Santiago Maldonado scomparso da tre settimane in Argentina

FONTE PRESSENZA.COM

23.08.2017 Redazione Italia

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Santiago Maldonado scomparso da tre settimane in Argentina

Oggi sono passate tre settimane dalla sparizione forzata di Santiago Maldonado a Chubut, la Patagonia argentina, quando la comunità mapuche Lof de Resistencia a Cushamen è stata perquisita dalla gendarmeria e gli uomini presenti si sono visti obbligati a fuggire per salvare le proprie vite.

Maldonado, che non conosceva molto bene il posto, non ha potuto trovare rifugio come hanno fatto gli abitanti del luogo ed è stato arrestato dai gendarmi, benché la ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, continui a negarlo. Come fa anche il ministro della Giustizia, Germán Garavano, che insiste a negare l’intervento della gendarmeria nella sparizione del giovane.

Continuano le manifestazioni alle porte delle caserme da cui sono usciti i gendarmi che hanno partecipato all’operativo. Le recriminazioni da parte di tutta la popolazione stanno facendo sì che i comandanti dei diversi distaccamenti scarichino la responsabilità della repressione gli uni sugli altri.

La famiglia di Santiago ha percorso chilometri e chilometri cercando l’appoggio dello stato nella ricerca del proprio congiunto, ma solo l’avvocato difensore di Maldonado sembra mettersi nei loro panni in una corsa contro il tempo. Nel corso di recenti dichiarazioni, sia l’avvocato che membri della comunità mapuche cominciano a mostrarsi scettici rispetto alla possibilità che Santiago si trovi ancora in vita.

Questo pomeriggio, durante la manifestazione dei lavoratori che si è tenuta a Buenos Aires per chiedere al governo di modificare la rotta dell’economia, nell’ambito di uno sciopero generale, l’appello affinché Santiago Maldonado venga ritrovato in vita è stata una delle richieste più rimarcate, così come il rispetto immediato della misura cautelare dettata dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani a favore di Milagro Sala.

La CIDU ha inoltre risposto affermativamente a una richiesta di misura cautelare affinché lo Stato argentino informi su dove si trovi Santiago Maldonado, che “l’ultima volta è stato visto mentre veniva colpito e caricato su una camionetta bianca della gendarmeria nell’ambito di un operazione di polizia nel dipartimento di Cushamen”, secondo le sue stesse parole.

Il titolare dell’organismo, Francisco Eguiguren, ha parlato con la radio argentina Radio Rebelde, in cui ha assicurato che la risoluzione su Maldonado sarà consegnata allo Stato argentino affinché “metta in atto tutte le ricerche necessarie al fine di trovarlo e garantire la sua sicurezza”.

 

Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella

Il trasferimento di Milagro Sala continua ad essere rinviato

FONTE PRESSENZA.COM

30.08.2017 Redazione Italia

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Il trasferimento di Milagro Sala continua ad essere rinviato
(Foto di Prensa Tupac)

18 giorni di violazione internazionale

La Magistratura di Jujuy continua a rinviare il trasferimento di Milagro Sala verso l’immobile sito in località El Carmen, secondo quanto disposto dai giudici Gaston Mercau e Pablo Pullen Llermanos. A un giornale lealista della provincia di Jujuy, il Ministro per la Sicurezza Ekel Meyer ha detto che nelle prossime 48-72 ore dovrebbe terminare il collocamento delle telecamere attorno al luogo in cui terminerà la detenzione la deputata del Palasur, sebbene siano già trascorsi più di 12 giorni di attesa per la risoluzione del secondo giudice che doveva pronunciarsi al riguardo.

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Alla buon’ora, l’inchiesta sui rapporti tra PD e neofascisti comincia a produrre scossoni

Ci è voluto un episodio in apparenza “piccolo” ma più vistoso ed emblematico di altri. Un episodio di grande densità simbolica.

Forza Nuova e l’associazione Nuove Sintesi – parte del network di Lealtà Azione – organizzano un evento nella sala comunale «Salvador Allende» di Nereto, provincia di Teramo, paesino amministrato dal Partito Democratico. Si tratta di una serata “a tema storico” sulla Repubblica di Salò, con fascio littorio in bella evidenza. Commentatori fascisti ci scherzano sopra sui social, parlano di «karma», dileggiano il presidente socialista cileno ucciso dai golpisti di Pinochet.

Il cortocircuito di riferimenti è tale da fulminare l’impianto elettrico del PD.

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Tribunale di Napoli : prima condanna per sfruttamento lavorativo nelle fabbriche tessili

FONTE ASGI CHE RINGRAZIAMO

Come si è giunti al primo traguardo nel processo per sfruttamento lavorativo dei cittadini bengalesi dell’area Nord di Napoli:  “Questo processo, e soprattutto il suo esito, rappresenta una grande vittoria su più fronti”.

 

A tre anni dalla prima querela presentata dagli avvocati Amarilda Lici e Alessandro Del Piano (entrambi avvocati ASGI) dinanzi la DDA della Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, giunge finalmente ad un primo grande traguardo il processo per sfruttamento lavorativo dei cittadini bengalesi dell’area Nord di Napoli.

Un successo ottenuto per tutte le parti civili costituite, tra cui anche l’ASGI che è stata ammessa con la seguente motivazione: “la lettura completa dell’art. 5 dello statuto permette di ritenere coinvolta dai reati in causa gli interessi tutelati dall’associazione stessa”.

Il processo, conclusosi con una sentenza di condanna a seguito di rito abbreviato, ha riconosciuto la responsabilità penale degli imputati per tutti i reati a loro contestati quali : Intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo di cui all’art.603 bis normativa previgente; Associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p co. 1, 2 e 3 cod.pen con l’aggravante del reato transnazionale secondo l’art. 3 e 4 L. 146/2006 e favoreggiamento all’immigrazione clandestina così previsto dall’art. 12 commi 3, 3 bis e 5 Dlgs 286/98 e succ. modif.

La denuncia ha preso corpo dopo che un primo gruppo di sei lavoratori si è rivolto all’Associazione “3 Febbraio” per denunciare i fatti di cui al conseguente processo. Successivamente, si scopriva che tali vicende interessavano numerosi lavoratori bengalesi e, pertanto, in corso di indagini, si depositavano ulteriori querele, raggiungendo il ragguardevole numero di ben 16 parti offese.

In particolare, tutti i lavoratori bengalesi venivano reclutati in Bangladesh da un loro connazionale che, sfruttando la sua fama di imprenditore “di successo” nel campo tessile, proponeva loro condizioni di vita/professionali “allettanti”, offrendo un lavoro (comprensivo dell’alloggio), regolare e ben retribuito, in Italia. Per tale attività di intermediazione, i malcapitati dovevano pagare cifre variabili tra i 10.000/12.000 euro, ottenendo i documenti di viaggio e, successivamente, il permesso di soggiorno.

Una volta giunti in Italia, i giovani lavoratori venivano collocati presso le fabbriche del loro “reclutatore” e/o dei suoi familiari, – i quali risultavano, tra l’altro, intestatari di alcune di esse.

Pian piano scoprivano la verità: venivano costretti ad orari di lavoro massacranti – dalle 7.30 alle 21.30 dal lunedi al sabato, dalle 8.00 alle 17.00 la domenica –, in condizioni di vita degradanti – alloggi di 50/60 mq adattati a 6/8 persone, ricevendo, quale contropartita, uno stipendio variabile dai 120 ai 300 euro mensili, subendo, vieppiù, atti di intimidazione, vessazioni, violenze ed insulti, senza mai ottenere, tra l’altro, il titolo di soggiorno, come inizialmente promesso.

In data 16 marzo 2016, a seguito delle indagini della DDA presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, veniva emessa dal Gip di Napoli – 18^sezione penale, un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere per sei indagati. Successivamente si affrontava la fase dell’incidente probatorio per l’escussione delle persone offese, durante la quale si univano al collegio difensivo gli avvocati Bruno Botti e Benedetta Piola Caselli, fino a giungere all’ 11 luglio 2017, quando il GUP – 31°sezione penale del Tribunale di Napoli, pronunciava la sentenza con la quale si riconosceva la responsabilità penale degli imputati, come sopra indicato.

Questo processo, e soprattutto il suo esito, rappresenta una grande vittoria su più fronti.

In attesa delle motivazioni della sentenza, i punti salienti si possono così riassumere.

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“Se la narrazione tossica su improbabili riprese economiche serve rubarci il futuro”. Il domenicale di Controlacrisi a cura di Federico Giusti

Fonte : controlacrisi.org

Qualche giorno fa, sulle pagine de Il Sole 24 ore (era il 23 Agosto) , abbiamo letto l’ articolo di Marco Leonardi, consigliere economico della presidenza del Consiglio, secondo cui se si riducono i costi di licenziamento solo per i nuovi contratti (come ha fatto il Jobs Act) i lavoratori che non sono ancora occupati ma stanno cercando un’occupazione potranno concordare un salario più alto a fronte della riduzione della protezione contro il licenziamento”.

