In questa puntata: La salute richiede la pace. Come evitare un mondo climatico distopico…..

 

 

Connessioni 5

18 novembre 2023

fatti, eventi, report di ricerca e dati per capire meglio cosa succede nel campo della prevenzione e della salute negli ambienti di vita e di lavoro.

 

In questa puntata della Rubrica vi offriamo documentazione su:

– Il diritto universale alla salute richiede la pace e rifiuta la guerra
– Per evitare un futuro climatico distopico, dobbiamo prima immaginare il mondo che vogliamo
– La violence environnementale de l’économie fossile
– Regione Emilia-Romagna. Proteggersi dai rischi, nel linguaggio dei segni.
– Convegno nazionale agricoltura 2023: Taranto, 26 ottobre 2023.

Il diritto universale alla salute richiede la pace e rifiuta la guerra
E’questo il titolo del documento promosso dalla AIE Associazione Italiana di Epidemiologia alla elaborazione del quale hanno partecipato venti società scientiche che fanno riferimento al campo della salute e della sanità. E’ un primo passo importante. Nel documento si afferma: ” In qualità di società scientifiche di area sanitaria, dati i nostri obblighi professionali incentrati sulla tutela e la promozione della salute, sentiamo urgente la necessità di esprimerci pubblicamente e congiuntamente a favore della pace e contro la guerra in tutte le aree del pianeta.


Gli scontri armati hanno continuato in questi anni a martoriare molti paesi: nel 2022 si è registrato il più alto numero di conflitti armati dalla fine della seconda guerra mondiale e ora, nel 2023, questa tendenza si conferma drammaticamente in un’ulteriore spirale di violenza che coinvolge non solo Ucraina e Medio Oriente, ma anche numerosi altri luoghi, in assenza di iniziative efficaci a favore di soluzioni diplomatiche e nonviolente.”
In connessione con le valutazioni espresse nel Documento delle Società scientifiche  riteniamo utile associare le riflessioni proposte dalla scrittrice Kwolanne Felix in un articolo apparso su Znetwork e ripreso da Diario Prevenzione: ” Per evitare un futuro climatico distopico, dobbiamo prima immaginare il mondo che vogliamo “ . Nell’articolo l’autrice afferma: ” Come attivista per il clima che lotta contro le politiche lente, le influenti compagnie petrolifere e l’apatia del pubblico, mi concentro principalmente nel fermare un futuro che non voglio. Temo un futuro in cui i combustibili fossili non verranno gradualmente eliminati in tempo, il che porterà alla distruzione ecologica e alla destabilizzazione della società a causa del cambiamento climatico.
Tuttavia, trovo che individuare il futuro che vogliamo sia spesso molto più difficile nel movimento per il clima. Immaginare questo futuro climatico pieno di speranza è una pratica essenziale perché aiuta a sostenere i nostri movimenti, informa la nostra difesa e ispira l’azione….” e più oltre ”
La narrazione che circonda il nostro clima e il futuro è prevalentemente distopica. Non cercare oltre un lungo elenco di film, spettacoli, opere d’arte e libri distopici ambientati in una terra desolata ecologica del prossimo futuro. Questi cliché mediatici sono popolari e vengono mostrati in successi al botteghino come Interstellar , Blade Runner e il film “The 100”. Molti di noi stanno sperimentando un assaggio di una terrificante distopia mentre assistiamo alla devastazione derivante dall’intensificarsi dei disastri naturali e dell’inquinamento. Molte persone credono che siamo già condannati . All’interno di questa mentalità, il movimento per il clima è sfidato a creare contronarrazioni a questa aspettativa di catastrofe.”
Questo investimento nella creazione di visioni di un futuro sostenibile non solo dà potere agli attivisti climatici; è anche per milioni di persone che spesso sono scoraggiate dall’impegnarsi nell’azione per il clima. La maggior parte delle persone crede che la crisi climatica sia un problema . Ma questa conoscenza può spesso tradursi in paura, disperazione e terrore . L’ansia climatica è ai massimi storici, soprattutto tra i giovani…..”

La costruzione della capacità di rappresentare un futuro di vita possibile con il governo da parte degli umani dei delicatissimi equilibri biologici, ambientali, economici e sociali è la grande mission di scienziati, artisti, attivisti per il cambiamento culturale, per contrastare l’ansia e la disperazione di moltitudini di ragazze e ragazzi cui viene rappresentato ogni giorno per loro un non futuro con orizzonte catastrofico.

La pace come premessa per la costruzione di una contronarrazione che ridia speranza e faccia superare la paralisi derivante dall’aspettativa della catatstrofe è l’obiettivo immediato per quanti credono ancora che un “altro mondo vivibile e vitale per gli umani sia possibile “

Concludo questa puntata di Connessioni con due notizie che danno speranza. La prima : ” Regione Emilia-Romagna. Proteggersi dai rischi, nel linguaggio dei segni. La nuova collana di video prodotti in collaborazione con ENS Emilia-Romagna” Cosa fare in caso di terremoto, alluvione, incendi di bosco, e una guida al portale Allertameteo ER, ora accessibili a tutti

La seconda: Convegno nazionale agricoltura 2023: Taranto, 26 ottobre 2023. Nella pagina sono disponibili le presentazioni delle relazioni. Un lavoro importante e utile.

Letture utili

ENERGIA: UNA GIUSTA MISURA PER LA SOPRAVVIVENZA SUL PIANETA.di Mario Agostinelli

La violence environnementale de l’économie fossile

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a cura di Gino Rubini
…../ alla prossima /….

