conservatore autocratico
FONTE PRESSENZA.COM
«Non cederò niente né ai fannulloni, né ai cinici, né agli estremi » («Je ne céderai rien ni aux fainéants, ni aux cyniques, ni aux extrêmes»), è in questi termini che il presidente Macron ha reagito alla mobilitazione popolare del 12 settembre contro la riforma del codice del lavoro. Eppure secondo un sondaggio realizzato il 13 e 14 settembre per conto di FranceInfo e di Le Figaro il 60 % degli intervistati si è espresso contro la riforma e solo il 26 % considera che i decreti governativi (39 in totale approvati in due mesi dal nuovo governo francese !) avranno un impatto positivo sul lavoro. Il 38 % pensa, al contrario, che avranno un impatto negativo. Per il restante 36%, non avrà nessun impatto.
Ricordiamo che Macron ha imposto alla «sua» Assemblea Nazionale di approvare la delega al governo per modificare il codice del lavoro unicamente via decreti governativi senza più alcuna partecipazione del parlamento francese. Ora, il lavoro resta un campo fra i più importati per la vita di ogni persona ed il vivere insieme dopo essere stato per più di un secolo la grande questione sociale dei paesi occidentali. Per l’autocratico Macron ciò non conta nulla.
L’ispirazione di fondo della sua riforma consiste precisamente nel tentare – sono sue parole -di liberare l’economia francese (e la società) dai vincoli e dalle regole che l’ impediscono di creare occupazione dando forza alla flessibilità e riducendo considerevolmente l’obiettivo della sicurezza. Per lui il lavoro non riveste più un carattere di essenzialità per la vita. Esso non è più un diritto ma un’opportunità.
Inoltre la riforma è centrata sul principio di fare dell’impresa il luogo e lo «spazio sociale» unici degli accordi sul lavoro relegando al museo dell’oblio gli accordi settoriali, di categoria e nazionali.
Macron sta applicando gli stessi principi nel campo della casa. Il «piano alloggio» da lui presentato l’11 settembre a Tolosa come un «patto alle collettività locali» ha l’obiettivo di « liberare la costruzione di alloggi grazie alla riduzione delle esigenze e le norme ambientali e sociali», da lui considerate espressione di «buoni sentimenti» allorché la politica è fatta di «pragmatismo».
Oramai la maggioranza delle classi dirigenti oggi al potere in Europa non ha più vergogna di legiferare relegando ad un ruolo di poco conto i parlamenti nazionali e di dichiarare che i diritti umani (del e al lavoro, alla casa, all’acqua per la vita, alla salute, alla conoscenza…) non sono più, a loro avviso, fonte ispiratrice della regolazione collettiva.
In piedi, cittadini!
RAPPORTO IOM SUI MIGRANTI MORTI “VIAGGI FATALI” SULLE ROTTE DELLA SPERANZA
FONTE NIGRIZIA CHE RINGRAZIAMO
Oltre 22.500 persone sono scomparse o decedute negli ultimi tre anni e mezzo, secondo gli analisti dell’Organizzazione per le migrazioni, ma nessuno conoscerà mai il numero reale, che è molto più alto. Un esercito di uomini, donne e bambini, destinati a restare senza nome e, spesso, senza nemmeno una degna sepoltura.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) ha pubblicato un nuovo rapporto sulle morti e le sparizioni di migranti in tutto il mondo. Nella relazione di 136 pagine intitolata “Viaggi Fatali” emerge che «dall’inizio del 2014 ai primi sei mesi del 2017, oltre 22.500 migranti sono deceduti o scomparsi nel tentativo di fuggire dalla guerra o dalla miseria».
Un tragico resoconto che potrebbe diventare molto più alto, perché «il reale numero del totale di morti e dispersi non può essere calcolato con certezza», come sottolineano gli analisti del Global Migration Data Center (Gmdac) dello Iom, che hanno realizzato lo studio insieme ai ricercatori dell’Università di Bristol.
Il report rileva pure che dal 2000 al 2016 sono morti almeno 60mila migranti e che 15mila di essi sono scomparsi sulla rotta del Mediterraneo, balzata alle cronache internazionali per il tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013.
Ma quella mediterranea, che comprende ben 11 itinerari, è solo una delle 14 principali rotte migratorie, identificate nello studio, dove si registrano numerose perdite ogni anno. Tra queste, oltre al Mediterraneo, è risultata particolarmente pericolosa quella che dall’Africa occidentale e dal Corno d’Africa conduce verso Egitto e Libia. Mentre, dal 2014, migliaia di persone sono morte nel tentativo di attraversare il deserto del Sahara.
Il rapporto di Iom si focalizza anche su come migliorare la fruizione dei dati sui migranti scomparsi, per prevenire ulteriori decessi e consentire alle famiglie di conoscere il destino dei loro parenti. Molte famiglie, infatti, trascorrono anni in un limbo di incertezza senza sapere se i loro cari siano vivi o morti, poiché i corpi che riescono ad essere identificati sono una ristretta minoranza.