La realtà è invece l’esatto contrario, il potere di acquisto dei salari è in continua diminuzione. Solo pochi mesi fa l’Osservatorio nazionale della Federconsumatori parlava di una stangata per ogni famiglia italiana con perdita di potere di acquisto superiore a 2330 euro annui

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Emergenza, ordine pubblico, legalità: ecco il deserto!

FONTE MELTINGPOT.ORG CHE RINGRAZIAMO 

Intervista a Luca Blasi di InterSOS, ONG attiva a Roma a sostegno dei migranti

Il ruolo delle ONG si fa sempre più centrale nella gestione degli interventi che riguardano i migranti, in particolare InterSOS aveva attivato parecchi percorsi di sostegno a favore dei rifugiati che occupavano il palazzo di via Curtatone. In questa conversazione con Luca Blasi cerchiamo di tracciare un quadro della situazione nella Roma degli sgomberi.

Luca, perché questo sgombero che trova tutti impreparati?
In realtà da parecchio tempo circolavano voci di un possibile sgombero, il 19 agosto abbiamo avuto la prova della fondatezza di queste voci. Si sapeva che l’operazione era stata decisa dal Tavolo per l’Ordine e la Sicurezza, non erano però note le modalità ed i tempi dell’attuazione. Sulla situazione generata ora si rimpallano le responsabilità tra Prefettura, Questura e Comune; noi come operatori umanitari e come InterSOS non entriamo nel tema del ripristino della legalità sul palazzo, ma possiamo affermare che mentre si cercava di ripristinare la legalità rispetto all’occupazione si è colpita la legalità del rispetto dei diritti dei migranti. Lo Stato italiano ha accettato ed accolto queste persone come rifugiati politici, e quindi godono del massimo della tutela prevista dai trattati internazionali. Oggi invece questo problema, che non era un’emergenza, è stato spostato sul piano dell’ordine pubblico e della gestione di un’ emergenza, in un contesto in cui diritti e dignità vengono completamente lesi.

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IL PUGNO DI MINNITI SUI RICHIEDENTI ASILO

FONTE FAMIGLIACRISTIANA.IT

 

Sugli immigrati ha inaugurato una nuova politica, imponendo un codice per le Ong e dando il via a una campagna di screditamento. Parla di legge e ordine citando Gramsci. Adesso fa manganellare i profughi, donne comprese. Dove vuole arrivare?

Dicono che Marco Minniti stia lavorando per diventare il prossimo premier. Il vento contro i migranti sembra avergliene dato l’ occasione e anche i sondaggi lo danno in testa nelle classifiche di gradimento dei ministri, subito dopo lo stesso premier Gentiloni. Fatto sta che è indubbiamente Minniti ad aver spostato l’ asse politico del Governo sugli immigrati. Ha cominciato a imporre un codice per le Ong che soccorrevano i naufraghi, imponendo polizia armata a bordo e negando il trasbordo da una nave all’ altra. Il risultato è stato quello di allontanare le navi delle organizzazioni umanitarie dal Mediterraneo e di aver contribuito alla più grossa campagna di screditamento delle Ong mai subita nella loro storia. Il resto lo ha fatto Matteo Renzi, decretando il “de profundis” per lo “ius culturae”, che riconosceva la cittadinanza ai minori figli di immigrati residenti da almeno cinque anni dopo che avevano frequentato almeno un ciclo di studi, tra gli applausi di Alfano. Non c’ è più tempo per la politica alta e per l’integrazione, siamo in campagna elettorale.«Governare i flussi migratori non è un optional, è un tema centrale per la nostra sicurezza. Per la nostra democrazia», ha detto Minniti imperturbabile nel tradizionale incontro ferragostano con i giornalisti. Il punto è come governarli. A manganellate, come chiede l’uomo della strada e la suburra digitale di Facebook? Finora è questa la risposta del Governo. Piace il suo piglio pragmatico, la sua faccia di duro, persino il suo passato di vecchio comunista: «Quando ero nella sede del Pci in Calabria avevo attaccato fuori un cartello: “Qui si lavora e non si fa politica”. Volete farmela fare adesso?». Ha citato il suo maestro di gioventù, Antonio Gramsci: «Il compito di una classe dirigente non è quello di mantenere la propria posizione per il proprio controllo della società ma per il proprio superamento». Legge e ordine, insomma, non è stato anche il motto di Blair?

Il problema è che Minniti sta alzando un po’ troppo l’ asticella dell’ ordine. A Roma si sono viste scene di guerriglia urbana degne del Venezuela nei confronti di un gruppo di rifugiati politici: uomini donne, vecchi, bambini e persino portatori di handicap che sono scappati dalla guerra. Tutti con i documenti in regola, titolari dello status di rifugiato. Occupavano da 4 anni un palazzo di via Curtatone ed erano stati sgomberati. Poliziotti in assetto antisommossa hanno usato gli idranti e si sono messi a manganellare per liberare la piazza da un centinaio di loro, tra cui numerose donne in lacrime, alcune delle quali inginocchiate con le braccia alzate. Uno spettacolo indegno per una democrazia, che ha suscitato le proteste di Amnesty International e dell’ Unicef per come sono stati portati via i bambini sui pullman della polizia. Nemmeno il governo dei respingimenti di Berlusconi, che pure si era ritrovato una condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, si era mai spinto fino a questo punto.

Non sappiamo se andrà avanti così fino alla fine della campagna elettorale. Non sappiamo nemmeno se la nuova politica contro gli immigrati sarà premiante in termini di consenso elettorale per il Partito democratico (a quel punto tanto vale andare all’ originale, Lega Nord e grillini in primis). Sappiamo però che questo pomeriggio si è scritta una pagina nera per la democrazia. Nera o rossa, che poi è lo stesso: comunismo e fascismo sono due totalitarismi contigui, in fondo. Questo Gramsci lo sapeva benissimo.

Migranti, il naufragio Pd e la scelta di Lerner

 

Autore: Gad Lerner

FONTE NIGRIZIA  CHE RINGRAZIAMO

Correva l’anno Duemila, lo stesso anno in cui ho cominciato a scrivere Giufà, la rubrica per Nigrizia, quando ho sentito per la prima volta un noto leader politico italiano proporre al telegiornale: “Dobbiamo sparare sulle imbarcazioni degli scafisti, affondiamole!”. In quel momento dirigevo il Tg1 e mi toccò dargli qualche minuto di gloria, pur sapendo entrambi che la sua sparata avrebbe lasciato il tempo che trovava. Nei diciassette anni successivi, tale ideona bellicosa è stata replicata infinite volte, sempre con la medesima prosopopea e in favore di telecamera, da leader di opposti schieramenti (dal centrodestra, al centrosinistra, ai grillini). Non mi stupisce, dunque, se quest’estate un tipo come Salvini, che sempre deve manifestarsi il più assatanato di tutti, sia giunto a chiedere anche l’affondamento delle navi delle organizzazioni non governative (ong), colpevoli di supportare gli scafisti.

La falsa emergenza che descriveva la penisola italiana invasa da orde incontenibili di migranti, smentita dalle cifre ma alimentata dai giornaloni che si trincerano dietro alla scusa del “percepito”, e così manipolano la realtà, si rivela per quello che è: non una “emergenza migranti”, ma una “emergenza elezioni”. Se i giornaloni e le televisioni fanno da megafono a chi sproloquia di invasione, e gli italiani si sentono invasi, ahimè in automatico i politici di ogni ordine e grado innescano il refrain “stop all’invasione”.

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Quattro domande cruciali sulla Libia a Nancy Porsia

11 agosto 2017 – Fonte Open Migration che ringraziamo
Il 10 agosto 2017, nel bel mezzo del tormentone contro la presunta disobbedienza delle Ong al codice di condotta del Viminale, la Marina libica, per voce del generale Abdelhakim Bouhaliya, comandante della base navale di Tripoli di Abu Sitta, annuncia di voler allargare il divieto di ingresso alle Ong di decine di chilometri oltre le canoniche 12 miglia nautiche nazionali, quindi in acque internazionali, istituendo una propria zona di “Search and rescue” per intercettare e riportare i migranti in Libia. Si presume si tratti del ripristino della zona Sar imposta a suo tempo da Muammar Gheddafi – una decisione unilaterale la cui legalità è dubbia. La Guardia Costiera italiana chiede alle Ong di arretrare le operazioni per la loro sicurezza.
Il 12 agosto SOS Mediterranee ottiene che il famoso “codice di condotta” venga modificato fino a riprendere praticamente la forma della legislazione già vigente e già rispettata dalle Ong, e lo firma, ma intanto prima Msf con la sua nave Prudence, poi la Sea-Eye, poi anche Save The Children annunciano la sospensione del soccorso, perché la Guardia Costiera italiana non è più in grado di garantire operazioni in sicurezza, e perché quelle operazioni le renderebbero complici della Guardia Costiera libica notoriamente collusa con i trafficanti. Msf e Sea-Eye avvertono: così si apre una falla mortale nella solidarietà nel Mediterraneo. Intanto, chi viene respinto dalla Guardia Costiera libica in questi giorni finisce di nuovo nei famigerati campi di detenzione da cui era partito. Abbiamo chiesto alla giornalista specializzata Nancy Porsia di spiegarci com’è la situazione in Libia.