SIPRI YEARBOOK 2022 Armaments, Disarmament and International Security Sintesi in italiano

 

 

 

 

 

Il SIPRI Yearbook è una fonte autorevole e indipendente di dati e analisi su armamenti, disarmo e sicurezza internazionale. Fornisce una panoramica degli sviluppi relativi a sicurezza internazionale, armi e tecnologia, spesa militare, produzione e commercio di armi, conflitti armati e gestione del conflitto, nonché agli sforzi volti al controllo delle armi convenzionali, nucleari, chimiche e biologiche. Questa pubblicazione riassume la 53a edizione del SIPRI Yearbook che contiene informazioni su ciò che è avvenuto nel 2021 in merito a:

  • Conflitti armati e gestione del conflitto, con una panoramica su conflitti armati e processi di pace nelle Americhe, in Asia e Oceania, Europa, Medio Oriente e Nord Africa, e Africa subsahariana, nonché un approfondimento sulle tendenze globali e regionali delle operazioni di pace;
  • Spesa militare, trasferimenti internazionali di armi e sviluppi nella produzione di armi; • Forze nucleari nel mondo, con una panoramica su tutti e nove gli stati dotati di armi nucleari e sui loro programmi di modernizzazione;
  • Controllo delle armi nucleari, con un focus sugli sviluppi del dialogo strategico tra Russia e Stati Uniti, dell’accordo iraniano sul nucleare ei trattati multilaterali sul controllo delle armi e del disarmo nucleare, tra cui l’entrata in vigore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari;
  • Minacce chimiche e biologiche alla sicurezza, comprese la pandemia di COVID-19, le indagini sul presunto uso di armi chimiche in Siria e gli sviluppi in merito agli strumenti giuridici internazionali contro le guerre chimiche e biologiche;
  • Controllo delle armi convenzionali, con particolare attenzione alle armi disumane e ad altre armi convenzionali fonte di preoccupazioni umanitarie, compresi gli sforzi per regolamentare i sistemi d’arma autonomi letali, il comportamento degli stati nel cyberspazio e gli sviluppi del Trattato sui cieli aperti;
  • Tecnologie dual-use e controllo del commercio di armi, con approfondimenti in merito al Trattato sul commercio di armi, agli embarghi multilaterali, ai regimi di controllo delle esportazioni e al processo di revisione della normativa dell’Unione Europea; nonché appendici sugli accordi di controllo delle armi e di disarmo, sugli enti internazionali di cooperazione in materia di sicurezza e sugli eventi principali del 2021.

 

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La mini-naja di La Russa, metà studio metà guerra

La proposta La Russa è preistorica. C’è bisogno di altro: di finanziare le politiche di pace, il servizio civile, i corpi di pace, spese tagliate nel bilancio del governo che invece aumenta di 800 milioni le spese militari. Da il manifesto.

Per Ignazio La Russa la mini naja o la naja deve essere un chiodo fisso, avendo provato a reintrodurla (con qualche successo in parlamento) nel 2008 e nel 2019. Ora ci riprova in piena discussione sulla legge di bilancio, con una evidente sgrammaticatura istituzionale. Non è compito del presidente proporre disegni di legge, anche se per interposta persona (i senatori del suo gruppo politico).

La Russa con questa idea vuole riavvicinare i giovani alle Forze Armate, anche se sarebbe meglio riavvicinarli al lavoro (non precario) e a una istruzione di qualità. In questo fervore militaristico del presidente del Senato, sarebbe importante sapere come La Russa ha svolto il servizio militare a suo tempo, così da fare da esempio ai giovani di oggi. La mini naja non è certo una priorità per i giovani, che hanno ben altri problemi per la testa: è solo una priorità (ideologica) di chi non si riesce a liberare della retorica del passato e di un’idea sbagliata del «dovere» verso la patria. Una nota sentenza della Corte Costituzionale del 1985 ha ricordato che il servizio civile è un modo altrettanto degno di adempiere al dovere di servire la patria, previsto dall’art. 52 della Costituzione. E se passiamo all’articolo seguente della Costituzione, l’art.53 (gli articoli 52 e 53 fanno parte della sezione della Carta, intitolata: “Diritti e doveri del cittadino”), c’è un altro dovere da rispettare (verso la patria): pagare le tasse, auspicabilmente in modo progressivo. Di questo dovere il centrodestra si dimentica, con questa legge di bilancio, favorendo l’evasione fiscale, con la rottamazione delle cartelle, l’uso del contante, la revisione delle disposizioni sul cosiddetto Pos.

In sostanza, con la mini naja, si vorrebbero stanziare dei soldi pubblici per permettere ai giovani di fare 40 giorni di addestramento militare, prendere confidenza con le armi, le caserme, le esercitazioni ai poligoni. Tutto questo, quando la legge di bilancio lascia a secco il servizio civile (decine di migliaia di giovani rischiano di non poter entrare in servizio per carenza di fondi) e riduce dell’8% la spesa per la cooperazione allo sviluppo (siamo allo 0,2% del Pil, mentre per impegni presi a livello internazionale, dovremmo essere allo 0,7%). Ma, soprattutto, quando con la legge di bilancio 2023 aumentano le spese militari di 800 milioni di euro, da 25,7 a 26,5 miliardi di euro. E se per la mini naja si vogliono stanziare soldi con una nuova legge, per i corpi civili di pace, che sono già legge (ragazzi che vanno a rischiare la vita nelle aree di conflitto per portare la pace), non c’è in legge di bilancio nemmeno un euro.

