A tre anni dalla prima querela presentata dagli avvocati Amarilda Lici e Alessandro Del Piano (entrambi avvocati ASGI) dinanzi la DDA della Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, giunge finalmente ad un primo grande traguardo il processo per sfruttamento lavorativo dei cittadini bengalesi dell’area Nord di Napoli.
Un successo ottenuto per tutte le parti civili costituite, tra cui anche l’ASGI che è stata ammessa con la seguente motivazione: “la lettura completa dell’art. 5 dello statuto permette di ritenere coinvolta dai reati in causa gli interessi tutelati dall’associazione stessa”.
Il processo, conclusosi con una sentenza di condanna a seguito di rito abbreviato, ha riconosciuto la responsabilità penale degli imputati per tutti i reati a loro contestati quali : Intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo di cui all’art.603 bis normativa previgente; Associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p co. 1, 2 e 3 cod.pen con l’aggravante del reato transnazionale secondo l’art. 3 e 4 L. 146/2006 e favoreggiamento all’immigrazione clandestina così previsto dall’art. 12 commi 3, 3 bis e 5 Dlgs 286/98 e succ. modif.
La denuncia ha preso corpo dopo che un primo gruppo di sei lavoratori si è rivolto all’Associazione “3 Febbraio” per denunciare i fatti di cui al conseguente processo. Successivamente, si scopriva che tali vicende interessavano numerosi lavoratori bengalesi e, pertanto, in corso di indagini, si depositavano ulteriori querele, raggiungendo il ragguardevole numero di ben 16 parti offese.
In particolare, tutti i lavoratori bengalesi venivano reclutati in Bangladesh da un loro connazionale che, sfruttando la sua fama di imprenditore “di successo” nel campo tessile, proponeva loro condizioni di vita/professionali “allettanti”, offrendo un lavoro (comprensivo dell’alloggio), regolare e ben retribuito, in Italia. Per tale attività di intermediazione, i malcapitati dovevano pagare cifre variabili tra i 10.000/12.000 euro, ottenendo i documenti di viaggio e, successivamente, il permesso di soggiorno.
Una volta giunti in Italia, i giovani lavoratori venivano collocati presso le fabbriche del loro “reclutatore” e/o dei suoi familiari, – i quali risultavano, tra l’altro, intestatari di alcune di esse.
Pian piano scoprivano la verità: venivano costretti ad orari di lavoro massacranti – dalle 7.30 alle 21.30 dal lunedi al sabato, dalle 8.00 alle 17.00 la domenica –, in condizioni di vita degradanti – alloggi di 50/60 mq adattati a 6/8 persone, ricevendo, quale contropartita, uno stipendio variabile dai 120 ai 300 euro mensili, subendo, vieppiù, atti di intimidazione, vessazioni, violenze ed insulti, senza mai ottenere, tra l’altro, il titolo di soggiorno, come inizialmente promesso.
In data 16 marzo 2016, a seguito delle indagini della DDA presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, veniva emessa dal Gip di Napoli – 18^sezione penale, un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere per sei indagati. Successivamente si affrontava la fase dell’incidente probatorio per l’escussione delle persone offese, durante la quale si univano al collegio difensivo gli avvocati Bruno Botti e Benedetta Piola Caselli, fino a giungere all’ 11 luglio 2017, quando il GUP – 31°sezione penale del Tribunale di Napoli, pronunciava la sentenza con la quale si riconosceva la responsabilità penale degli imputati, come sopra indicato.
Questo processo, e soprattutto il suo esito, rappresenta una grande vittoria su più fronti.
In attesa delle motivazioni della sentenza, i punti salienti si possono così riassumere. Continua a leggere “Tribunale di Napoli : prima condanna per sfruttamento lavorativo nelle fabbriche tessili”