Nancy, Msf, Sea Eye e Save The Children si fermano, perché nell’attuale progetto militare italiano nel Mediterraneo si collabora con una Guardia Costiera libica pericolosa e collusa con i trafficanti e si respingono i migranti verso “campi” in Libia in cui il rispetto dei diritti umani venga garantito dall’Onu – ma lo stesso Unhcr dice che campi del genere non esistono e non possono esistere. Che destino avrebbero le persone che vengono trattenute in Libia senza più poter partire?

Parto dalle informazioni che sto raccogliendo in questi giorni sul campo, nel contesto della ricerca che mi è stata commissionata da Cini e Concord, network di Ong italiane ed europee, nell’ambito di un monitoraggio sull’impatto degli EU Trust Funds in Libia sulla stabilità del paese e la tutela dei diritti umani dei migranti. In questi giorni sto conducendo interviste con vari second player – sia gli international implementer (i.e., quelli che di fatto hanno accesso agli EU Trust Funds e poi aprono bandi a cui partecipano Ong e altri soggetti della rete territoriale libica), come l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e Ong e istituzioni libiche – coinvolti nell’istituzione del “nuovo” sistema di accoglienza/detenzione in Libia.

Confermo che questi campi non esistono e non possono esistere. Di fatto, questi famosi campi non sono mai stati un’opzione reale, e quello su cui si sta lavorando è piuttosto il miglioramento dell’assistenza dei migranti nel contesto del sistema di detenzione già esistente, attraverso la fornitura di vari servizi – dalla messa a disposizione di kit di beni di prima necessità ai controlli medici e al supporto psicologico, che però non viene espletato da personale esperto: il personale che opera nei centri è e resta, infatti, libico e decisamente poco specializzato, e non c’è una presenza fisica di personale internazionale. Questo fa sì che la situazione resti statica perché non agevola il percorso di sensibilizzazione sui diritti umani che dovrebbe essere condotto con i libici. Sostanzialmente è questo, che gli europei hanno pensato per ottenere un miglioramento delle condizioni nel sistema di detenzione pre-esistente.

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L’ultima provocazione: multata la Ong Proactiva Mediterraneo . Sanzione da seimila euro

 

Daniela Padoan
il manifesto, 20 agosto 2017

Il 14 agosto la nave Golfo azzurro della Ong spagnola Proactiva Open Arms, tra quelle che hanno firmato il codice di condotta imposto dal governo italiano, è salpata da Malta per la ventiseiesima missione di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale. Dal luglio 2016 ha tratto in salvo 21mila persone e ha a raccolto cadaveri di uomini, donne, bambini, portandoli a riva perché potessero avere sepoltura. Giunta nelle acque internazionali di fronte alla Libia, il 15 agosto è stata intercettata dalla C-Star, la “nave nera” noleggiata dal gruppo di attivisti di estrema destra Defende Europe che vaga in mare da settimane, dapprima sul punto di naufragare ed essere soccorsa da una Ong, poi respinta dai pescatori tunisini con cartelli antirazzisti, infine a corto di carburante al largo di Creta e diffidata dall’attraccare dalla Capitaneria di porto ellenica.

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Il ‘fardello della storia’ lo stanno portando i popoli non la poltica. Ma il potere questo non lo riconoscerà mai, anzi”

FONTE CONTROLACRISI.ORG

POLITICA INTERNAZIONALE

Autore: Fabio Sebastiani

 

Bypassando il nauseabondo trash che il sistema politico-mediatico ogni volta ci propone dopo fatti come drammatici come quello di Barcellona, forse è arrivato il momento di attivare quel po’ di riflessione di cui siamo capaci. Riflessione utile a tentare di capire in che mondo stiamo vivendo e non in quale mondo “ci riflettiamo”.

Questa è già una prima distinzione importante. Perché finché lasceremo al potere la disponibilità a manovrare il complesso “sistema di specchi” il risultato che otterremo sarà “l’alternativa della paura”. Una paura giocata dentro campi di significato funzionali al consenso di un potere dannoso, inutile, senza prospettive. Se il potere è questo, allora, per dirla con le parole di Hannah Arendt, è arrivato il momento per i popoli di “portare il fardello della storia”, capire che la lettura della modernità non può essere delegata ai professionisti della politica o, peggio che mai, ai tecnocrati.

E la modernità ci dice che dalla bombe atomiche americane sganciate sul Giappone il coinvolgimento della popolazione civile nei teatri di guerra è stato sempre più massiccio. Come cambia questo la politica, le istituzioni, lo stesso concetto di democrazia e partecipazione?

Secondo uno studio dell’associazione privata Council on Foreign Relations (riportato dal Fatto Quotidiano), solo nel 2016 il premio Nobel per la Pace, Obama, ha permesso che fossero sganciate ben 26.172 bombe su ben sette Paesi sovrani (Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Somalia e Pakistan). Si tratta di tre bombe ogni ora per 24 ore al giorno che hanno ucciso migliaia e migliaia di civili innocenti come coloro che passeggiavano sulla Rambla a Barcellona.
Secondo un rapporto del 2014 dell’Ong britannica Reprive, per ogni “terrorista” ucciso nella guerra dei droni combattuta dagli Usa, le vittime civili sono state 28. In dieci anni, su 41 terroristi assassinati i droni hanno ucciso 1.147 innocenti. Questi sono i fatti.

E’ un’eredità storico-culturale che ci portiamo dietro dalla prima guerra mondiale in realtà. Quell’evento segnò il mondo. E segnò anche la ribellione universale contro la guerra. La rivoluzione sovietà fu possibile proprio grazie a questa spinta. E se in europa ebbe una battuta d’arresto fu solo perché la sinistra mancò di coraggio. La politica non lo capì né allora né dopo e né oggi che il mondo stava diventando un’entità internazionale. Ci si nascose, allora, dietro il concetto di “Nazione”. Alla riproposizione del problema nello scenario della seconda guerra mondiale già qualsiasi ragionamento sui confini appariva debole, ma finché serviva al capitalismo allora doveva passare come un principio giusto e utile. La contraddizione era palese: le cosiddette nazioni potevano “esistere” solo dentro una struttura imperiale.

Oggi che la fine dei confini è, ancora una volta, simbolicamente rappresentata in quelle trentaquattro nazionalità di appartenenza delle vittime di Barcellona, il potere, ha bisogno di altre categorie e mistificazioni. Ed ecco tirar fuori un vecchio arnese, quello della religione. Dico il potere in senso reale, perché sono stati gli Usa a inventare Al-Qaeda e l’Isis, e anche in senso politico ed economico: quel potere che ha bisogno della guerra e del controllo attraverso la paura come fattore vitale della sua riproducibilità. La scala è quella imperiale, appunto, perché il capitalismo non ne conosce né ne tollera un’altra.

Sento di esplicitare un interrogativo, chiaro, e anche un po’ provocatorio, negli elementi di base ma incerto nelle possibili risposte: perché la società civile, il popolo, gioca ancora un ruolo da suddito in una realtà storica in cui dovrebbe essere protagonista assoluto? In poche parole, perché se il singolo cittadino, in quanto tale, si trova a pagare un così alto tributo di sangue non ha a dispozione quegli strumenti reali per decidere di politica e di istituzioni? Non è un’entità, è la risposta. Può darsi, ma quanto pensiamo di andare avanti con un potere (e quindi “politica”, “istituzioni”, “economia”) che è fino in fondo parte del problema e da cui non potrà venire, quindi, alcuna soluzione?

Quando il potere parla di sicurezza in realtà sta comprando tempo nella speranza che su tutto vinca la paura e quindi lo scenario, dal suo punto di vista possa farsi più semplice e più gestibile. La guerra a cui stiamo assistendo e che paghiamo direttamente non sarà vinta o persa ma solo “riprodotta” all’infinto.

E’ esattamente a questo che dobbiamo cominciare a ribellarci per sperare di reinventare un lessico di pace e convinvenza nell’uguaglianza e nella giustizia. Se da una parte è vero che la società civile non è ancora pronta a diventare protagonista dall’altra, appare evidente che sta elaborando gli strumenti culturali per intraprendere questo cammino difficoiltoso. Ma la prima “dissociazione” da produrre è nei confronti di chi vuole parlare al posto nostro. E’ forse un caso che proprio a Barcellona si è tenuta la più grande manifestazione di “solidarietà costituente” che l’Europa abbia mai regisrato?
Finché non sapremo riprodurre altre “iniziative costiuenti” saremo vittime del trucco di un potere che in realtà sta lavorando per i propri bassi interessi. Il capitalismo ha gettato definitivamente la sua maschera. Non è interessato ad alcun “equilibrio”. La guerra permanente è il solo scopo che realmente persegue.

L’errore delle masse nella prima guerra mondiale fu quello di non credere fino in fondo nelle proprie possibilità. L’Europa finì irretita nella litania delle nazioni. Oggi quella falsa coscienza è definitivamente saltata. Oggi, che anche le lingue sono diventate accessorie per la comunicazione tra i popoli, dobbiamo, esattamente come allora, sottrarci al ricatto. Proclamarsi cittadino del mondo non è più la carta d’identità per frequentare ameni “non luoghi” ma per parlare il solo linguaggio possibile che ci consentire di sopportare il fardello della modernità.