La guerra in Ucraina sta diventando un pretesto per aumentare le spese militari, tagliare le risorse alle politiche di pace e far parlare di nuovo di naja, anche se mini e volontaria. Ma col tempo potrà essere meno mini e meno volontaria. Oggi avremmo bisogno di altro: di finanziare le politiche di pace, il servizio civile, i corpi di pace. Avremmo bisogno di ridurre le spese militari che – anche senza la guerra in Ucraina – sono continuate ad aumentare in Italia, e in tutto il mondo, come ci dice l’ultimo rapporto del Sipri. Il mondo sta diventando meno sicuro – nonostante le armi – e si spende sempre troppo poco per la cooperazione allo sviluppo. La guerra in Ucraina non solo colpisce i nostri rifornimenti energetici, ma soprattutto i rifornimenti di grano (cibo) per i paesi in via di sviluppo.

Ecco perché “Sbilanciamoci” con la controfinanzia del 2023 (che presenteremo il prossimo 21 dicembre alla Camera dei Deputati. Per info: www.sbilanciamoci.info) indica una strada diversa e opposta a quella del presidente del Senato e di questo governo. Proponiamo una riduzione di poco più 5 miliardi di euro alla spesa militare: tagli di 3,5 miliardi sui sistemi d’arma vecchi e nuovi, di 800 milioni sul personale con una progressiva riduzione degli organici, di 750 milioni sulle missioni militari.

La mini naja è una proposta preistorica, da dinosauri della guerra fredda. Quello che invece è incredibilmente moderno e attuale è il ritorno della guerra (e della spesa militare) come strumento geopolitico di dominio e di sopraffazione e come business per faccendieri, imprenditori privi di scrupolo e anche per un po’ di esponenti politici. La mini naja torni in soffitta e opponiamoci sempre di più alla logica della guerra e delle armi.

Pubblicato sul manifesto del 16 dicembre 2022

“La guerra Usa è fino all’ultimo ucraino”, dialogo tra Noam Chomsky e Bill Fletcher

Una sintesi del dialogo “Una risposta di sinistra all’invasione russa dell’Ucraina” fra l’intellettuale e attivista politico Noam Chomsky e l’attivista e scienziato politico Bill Fletcher jr. trasmessa su Real News Network.

Fletcher. Partiamo da tre assunti. Il primo: la Nato non è un’alleanza difensiva. Il secondo: alla dissoluzione del Patto di Varsavia sarebbe dovuta seguire la dissoluzione della Nato. Infine: l’espansione della Nato, in particolare durante le presidenze di Clinton e Bush jr, è stata un errore e una provocazione.

Chomsky. Penso siano punti di partenza corretti, e vorrei aggiungerne un altro. Qualunque sia la spiegazione dell’invasione russa – che è una questione cruciale – l’invasione in sé è un atto criminale di aggressione, un crimine internazionale di suprema gravità, paragonabile ad altre violazioni della legge internazionale e dei diritti umani come l’invasione statunitense in Iraq o a quella della Polonia da parte di Hitler. Ma c’è un background che risale ai primi anni Novanta, quando l’Urss collassa e il presidente Usa George Bush senior raggiunge un accordo con il presidente dell’Urss Michail Gorbaciov, un accordo ben definito. Gorbaciov acconsente all’unificazione delle due Germanie e all’ingresso del nuovo Stato nella Nato, che considerato il contesto è una concessione notevolissima, a una condizione che viene ufficializzata: che la Nato non si espanda a est nemmeno di un centimetro, Not one inch. Gli americani rispettano il patto fino al 1994, quando Bill Clinton, per ragioni di consenso interno, incoraggia Paesi come Polonia, Ungheria e Slovenia a entrare nell’Alleanza atlantica. Poi, con il pretesto di fermare le atrocità serbe in Kosovo, Clinton bombarda la Serbia senza nemmeno informare i russi che ne escono umiliati. George Bush jr. invita a entrare nella Nato praticamente tutti gli Stati satellite russi, nel 2008 anche l’Ucraina e qui interviene il veto di Francia e Germania, ma la proposta resta sul tavolo a Washington. Un approccio pericoloso e cinico, perché viola le red lines russe. Anche la rivoluzione arancione di Maidan del 2014 è istigata dagli Usa e porta quella che chiamiamo Nato, ovvero gli Stati Uniti, a integrare l’Ucraina sempre di più con l’invio di armi e addestramento. C’è un documento ufficiale firmato da Biden nel settembre 2021, ignorato dai media ma non dall’intelligence russa, in cui si finalizza lo Strategic Defence Framework con l’Ucraina, si parla di forniture militari e dell’Ucraina come Enhanced Opportunities Partner della Nato, cioè apre le porte all’ingresso di Kiev nell’Alleanza.

Fletcher. Ma invece di accusare la Nato, Putin giustifica l’invasione con toni nazionalistici ed espansionistici. Come funziona il suo regime?

Chomsky. Putin ha sempre dichiarato che la decisione di dissolvere l’Urss è stata tragica. Ma anche che chiunque pensi di ricostituire quell’impero è un pazzo. È ovvio che la Russia non ha la minima capacità di farlo: anche se ha un grosso esercito ed è una potenza nucleare, è una cleptocrazia in declino con una economia debole e della grandezza più o meno di quella italiana. Non può conquistare nessuno. L’Ucraina è sempre stato un caso a parte e su questo le richieste russe ufficiali del ministro degli Esteri Lavrov sono sempre state, oltre all’indipendenza del Donbass, la neutralità e la demilitarizzazione, cioè la rimozione delle armi che minacciano la sicurezza russa. Uno status simile a quello del Messico rispetto agli Stati Uniti, che di fatto non può aderire ad accordi militari con la Cina. La proposta Lavrov poteva funzionare? Non lo sapremo mai, perché non è stata presa in considerazione.