Una conversazione con Maria Rocco, una delle compagne arrestate durante le mobilitazioni contro il G20 tenutesi ad Amburgo lo scorso luglio
NoG20 Amburgo: Dal carcere Billwerder non è tutto.
FONTE LAVOROESALUTE.ORG
Riportiamo in questo articolo le riflessioni che abbiamo fatto qualche giorno fa in compagnia di Maria, del Postaz di Feltre, una delle compagne arrestate durante le mobilitazioni contro il G20 tenutesi ad Amburgo lo scorso luglio.
Questo approfondimento nasce dal fatto che abbiamo registrato un oggettivo accanimento nei confronti dei manifestanti arrestati, in particolare di quelli non tedeschi, sia da parte della polizia in piazza, sia da parte dei giudici. Questo è stato testimoniato qualche settimana fa dalla condanna a due anni e mezzo di un attivista olandese per disturbo aggravato della quiete pubblica, avvenuta solamente sulla base di testimonianze, tra l’altro contraddittorie, da parte dei poliziotti.
Partiamo dal fatto che poche sono le informazioni a disposizione degli arrestati sulla burocrazia giuridica tedesca; l’unica cosa certa sembra essere lo svolgimento del processo entro il limite massimo di sei mesi dall’avvenuto arresto. Gli avvocati del legal team hanno più volte sostenuto che ci sono state e continuano ad esserci delle palesi violazioni dei diritti umani.
Ma andiamo con ordine e ripercorriamo le giornate di Maria dal fermo all’arresto.
Maria è stata fermata il 7 luglio alle 6.30 del mattino e condotta in container organizzati apposta per il G20; l’agglomerato di prefabbricati in cui i fermati venivano trascinati porta l’inquietante nome di GeSa.
Maria viene appunto condotta nel GeSa e non ha possibilità di incontrare il suo avvocato sino alle 23.30 del 7 luglio; in quelle ore viene negata ai fermati qualsiasi informazione che fosse loro utile per difendersi o semplicemente per capire cosa stesse accadendo.
Arrivati al GeSa ci racconta: «venivamo perquisite (lei e le altre 5 fermate che erano insieme a lei ndr), alcune di noi hanno subito anche una pesante perquisizione corporale e siamo state condotte nel nostro container con la porta blindata; nessuna finestra e solo la luce di un neon sempre accesa per non farci percepire nulla di ciò che accadeva all’esterno». Là dentro hanno aspettato il primo pasto arrivato solo la sera: «nel frattempo si poteva chiedere solo acqua e per accedere al bagno bisognava essere schedate e accompagnate con gli agenti che ci scortavano tenendoci con le braccia aperte, pronti a spezzarle al primo movimento sospetto».
Il sabato sera Maria ed altre sette ragazze sono state tradotte, dopo aver subito il processo per la convalida dell’arresto, la fotosegnalazione e la presa delle impronte, a Billwerder, il carcere di Amburgo.
Ricordiamo che lo stato di arresto, anche in questo caso, viene confermato dai giudici solo ed esclusivamente grazie alle testimonianze vocali degli agenti presenti nelle strade della cittadina tedesca durante il vertice. I giudici e l’accusa non si sono avvalsi di alcuna testimonianza video in quanto le indagini erano ancora in corso e i filmati non erano ancora stati esaminati tutti.
Nella giornata di domenica tre delle otto ragazze, ovvero le cittadine tedesche, sono state rilasciate e le altre cinque, tra cui Maria, dovranno aspettare il 14 luglio, ovvero l’udienza di ricorso in primo grado, per sperare nella liberazione.
L’agente non va sul sicuro
FONTE AREA7.CH
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La Guardia Costiera libica continua ad addestrarsi in Italia
Il Progetto Minniti continua . L’addestramento della Guardia Costiera Libica ( quale ?, sotto quale governo libico ? ) continua …. Per fare che cosa ?
Ieri sera, 17 Settembre 2017, un’aliquota di personale della Guardia Costiera e della Marina libica, selezionata per frequentare I nuovi moduli addestrativi, è giunta alla Scuola Sottufficiali della Marina Militare a Taranto.
Sono 87, tra Ufficiali e Sottufficiali, i candidati scelti dalle autorità libiche e giunti in Italia; tra loro anche 3 tutors per la gestione del personale in addestramento durante la sua permanenza a Taranto. Le procedure di controllo sui tirocinanti sono state effettuate sulla base del loro consenso prestato per iscritto. Il processo di selezione è stato accuratamente svolto in diverse fasi, a cura di EUNAVFOR Med e degli altri partners dell’Operazione, quali gli Stati membri dell’Unione Europea ed alcune organizzazioni internazionali.