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I domiciliari a Milagro Sala

FONTE PRESSENZA.COM 

17.08.2017 – San Salvador de Jujuy (Argentina) Mariano Quiroga

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I domiciliari a Milagro Sala
Lo stato della casa dove dovrebbe trasferirsi Milagro Sala (Foto di Tupac Amaru)

Il governo argentino ha aspettato fino a dopo le elezioni per rispettare le disposizioni della CIDH (Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani). Lo fa dopo la scadenza e nel peggiore modo possibile. La magistratura jujeña ha stabilito che a Milagro Sala siano concessi gli arresti domiciliari.

Per continuare la tortura della leader sociale, è stata definita come residenza una casa di suo possesso, ma non finita e che è stata saccheggiata durante la sua prigionia. Un edificio che avrebbe dovuto ospitare una clinica di riabilitazione, ma che oggi non ha né porte, finestre, elettricità, acqua e servizi igienici.

La raccomandazione della CIDH aveva chiesto il rilascio della deputata del Parlasur a causa della pericolosità della sua detenzione nel carcere di Alto  Comedero; con tutta evidenza questa decisione mira a umiliarla, mandandola in una casa abbandonata alla periferia della città di San Salvador, nel quartiere de la Cienaga.

Il Giudice Gastón Mercau ha notificato ieri la decisione agli avvocati che l’hanno considerata un essenziale passo avanti, anche se hanno protestato per l’indirizzo scelto per la loro cliente. Gli avvocati cercano di accelerare il trasferimento il prima possibile dato il rischio che corre Milagro e le continue minaccie.

Milagro Sala è stata dichiarata dal gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite  prigioniera politica e sono centinaia le organizzazioni che chiedono il rilascio immediato della leader sociale.

UNA DECISIONE POLITICA, SI TRATTA DI UN GENOCIDIO di Raniero Lavalle

 

 

Avendo come mandante l’Italia e l’Europa la Marina libica si annette un pezzo di Mediterraneo e minaccia e spara, per allontanare le ONG e impedire i soccorsi. Infatti le ONG sotto la minaccia delle armi – che abbiano firmato o no il codice ministeriale – hanno interrotto le operazioni di salvataggio. Noi ripariamo, finanziamo, armiamo e aumentiamo di numero le navi militari libiche, senza neanche sapere in mano a chi andranno a finire. Il ministro Minniti è molto contento e dice di vedere la luce in fondo al tunnel.
Ma la luce, che non è più quella dei Lumi, è il buio del rifiuto che noi protetti opponiamo al diritto al movimento e alla vita di un intero popolo di molte nazioni, il popolo dei migranti, che fuggendo da molti aguzzini cerca invano il suo posto nel mondo.

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Yemen: la DNO deve pagare i lavoratori

 

In collaborazione con il sindacato globale dell’industria, IndustrialAll Global Unions, che rappresenta 50 milioni di lavoratori in 140 Paesi nel settore minerario, energetico e manifatturiero e il sindacato affiliato della Norvegia, Industri Energi, che rappresenta gli interessi collettivi di 60.000 iscritti del settore metallurgico, chimico, del legno, del petrolio e del gas , delle attività sia su terra e sia in mare, nonché delle industrie affini.

L’azienda petrolifera norvegese, la DNO, non ha pagato 175 lavoratori nello Yemen per 18 mesi. L’azienda ha fermato l’attività dopo lo scoppio della guerra nello Yemen nell’estate del 2015 e ha licenziato i suoi dipendenti con un semplice SMS o con una e-mail, dimostrando di non avere né rispetto dei lavoratori che hanno faticato per l’azienda per più di dieci anni e né della legge che obbliga l’azienda a seguire il processo di trasferimento e le procedure per il licenziamento nel momento in cui si ritira dal Paese. Nei momenti difficili i lavoratori si sono trovati di fronte a una duplice difficoltà: la guerra nel Paese e nessun reddito per le loro famiglie.

L’azienda pagava addirittura salari più bassi nello Yemen rispetto ad altre imprese petrolifere operanti nel Paese. Già nel 2013 e nel 2014 i lavoratori avevano organizzato scioperi per il salario. La direzione aveva risposto con la minaccia scritta di licenziare tutti i lavoratori in sciopero in violazione del diritto legale allo sciopero dei lavoratori nello Yemen.

Esprimi il tuo sostegno ai 175 lavoratori yemeniti e alle loro famiglie firmando e inviando la lettera al presidente esecutivo della DNO, Bijan Mossavar-Rahmani.

Manifestazione di protesta all’Ambasciata italiana di Berlino contro una legge iniqua..

Oggi, a Berlino,  vi è stata una manifestazione di protesta contro una legge iniqua ( art.9 della Legge 80 /2014)  che impone ai pensionati italiani emigrati all’estero di pagare l’IMU sulla seconda casa anche se sono proprietari di un solo alloggio e se pagano le tasse in Italia. In tal modo essi sono discriminati  dai pensionati emigrati con pensione estera che pagano le tasse all’estero e che, indipendentemente dalle condizioni economiche, sono esonerati dall’IMU per l’eventuale alloggio posseduto in Italia.

Franco Di Giangirolamo  approfondisce  in questa intervista audio le caratteristiche di questa norma vessatoria e le altre tematiche connesse.

L’INTERVISTA AUDIO  A FRANCO DI GIANGIROLAMO 

LIBIA, CAMBIA IL BUSINESS SUI MIGRANTI: CONVERSIONE DEGLI SCAFISTI IN CARCERIERI ?

 

Lo stratega Ministro Minniti è riuscito nel suo intento: il business sui rifugiati, in Libia, cambia riferimenti. Non saranno più gli scafisti a lucrare sui passaggi dei migranti via mare su gommoni di carta velina , sarà la guardia costiera libica a “salvare” i migranti riportandoli in Libia in hotspot che sono campi di concentramento finanziati dalla UE affinché i migranti vengano bloccati in prigioni con condizioni di vita intollerabili. Le ONG vengono allontanate, non potranno più prestare soccorsi fino 180 chilometri dalle coste libiche: non debbono in alcun modo sottrarre materiale umano così prezioso alla filiera corrottissima degli apparati militari libici. Il contenimento dei flussi di migranti in territorio libico in cambio di miliardi di euro da parte della UE registrerà rapidamente anche una conversione professionale dei cosiddetti scafisti che saranno impiegati negli hot spot libici.
In buona sostanza le ONG che salvano e portano in Italia i migranti sono fuori luogo rispetto alla conversione del business : dalla organizzazione dei trasporti in mare alla detenzione sul territorio libico dei migranti, un business gestito dalle stesse filiere criminali … Il modello Turchia sembra avere fatto scuola.
Alla luce di questi sviluppi la sceneggiata del Protocollo tra ONG e governo italiano , proposto con forza alla firma alle ONG dal Ministro Minniti , mentre stava trattando con le autorità libiche “la svolta” , poteva esserci risparmiata . Vedi questo articolo apparso sulla Rivista Analisi Difesa

Emergency: un atto di guerra contro i migranti

07.08.2017 Emergency

Emergency: un atto di guerra contro i migranti
(Foto di Emergency)

La decisione del Governo italiano di inviare navi militari in Libia è un atto di guerra contro i migranti

Il codice di condotta per le ONG che operano nel Mediterraneo mette a rischio la vita di migliaia di persone e costituisce un attacco senza precedenti ai principi che ispirano il lavoro delle organizzazioni umanitarie.

Emergency è impegnata da anni nell’assistenza a migranti, profughi e sfollati in paesi in guerra come in Italia; pur non essendo attualmente coinvolta in operazioni di ricerca e salvataggio in mare, Emergency ritiene inaccettabile il codice di condotta imposto dal Governo Italiano alle organizzazioni umanitarie impegnate nelle azioni di ricerca e salvataggio (SAR).

In particolare, la richiesta di consentire l’accesso a bordo di personale militare, presumibilmente armato, è di fatto un’aperta violazione dei principi umanitari che sono il pilastro delle azioni delle ONG in tutto il mondo.

Tale concessione rischia di creare un pericoloso precedente che potrebbe essere mutuato in altre realtà dove da anni siamo riusciti a far accettare il principio per cui le nostre strutture di ricovero e cura sono aperte a tutti coloro che hanno bisogno di assistenza, e dove nessuna persona armata può avere accesso. Ciò non ha mai impedito a governi e istituzioni di vigilare sulla correttezza e sulla trasparenza del nostro operato.

Questo codice di condotta è la foglia di fico di un’Europa che continua a dimostrarsi indisponibile, ancora prima che incapace, a gestire questa crisi con responsabilità e umanità. Lo stesso coinvolgimento delle ONG nelle attività di ricerca e salvataggio in mare si è reso necessario principalmente per colmare una lacuna dei Governi europei, che hanno la responsabilità primaria di queste operazioni.

