Puidgemont o Ada Colau? Il feticcio dell’indipendentismo e l’alternativa possibile

 

FONTE MICROMEGA CHE RINGRAZIAMO

In tutta Europa, come reazione all’attuale crisi socioeconomica e democratica, si stanno diffondendo pulsioni indipendentiste: nuove mini statualità in opposizione allo strapotere finanziario di Bruxelles. Ma, come dimostra la Catalogna, sono illusioni più che vie percorribili per un reale cambiamento. Che passa invece attraverso la valorizzazione dei cittadini nel governo delle città, come dimostra Barcellona con Ada Colau.

di Steven Forti e Giacomo Russo Spena

Lo scorso 5 ottobre Mauro Pili, deputato sardo di Unidos e appartenente al gruppo Misto, ha presentato alla Camera una proposta di legge costituzionale per avviare un percorso “democratico per far scegliere ai cittadini se continuare a essere discriminati dallo Stato italiano o meno”. La sua non è una voce isolata: a quanto si apprende da un recente sondaggio, in Sardegna aumenta la percentuale del fronte indipendentista. I cittadini sardi si sentirebbero abbandonanti dallo Stato centrale, la disperazione per la crisi economica, la sfiducia nei confronti delle istituzioni, la burocrazia invincibile e impermeabile completerebbero il desolante quadro. Ma le pulsioni indipendentiste sono in crescita. Ovunque. Dal Nord al Sud Europa. Da Ovest ad Est. Non è un caso che una delegazione di indipendentisti sardi, così come di indipendentisti fiamminghi e veneti, senza contare la presenza del leghista Mario Borghezio, sia volata lo scorso 1 ottobre a Barcellona per vigilare sulle votazioni del referendum di autodeterminazione convocato unilateralmente dal governo catalano. Quella consultazione poi repressa dal governo centrale guidato da Mariano Rajoy.

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Barcellona nello sgretolarsi d’Europa

Franco Berardi Bifo

L’Unione europea è un blocco granitico se la guardiamo da un lato, mentre si sgretola come un castello di sabbia se la guardiamo dall’altro.

La governance finanziaria è di granito sia pure immateriale: implacabile essa persevera nel saccheggio delle risorse sociali, incurante delle conseguenze.

Le conseguenze sono lo sgretolarsi sociale, politico e psichico dell’Unione medesima.

La crisi catalana, come la Brexit, non hanno vie d’uscite ragionevoli, e sono solo i casi più evidenti di uno sgretolarsi d’Europa che coesiste con l’irrigidirsi della gabbia. Può la gabbia ingabbiare lo sgretolarsi?

Cos’è successo in Catalogna, e come andrà a finire?

La discussione si è finora concentrata sulla legalità o illegalità della secessione indipendentista, ma la legalità si giudica dal punto di vista della legittimità storica, e lo Stato Spagnolo non ha più alcuna legittimità agli occhi della maggioranza dei catalani. Né ha legittimità la monarchia borbonica, né il partito franchista di Rajoy.

Nè ha senso la questione se la Catalogna sia o no una nazione. Le nazioni non esistono, sono soltanto la proiezione dai nazionalisti, i quali creano le nazioni sulla base dell’illusione di un fondamento reale, ontologico, storico, se non addirittura spirituale della nazione, poi prendono lucciole per lanterne, e scambiano la loro proiezione per realtà. Quindi la nazione catalana esiste dal momento che i nazionalisti catalani la costruiscono nella loro immaginazione, e l’hanno formata attraverso politiche centrate soprattutto sulla lingua.

Ma queste sono questioni di lana caprina. Legalità non vuol dire niente quando una nuova soggettività emerge fuori e contro la legalità esistente. E fondare una nuova legalità sulla nazione non significa niente dal momento che la nazione non è che la proiezione di una legiferazione nazionalista.

Interessante invece è la genesi sociale e le prospettive che l’indipendentismo può produrre.

Gran Bretagna e Spagna, gli stati nazionali più antichi (insieme alla Francia) si destrutturano. Perché?

La spaccatura verticale del corpo elettorale britannico non è un evento che si risolverà nell’ambito dell’unità nazionale. Il 51% che ha votato exit e il 49% che ha votato remain non si conciliano in un futuro comune. Non si tratta più della vecchia opposizione di destra contro sinistra, fattore dinamico seppur conflittuale negli stati nazionali democratici. Si tratta di una divisione profonda tra ceti metropolitani bene o male integrati nel ciclo globale e ceti emarginati e impoveriti dalla globalizzazione.