I militari libici frequenteranno due diversi moduli addestrativi della durata, rispettivamente, di 8 e 3 settimane (il primo finalizzato “all’attività a bordo delle motovedette” ed il secondo con l’obiettivo di formare gli “addestratori”), inclusi nel “Training Package 2”, in completa aderenza al Memorandum of Understanding firmato nel 2016 dall’ Ammiraglio di divisione Enrico Credendino, Comandante dell’ Operazione a guida EU “Sophia”, ed il Commodoro Abdalh Toumia, Comandante della Guardia Costiera libica.
L’obiettivo dell’addestramento è di aumentare la sicurezza delle acque territoriali libiche, potenziando le capacità della Guardia Costiera e della Marina ad assolvere i propri compiti istituzionali e affinando, allo stesso tempo, la conoscenza delle basilari norme di sicurezza marittima, comprendenti attività di “Search and Rescue”, per il salvataggio di vite, ed il contrasto ai traffici illeciti in mare.
L’articolo prosegue alla fonte su ANALISIDIFESA
Considerazioni estemporanee sul cambio climatico
I disastri, globali e locali, dovuto al riscaldamento globale diventano sempre più drammatici.
È ovvia e impellente la necessità di imporre lo stop alle emissione di gas climateranti, arrestando per primo il ricorso ai combustibili fossili.
Ma a mio parere alcune osservazioni sono necessarie, per avere una visone complessiva, critica e non fideistica. L’atmosfera è un sistema tremendamente complesso, i processi che la dominano sono fortemente non lineari, irreversibili. Vi sono dei feedback negativi, che contrastano il cambiamento esterno, e positivi, che invece lo amplificano.
In primo luogo, se anche – per un vero miracolo! – queste emissioni venissero arrestate dall’oggi al domani, il clima non ritornerebbe automaticamente, né rapidamente alle condizioni che conoscevamo in passato. Le emissioni che si sono accumulate fino a oggi continuerebbero ad agire per chissà quanto tempo ed a modificare ulteriormente le condizioni climatiche. Un sistema non lineare fortemente perturbato, se cessa la perturbazione, non ritorna necessariamente verso la condizione iniziale, precedente alla perturbazione.
Ci sono tra l’altro dei processi messi in moto che continueranno ad agire come feedback positivi. Per esempio, lo scioglimento dei ghiacci scoprirà il permafrost, il quale scongelerà rilasciando grandi quantitativi di metano, un gas che contribuisce molto più dell’anidride carbonica all’effetto serra.
Analogamente, i ghiacci che ricoprono l’Artico riflettono la radiazione solare molto di più della superficie del mare, più scura, che rimarrà scoperta.
Io poi esprimo, con beneficio di inventario, un dubbio generale. Un sistema complesso fortemente perturbato può incontrare nella sua evoluzione delle biforcazioni, che gli fanno imboccare strade completamente diverse per la sua evoluzione. Sarebbero insomma dei veri punti di non ritorno: eliminando la perturbazione il sistema non ritornerebbe mai più nella condizione di partenza, ma evolverebbe comunque verso un’altra direzione.
Personalmente ho per lo meno qualche dubbio che, data l’intensità dei cambiamenti, non si sia già superato un punto di non ritorno.
È un dubbio che esprimo, confermando comunque – ad anzi rafforzando – l’assoluta necessità e urgenza di interventi radicali per arrestare l’emissione di gas serra.
Questa umanità ha imboccato una strada che minaccia seriamente di condurla verso l’auto-distruzione: cambiamento climatico, rischio di guerra nucleare, esaurimento delle risorse, chi più ne ha più ne metta.
Il grande genetista Ernst Mayr (1904-2005) ha scritto: «L’intelligenza superiore è un errore dell’evoluzione, incapace di sopravvivere per più di un breve attimo della storia evolutiva». Speriamo che si sia sbagliato !!
Germania: La H&K non venderà armi a paesi in guerra, corrotti o non democratici
FONTE NIGRIZIA
Svolta “etica” per lo storico produttore di armi tedesco Heckler & Koch (H&K), la cui fama di società più assassina del paese – gli attivisti per il disarmo stimano che le sue armi abbiano ucciso più di 2 milioni di persone dalla fondazione dell’azienda nel 1949 e continuino ad uccidere una persona ogni 13 minuti – dovrà essere rivista. L’azienda ha infatti adottato la politica di vendita più “etica” di qualsiasi altro produttore di armi da fuoco nel mondo.
La H&K si è impegnata a non vendere più le armi in zone di guerra o a paesi che violano norme di corruzione e di democrazia, tra cui: Arabia Saudita, Israele, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Malaysia, Indonesia e tutti i paesi africani.