Fletcher. Eppure nel 1994 con il memorandum di Budapest, l’Ucraina rinuncia al suo arsenale nucleare in cambio della promessa russa di non aggressione, e non cerca di entrare nella Nato fino al 2014 quando la Russia annette la Crimea e supporta la secessione in Donbass. Sembra che Mosca non voglia garantire la propria sicurezza, ma rendere l’Ucraina uno Stato satellite.

Chomsky. Il Messico è uno Stato satellite degli Usa? Lo erano l’Austria o la Finlandia? No, erano neutrali, con l’obbligo di non aderire a una organizzazione militare ostile guidata dagli Usa che facesse esercitazioni sul loro territorio [come la Nato in Ucraina, ndr]. Una limitazione di sovranità? Sì, ma non limitava la vita di quei Paesi. Uno status che si sarebbe potuto ottenere per l’Ucraina se gli Usa lo avessero voluto.

Fletcher. Ha senso per Austria e Finlandia. Perché Kiev dovrebbe fidarsi di un accordo con la Russia dopo l’annessione della Crimea nel 2014?

Chomsky. L’Ucraina può non credere al fatto che la Russia rispetterebbe un accordo, così come non li rispettano gli Stati Uniti in tanti luoghi del mondo. In Ucraina, la Russia sta commettendo crimini da tribunale di Norimberga, ma gli Stati Uniti violano trattati internazionali con l’abuso della forza. La domanda è: se gli Usa avessero rispettato le red lines russe, come consigliato da esperti, alti consiglieri, diplomatici, anche Francia e Germania, e avessero lavorato per la neutralità dell’Ucraina, la Russia avrebbe invaso? Non lo sappiamo. Per citare uno di quegli esperti, l’ex ambasciatore Usa, Chas Freeman, gli Stati Uniti “hanno scelto di combattere fino all’ultimo ucraino”, ovvero di abbandonare ogni speranza di un accordo. Tutto questo si poteva provare a evitare e si potrebbe ancora. Quando Biden dice che Putin è un criminale di guerra e verrà processato, lo mette al muro: l’unica strada è il suicidio o l’escalation, anche nucleare.

Fletcher. Addossi tutta la responsabilità agli Usa, ma nella Nato ci sono anche Paesi come la Germania e la Francia contrari all’ingresso dell’Ucraina. E i proclami di Putin sulla necessità di denazificare l’Ucraina sono ridicoli. C’è qualcosa che mi sfugge…

Chomsky. Ti sfugge la realtà dei rapporti di potere internazionali, dove gli Stati Uniti hanno un potere spropositato. Lo sappiamo tutti, la Russia lo sa benissimo. Chi capisce qualcosa di politica internazionale sa che gli Stati Uniti sono un violento stato canaglia che fa quello che vuole. Se al Cremlino ci fosse un uomo di stato abile e lungimirante, avrebbe cercato un compromesso con Germania e Francia, avrebbe provato ad aderire a qualche forma di casa comune europea come la immaginava Gorbaciov. Ma Putin e il suo entourage non hanno questa visione e capacità di leadership e hanno preso le armi, come fanno sempre le grandi potenze, inclusi gli Stati Uniti. Ed è una decisione criminale, che danneggia la Russia. Putin ha porto agli Stati Uniti sul piatto d’oro il più grande regalo immaginabile: potenze come Germania e Francia ora sono del tutto assoggettate agli Stati Uniti.

Le spese militari in aumento anche nel 2021

Fonte Fondazione Sereno Regis che ringraziamo 
Anticipazione Mil€x: la spesa militare italiana sfiora i 25 miliardi nel 2021, +8,1% rispetto al 2020

La spesa militare italiana si attesta nel 2021 a poco meno di 25 miliardi di euro, secondo le stime anticipate oggi dall’Osservatorio Mil€x. Si tratta di valutazioni effettuate secondo la nuova metodologia elaborata dall’Osservatorio e ricavate dai dati definitivi dagli stati di Previsione finanziari dei Ministeri coinvolti e che evidenzia una crescita annua superiore all’8%.Il dato verrà ulteriormente precisato e definito nelle prossime settimane in occasione dell’uscita del nuovo Annuario  2021 di Mil€x che ingloberà ulteriori dati provenienti dalle documentazioni ufficiali attualmente ancora non disponibili (in particolare il Documento programmatico pluriennale DPP della Difesa e la ripartizione dei costi per le missioni militari all’estero). “A riguardo dei dati che diffondiamo oggi è doveroso sottolineare come non sia possibile una immediata comparazione con le precedenti stime di Mil€x – sottolinea Francesco Vignarca fondatore dell’Osservatorio – in quanto la nuova metodologia cambia radicalmente la considerazione di alcune voci. Abbiamo comunque realizzato un quadro con i riconteggi per gli ultimi tre anni, in modo da delineare le tendenze, in decisa crescita, decise con le ultime tre Leggi di Bilancio”. In particolare il totale complessivo si modifica in maniera rilevante con la nuova valutazione di costi per l’Arma dei Carabinieri: storicamente Mil€x – su indicazioni ufficiali della Difesa – includeva nella spesa militare la metà dei capitoli di bilancio ad essi assegnati, mentre attualmente viene estrapolata una quota (di molto inferiore) dalle indicazioni specifiche che il DPP rilascia sull’uso prettamente militare dei Carabinieri nelle missioni internazionali.Il totale per il 2021 così valutato è dunque pari a 24,97 miliardi di euro, provenienti in larga parte dal bilancio del Ministero della Difesa dedicato ad usi militari.