L’unica risposta sembra essere, ancora una volta, quella militare, sia nel Mediterraneo che nei Paesi di origine e transito. Sempre più spesso i fondi italiani ed europei destinati a progetti di sviluppo vengono deviati verso il potenziamento dei sistemi di sicurezza e degli apparati militari di paesi africani per arginare i flussi migratori. Inoltre, per blindare le proprie frontiere, l’Europa non esita a chiudere gli occhi davanti a gravissime violazioni dei diritti umani, in Libia e non solo.
L’invio di navi militari in Libia, approvato oggi dal nostro Parlamento, è l’evidente negazione dei diritti umani fondamentali di chi scappa dalle guerre e dalla povertà. Migliaia di persone verranno respinte in un paese instabile e saranno esposte a nuovi crimini e violenze, senza alcuna tutela.

Solo con un massiccio impegno in politiche di promozione della pace, di cooperazione e di sviluppo si affronteranno le vere cause delle migrazioni. Solo aprendo canali di accesso legali e sicuri per chi cerca rifugio nel nostro continente si garantirà il rispetto dei diritti contrastando la piaga del traffico di esseri umani. Solo proseguendo con le politiche di accoglienza e integrazione che il Governo italiano ha avviato in questi anni, seppur senza un reale sostegno dell’Unione Europea, si potrà assicurare la gestione dei flussi migratori in maniera lungimirante e sostenibile.

Luigi Manconi: Reato d’altruismo

Luigi Manconi: Reato d’altruismo

Luigi Manconi | 4 agosto 2017 | Comments (0)

 

 

 

 

Diffondiamo da Il Manifesto del 4 agosto 2017

 

Reato umanitario: come capita non di rado, è stato il quotidiano «dei vescovi» a trovare la definizione più efficace, e moralmente e giuridicamente più intensa, per qualificare la colpevolizzazione delle Ong: e, nel caso specifico, della Jugend Rettet. Il che potrà indurre molti laici, anche solo per questa ragione, a schierarsi dalla parte della magistratura e dello Stato, quasi che gli orientamenti delle chiese e delle organizzazioni umanitarie fossero l’espressione di un profetismo antistatuale e anarcoide.

Altri, e io tra questi, vedono invece in quegli stessi orientamenti un’ispirazione, rigorosamente democratica e liberale, che si rifiuta di ricondurre l’agire umano e l’azione sociale nell’ambito esclusivo degli apparati istituzionali, delle loro norme e del loro ordine superiore.

È un’idea statolatrica, e tendenzialmente autoritaria, che i democratici e i garantisti non possono condividere.

Se gli appartenenti a Jugend Rettet o l’equipaggio della sua nave – ma il pm di Trapani ha parlato solo di «alcuni membri» – hanno commesso reati, vengano processati e, qualora riconosciuti colpevoli, condannati.

Ma finora, dai dati conosciuti e dalle stesse dichiarazioni della procura – avrebbero agito «non per denaro» ma per «motivi umanitari» – si tratterebbe solo ed esclusivamente della realizzazione di un «corridoio umanitario». Così ha suggerito Massimo Bordin nella sua rassegna stampa su Radio radicale.

E a me sembra proprio che di questo si tratti. Uno di quei rarissimi «corridoi umanitari» che possono consentire ingressi sicuri in un’Italia e in un’Europa, dove tutti gli accessi legali risultano ermeticamente serrati.

E, dunque, si può dire che – fatte salve l’indiscussa buona fede della magistratura e la necessità di attenderne le conclusioni – siamo in presenza, sul piano della pubblica opinione e del senso comune, di uno degli effetti della campagna di degradazione del ruolo e delle finalità delle organizzazioni non governative, in corso da mesi. E delle conseguenze di un processo – se possibile ancora più nocivo – di svilimento di alcune categorie fondamentali come quelle di salvataggio, soccorso, aiuto umanitario. Questo è il punto vero, il cuore della controversia in atto e la vera posta in gioco morale e giuridica. E, per ciò stesso, politica.

Dunque, e torniamo al punto di partenza, la falsa rappresentazione da cui guardarsi oggi è quella che vedrebbe uno schieramento, definito «estremismo umanitario», utopistico e velleitario (e tanto tanto naif), e, all’opposto, un fronte ispirato dal realismo politico e dalla geo-strategia, tutto concentrato sul calcolo del rapporto costi-benefici. Ma, a ben vedere, quest’ultimo mostra tutta la sua fragilità. Davvero qualcuno può credere che sia realistica e realizzabile l’ipotesi di chiudere i porti? E di attuare un «blocco navale» nel mare Mediterraneo?

Cosa c’è di più cupamente distopico dell’immaginare che la missione militare, appena approvata dal Parlamento italiano, possa essere efficace in un quadro segnato da un’instabilità oggi irreparabile, come quella del territorio libico e del suo mare?

Se considerato alla luce di questi interrogativi, il reato umanitario di cui si macchierebbero le Ong rappresenta davvero la riproposizione, dopo un secolo e mezzo, di quelle fattispecie penali che precedettero la formazione dello stato di diritto. Reati senza vittime e privi di quella offensività e materialità che sono i requisiti richiesti dal diritto contemporaneo: il vagabondaggio, l’anticlericalismo, il sovversivismo, la propaganda antimonarchica.

Di questi comportamenti, il reato di altruismo rappresenta una sorta di forma disinteressata («non per denaro») e ispirata dalla obbligazione sociale e da quel senso di reciprocità che fonda l’idea contemporanea di comunità e di cittadinanza.

Tutto il dibattito sulle Ong è completamente surreale

FONTE  THESUBMARINE.IT 

Dopo l’inchiesta di Trapani contro Jugend Rettet, il discorso pubblico su questo tema è definitivamente deragliato.

“Ormai le Ong rischiano di cambiare significato. Non per colpa loro, ma di chi intende ri-definirle. Con intenti (anti)politici strumentali.” Così scriveva ieri su Repubblica Ilvo Diamanti, presentando un sondaggio Demos-Coop da cui risulta che soltanto il 26% della popolazione esprime una valutazione positiva sulle Ong che operano nel Mar Mediterraneo (la percentuale corrisponde a voti uguali o superiori al 7 su una scala da 1 a 10). Il sondaggio risale a giugno, ben prima dell’inchiesta di Trapani contro Jugend Rettet e dell’escalation di questi giorni — il che è tutto dire.

Se dal canto suo Ilvo Diamanti propone una soluzione quantomeno fantasiosa per riportare le Ong nelle grazie dell’opinione pubblica — ribattezzarle ABC, Associazioni per il Bene Comune, perché ONG suonerebbe troppo “minaccioso” — bisogna riconoscere che il dibattito pubblico attorno a questo tema è ormai irrimediabilmente deragliato. E la colpa è soprattutto di una copertura mediatica acritica, nel migliore dei casi, o intrecciata con la più bieca strumentalizzazione politica, nel peggiore.

Che da settimane non si parli d’altro è già paradossale di per sé.

Il tema dell’immigrazione in Europa può essere affrontato sotto un’infinità di prospettive, e sono tanti i problemi che meritano di essere discussi: i tempi lunghi per l’esame delle domande d’asilo, la procedura stessa che porta all’approvazione o al respingimento delle richieste, i malfunzionamenti del sistema dell’accoglienza — solo per citarne qualcuno. Invece, la politica e l’opinione pubblica sono impegnate a dibattere sull’unico punto su cui non dovrebbero esserci disaccordi: l’operato di organizzazioni di volontari che, nel rispetto delle leggi internazionali (a differenza del Codice del Viminale, che non ha nessun valore legale), cercano di limitare i costi umani di una strage che va avanti da anni soltanto per colpa dell’inazione politica europea. Non si dovrebbe neanche parlare, delle Ong.

Per chi ha seguito questa vicenda dall’inizio, appare chiarissimo invece il meccanismo “a valanga” con cui la campagna mediatica contro le Ong, da insinuazione messa in campo da un think tank olandese e dall’agenzia Frontex, si è ingigantita fino a diventare verità ufficiale, oltre che primo punto dell’agenda politica italiana.

 

Dal video dello youtuber Luca Donadel che svelava la “verità” sulle operazioni di search and rescue nel Mediterraneo al lento sdoganamento dell’espressione “taxi del mare” per riferirsi alle Ong; dalle illazioni del procuratore di Catania Zuccaro al Codice di comportamento voluto dal ministro Minniti, fino all’inchiesta di Trapani contro Jugend Rettet: tutto ha contribuito a trasformare un luogo comune borderline dell’estrema destra — che l’immigrazione sia un fenomeno architettato e favorito per la “sostituzione etnica” del popolo italiano, per la destabilizzazione economica del nostro paese, o anche soltanto per ingrassare le tasche di qualcuno — in narrazione mainstream. Così, anche quotidiani “rispettabili” e progressisti hanno titolato a gran voce, sotto la foglia di fico di un virgolettato, della collusione tra alcune Ong e gli scafisti — la stessa verità che veniva spacciata mesi fa senza uno straccio di prove o inchieste in corso, per cui a buon diritto oggi tutto l’asse xenofobo può esultare e dire di aver avuto sempre ragione.