La spaccatura che si è determinata in Spagna contrappone in modo irreversibile una parte (più della metà degli elettori catalani) allo stato nazionale. Il potere madrileno potrà anche sconfiggere gli indipendentisti, vincendo improbabilmente le elezioni del 21 dicembre, ma i catalani ora percepiscono la Spagna come una potenza occupante, così come metà dell’elettorato britannico considera l’Europa una potenza nemica.

Gli stati nazionali più antichi del continente si sfasciano, l’ordine europeo uscito dalla seconda guerra mondiale si sfascia. Perché?

Come si è potuti arrivare a questo punto?

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Naomi Klein – Ada Colau: resistere alla dottrina dello shock

fonte PRESSENZA.COM

11.11.2017 – Barcellona Raquel Paricio

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Naomi Klein – Ada Colau: resistere alla dottrina dello shock

La sindaca di Barcellona Ada Colau e la scrittrice Naomi Klein sono state le protagoniste di un dibattito dal titolo: “Opporsi alle politiche della confusione e della paura: la giustizia sociale come sfida globale”. Hanno affrontato i temi più roventi del momento, riferendosi sia al processo che Barcellona sta vivendo fin dagli attentati di agosto e all’attuale barbarie politica, sia a fenomeni mondiali che evidenziano quella che Klein chiama la “dottrina dello shock”.

Entrambe scelgono il Sí, l’”empowerment” per superare lo shock. Nel caso di Colau, si tratta di un sí nato dalla base della cittadinanza, nella lotta, che corrisponde all’analisi di Klein nelle sue ultime teorie sulla resistenza davanti allo shock. Il dibattito punta a definire strategie per affrontare le politiche che mettono in pericolo i diritti dei cittadini, fa ben sperare in una possibilità di cambiamento evolutivo e si propone di generare una narrativa comune per opporsi all’indebolimento.

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Il Movimento europeo: “A Barcellona”

FONTE  STRISCIAROSSA

AUTORE : Virgilio Dastoli 

Con la “detenzione provvisoria” di otto ex ministri del governo catalano decisa dal giudice Lamela si è compiuto a Barcellona l’ennesimo atto di inutile esibizionismo del nazionalismo spagnolo contro il nazionalismo catalano.

Inutile perché fra poche ore o fra pochi giorni gli ex ministri torneranno in libertà osannati come eroi da qualche centinaio di indipendentisti e inutile soprattutto perché non ricorre dal punto di vista giudiziario nessuna delle circostanze che legittimano una detenzione seppure provvisoria. Gli ex ministri, infatti, non possono reiterare il reato di secessione perché non hanno più le leve del potere; non possono inquinare le prove perché non hanno più accesso ai palazzi del governo; non c’è il rischio di fuga perché essi si sono consegnati spontaneamente alla giustizia spagnola.

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Catalogna, Colau: «Serve politica, non vendetta»

FONTE POPOFF

Ada Colau critica contro la decisione di Madrid di arrestare il governo catalano. Il comune di Barcellona riconosce quel governo ma non l’indipendenza. Chi vincerebbe se si votasse oggi

di Francesco Ruggeri

Catalogna, migliaia in piazza contro l'arresto dei leader

Crisi catalana. Podemos accusa la giustizia spagnola di fare «prigionieri politici». «Mi vergogno che il mio Paese metta in carcere gli oppositori politici. Non vogliamo l’indipendenza della Catalogna ma diciamo: libertà per i prigionieri politici», ha twittato il leader di Podemos, Pablo Iglesias, in merito all’arresto degli ex esponenti della Generalitat catalana. «Un giorno nero per la Catalogna. Il governo eletto democraticamente con le urne, in carcere. Ci vuole un fronte comune per ottenere la libertà dei prigionieri politici», ha twittato dal canto suo la sindaca di Barcellona Ada Colau, eletta in un alleanza di cui fa parte Podemos. La stessa coalizione fra Podemos e «los comunes» della Colau, riferiscono i media, ha già fatto sapere che nel suo programma elettorale per il voto in Catalogna del 21 dicembre ci sarà l’amnistia per i secessionisti.

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Catalogna

Autore Giuseppe  Grosso

Fonte Manifesto

Ribellione, sedizione e malversazione di fondi pubblici. Il procuratore generale dello stato, José Manuel Maza, ha scagliato ieri tre fulmini sui generali indipendentisti che venerdì scorso hanno proclamato la Repubblica catalana, soffocata sul nascere dall’applicazione dell’articolo 155 da parte dell’esecutivo di Rajoy.