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Un’arma potenziale uccide oltre 1,5 milioni in tutto il mondo, senza che venga sparato un solo colpo

Fonte Ipsnews 

NAZIONI UNITE, 20 novembre 2020 (IPS) – Le maggiori potenze militari del mondo esercitano il loro dominio principalmente a causa dei loro enormi arsenali di armi, inclusi sofisticati aerei da combattimento, droni, missili balistici, navi da guerra, carri armati, artiglieria pesante e armi nucleari di distruzione di massa (WMD).

Ma l’improvviso aumento della pandemia di coronavirus la scorsa settimana, in particolare negli Stati Uniti e in Europa, ha fatto risorgere la domanda persistente che grida una risposta: la potenza di fuoco travolgente e le armi di distruzione di massa diventeranno obsolete se le armi biologiche, attualmente vietate da una convenzione delle Nazioni Unite, saranno utilizzato nelle guerre in un lontano futuro?

Secondo gli ultimi dati di Cable News Network (CNN), le tristi statistiche della pandemia di coronavirus includono 56,4 milioni di infezioni e 1,5 milioni di morti in tutto il mondo.

A partire dalla scorsa settimana, solo gli Stati Uniti hanno stabilito record: oltre 11,5 milioni di casi di pandemia e oltre 250.500 morti dallo scorso marzo, con più di 193.000 infezioni ogni giorno.

Il New York Times ha citato esperti anonimi che prevedono che gli Stati Uniti presto riferiranno oltre 2.000 morti al giorno e che nei prossimi mesi potrebbero morire da 100.000 a 200.000 americani in più. Una previsione prevedeva un numero di morti negli Stati Uniti di 471.000 entro marzo prossimo, in assenza di un vaccino efficace.

La pandemia ha anche destabilizzato l’economia globale con la povertà e la fame nel mondo che sono salite alle stelle a nuovi massimi. E tutto questo, senza sparare un solo colpo in una guerra di otto mesi contro un virus in diffusione.

La dott.ssa Natalie J. Goldring, ricercatrice senior e professore ordinario a contratto con il programma di studi sulla sicurezza presso la Edmund A. Walsh School of Foreign Service della Georgetown University, ha detto all’IPS che il mondo deve affrontare molteplici crisi “con il potenziale di devastare le nostre comunità, comprese la minaccia del cambiamento climatico e il rischio di una guerra nucleare ”

E il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ha detto, ha avvertito di un’altra potenziale crisi, ovvero che i terroristi potrebbero usare armi biologiche per produrre risultati disastrosi. Ha sottolineato che questo tipo di utilizzo di armi potrebbe essere ancora più dannoso del COVID-19.

“Se un gruppo terroristico fosse in grado di svolgere i complessi compiti di creazione e utilizzo di armi biologiche, il rilascio intenzionale di un’arma biologica potrebbe essere ancora più mortale di COVID-19”, ha affermato il dottor Goldring, che è anche professore ospite della pratica nel programma Washington DC della Duke University e rappresenta l’Istituto Acronimo presso le Nazioni Unite sulle questioni relative alle armi convenzionali e al commercio di armi.

Ha detto che Guterres sottolinea il punto importante che “dobbiamo concentrarci immediatamente sulla prevenzione di questo tipo di sviluppo. Dobbiamo anche aumentare notevolmente la capacità delle nostre comunità di rispondere alle malattie infettive “.

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Leonardo vara il drone da guerra Falco Xplorer. I voli sperimentali da Trapani-Birgi

25.06.2019 Antonio Mazzeo

Leonardo vara il drone da guerra Falco Xplorer. I voli sperimentali da Trapani-Birgi
(Foto di https://antoniomazzeoblog.blogspot.com)

 

Leonardo (ex Finmeccanica), holding italiana produttrice ed esportatrice di sistemi d’arma, si conferma protagonista nel lucroso mercato internazionale dei droni di guerra. Pochi giorni fa al Paris Air Show, il salone aerospaziale tenutosi a Le Bourget – presente il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – i massimi vertici di Leonardo hanno presentato il prototipo del nuovo velivolo a pilotaggio remoto denominato Falco Xplorer, interamente progettato e realizzato in Italia. Il nuovo drone potrà volare ininterrottamente per 24 ore a una quota operativa di 24.000 piedi, in ogni condizione meteorologica, per svolgere un “ampio ventaglio di missioni, sia di tipo militare che civile-governamentale”. Il prototipo del Falco Xlorer è stato realizzato presso lo stabilimento Leonardo di Ronchi dei Legionari (Gorizia) ed effettuerà i primi test di volo nelle prossime settimane dall’aeroporto di Trapani-Birgi, sede del 37° Stormo dell’Aeronautica militare, già utilizzato come poligono sperimentale del drone da guerra P1HH Hammerhead di Piaggio Aero e Leonardo, con conseguenze a dir poco nefaste per la sicurezza del traffico aereo civile (Birgi è uno dei principali scali italiani per le compagnie low cost). Il nuovo drone dovrebbe raggiungere la piena capacità operativa entro la fine del 2020. Continua a leggere “Leonardo vara il drone da guerra Falco Xplorer. I voli sperimentali da Trapani-Birgi”