Del reato di cui sono accusati i ragazzi di Jugend Rettet — favoreggiamento dell’immigrazione clandestina — colpisce soprattutto l’ipocrisia. Sarebbe più consolante se tutti gli agitatori di questa caccia alle streghe gettassero la maschera e si lasciassero andare a una dichiarazione liberatoria: non vogliamo che arrivino, punto e basta. Invece, l’approdo sulle nostre coste viene trasformato in una specie di macabro gioco di ruolo: il migrante attraversa il deserto, affida la propria vita a un viaggio della speranza per raggiungere l’Europa, ma solo se si trova abbastanza in pericolo può essere soccorso e scortato in Italia, altrimenti deve ritornare in Libia, e chi lo aiuta commette un reato (perché non ha bisogno di aiuto, giusto). Una politica molto simile a quella, altrettanto ipocrita, del “piede asciutto, piede bagnato,” applicata per molti anni dagli Stati Uniti nei confronti dei rifugiati cubani.

In questo quadro, ciò che manca disperatamente è un’affermazione di principio: crediamo o non crediamo nella libertà di spostamento delle persone? Nel fatto che una persona nata a Lagos abbia lo stesso diritto di trasferirsi in Inghilterra di una persona nata a Milano? Prima di ogni altra discussione capziosa su cosa sia legittimo fare a 12 o 24 miglia dalle coste libiche, occorrerebbe rispondere francamente a questa domanda.

La risposta “ufficiale,” in teoria, distingue tra migranti economici e rifugiati, e accorda soltanto a questi ultimi la libertà di spostarsi dal proprio paese per cercare maggiore sicurezza. Bene: anche in questo caso — nonostante le fragili basi della distinzione — bisognerebbe riconoscere a tutti la possibilità di presentare formalmente almeno una richiesta d’asilo. In entrambi i casi, tutto il dibattito di queste settimane non esisterebbe: non esisterebbero gli scafisti, e le Ong sarebbero a occuparsi d’altro, perché per i migranti africani non sarebbe più necessario attraversare il mare illegalmente nella speranza di ottenere una protezione legale.

A proposito degli scafisti, una precisazione quasi sempre assente dal discorso è che la riprovazione del loro comportamento criminale non deriva dal fatto che permettano il viaggio dei migranti, ma dal fatto che lo facciano in totale spregio della loro incolumità fisica, sottoponendoli a vessazioni di ogni genere, e costringendoli a pagare somme altissime, con cui vengono finanziati altri traffici illeciti. Cédric Herrou, l’agricoltore nizzardo che aiutava i migranti a passare la frontiera italo-francese, non è assimilabile a uno scafista; e così non lo sono gli attivisti di Jugend Rettet, che, secondo lo stesso procuratore di Trapani, hanno agito unicamente per finalità umanitarie — quelle “ideologiche” che “non ci possiamo permettere,” secondo qualche esponente del Pd.

Ma la rimozione costante nella copertura mediatica riguarda in primis i protagonisti stessi di questi spostamenti: i migranti, sempre e colpevolmente trattati come una massa inerte, senza volontà e distinzioni, trasbordati da una sponda all’altra del Mediterraneo e da una nave all’altra dei soccorritori. Anche quando si vorrebbe dare un messaggio positivo, si finisce a parlare di “disperati grezzi da trasformare.”

Molto raramente si parla dei paesi di provenienza, e ancor meno delle rotte seguite prima di raggiungere la Libia — come quella che passa attraverso il Niger, presidiato dai militari francesi che proteggono gelosamente i giacimenti di uranio che alimentano le centrali nucleari d’Oltralpe. Molto raramente si parla dei paesi di destinazione, di cosa vorrebbero fare queste persone e del perché hanno lasciato le proprie case.

Disorientata, una certa opinione pubblica di sinistra si è trovata costretta a rivolgersi alla stampa cattolica, l’unica che, insieme a mosche bianche come il manifesto, ha provato ad alzare un dito contro la nuova vulgata anti-Ong.

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Attacco a Gheddafi: serve un dibattito parlamentare ….

La redazione di Onde Corte ritiene importante rendere pubblici e diffondere Comunicati e Documenti interessanti anche quando non ne condivide  pienamente o parzialmente i contenuti.

FONTE INDIPENDENZA E COSTITUZIONE

Comunicato stampa

Attacco a Gheddafi: serve un dibattito parlamentare per mettere sotto processo Napolitano e Berlusconi in quanto non hanno tutelato l’interesse nazionali e hanno violato la Costituzione.

La lettera aperta ai Parlamentari: “Di chi è la colpa dell’invasione? ” nella quale Indipendenza e Costituzione, Riscossa Italia, Risorgimento Socilialista chiedevano un dibattito sulla mancata opposizione e la partecipazione all’attacco poi alla Libia è stata ripresa da alcuni esponenti politici ed ha aperto la discussione.

Le dichiarazioni contraddittorie di Berlusconi, Napolitano ed altri ministri dell’epoca avvalla la necessità di fare chiarezza a livello istituzionale. È ora che questo Parlamento abbia un sussulto di dignità e di verità. Infatti, come tutti possono ben vedere, la colpa di quanto accade: il carico di dolore e di morti, i soldi spesi ed i fallimenti di Mare nostrum, Frontex, Sophia nascono proprio dalla distruzione della Libia perpetrata da Francia, Inghilterra, Usa, Italia. Le stesse confuse scelte di questi giorni sono testimonianza di quegli errori.

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Terminal

di Alessandra Daniele

Sbaglia chi accusa Macron di scarso europeismo perché tratta l’Italia a pesci in faccia. Macron è ancora europeista, solo che non considera l’Italia parte dell’Europa, la fortezza carolingia della quale è impegnato a difendere gli interessi commerciali e coloniali.
E non è certo il solo.
“Fuori dall’Europa”. Cosa prometteranno adesso i nostri abbronzati demagoghi? Siamo già fuori dall’Europa.
Dopo più d’un ventennio di sanguinosi sacrifici, imposti sempre agli stessi lavoratori dalle stesse classi dirigenti in nome dell’europeismo, siamo fuori dall’Europa che conta qualcosa, e ci resteremo per sempre.
Allo Château Macron-Merkel serviamo ancora solo come buttafuori.
Il buttafuori che sta fuori.
Questo compito infame e meschino è l’approdo terminale della stirpe italica: stare sulla soglia del terminal a respingere quelli che i nostri padroni ritengono indegni d’essere ammessi al loro servizio.
Renzi, Salvini, Di Maio, il coro è unanime: “Anneghiamoli a casa loro“.
Siamo i nuovi Gheddafi.
Cosa ci fa credere che alla fine non subiremo la stessa sorte?
Che negando la salvezza agli altri compreremo la nostra?

Per tutta la nostra Storia, per quanto la situazione potesse sembrare disperata, ci siamo sempre illusi che all’ultimo minuto l’avremmo fatta franca. L’Arca non sarebbe partita senza di noi.
E invece sta succedendo.
Chi ci salverà stavolta, Michelangelo, Buffon, Sophia Loren, Sorrentino?
Di certo non Renzi, che non è più in grado di salvare neanche se stesso.
Come i replicanti sintetici a sviluppo accelerato di Blade Runner, il Cazzaro è invecchiato alla stessa velocità alla quale era cresciuto. Adesso è politicamente più vecchio di Berlusconi, e ogni suo tentativo di recuperare il controllo non fa altro che accelerare la decomposizione della sua leadership e del suo partito, che ogni giorno perde un brandello putrefatto.
Per citare Blade Runner: “I topi abbandonano la nave che affonda. E poi la nave affonda”.
Che fine faremo?
Se dalle prossime elezioni non uscirà una maggioranza accettabile per le élite, il paese sarà definitivamente commissariato.
L’Italia sarà divisa in una good company, che comprenderà le bellezze naturali e artistiche, e una bad company, della quale faranno parte gli italiani.
La good company sarà venduta per un euro. La bad company sarà smantellata.

Milagro Sala

fonte ATLANTIDE

di Ancora Fischia il Vento-Francesco Cecchini, 4 agosto 2017

POR MILAGRO SALA

Te ocultan                                                                         

En la cueva más oscura                                                   

Del manto que cubre Jujuy.                                                  

Tus alas resaltan                                                        

Blancas en tanta oscuridad                                              

Libres                                                                               

Te buscan.                                                                   

Pablo Campos

Il Comitato per la libertà di Milagro Sala ha consegnato lo scorso primo agosto al presidente argentino, Mauricio Macri, una petizione firmata da 45,970 persone per chiedere la liberazione immediata della dirigente sociale detenuta a Jujuy (nord dell’Argentina). “I sottoscritti chiedono l’immediato rilascio della leader sociale e deputata di Parlasur Milagro Sala e degli altri prigionieri politici dell’organizzazione Tupac Amaru. ll governo argentino deve porre fine alle violazioni dei diritti umani e impegnarsi a non usare mai più arbitrarie reclusioni come una forma di persecuzione e repressione  del dissenso politico.” Nella petizione, pubblicata sul sito www.liberenamilagro.org, vi sono firme importanti tra le quali quelle di Dilma Roussef di Noam Chomsky, di Julian Assange, di Baltasar Garzón e di Oliver Stone. Hanno inoltre aderito organizzazioni quali le Abuelas de Plaza de Mayo y Madres de Plaza de Mayo – Línea Fundadora, il Centro de Estudios Legales y sociales (CELS), la Liga Argentina por los Derechos del Hombre (APDH) e Human Rights Watch

La consegna della petizione a Macrì è avvenuta quattro giorni dopo che la Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani (CIDH) si sia espressa a favore di Milagro Sala. La CIDH ha invitato il governo argentino a prendere misure alternative alla detenzione come gli arresti domiciliari o che Milagro Sala possa affrontare i processi futuri in libertà, se pur controllata. Inoltre la CIDH ha affermato che il governo argentino ha l’obbligo di conformarsi alla decisione della Commissione sulle detenzioni arbitrarie dell’ONU che ha affermato che la detenzione di Milagro Sala è arbitraria e deve essere rilasciata. La presa di posizione sia della CIDH che della Commissione sulle detenzioni arbitrarie dell’ONU sono storiche.