Anche se non è mai stata annunciata ufficialmente, la nuova strategia è inclusa nell’ultima relazione finanziaria annuale e confermata nella riunione del Cda ad agosto. Un portavoce ha detto che l’impresa “si è ritirata da tutte le regioni di crisi del mondo”.
Questa rivoluzionaria decisione fa della Heckler & Koch il primo produttore di armi ad avere una politica più “etica” di controllo delle esportazioni, anche rispetto a quella del proprio governo. The Guardian fa notare che il ministero dell’Economia tedesco ha rifiutato di commentare la scelta, affermando che non discute mai le decisioni individuali dell’azienda.
La società ha dichiarato che ora venderà solo a cosiddetti “paesi verdi”, che ha definito in base a tre criteri: l’adesione alla Nato (o “Nato equivalente”, come Giappone, Svizzera, Australia e Nuova Zelanda); l’indice di percezione della corruzione stilato ogni anno dall’organizzazione Transparency International; l’indice di democrazia indicato dall’organizzazione britannica Economist Intelligence Unit. (The Guardian)
Brasile, “La nostra storia non è iniziata nel 1988”
All’inizio di agosto era stata lanciata una vasta campagna internazionale per contrastare i tentativi del presidente brasiliano Michel Temer di commutare in legge un controverso parere legale sul possibile mancato riconoscimento territoriale ai popoli indigeni che non stavano occupando le loro terre ancestrali prima del del 5 ottobre 1988, quando l’attuale costituzione del paese è entrata in vigore. Questa nuova proposta, chiamata “marco temporal” o “limite temporale” dagli attivisti e dagli esperti in legge, lo scorso 16 agosto è stata rigettata da una sentenza unanime della Corte Suprema del Brasile, che si è espressa a favore dei diritti territoriali dei popoli indigeni in due casi di controversie terriere. Tutti e otto i giudici hanno votato a favore dei diritti indigeni e contro il governo dello stato del Mato Grosso, nell’Amazzonia, che aveva chiesto un risarcimento per alcune delle terre demarcate come territori indigeni alcuni decenni fa.
EGITTO: LA STAMPA IMBAVAGLIATA, MEDIA PRIVATI SEMPRE PIÙ CONTROLLATI DALLO STATO
FONTE NIGRIZIA.IT
I media privati ??in Egitto sono sempre più dominati da uomini d’affari legati al governo e alle sue agenzie di intelligence. A denunciarlo è Reporters senza frontiere (Rsf), in un rapporto diffuso martedì.
“Il dominio del regime sui media continua a crescere e sta anche interessando i media pro-governativi” avverte l’organizzazione per la difesa della libertà della stampa, secondo la quale praticamente tutti i mezzi di comunicazione egiziani sono apertamente a sostegno del governo, che negli ultimi mesi ha bloccato centinaia di siti web, tra cui molti gestiti da giornalisti indipendenti e organizzazioni per i diritti umani. A partire da maggio, le autorità hanno bloccato l’accesso ad almeno 424 siti e ai portali dei servizi VPN, che consentono agli utenti di aggirare tali blocchi. Anche il sito di Reporters senza frontiere è stato bloccato a partire dalla metà di agosto.
Le autorità, inoltre, controllano il lavoro dei giornalisti criminalizzando chi denuncia “false notizie” e arrestando chi è considerato “non allineato”.
La soppressione dei media indipendenti fa parte di una più grande repressione del dissenso, lanciata dopo il golpe militare che ha rovesciato il presidente eletto, Mohamed Morsi, nel luglio 2013.
Il rapporto fa notare che la rete televisiva popolare ONTV e i giornali locali Youm al-Sabea e Sout al-Omma, sono tutti di proprietà di Ahmed Abu Hashima, un imprenditore pro-governativo. Poco dopo aver acquisito la rete nel 2016, le autorità hanno deportato Liliane Daoud, un presentatore televisivo britannico-libanese, critico nei confronti di alcune politiche governative.
Rsf cita anche i casi di Al-Asema TV, di proprietà di un ex portavoce militare, e di Al-Hayat TV, acquistata da una società di sicurezza egiziana. (News 24)
Il governo della Bielorussia ha lanciato una campagna infondata contro i sindacati indipendenti.
Abbiamo bisogno del vostro sostegno per dire al governo di fermarsi.
Il 2 agosto, Gennady Fedynch, presidente del Sindacato dei lavoratori della radio e dell’industria elettronica (REP) e membro del Comitato esecutivo di Industrial ALL, e Ihar Komlik, tesoriere del sindacato REP e dirigente regionale nella città di Minsk, e diversi membri dell’organizzazione sono stati fermati e interrogati dalle autorità bielorusse.