Si taglia tutto, ma mai la spesa per le armi: nel 2018 aumenta del 7%

Fonte MILEX

Articolo di addioallearmi.it del 6 aprile 2018

Tagli alla sanità, ai servizi pubblici, alle pensioni. Tagli ovunque, spesso orizzontali, ignorando le necessità dei cittadini: il tutto nel sacro impegno dei risparmi per le casse dello Stato. Ma nessuno ha pensato di concentrarsi su un capitolo ricco, che non conosce crisi: le spese militari; che nel 2018 sfioreranno (salvo eventuali ritocchi al rialzo) i 25 miliardi di euro. Né tantomeno il governo Gentiloni ha previsto specifiche riduzioni di spesa per gli armamenti. Anzi, al contrario: rispetto allo scorso anno è stato messo in conto un incremento del 7%. Una questione che si pone al prossimo governo e al nuovo Parlamento, peraltro già gabbato sulle reazione per l’export delle armi made in Italy.

L‘Osservatorio Mil€x ha sintetizzato lo studio realizzato sull’ultima legislatura, in relazione alla spesa militare complessiva.

Nei cinque bilanci dello Stato 2014-2018 di diretta responsabilità di questa legislatura c’è stata una crescita di circa il 5% delle spese militari, valutate secondo la metodologia Mil€x. Si è passati da 23,6 miliardi annui ai quasi 25 miliardi appena deliberati, con una crescita avviata due anni fa dai Governi Renzi e Gentiloni che hanno deciso una risalita dell’8,6% (quasi 2 miliardi in più) rispetto al bilancio Difesa del 2015 (l’ultimo a risentire degli effetti della spending review decisa nel 2012 dal Governo Monti e applicata dal successivo Governo Letta anche al Ministero della Difesa).

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Riarmo di Stato

FONTE MILEX

Pubblicato su La Nuova Ecologia il 23 marzo 2018

Nel 2018 il ministero dello Sviluppo economico “investirà” 3,5 miliardi di euro per l’acquisto di armamenti, il 5% in più rispetto al 2017. Tra distorsioni e paradossi

Più che la guerra, l’Italia ripudia il buon senso. È sorprendente scoprire fra i dati contenuti negli stati di previsione allegati alla legge di bilancio che nel 2018 il ministero dello Sviluppo economico sganci 3,5 miliardi di euro per l’acquisto di armamenti militari (+ 5% rispetto al 2017). E ancora più sorprendente è realizzare che questo fiume di denaro è pari al 71,5% dell’intero budget dedicato alla competitività e allo sviluppo delle imprese italiane. Una quota sproporzionata di investimento per un settore che contribuisce allo 0,8% del Pil, mentre a quelle piccole e medie imprese tanto amate e difese in ogni campagna elettorale, che sul prodotto interno lordo pesano per il 50%, restano le briciole.

Non si tratta di numeri sparati a caso per fare propaganda a basso costo. A svelarli è l’Osservatorio sulle spese militari italiane nel secondo “Rapporto Mil€x”. Un progetto lanciato nel 2016 dal giornalista Enrico Piovesana e da Francesco Vignarca della Rete italiana per il disarmo. Senza questo strumento di monitoraggio indipendente sarebbe stato più difficile venire a sapere che nel suo complesso la spesa militare italiana per l’anno in corso ammonta a 25 miliardi di euro: l’1,4% del Pil, il 4% in più rispetto al 2017. Un trend di crescita avviato dal governo Renzi (+ 8,6% rispetto al 2015) che non sembra volersi arrestare. Nel 2018 cresce infatti il bilancio del ministero della Difesa (21 miliardi, + 3,4% rispetto al 2017) come continuano ad aumentare le spese per gli armamenti: 5,7 miliardi, l’88% in più rispetto a tre legislature fa. E si conferma la distorsione per cui queste spese sono possibili solo grazie ai contributi del ministero dello Sviluppo economico. Continua a leggere “Riarmo di Stato”

Italia-Africa. Il nostro «aiuto» è la vendita di armamenti

FONTE: Francesco Vignarca,  IL MANIFESTO

Nel distorto e problematico dibattito pubblico italiano e non solo sull’epocale fenomeno migratorio il tentativo principale della politica è quello di allontanare dalla vista dell’elettorato i problemi e le responsabilità.Nelle poche occasioni in cui si è allargato lo sguardo verso i luoghi di provenienza delle migrazioni (in particolare penso all’Africa) lo si fa richiamando un retorico e qualunquista «aiuto a casa loro» che non ha nulla di concreto o fattivo.

LA ORMAI VECCHIE  promesse, sottoscritte a livello internazionale anche dall’Italia, di destinare almeno lo 0,7% del Pil all’aiuto pubblico allo sviluppo (diretto, indiretto e multilaterale) sono rimaste lettera morta. Nel 2015 l’Italia, pur con un trend in crescita, ha raggiunto solo lo 0,22% del Pil e una buona fetta dei quasi 4 miliardi impiegati è comunque rimasta nei nostri confini proprio per gestire il fenomeno migratorio. Continua a leggere “Italia-Africa. Il nostro «aiuto» è la vendita di armamenti”

F35 e TAP, la democrazia delle multinazionali

Fonte Sbilanciamoci 
Francesco Ciafaloni

17 luglio 2017 | Sezione: Alter, Italie, Società
Anche se ci illudiamo di essere un paese democratico tra paesi democratici subiamo gli effetti di decisioni importanti, prese non tanto da istituzioni politiche sovranazionali quanto da grandi aziende multinazionali