Per capire l’ambiente e la fase nelle quali in Jujui e in Argentina sono maturate la repressione e la detenzione arbitraria di Milagro Sala indico il saggio dello scrittore Daniel Cecchini pubblicato lo scorso aprile dalla rivista Zoom.

http://revistazoom.com.ar/jujuy-un-globo-de-ensayo

Il link con un recentissimo documentario su Milagro Sala è il seguente:

https://www.youtube.com/watch?v=m-_vlBJlOYE

Comunicato Libertà e Giustizia

 

Libertà e Giustizia chiede con forza al governo Gentiloni di ritirare, o almeno di riconsiderare profondamente, il Codice di Condotta che ha voluto imporre alle Organizzazioni Non Governative che, nel Mediterraneo, svolgono una fuzione umanitaria fondamentale, sopperendo meritoriamente all’ignavia e all’inerzia dei governi.

Come ha notato l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione si tratta di una misura che «mina l’efficacia delle attività di soccorso». In altri termini, il costo di questo provvedimento ambiguo e sbagliato rischia di essere misurato in vite umane perdute.

Il Codice Minniti è in contrasto sia con il diritto internazionale del mare sia con ciò che il diritto di asilo impone all’Italia. In particolare, appare perfettamente condivisibile la scelta di alcune ong (come Medici Senza Frontiere, insignita del Premio Nobel per la Pace) di non sottoscrivere l’impegno a non effettuare trasbordi (una misura spesso invece necessaria per salvare le vite dei migranti), così come il rifiuto di portare armi a bordo, e la scelta di non ospitare unità di polizia.

Libertà e Giustizia rileva che il Codice Minniti non ha valore di legge, eppure sta già consentendo al governo di intervenire in modo straordinariamente pesante nello scenario già teso e difficile del Mediterraneo. In sostanza, il governo sta ribaltando la politica italiana verso i migranti senza passare dal Parlamento: un passo drastico, preceduto dalla inaudita minaccia di chiudere i porti, e ora accompagnato da oscure minacce alle ong che rifiutano, del tutto legittimamente, di sottoscrivere il Codice.

Libertà e Giustizia si rivolge anche a tutte le forze che sostengono il governo, e in generale al Parlamento della Repubblica: la lunghissima chiusura estiva delle Camere non può certo essere il pretesto per non discutere di questa terribile svolta anti-umanitaria, una svolta che nega e mortifica i principi fondamentali della nostra Costituzione.

3 agosto 2017

NOTA STAMPA MEDICI SENZA FRONTIERE

 

Medici Senza Frontiere (MSF) non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale dalla Procura di Trapani né da altre Procure in merito alla presunta inchiesta sulla nostra attività di ricerca e soccorso in mare. Quanto vediamo oggi negli organi di stampa sembra rilanciare accuse che già ci erano state rivolte alcuni mesi fa, a cui non erano seguite altre azioni o informazioni.

Fin da allora ci siamo messi a disposizione delle Procure per fornire qualunque spiegazione richiesta su ogni nostra attività e ribadiamo questa totale disponibilità, insieme all’auspicio di avere indicazioni precise sugli episodi eventualmente contestati. Auspichiamo che venga chiarito al più presto ogni dubbio per porre fine a questo stillicidio di accuse che continua ad avvelenare il clima in una situazione sempre più cupa.

Non abbiamo firmato il Codice di Condotta perché non conteneva elementi indispensabili per garantire l’efficacia dei soccorsi e i principi umanitari, ma ci siamo impegnati formalmente a rispettare la maggior parte degli impegni prescritti, continuando a operare nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali e sotto il coordinamento della Guardia Costiera Italiana (MRCC di Roma), ribadendo l’apertura a un confronto costruttivo con tutte le autorità competenti.

Nel frattempo le nostre navi sono in mare e anche in questi giorni hanno effettuato soccorsi, su richiesta e sotto il coordinamento della Guardia Costiera Italiana, come è sempre stato.

L’Ufficio Stampa di Medici Senza Frontiere

INCHIESTA IUVENTA, CI SAREBBE UN LEGAME TRA I CONTRACTORS CHE HANNO DENUNCIATO LA ONG TEDESCA E I RAZZISTI IDENTITARI. IL RICATTO DI MINNITI A CHI NON FIRMA IL CODICE

FONTE POPOFF

di Ercole Olmi

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«Tutte le Ong scelgano da che parte stare», tuona Minniti dalle colonne del Fatto di Travaglio, organo ufficiale del partito no Ong. Minniti, ex pezzo grosso dalemiano del Pci calabrese è ministro di polizia per conto del Pd, lo stesso partito di Esposito (quello che non ci possiamo permettere di salvare tutti ma dobbiamo permetterci il Tav), della sindaca di Codigoro, nel ferrarese, che alza le tasse a chi ospita profughi e, soprattutto di Renzi e Gentiloni. «Chi non ha firmato non potrà far parte del sistema di salvataggio che risponde all’Italia, fermo restando il rispetto della legge del mare e dei trattati internazionali. Ma per firmare c’è ancora tempo». «Auspico una piena assunzione di responsabilità da parte di tutti, compresa Msf. Nessuno può far finta di non vedere quanto è emerso dalle indagini della Procura di Trapani», prosegue Minniti, che sulla Jugend Rettet commenta: «Dagli elementi che ho non posso sostenere che le motivazioni siano altre, ma non possono decidere loro di aprire corridori umanitari venendo a patti con i carnefici». Sulla missione in Libia, «non è un’operazione combact, ma solo supporto tecnico-logistico alla Guardia costiera tripolina concesso, su sua richiesta, al governo Sarraj, l’esecutivo libico riconosciuto dalla comunità internazionale», rileva Minniti.

Anche Msf nel mirino della polizia

Mentre la Procura di Trapani indaga sulla ong tedsca Jungend Rettet che operava attraverso nave Iuventa, altre organizzazioni non governative sono oggetto delle verifiche degli investigatori sull’ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per veri e propri ‘viaggi organizzati’ con i trafficanti di profughi dalle coste dell’Africa all’Italia. Nel mirino dello Sco, Servizio centrale operativo della Polizia, anche Medici senza Frontiere. Interrogato il 27 febbraio scorso, Cristian Ricci, titolare della Imi Security Service che si occupava dei servizi di sicurezza sulla Vos Hestia di Save the Children ha detto che «la nave Iuventa fungeva da piattaforma e quindi si limitava a soccorrere i migranti per poi trasbordarli. Era sempre necessario l’intervento di una nave più grande su cui trasferire i migranti soccorsi dal piccolo natante. E in alcuni casi, secondo le testimonianze raccolte, imbarcazioni di Msf sarebbero intervenute per soccorrere e trasbordare i migranti senza essere state allertate dalla Guardia Costiera. Tra le navi i cui movimenti sono ora sotto osservazione ci sono la ‘Dignity One’, la ‘Bourbon Argos’ e la ‘Vos Prudence’. Nei mesi scorsi, sarebbero stati accertati ‘sconfinamenti ripetuti’ verso la costa libica ad almeno 8 miglia rispetto alle 12 consentite.

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L’ipocrisia al potere: punire le vittime, non i carnefici

fonte pressenza.com

(Foto di habeshia.blogspot.it)

Il Governo italiano ha varato, con l’approvazione del Parlamento, una missione navale nel Mediterraneo a supporto della Guardia Costiera libica nelle operazioni di intercettazione e respingimento dei migranti che dalla Libia cercano di raggiungere le nostre coste. Quelle persone partono dalla Libia ma non sono libiche, provengono per lo più da altri paesi (Gambia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio), da cui sono fuggite perché le condizioni di vita sono intollerabili: cercano un paese che rispetti il loro diritto ad una vita sicura e dignitosa.

Ai primi di luglio Oxfam, Borderline Sicilia, MEDU e Amnesty International hanno reso pubblica la situazione che i migranti subiscono in Libia, testimoniata da interviste di donne e uomini che sono riusciti a sbarcare in Italia dopo viaggi che sono calvari: carcere, torture, schiavitù, “sistematiche violazioni dei diritti umani…commesse da trafficanti di esseri umani, bande criminali e milizie locali che operano con la connivenza della polizia e della Guardia Costiera libica…”

Dati e testimonianze sono stati pubblicati su vari organi di stampa e se ne è parlato (magari di sfuggita) sui media; del resto non è la prima volta che dalla Libia ci arrivano questi racconti, prima ancora degli accordi criminali fra Berlusconi e Gheddafi, accordi portati avanti dai governi che si sono succeduti in seguito. Nessuno li ha mai messi in discussione, come nessuno si domanda che vita fanno i rifugiati segregati in Turchia a caro prezzo.

