Non mi vergogno

Fiomnotizie Bologna

Quando ho manifestato per Aquarius mi hanno detto di vergognarmi e che dovevo manifestare contro Fornero e Jobsact.

Quando ho manifestato contro Fornero e Job act mi dicevano di vergognarmi e di andare a lavorare e che ero fortunata ad aver un lavoro.

Quando manifestavo per migliorare le condizioni del Lavoro e combattere lo sfruttamento mi dicevano di vergognarmi e di non lamentarmi e che ci sono persone che guadagnano 2 euro l’ora.

Quando manifestavo contro il Caporalato mi dicevano di vergognarmi di pensar alle Donne stuprate.

Quando manifestavo contro la violenza sulle Donne mi dicevano che ben gli stava perché se l’erano cercata.

Quando manifestavo per l’aborto e contro l’obiezione di coscienza mi dicevano di vergognarmi che sono un assassina.

Ci metto tempo, denaro, cuore e viso Sempre.

Perché credo nella Partecipazione, nella Condivisione, nella Solidarietà. Credo che nel mio piccolo, vivo una Condizione Migliore di altri e quindi io debba farmi carico in qualche modo di loro, nell’esigibilità di Diritti Fondamentali.
Io non mi Vergogno!

Pamela Fiorini, delegata VM Cento (Fe)

ASGI : Gravi responsabilità dell’Italia nella vicenda Aquarius

 FONTE ASGI

Il comportamento del governo italiano nella vicenda Aquarius è gravissimo e l’intervento della Spagna non solleva l’Italia dalle sue responsabilità.  ASGI lancia l’allarme sul possibile imminente ripetersi di episodi analoghi.


English version


Mentre scriviamo ancora non è definitivamente conclusa la vicenda della nave Aquarius, che ci auguriamo possa trovare felice esito anche grazie all’intervento delle autorità spagnole e, comunque, oltre la gestione che ha avuto da parte del Governo italiano.

La scelta di solidarietà  fatta dal Governo spagnolo di fornire assistenza materiale e giuridica ai naufraghi salvati dalla nave Aquarius, infatti, non deve oscurare la gravi responsabilità del governo italiano nella conduzione complessiva di tutte le operazioni.

Va infatti ricordato che le operazioni di soccorso sono partite su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma e che pertanto, in base al diritto internazionale – l’Italia è sempre stato il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi.

Solo in questo senso possono essere lette le principali Convenzioni internazionali pertinenti in materia e, tra esse:

 

– la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia con L. 313/1980);
– la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il soccorso in mare (Convenzione SAR, firmata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia con L. 147/1989, da cui il Regolamento di attuazione D.P.R. 662/1994;
– la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione CNUDM o UNCLOS, adottata a Montegobay nel 1982 e ratificata dall’Italia con L. 689/1994)

Fino al momento nel quale la Spagna non ha annunciato il suo intervento per ragioni umanitarie il centro di coordinamento dei soccorso italiano, competente e responsabile degli stessi, ha continuato a non indicare alcuna destinazione alla barca Aquarius, rendendosi completamente inadempiente verso precisi obblighi indicati dal diritto internazionale ed interno e ponendo a rischio la vita di centinaia di persone.

La situazione di pericolo e di estrema difficoltà, in cui si trovavano e si trovano tutt’ora i migranti, oltre ai membri dell’equipaggio, integra senza dubbio una situazione di pericolo che non fa ritenere legittima alcuna limitazione all’approdo in un porto italiano. Nel caso di specie doveva, infatti, immediatamente trovare applicazione l’art. 18, par. 2 della Convenzione UNCLOS, la quale prevede che lo Stato costiero non può invocare una violazione del diritto di passaggio inoffensivo né obbligare la nave straniera a riprendere il largo. Conseguentemente, lo Stato costiero, nel cui mare territoriale, o nelle vicinanze del quale, si trovi una nave in una situazione di pericolo è, infatti, il titolare primario dell’obbligo di portare soccorso ed è responsabile della conclusione del salvataggio. La nave che si trova quindi in una situazione di pericolo implicante una minaccia per la vita delle persone a bordo, qualsiasi sia lo status di questi passeggeri, gode di un “diritto” di accesso al porto.

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Quanto ci costerà Salvini ?