IL PRESIDENTE PUIGDEMONT, il suo vice Oriol Junqueras, la presidente della Camera catalana Forcadell e un folto gruppo di ministri della Generalitat rischiano ora – se, com’è praticamente certo, il Tribunale Costituzionale e l’Audiencia Nacional accoglieranno le ipotesi di reato formulate dalla procura – di essere travolti da una valanga di avvisi di garanzia. Ed, eventualmente, da pene severissime, fino a trent’anni, che potrebbero trasformare l’avventura separatista in una carneficina politica.

Nello scritto, il procuratore evidenzia l’assoluto «disprezzo alla Costituzione» e chiama a comparire gli insorti davanti al giudice «con urgenza».

Ammesso che Puigdemont e i suoi fedelissimi accettino di farsi giudicare dalla giustizia spagnola, il che sembrerebbe tutt’altro che scontato: da ieri, infatti, l’ex president si trova a Bruxelles insieme a cinque suoi ministri, dove è fuggito in cerca di asilo politico poche ore dopo le dichiarazioni del segretario di stato belga per l’asilo e la migrazione Theo Francken (del partito separatista fiammingo), dichiaratosi disposto a concedere protezione agli indipendenti catalani.

Un colpo di scena – l’ennesimo – che non è chiaro come possa risolversi: alla netta smentita del primo ministro belga, va aggiunta infatti l’impossibilità formale di avviare la richiesta, dato che la normativa comunitaria non contempla l’eventualità che un cittadino Ue chieda asilo politico presso un altro stato dell’Unione.

Secondo vari giuristi, tuttavia, la legislazione belga darebbe al president ribelle qualche appiglio legale che, quanto meno, potrebbe ritardare l’azione della giustizia spagnola.

Mentre Puigdemont attraversava i Pirenei per consacrarsi esule politico e organizzare la resistenza lontano dal caldissimo autunno barcellonese, Podemos cercava di organizzare le fila, scompigliate dalle pesanti divergenze tra il versante nazionale (anti indipendentista) e quello catalano, pronunciatosi a favore dell’indipendenza e contro la legittimità delle elezioni convocate da Rajoy per il prossimo 21 dicembre.

IGLESIAS È DOVUTO così correre ai ripari «scomunicando», domenica scorsa, la costola catalana dell’organizzazione (Podem), che rischia ora fuoriuscire dall’orbita del partito nazionale. «Se ci sono dei compagni politicamente più vicini alla Cup, che vadano con loro», ha dichiarato il segretario della formazione viola, additando la porta ad Albano Dante Fachin, segretario di Podem e leader della corrente indipendentista della sigla catalana della formazione viola.

STANDO COSÌ LE COSE, Podemos dovrebbe dunque presentarsi alla prossima tornata elettorale insieme al partito di Ada Colau, Catalunya en Comú, candidando Xavier Domènech a presidente della Generalitat; ma, a dimostrazione del fatto che la crisi catalana è stata per Podemos più una pietra d’inciampo che un’occasione di crescita, focolai di dissenso si sono verificati anche nel settore anticapitalista della formazione, che hanno riconosciuto la legittimità della Repubblica catalana in un comunicato, rinnegato però dai maggiori esponenti della stessa corrente (i leader andalusi Teresa Rodríguez e Kichi González).

Intanto l’ipotesi di elezioni mutile, che aveva preso corpo dopo la minaccia dei partiti indipendentisti di disertare le consultazioni di dicembre, sembra essere rientrata: Esquerra Republicana (Erc) e il PDeCAT, parteciperanno al voto: «Le urne sono sempre un’opportunità, anche se imposte da Rajoy – ha commentato Sergi Sabriá di Erc – Il governo non ha la facoltà di convocare queste elezioni, ma noi non aggrediamo i seggi come loro. Anzi, difendiamo il voto, perché Madrid non ci fa paura», ha proseguito.

Nessun commento, invece, dalla Cup, che ancora non ha chiarito se parteciperà o si manterrà al margine di una tornata elettorale che considera un atto di forza dell’esecutivo centrale.

Non vede l’ora di votare, invece, il popolo unionista che ieri ha sfilato numeroso per le strade di Barcellona, colorate dal rosso e dal giallo della rojigualda, la bandiera spagnola.

Il corteo convocato Socied Civil Catalana, ha percorso le strade della ciudad condal con in testa i leader di tutte le forze costituzionaliste, che hanno pronunciato discorsi molto duri contro la spaccatura sociale provocata dal secessionismo.