La missione navale viene varata accanto al nuovo Codice di Condotta imposto da Minniti e il cui obiettivo è quello di impedire alle ONG che operano nel Mediterraneo di intervenire nel salvataggio dei migranti. Dalla fine dell’operazione Mare Nostrum, solo la presenza delle ONG ha impedito che le stragi in mare diventassero quotidiane.

Nel provvedimento si parla di centri di raccolta in Libia sotto il controllo dell’UNHCR o dell’OIM, ma questi centri non esistono, al momento, e queste organizzazioni non sono neanche presenti sul territorio libico: dal momento in cui le forze armate italiane riconsegneranno i barconi nelle mani della Guardia Costiera libica, dobbiamo sapere che quelle persone finiranno certamente nelle carceri libiche o nelle mani di altri trafficanti o di bande criminali.

Spenderemo nove milioni al mese per consegnare alla tortura, alla schiavitù, alla morte centinaia di migliaia di persone: questa è la nostra missione.

In un clima politico estremamente confuso e incerto, l’invio di navi militari italiane nel Mediterraneo rappresenta oltre tutto un rischio concreto di conflitto; l’”accordo” sarebbe col governo Sarraj, ma le forze in campo in Libia sono molto più numerose, e si contendono il controllo del territorio: come si comporterebbe il contingente italiano nel caso che qualcuna delle parti in campo non gradisse la sua presenza nelle acque territoriali libiche?

Nonostante i rapporti e le testimonianze, il governo italiano, come l’Europa, fa finta di non conoscere la reale situazione dei migranti in Libia, fa finta di non sapere che è una situazione (quella sì) di vera emergenza, una questione di vita e di morte, di fronte alla quale la priorità assoluta non può essere che aiutare le persone ad uscirne.

La verità è che le persone che gremiscono i barconi per l’Europa sono solo scarti, e scarti fastidiosi delle politiche colonialiste e neo-colonialiste, politiche che tuttora muovono le potenze europee, e su cui l’Italia cerca di rincorrere la Francia, dopo il brillante progetto francese di creare degli hotspots in territorio libico. Strutture che si sono già ampiamente dimostrate inefficaci anche sul nostro territorio e nelle quali i diritti umani e il diritto internazionale non vengono rispettati.

Tutte le organizzazioni per la difesa dei diritti umani indicano una sola strada per lottare efficacemente contro i trafficanti e per salvare la vita e la dignità delle persone: corridoi umanitari che permettano ai migranti di arrivare in sicurezza in una terra più sicura di quella da cui fuggono.

Contro il comportamento vergognoso del governo italiano e dell’Unione Europea che calpestano fondamentali diritti umani invitiamo alla mobilitazione e alla solidarietà concreta con i richiedenti asilo e con chi li salva e li aiuta.

Rete Antirazzista Fiorentina

Comitato Fiorentino Fermiamo la Guerra

Coordinamento Basta Morti nel Mediterraneo

La Libia, Macron e la Rothschild Connection

Autore Manlio Dinucci

fonte controlacrisi.org

 

«Ciò che avviene oggi in Libia è il nodo di una destabilizzazione dai molteplici aspetti»: lo ha dichiarato il presidente Emmanuel Macron celebrando all’Eliseo l’accordo che «traccia la via per la pace e la riconciliazione nazionale». Macron attribuisce la caotica situazione del paese unicamente ai movimenti terroristi, i quali «approfittano della destabilizzazione politica e della ricchezza economica e finanziaria che può esistere in Libia per prosperare». Per questo – conclude – la Francia aiuta la Libia a bloccare i terroristi. Macron capovolge, in tal modo, i fatti.

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Salvataggi in mare, ASGI: il codice di condotta è un atto pericoloso

FONTE PRESSENZA.COM

Autore :  ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

ASGI sul codice di condotta : non è un atto avente valore di legge, ma solo una proposta di accordo, dove il necessario coinvolgimento paritario delle parti è clamorosamente mancato. Non sarà legittima alcuna reazione del Governo nei confronti delle ONG non firmatarie se non nei casi e nei limiti già sanciti dalle norme nazionali e internazionali .

L’ASGI esprime grave sconcerto per le modalità di conduzione e di conclusione della vicenda relativa al cosiddetto codice di condotta per le ONG che effettuano i salvataggi in mare.
L’Associazione  evidenzia innanzitutto come diverse “disposizioni”, contenute nel cosiddetto codice di condotta, pongano serie problematiche giuridiche relativamente al rispetto del diritto internazionale del mare, apparendo in contrasto sia con l’obbligo di garantire lo sbarco in un porto sicuro alle persone salvate, sia più in generale con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale in materia di asilo, come sottolineato nell’ analisi più generale già resa nota nei giorni scorsi dall’associazione.

L’ASGI richiama con forza l’attenzione del mondo politico e dei mezzi di informazione sui seguenti aspetti, rimasti largamente sottaciuti nel dibattito pubblico:

1) Parte rilevante delle proposte contenute nel cosiddetto codice di condotta appaiono del tutto superfluepoiché si limitano a ribadire positive prassi operative già attuate da tempo da parte delle ONG che operano nel soccorso, dalla Guardia Costiera e dalle altre istituzioni pubbliche coinvolte.

Se si fosse voluto ulteriormente rinforzare dette prassi operative, allo scopo di migliorarle, sarebbe stato necessario attivare un effettivo confronto con le associazioni umanitarie. Confronto che invece è mancato. Anzi, le stesse ONG, che pure meritoriamente suppliscono in larga parte alle carenze del sistema pubblico dei soccorsi, sono state oggetto di un’incredibile campagna di discredito.

2) Il cosiddetto codice di condotta è stato presentato ai mezzi di informazione come una sorta di atto normativo, seppure alquanto atipico, tramite il quale il Governo intende disciplinare l’attività del soccorso in mare, in corso da anni sotto il coordinamento delle autorità legittimamente preposte, che però oggi viene presentata come se fosse avvenuta finora in modo del tutto disordinato e improprio.

Il punto nodale della questione risulta invece che il cosiddetto codice di condotta non è un atto avente valore di legge, né una disposizione regolamentare, emanata in attuazione di una norma primaria.Per di più si rivolge ad una pluralità di soggetti non gerarchicamente collegati con la pubblica amministrazione. Si tratta in sostanza, di una proposta di accordo, che, come tale, necessita quel coinvolgimento paritario delle parti che invece è clamorosamente mancato.

La mancata sottoscrizione, perciò, non può avere alcuna conseguenza giuridica: non sarà legittima alcuna reazione del governo nei confronti delle ONG non firmatarie se non nei casi e nei limiti già sanciti dalle norme nazionali e internazionali  .

3) Al di là della adesione o meno al cosiddetto codice di condotta, le organizzazioni operanti nel soccorso in mare dei migranti sono obbligate al primario ed esclusivo rispetto delle norme internazionali, di quelle didiritto interno e agli eventuali atti regolamentari di attuazione delle normative stesse.

Occorre evidenziare che in buona parte le motivazioni addotte dalle ONG per rifiutare la sottoscrizione della proposta di codice risultano ampiamente ragionevoli e condivisibili; in particolare il rifiuto della richiesta di non effettuare trasbordi da una nave all’altra (anche quando ciò è necessario per salvare vite umane durante la concreta operazione di soccorso) è del tutto doveroso e pienamente conforme agli obblighi imposti dalle norme sul soccorso. Parimenti la contestata opposizione alla richiesta di consentire sempre e in ogni caso la presenza a bordo del personale di polizia è del tutto comprensibile e giustificabile proprio in quanto l’attività di soccorso umanitario deve potersi svolgere in condizioni di piena autonomia, non essendo per nulla in contrasto con il vincolo della piena collaborazione, attiva ed indiscussa da anni, con le autorità investigative per l’individuazione dei trafficanti.

4) E’ eticamente inaccettabile che il Ministero dell’Interno, abbia oscuramente prospettato gravi conseguenze nei confronti di quelle organizzazioni, tra le quali figura MSF, Premio Nobel per la Pace, che non hanno sottoscritto il cosiddetto codice di condotta.

5) Va ricordato che è illegittimo e può costituire grave violazione di legge anche penale impedire l’accesso ai porti da parte di una imbarcazione che trasporta persone soccorse in mare che hanno bisogno di supporto immediato legato alle esigenze primarie per la sopravvivenza e/o la tutela del diritto all’integrità psico-fisica.

L’ASGI rinnova il proprio profondo apprezzamento per l’operato eccezionale delle ONG e della Guardia Costiera italiana nel condurre le operazioni di salvataggio in mare e invita fermamente il Governo italiano a rivedere in maniera profonda l’attuale linea politica, tanto inconsistente sul piano della legittimità, quantopericolosa nel creare smarrimento nell’opinione pubblica e nel minare l’efficacia delle attività di soccorso.