SEGNALIAMO LA NASCITA DI STRISCIAROSSA.IT, UN SITO DELLA SINISTRA CUI COLLABORANO PRESTIGIOSE FIRME DEL DEFUNTO QUOTIDIANO L’UNITA’ “KILLERATO ” DALL’ATTUALE DIRIGENZA PD (EDITOR ONDE CORTE )
Autore dell’articolo Paolo Soldini
fonte strisciarossa.it
Berlino, in questo scorcio d’estate, è come il salotto di casa: accogliente, comodo, prevedibile, benevolmente consueto. Il 24 settembre è vicinissimo, ma la campagna elettorale vivacchia sotto traccia. La sobrietà dei grandi partiti tedeschi, d’altronde, è proverbiale: qualche manifesto di candidati appeso ai lampioni o appiccicato alle colonnine della pubblicità (non sui muri, per carità!), qualche manifestazione pubblica, preferibilmente al chiuso, su cui le tv di stato riferiranno con esemplare imparzialità, qualche ragionato endorsement sui giornali. Se fosse un film, questa campagna, sarebbe noioso come tutti quelli il cui finale si intuisce dall’inizio. Mancano i cattivi. O meglio ci sono ma fanno le comparse: rumorosi, fastidiosi, ma mai al centro della scena. I fascistoidi di Alternative für Deutschland (chiamiamo le cose col loro nome) hanno avuto i loro exploits e in una elezione regionale nel lontano e negletto Meclemburgo hanno pure sorpassato la Cdu. Hanno inquietato un po’ tutti, ma è acqua passata. Oggi la loro capa Frauke Petry non è più la Marine Le Pen dei tedeschi: d’altronde non ha mai avuto la verve demagogica della francese. E poi s’è visto che fine ha fatto l’originale. Quelli di AfD hanno avuto il loro momento d’oro quando al comando c’era l’economista Bernd Lucke, il quale predicava l’uscita dall’euro ed altre eresie con l’aria di uno che comunque se ne intende e anche per questo incassava la simpatia di una parte del mondo industriale più aggressivamente nazional-egoista. La signora Petry invece è un’estremista pura e dura che non parla d’economia, cavalca le paure dell’immigrazione e della “islamizzazione”e tiene nel suo partito loschi figuri che vorrebbero demolire i monumenti all’Olocausto e cocotteggiano con i neonazisti. AfD prenderà l’8-9% dei voti, dicono i sondaggi. È molto, è troppo, ma non servirà a nulla, se non a segnalare che anche in Germania come in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale c’è uno zoccolo di elettori esposti alla demagogia più primitiva. Ci sono ma, come succede in Francia, nei Paesi Bassi, in Belgio e non (purtroppo) in Italia, non entrano nel gioco del potere. Nessuno li corteggia, nessuno li insegue: restano lì a segnalare disagi, fallimenti della politica, rovine della cultura popolare. Materia per i sociologi.
L’insidia che si nasconde sotto le acque chete di questa campagna tedesca è, semmai, un’altra. Se un cattivo c’è è la FDP, il partito liberale, che si è risollevato dal baratro in cui era caduto quattro anni fa, quando nella costernazione generale mancò la soglia per entrare nel Bundestag. Stavolta i liberali entreranno, ristabilendo la classica costellazione parlamentare della Germania. Ma sotto la guida del giovane e spregiudicato presidente Christian Lindner la FDP ha cambiato pelle. Dire che è diventato un partito antieuropeo forse sarebbe troppo, ma certo s’è allontanato parecchio dalla tradizione dei grandi liberali europeisti, i Genscher, gli Scheel, i Lambsdorff. Nell’alleanza di governo con la CDU, tra il 2009 e il 2013, fu l’ispiratore più coerente della politica di austerity che la Germania impose a Bruxelles, con tutti i guai che ne derivarono. E da allora le posizioni della FDP, che si è fissata come specifico compito quello di recuperare, inseguendoli, i voti “antieuropei” scivolati su AfD, si sono ulteriormente irrigidite. Al punto da giudicare troppo morbido verso i paesi dal debito alto perfino il durissimo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Insomma, dietro l’anima nera dell’austerity ultraliberista made in Germany si profilano anime ancor più nere.
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