Anche se ci illudiamo di essere un paese democratico tra paesi democratici (in Occidente almeno), mentre polemizziamo e ci dividiamo su temi di bandiera, subiamo gli effetti di decisioni importanti, prese non tanto da istituzioni politiche sovranazionali, come l’Unione Europea, quanto da grandi aziende multinazionali. Di queste decisioni ci rendiamo conto solo quando sono già realizzate e ci colpiscono direttamente. Tra le aziende multinazionali che decidono per noi ce ne sono alcune, poche, della cui proprietà fanno parte anche capitalisti italiani o il governo italiano, come la Fca, già Fiat, o l’Eni e l’Enel, che sono state Enti nazionali, per gli idrocarburi e per l’energia elettrica, ma in cui il peso dello Stato italiano e dei lavoratori italiani è drasticamente diminuito. Le più importanti hanno il baricentro negli Stati Uniti o nelle potenze economiche, politiche e militari maggiori. La composizione della proprietà, però, cambia poco il modo di funzionare. Quando intorno ad un progetto si raccoglie una massa sufficiente di soldi e di potere, si avvia un processo di cooptazione, organizzazione, pubblicità – talora, ma non sempre, immagino, corruzione – che coinvolge l’opinione pubblica e trasforma una scelta arbitraria, talora dannosa, persino criminale in qualche sua parte, in una necessità oggettiva.

Due casi recenti di contestazioni in ritardo, considerate irrealistiche e provinciali (not in my backyard) dalla grande stampa, guardate un po’ da vicino, possono consentire di aggiungere qualche dettaglio alla considerazione generale.

F35. L’arma più costosa mai costruita
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L’Italia a mano armata

Autore  Giacomo Pellini

Fonte : Sbilanciamoci

 

Nel 2016 l’export militare italiano ha registrato un aumento dell’85% rispetto all’anno precedente. Numeri da capogiro, documentati dalla Relazione annuale sul commercio e sulle autorizzazioni all’esportazioni di armi

“Nei concili di governo dobbiamo stare in guardia contro le richieste non giustificate dalla realtà del complesso industriale militare. Esiste e persisterà il pericolo della sua disastrosa influenza progressiva. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione metta in pericolo la nostra democrazia. Solo il popolo allertato e informato potrà costringere ad una corretta interazione la gigantesca macchina da guerra militare….in modo che sicurezza e libertà possano prosperare insieme”. Queste parole non sono di un pacifista: le pronunciò nel lontano 1961 nel suo discorso di addio alla Nazione l’allora Presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower, membro del Partito Repubblicano ed ex comandante delle Forze Armate statunitensi in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale e Capo di Stato Maggiore dell’esercito.
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La spesa militare mondiale: secondo il SIPRI, in aumento negli USA e in Europa e in flessione nei paesi esportatori di petrolio

FONTE PRESSENZA.COM che ringraziamo

26.04.2017 – Stoccolma, Svezia Pressenza Budapest

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Francese, Greco

La spesa militare mondiale: secondo il SIPRI, in aumento negli USA e in Europa e in flessione nei paesi esportatori di petrolio
L’elicottero Black Hawk dell’esercito statunitense staziona sopra il cacciatorpediniere guida missili USS Farragut (Foto di Marina Militare USA)

La spesa militare mondiale totale è salita a 1.686 miliardi di dollari nel 2016, con un incremento dello 0,4 per cento in termini reali a partire dal 2015, secondo i nuovi dati dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI). Le spese militari in Nord America hanno visto il loro primo aumento annuo nel 2010, mentre la spesa in Europa occidentale è cresciuta per il secondo anno consecutivo. L’aggiornamento annuale completo del database di spese militari del SIPRI è accessibile da oggi sul sito www.sipri.org.

Le spese militari mondiali sono aumentate per il secondo anno consecutivo per un totale di 1.686 miliardi di dollari nel 2016 – il primo aumento annuale consecutivo dal 2011, quando la spesa ha raggiunto il suo picco di 1.699 miliardi di dollari.* Le tendenze e modelli delle spese militari variano considerevolmente a seconda delle zone. Le spese militari hanno continuato a crescere in Asia e Oceania, Europa centrale e orientale e Nord Africa. Al contrario, sono diminuite in America Centrale e nei Caraibi, in Medio Oriente (sulla base dei paesi per i quali sono disponibili i dati), in Sud America e in Africa sub-sahariana.

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Droni militari, la minaccia volante

fonte controlacrisi.org

Autore Giacomo Pellini

La stampa a li chiama ‘killer robot’. Sono i droni militari. Per ora usati a scopo civile, ma presto potrebbero essere impiegati anche nel militare. Il tutto in segreto e nonostante la contrarietà dell’opinione pubblica

Quindici anni fa, il 4 febbraio del 2002, nei pressi della città di Khost in Afghanistan, un drone americano lanciava un missile Helfire contro tre uomini, uccidendoli. Si tratta del primo attacco effettuato da un velivolo a pilotaggio remoto. Il drone era sulle tracce di Bin Laden, ma con ogni probabilità le vittime non erano terroristi, ma uomini intenti a recuperare metallo.

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Chomsky: “Stati Uniti la più grande minaccia per la pace nel mondo, non l’Iran”

Fonte : Nuovatlantide.org

di Cristina Amoroso – 7 aprile 2017

Il mondo è concorde. Non è l’Iran la più grande minaccia per la pace nel mondo, ma gli Stati Uniti. Da tempo lo sostiene Noam Chomsky, il dissidente politico di fama mondiale, linguista, autore di un centinaio di libri, professore emerito presso il Massachusetts Institute of Technology, dove ha insegnato per più di mezzo secolo. Nel corso dei primi 75 giorni dell’Amministrazione Trump, la Casa Bianca ha imboccato più passaggi per aumentare la possibilità di una guerra degli Stati Uniti con l’Iran. Trump ha incluso il Paese del Golfo in entrambi i divieti di viaggio per i Paesi musulmani. Come candidato alla presidenza, Trump ha minacciato di smantellare l’accordo nucleare con l’Iran.