I due dirigenti sindacali si trovano ora sotto inchiesta per presunta evasione fiscale su larga scala e rischiano dai 3 ai 5 anni di prigione. Ihar Komlik è in prigione dal 2 agosto. Le accuse relative alle tasse non pagate si riferiscono al sostegno e alla solidarietà ricevuta dal sindacato nel 2011, e non possono essere considerate come fondi privati. Le accuse sono infondate e mirano a indebolire il sindacato, come ritorsione alle posizioni e all’attività dei suoi dirigenti in difesa dei diritti civili e degli interessi sociali ed economici dei lavoratori in Bielorussia.
La federazione sindacale internazionale, Industrial All, e la Confederazione Sindacale Internazionale chiedono che Ihar komlik sia rilasciato immediatamente e che sia posta fine fine all’azione penale nei confronti di Gennady Fedynich.
Per favore, dedicate un momento per dimostrare il vostro sostegno a questa campagna, collegandovi al link:
https://www.labourstartcampaigns.net/show_campaign.cgi?c=3536
E per favore condividete questo messaggio con i vostri amici, parenti e colleghi del sindacato.
Grazie
Eric Lee
E’ uscito il numero 95 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21
Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n95-s.pdf
In questo numero:
Le false illusioni del mercato del lavoro
di Ciccio De Sellero
Il capolavoro di Minniti
di Alessandro Giglioli
L’estate in cui l’Italia oltrepassò il Rubicone del razzismo
di Peppino Caldarola
Gli accordi di Parigi e la scomparsa dei cambiamenti climatici
di Raffaele Salinari
Venezuela, l’opposizione si spacca e fa arrabbiare El País
di Gennaro Carotenuto
Buona lettura e diffondete!
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Referendum “autonomista” in Lombardia, federalismo fiscale, regionalismo.
Milano 24 luglio 2017. Interessante seminario di Articolo 1 Lombardia con una introduzione di Onorio Rosati sull’iter del referendum, del prof. Alessandro Santoro sul cosiddetto federalismo fiscale e della prof.essa Maria Agostina Cabiddu sugli aspetti costituzionali e giuridici. Molto utile per orientarsi in vista della data del 22 ottobre quando in Lombardia e Veneto ci sarà il referendum…
http://www.puntorosso.it/seminari.html
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NUMERO 3 della RIVISTA di Punto Rosso-Lavoro21 – LUGLIO 2017
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-rivista-numero3-s.pdf
Paghi Sarraj che paga i trafficanti che ora fermano i migranti
«Secondo un accordo sostenuto dall’Italia (‘backed by Italy’, sostenuto in senso diretto dall’Italia), il governo di Tripoli ha pagato le milizie che una volta erano coinvolte nel contrabbando di migranti ad impedire agli immigrati di attraversare il Mediterraneo verso l’Europa, una delle ragioni della drastica diminuzione del traffico, secondo milizie e funzionari della sicurezza». La conferma di quanto riferito ieri da Remocontro, nel riprendere un reportage del Times di Londra da Roma. Meno infiorettata e limitata ai fatti riscontrati, la cronaca del Washinghton Post.
Manca ad esempio il dettaglio dei 5 milioni di dollari che avrebbe pagato l’Italia, i suoi servizi segreti, per trasformare i trafficanti di esseri umani in neo sceriffi al servizio di chi li paga. Notizia che sarebbe stata smentita da una «Spokeswoman for the Italian intelligence services», che nessuno sapeva neppure che esistesse. Provate a trovare voi un telefono di Aise o Aisi, se ci riuscite. Per il resto, solo ulteriori dettagli rispetto alla cronaca di ieri.
Ad esempio, la notizia dei soldi italiani arrivati in qualche modo a trafficanti e scafisti per la loro ‘conversione’, hanno creato scontento tra alcune forze di sicurezza libiche e attivisti che si occupano di migranti. ‘Attenti ad arricchisce le milizie, consentendo loro di acquistare più armi e diventare più potenti’, ammoniscono. «In the country’s chaos, the militias can at any time go back to trafficking or turn against the government, they say». Nel caos del paese, le milizie possono in qualsiasi momento tornare alla tratta o rivolgersi contro il governo, dicono. L’accordo continua a cementare il reale potere delle milizie, che dalla caduta di Gadhafi hanno minato i governi successivi della Libia.
IL TEOLOGO LEONARDO BOFF DIFENDE LULA, CHE POTREBBE SCENDERE IN CAMPO ALLE PROSSIME PRESIDENZIALI, E ATTACCA IL GOVERNO TEMER DEFINENDOLO “VENDEPATRIA”
FONTE POPOFF. CHE RINGRAZIAMO
di Leonardo Boff
a cura di Marina Zenobio
Lo scorso 28 agosto, in una intervista a Radio Itatiaia di Belo Horizonte, l’ex presidente brasiliano Inácio Lula da Silva ha “minacciato” che, se sarà necessario a non far vincere l’opposizione, per le prossime elezioni presidenziali del 2018 potrebbe scendere di nuovo in campo. “Sinceramente – ha dichiarato Lula – spero ci siano altre persone disponibili. Ma se l’opposizione pensa di vincere, se pensa che non ci sarà duello e che il Partito dei Lavoratori è finito, può essere sicura di una cosa, se necessario io entrerò in campo e lavorerò affinché l’opposizione non vinca le elezioni”.