È SALITO SUL PALCO anche Francisco Frutos, ex segretario generale del PCE: se per essere anti indipendentista mi considerate un traditore – ha detto rivolgendosi idealmente ai secessionisti – allora «sono un traditore del dogmatismo settario e del razzismo identitario che state creando».

 

Ada Colau: non in mio nome

 

Ada Colau Sindaca di Barcellona

 

FONTE PRESSENZA.COM

A furia di parlare di scontro tra treni al condizionale ci siamo arrivati, si fa fatica a pensare che sia successo oggi.

Un decennio di negligenze del Partito Popolare nei confronti della Catalogna culmina oggi con l’approvazione in Senato dell’articolo 155.

Rajoy lo ha presentato in mezzo agli applausi dei suoi, facendo vegognare tutti coloro, come noi, che rispettano la dignità e la democrazia. Applaudivano il loro fallimento?

Coloro che sono stati incapaci di proporre qualunque soluzione, incapaci di ascoltare e di governare per tutti, consumano oggi il colpo di stato alla democrazia con l’annichilamento dell’autogoverno catalano.

Sulla stessa rotaia ma in direzione contraria c’è un treno più piccolo, quello dei partiti indipendentisti, a tutta velocità, con piglio kamikaze, dietro una lettura sbagliata delle elezioni del 27 Settembre. Una velocità imposta da interessi partitici, in una fuga in avanti che si consuma oggi con una Dichiarazione d’Indipendenza fatta in nome dell Catalogna, ma che non ha l’appoggio della maggioranza dei catalani.

Non ci stancheremo di ripeterlo: è un errore rinunciare all’80% a favore di un referendum concordato prendendosi un 48% a favore dell’indipendenza.

Molti, moltissimi, sono anni che mettiamo in guardia sul pericolo e, nelle ultime settimane, che lavoriamo pubblicamente e privatamente per evitare questo scontro. Siamo la maggioranza, in Catalogna e in Spagna, noi che vogliamo che le macchine si fermino, che si imponga il dialogo, il buon senso e una soluzione concordata.

Siamo sempre in tempo a tornare al dialogo. Succeda quel che succeda, non smetteremo di chiederlo. Ma ora ci tocca difendere le istituzioni catalane, lottare per preservare la coesione sociale e il benessere di Barcellona e della Catalogna. Staremo con la gente, lottando affinché non si tocchino i loro diritti. Curando le ferite che tutto questo sta causando e chiedendo alla gente del resto dello stato di lottare uniti perché questa democrazia è anche la loro. Nemmeno smetteremo di chiedere al Partito Socialista che cessi di appoggiare coloro che oggi applaudono; se no sarà impossibile che siano parte di un’alternativa credibile e che dia speranza.

Ho chiaro dove starò: coinvolta nella costruzione di nuovi scenari di autogoverno che ci diano più democrazia, non certo meno. Questo comprende cacciare il Partito Popolare che oggi, con i suoi applausi crudeli, fa festa del dolore di tutto un popolo. Ma anche, e sopratutto, lavorare per rendere femminile la politica, per ottenere che l’empatia sia una pratica abituale che permetta di costruire grandi consensi in cui la nostra diversità sia il nostro maggior tesoro.

Non in mio nome: né 155 né dichiarazione d”Indipendenza.

Ada Colau

Traduzione originale di Pressenza

L’autunno catalano, lo Stato e il referendum

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Articolo di Dario Lovaglio sul conflitto indipendentista a pochi giorni dal referendum

FONTE EFFIMERA

Il rumore dell’elicottero in sottofondo è diventato una constante per chi vive a Barcellona. In queste ultime settimane dall’1 ottobre, data in cui viene annunciato il referendum indipendentista, lo Stato democratico ha messo in opera, con un metodo degno della sua genealogia post-franchista, la revoca dell’autonomia della Catalogna con 14 arresti di alti funzionari; ha inoltre centralizzato i poteri della Conselleria d’Economia e la polizia della comunità autonoma, i Mossos d’Esquadra. Un Coup d’Etat dice il presidente della comunità autonoma catalana su The Guardian. Una dozzina di sedi di partito perquisite e occupate senza mandato, oltre alle tipografie e alle testate implicate nella produzione del materiale del referendum; la sospensione di conferenze ed atti pubblici sia a Valencia sia a Bilbao; circa settecento sindaci sanzionati e precettati per aver appoggiato pubblicamente la consulta con le loro dichiarazioni; un impiego massiccio delle forze dell’ordine della Guardia Civil – la polizia statale – con due barche da crociera ormeggiate nel porto di Barcellona.

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