A settembre del 2015, in un discorso alla New School di New York, Noam Chomsky, spiegando il motivo per cui egli riteneva gli Stati Uniti la più grande minaccia alla pace nel mondo, parlava degli Usa come di “uno Stato canaglia, indifferente al diritto e alle convenzioni internazionali, con il diritto a ricorrere alla violenza a volontà”.  In questi giorni in uno show televisivo, Democracy Now, condotto dal giornalista Juan González, Chomsky ha ripreso il tema dei rapporti statunitensi con l’Iran, sulla questione: “Perché gli Stati Uniti insistono su come impostare le potenziali cause di guerra con l’Iran?”.

E’ una vecchia questione che va avanti da molti anni. Proprio nel corso degli anni di Obama, l’Iran è stato considerato come la più grande minaccia alla pace nel mondo. “Tutte le opzioni sono aperte”, frase di Obama, che significa, se vogliamo usare le armi nucleari, siamo in grado, a causa di questo terribile pericolo per la pace. I motivi di preoccupazione vengono articolati molto chiaramente e ripetutamente da alti funzionari e dai commentatori negli Stati Uniti.

Ma esiste un mondo là fuori che ha le sue opinioni, che sono facilmente rintracciabili da fonti standard, come la principale agenzia di sondaggi statunitense; la Gallup che raccoglie sondaggi regolari di opinioni internazionali. Alla domanda: quale Paese pensi sia la più grave minaccia per la pace nel mondo? La risposta è inequivocabile: gli Stati Uniti con un margine enorme, rispetto agli altri Paesi. Molto distanziato il Pakistan, gonfiato sicuramente dal voto indiano. Ancora più distanziato l’Iran, appena accennato. Questa è una di quelle cose che non vanno dette, infatti i risultati che si trovano nella principale agenzia di sondaggi statunitense, non vengono riportati in quella che chiamiamo stampa libera.

Allora, perché l’Iran viene considerato la più grande minaccia alla pace nel mondo?

La risposta ci viene – afferma Chomsky – da una fonte autorevole di un paio di anni fa, la comunità di intelligence che fornisce valutazioni periodiche al Congresso sulla situazione strategica globale. Al centro del loro rapporto, naturalmente, c’è sempre l’Iran con relazioni abbastanza coerenti. Riferiscono che Teheran ha spese militari molto basse, anche per gli standard della regione, molto più basse dell’Arabia Saudita, di Israele e di altri Paesi. La sua strategia è di difesa. Vogliono scoraggiare gli attacchi abbastanza a lungo, perché siano trattati dalla diplomazia. La conclusione dell’intelligence, che è di un paio di anni fa, é la seguente: “Se si stanno sviluppando armi nucleari, che noi non conosciamo, sarebbero parte della loro strategia di dissuasione”.

Ora, quale è il motivo per cui gli Stati Uniti e Israele sono ancora più preoccupati per un deterrente?

Chi è preoccupato per un deterrente? Coloro che vogliono usare la forza. Coloro che vogliono essere liberi di usare la forza sono profondamente preoccupati per un potenziale deterrente. Quindi, “Sì, l’Iran è la più grande minaccia alla pace nel mondo, potrebbe scoraggiare il nostro uso della forza”, conclude Chomsky.

di Cristina Amoroso

 

Spese militari, l’Italia in prima fila

 

 

FONTE SBILANCIAMOCI.INFO

Il nostro paese spende ogni anno per le sue forze armate oltre 23 miliardi di euro (64 milioni di euro al giorno). E oltre a spendere molto, l’Italia spende male, in modo irrazionale e inefficiente

Secondo i dati contenuti nel primo rapporto annuale sulle spese militari italiane presentato dall’Osservatorio MIL€X, presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 15 febbraio, l’Italia spende ogni anno per le sue forze armate oltre 23 miliardi di euro (64 milioni di euro al giorno), di cui oltre 5 miliardi e mezzo (15 milioni al giorno) in armamenti.

Una spesa militare in costante aumento (+21% nelle ultime tre legislature), che rappresenta l’1,4% del PIL nazionale: esattamente la media NATO (USA esclusi), ma ancora troppo poco per l’Alleanza Atlantica, che chiede di arrivare al 2% in base a una decisione (mai sottoposta al vaglio del Parlamento) che incoraggia a spendere di più, invece che a spendere meglio, secondo una logica distorta che arriva al paradosso quando la NATO si congratula con la Grecia per la sua spesa militare al 2,6% del PIL, ignorando la bancarotta dello Stato ellenico. 

Oltre alla “virtuosa” Grecia, in buona compagnia del Portogallo (1,9% del PIL), gli Stati europei che spendono in difesa più dell’Italia sono le potenze nucleari francese e inglese (intorno al 2% del PIL) e le nazioni dell’ex Patto di Varsavia con la paranoia della minaccia russa come Polonia (2,2%) ed Estonia 2%. Altre grandi nazioni europee come Germania, Olanda e Spagna spendono molto meno di noi (intorno all’1,2% del PIL).

Oltre a spendere molto in difesa, l’Italia spende male, in modo irrazionale e inefficiente.

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