Nonostante la condanna di primo grado per corruzione inerente all’inchiesta Petrobras, Lula alza il tiro ma l’opposizione sta già da tempo montando una campagna diffamatoria nei suoi confronti per distruggere il “mito” di Lula, campagna diffamatoria alla quale risponde, tra i primi, Leonardo Boff, teologo brasiliano, esponente della Teologia della Liberazione, corrente progressista della chiesa cattolica latinoamericana.
Popoff propone un articolo firmato da Leonardo Boff e pubblicato il 30 agosto scorso su Alainet, America Latina in Movimento.
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La gravità della nostra crisi generalizzata ci fa sentire come una barca alla deriva, alla mercé dei venti e delle onde. Il timoniere, il presidente (Michel Temer, ndt) è accusato di reati, circondato da marinai-pirati per la maggiora parte (con nobili eccezioni) ugualmente corrotti o accusato di altri reati. E’ incredibile che un presidente, detestato dal 90% dei brasiliani, senza alcuna credibilità né carisma, voglia governare una barca alla deriva.
Non so se è ostinazione o vanità elevata ad un livello stratosferico. Tuttavia, impavido, continua ad essere lì, nel palazzo, comprando voti, elargendo benefici, corrompendo chi è già corrotto per evitare che rispondano, davanti al STF (Supremo Tribunale Federale, ndt), alle dure accuse di cui è imputato. Praticamente è prigioniero di sé stesso perché, dovunque appaia in pubblico, presto arriva il grido “Fuori Temer”.
E’ una vergogna internazionale essere arrivati a questo punto, dopo aver conosciuto l’ammirazione di tanti paesi per le coraggiose politiche in favore della gran maggioranza dei poveri, grazie ai governi progressisti di Lula e Dilma.
La diffamazione, sostenuta da gruppi legati all’establishment internazionale che vogliono allineare tutti alle loro strategie, può cercare di demonizzare la figura di Lula e di annullare il merito dei benefici che l’ex presidente ha dato ai diseredati del paese. Ma non riusciranno ad arrivare al cuore del popolo […] perché nonostante gli errori e gli equivoci, è innegabile che Lula ha sempre amato i poveri ed è stato sempre dalla loro parte. Più che il pane, la luce, la casa, l’accesso all’istruzione tecnica o superiore, lui ha restituito la dignità; ora siamo persone non più condannate all’invisibilità sociale.
La mediazione malvagia di Donald Trump
FONTE ILLAVOROCULTURALE
Anche quest’anno il lavoro culturale – insieme a La Balena Bianca – sarà al Festival della Letteratura di Mantova, con il ciclo di incontri “Prossimamente”, uno spazio di approfondimento dedicato alle nuove frontiere della conoscenza, del sapere e della comunicazione.
Richard Grusin sarà ospite di Prossimamente sabato 9 settembre alle ore 18.00.
Pubblichiamo un estratto del testo sull’uso dei media da parte di Donald Trump, che Richard Grusin ha presentato l’11 maggio 2017 nell’ambito della giornata studi “Forme di vita e Radical Mediation”, organizzata dal Dipartimento di Scienze Umane dell’università LUMSA di Roma. La traduzione è a cura di Angela Maiello.
Molti commentatori politici si stanno ancora chiedendo come Donald Trump sia riuscito a essere eletto presidente degli Stati Uniti d’America. La sua vittoria viene spesso attribuita all’interferenza della Russia, alla disastrosa strategia elettorale di Hillary Clinton, o all’incapacità dei supporter di Bernie Sanders di buttarsi alle spalle la nomination democratica. Un linguista cognitivo, George Lakoff, ha notato, tuttavia, che gli osservatori politici raramente danno credito allo stesso Trump per aver vinto l’elezione grazie alle proprie azioni e continuano a sottostimarlo, correndo così un grande rischio. Mi rifiuto di correre lo stesso rischio. La mia tesi, infatti, è che la campagna di Trump sia riuscita con successo a trasformare la stampa, la televisione e i media della rete in armi per produrre un umore o un sentimento nazionale collettivo in cui una presidenza di Trump si configurasse come un futuro legittimo, possibile, desiderabile e, per molti, inevitabile.
Nell’interminabile copertura mediatica della campagna elettorale, i media americani non hanno dato notizia delle posizioni politiche di Trump (dopotutto lui stesso ha scelto di non dedicare molto tempo all’articolazione di tale posizioni), ma, in modo più determinante, hanno premediato incessantemente il potenziale di una sua presidenza. L’impatto materiale, affettivo e incarnato, generato dalle continue speculazioni dei media su come sarebbe potuta essere una presidenza Trump è stato tale che finanche la maggioranza degli elettori che hanno votato contro Trump ha cominciato a ritenere plausibile tale eventualità, nonostante gran parte della stampa, della televisione e dei media della rete si fossero schierati apertamente contro la sua candidatura. Attraverso la continua premediazionedella nomination di Trump e della sua elezione, i nostri media socialmente connessi in rete, quelli ufficiali e quelli non ufficiali, hanno contribuito a dare vita a questa presidenza, innanzitutto facendo sembrare, in TV, che Trump fosse già presidente.
Questa premediazione, tuttavia, non è stata un’iniziativa unilaterale dei media. Lo staff di Trump ha ingaggiato una persistente campagna di ciò che io definisco “mediazione malvagia”, per mettere al sicuro la nomination repubblicana e poi la Casa Bianca, una campagna che è continuata, in modo diverso, fino ai primi cento giorni della nuova amministrazione. Muovendo dalla perspicace analisi dei “media malvagi” proposta da Matthew Fuller e Andrew Goffey’s s, utilizzo il termine di mediazione malvagia per cercare di spiegare le tecniche, legittime e non, utilizzate da Trump per ottenere la presidenza degli Stati Uniti d’America, una posizione che, secondo molti, lo rende l’uomo più potente della terra. Mi concentro qui sui meccanismi infrastrutturali della mediazione malvagia di Trump, perché la sfida incalzante dinanzi alla quale ci troviamo – ovvero opporci e in ultima analisi porre fine alla rimediazione fascista del governo americano operata da Trump – richiede nuovi modi di pensare, nuovi modi per criticare, resistere e, in definitiva, deporre questa figura autocratica illegittima.
Se il sentimento umanitario finisce in minoranza
fonte saluteinternazionale
Autore: Gavino Maciocco
“Avverto i miei lettori: tutti coloro che non si inseriscono nella canea anti immigrazione e contro le Ong saranno soli. In questo momento l’odio verso le Ong e verso gli immigrati non ha pari, magari le mafie avessero avuto contro tutto questo impegno e questa solerzia” (Roberto Saviano, Repubblica, 5 agosto 2017). “Di questa estate italiana resterà una svolta nel senso comune dominante, dove per la prima volta il sentimento umanitario è finito in minoranza. E ciò peserà sul futuro (Ezio Mauro, Repubblica, 9 agosto 2017).
Nessuno poteva immaginare che nel 2017, nel cuore della Toscana, a Pistoia, potesse accadere una cosa del genere: un gruppo di squadristi, appartenenti al movimento neo-fascista Forza Nuova, ha minacciato un parroco, don Massimo Biancalani, reo di aver dato ospitalità – e aver accompagnato in piscina – alcuni giovani migranti africani. Questa l’incredibile intimidazione: “Saremo presenti alla messa domenicale per vigilare sull’effettiva dottrina di don Biancalani”. Domenica scorsa, 27 agosto, la messa c’è stata, gli squadristi pure, con immancabili saluti romani, e c’era naturalmente don Biancalani, circondato dai ragazzi africani (tutti musulmani), da una grande folla e da tanta solidarietà. (Leggi qui)
Ma ripetiamo: com’è potuta accadere una cosa del genere? Passando oltretutto quasi inosservata, non suscitando lo sdegno e le reazioni che avrebbe meritato, complici s’intende il caldo torrido e l’atmosfera vacanziera. Ma non solo. C’è un problema di clima, non meteo ma politico, che consente questi rigurgiti di stampo fascista.
Il clima politico è quello ben descritto da Ezio Mauro nell’editoriale di Repubblica dello scorso 26 agosto, dal titolo “Se la povertà è una colpa“.
“La questione di fondo, scrive E. Mauro, è che la povertà sta diventando una colpa, introiettata nella coscienza collettiva e nel codice politico dominante, così come il migrante si porta addosso il marchio dell’ultima mutazione del peccato originale: il peccato di origine” (…) “Il fatto è che questi esseri umani ridotti a massa contabile, senza mai riuscire a essere persone degne di una risposta umanitaria e ancor meno cittadini portatori di diritti, sono improvvisamente diventati merce politica oltremodo appetibile, in un mercato dei partiti e dei leader stremato, asfittico, afasico. Impossibilitati a essere soggetto politico in proprio, si trovano di colpo trasformati in oggetto della politica altrui, che vede qui, sui loro corpi reali e simbolici, le sue scorciatoie alla ricerca del consenso perduto. Contro di loro si può agire con qualsiasi mezzo, meglio se esemplare. Senza terra, senza diritti sono ormai senza diritto, i nuovi fuorilegge”.
E se i migranti e i poveri sono fuorilegge, fuorilegge – e quindi da combattere e denunciare – devono essere considerati anche coloro che li aiutano e gli prestano soccorso. Infatti puntualmente è arrivato l’attacco alle Organizzazioni non governative (Ong), come Medici Senza Frontiere (MSF), che da anni con le loro imbarcazioni (nell’ambito di interventi concordati col governo italiano, vedi operazione Triton) soccorrono nel Mediterraneo migliaia di esseri umani alla deriva. Gli attacchi sono partiti dalla Lega (Salvini: Affondare navi Ong) e dal Movimento 5 Stelle (Di Maio: Ong, taxi del Mediterraneo), a cui si è ben presto accodato (fiutata l’aria) il Partito Democratico (Renzi: Pugno di ferro contro le Ong).
Italia-Africa. Il nostro «aiuto» è la vendita di armamenti
Nel distorto e problematico dibattito pubblico italiano e non solo sull’epocale fenomeno migratorio il tentativo principale della politica è quello di allontanare dalla vista dell’elettorato i problemi e le responsabilità.Nelle poche occasioni in cui si è allargato lo sguardo verso i luoghi di provenienza delle migrazioni (in particolare penso all’Africa) lo si fa richiamando un retorico e qualunquista «aiuto a casa loro» che non ha nulla di concreto o fattivo.
LA ORMAI VECCHIE promesse, sottoscritte a livello internazionale anche dall’Italia, di destinare almeno lo 0,7% del Pil all’aiuto pubblico allo sviluppo (diretto, indiretto e multilaterale) sono rimaste lettera morta. Nel 2015 l’Italia, pur con un trend in crescita, ha raggiunto solo lo 0,22% del Pil e una buona fetta dei quasi 4 miliardi impiegati è comunque rimasta nei nostri confini proprio per gestire il fenomeno migratorio.
Milagro Sala finalmente trasferita nella casa di El Carmen, agli arresti domiciliari
FONTE PRESSENZA.COM
A seguito delle raccomandazioni della CIDH (Commissione Interamericana dei Diritti Umani) che il 28 luglio scorso ha ordinato la liberazione o, in alternativa, la prigione domiciliaria per Milagro Sala, e alla risoluzione del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria dell’ONU emessa nell’ottobre scorso, accolte dal giudice solo il 18 agosto, la dirigente della Tupac Amaru è stata trasferita ieri pomeriggio dal carcere al suo domicilio di El Carmen, a 40 km da Jujuy. Qui sconterà i domiciliari sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria, che ha disposto telecamere e agenti di sorveglianza 24 ore su 24, oltre al monitoraggio permanente di due bracciali elettronici.
Il trasferimento di Milagro è avvenuto a sorpresa su decisione del giudice Pablo Pullen Llermanos, nonostante i lavori di installazione delle videocamere di sorveglianza non fossero ancora terminati, e senza notificare la decisione agli avvocati della dirigente. Gli stessi familiari sono venuti a conoscenza del trasferimento attraverso i media locali.
Le disposizioni del giudice prevedono che Milagro potrà ricevere visite dalle 7 alle 20, ma non più di 4 persone alla volta e solo per tre giorni a settimana, in spregio alle leggi vigenti secondo cui le restrizioni di una prigione domiciliaria si limitano al divieto di uscire dal proprio domicilio.
Milagro, dopo oltre un anno e mezzo di reclusione arbitraria, è stata accolta con un lungo abbraccio dal marito Raul Noro, oltre che dall’affetto di familiari e amici che hanno esposto anche un enorme striscione di benvenuto.
In un video diffuso lo stesso giorno dalla Tupac Amaru, l’organizzazione da lei guidata, Milagro ha ringraziato tutti coloro che, da fuori dell’Argentina, hanno appoggiato la sua liberazione. Ha inoltre lanciato un appello per Santiago Maldonado: “Chiedo dove sia Santiago Maldonado. Deve essere ritrovato vivo, noi argentini chiediamo al governo di Macri che riappaia con urgenza”.
La politica, arte di guardare lontano
FONTE MICROMEGA CHE RINGRAZIAMO
di Angelo d’Orsi
Ancora qualche riflessione a partire dalla ricorrenza del primo anno dal sisma che distrusse città e villaggi del Centro Italia lo scorso 24 agosto 2016, a poche ore dalla piccola scossa che ha fatto seri danni, e un paio di morti e qualche ferito, a Ischia. Con una impudenza straordinaria il ceto politico si ripete negli annunci, nelle garanzie, nelle promesse. Faremo, porteremo, sgombreremo: una sovrabbondanza di tempi futuri per gente che reclama il presente. E l’immancabile fervorino ai soccorritori (ma che devono fare i professionisti del ramo, se non soccorrere?!), e soprattutto lo stucchevole richiamo allo Stato che “non lascerà sole queste popolazioni”.