“Evidentemente alzare garbatamente la voce paga, cosa che l’Italia e il governo italiano non faceva da tempo immemore, da diversi anni”. Così Matteo Salvini, ministro dell’Interno e segretario della Lega al termine del consiglio federale del partito in via Bellerio a Milano, commenta l’evoluzione del ‘caso Aquarius’, la nave con oltre 600 migranti che ora sarà accolta dalla Spagna. Salvini, parlando di un “primo segnale” per un’Italia che sul fronte dell’accoglienza “non può fare da sola”, esprime “grande soddisfazione da vice premier, come ministro e come papà per come si va risolvendo” la questione dei migranti presenti su Aquarius, “questo ennesimo barcone, ennesimi soldi che escono dalle nostre tasche”.
FONTE YAHOO NOTIZIE
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Commento

Questo personaggio rozzo e ignorante pensa di fare l’interesse dell’Italia “alzando la voce”. Non ha la più pallida idea dei feedback negativi che il suo comportamento da gradasso produrrà nella politica internazionale. L’isolamento che subirà l’Italia sarà molto più costoso dell’accoglienza dei 600 migranti. La disumanità, l’immagine di un paese imbarbarito e plebeo le pagheremo in molti campi, da quello diplomatico a quello turistico commerciale. Il danno d’immagine dell’Italia dopo i fatti di oggi sono enormi, ma il ministro degli interni che si comporta come un bullo di periferia non ne ha la minima percezione. Queste sono le mani in cui siamo. Si sveglieranno gli elettori che hanno votato per protesta il M5S ?

Il Governo del Cambia Niente

di Alessandra Daniele

“Le parole non bastano, il sì all’Euro va detto con convinzione” Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore, a Tagadà, La7, mercoledì 30 maggio.

La settimana scorsa, il presidente Mattarella ha dato l’Halt al governo Grilloverde perché non aveva detto sì all’Euro con sufficiente convinzione.
Poi ha convocato Mr. Cottarelli, risolutore di problemi.
Il Sacro Spread però gli ha dato torto. Gettare la maschera così può essere destabilizzante per i mercati. Quindi s’è riaperta la trattativa.
Il presidente ha fermato Cottarelli.
Salvini ha demansionato Savona, il candidato ministro euroscettico, e l’ha rimpiazzato all’Economia con un tecnico di area Forza Italia – Fondazione Craxi – ben accetto alla UE.
Di Maio s’è rimangiato la richiesta d’impeachment per Mattarella, e s’è profuso in scuse fantozziane.
E alla fine il Grilloverde ha avuto l’imprimatur.
Dopo aver promesso per anni che sarebbero andati a Bruxelles a battere i pugni, pestare i piedi, strabuzzare gli occhi, ribaltare il tavolo, e vomitare sul tappeto, Salvini e Di Maio si rimangiano ogni proposito di ExIt che non sia solo una posa da selfie, un dabbing di facciata utile soltanto a far guadagnare un po’ di soldi agli speculatori, e varano un governo Lega-M5S pieno di tecnocrati dell’establishment, che contrariamente a quanto strombazzato dalla propaganda cazzara, non rappresenta nessun sostanziale cambiamento rispetto ai precedenti.

Questo è un governo di Grosse Koalition
Un’alleanza fra due partiti che alle elezioni si sono opposti insultandosi pesantemente a vicenda, per poi governare insieme, alla faccia dei loro elettori che li avevano votati credendoli alternativi. È una Grossolana Coalizione che ha fra i suoi padrini anche il semivivo Berlusconi, che come sempre gioca contemporaneamente su due tavoli: si dice all’opposizione, e intanto s’aggiudica proprio il ministero chiave più conteso, l’Economia. “That is not dead which can eternal lie“, non è morto chi può mentire in eterno.

Questo è un governo tecnocrate
Tecnici di lungo corso sono quasi tutti i ministri chiave, veterani dei governi Ciampi, Monti, Letta, Berlusconi, di Bankitalia, e di quel Bilderberg che un tempo il Movimento Due Facce considerava una specie di P2 internazionale.
Lo stesso premier Conte è un tecnico. “Avvocato difensore degli italiani”, difficile immaginare una definizione più berlusconiana, a parte forse “Nipote di Mubarak”. Conte è stato assunto dalla Casaleggio per fare il premier: è un contractor di governo. È sostanzialmente un mercenario, e anche questo è molto berlusconiano.
Di contractor, e come reclutarli, se ne intende anche la nuova ministra della Difesa, tecnica in quota grillina.
Del ministero della Pubblica Amministrazione s’occuperà invece l’avvocato difensore di Andreotti.

Questo è un governo reazionario
Razzista e securitario, progetta la costruzione di nuove carceri, e lager per migranti, ha piazzato un antiabortista omofobo al ministero della Famiglia, e alle classi subalterne non promette riscatto sociale, ma improbabili futuri sussidi condizionati, mentre la flat tax farà risparmiare soltanto le élite.

Questo è un governo cazzaro
Perciò gli è stato consentito di nascere. La UE ha preteso un chiarimento:
“Avete promesso spese per 100 miliardi. State progettando di uscire dall’Euro?”
“No, stiamo solo mentendo agli italiani”.
“Ah, ok. Allora potete partire”.

Il potere s’è rimesso la maschera. È sbrindellata e grottesca, ma per adesso sembra funzionare ancora.
Pare che dopotutto anche stavolta avremo un po’ di Carnevale prima della Quaresima.
Superata l’impasse, il loop è ripartito.
Salvini al ministero dell’Interno garantisce la continuità con Minniti.

Sovranismo versus globalismo? Chiusura/apertura & altri schemi manichei di ordinaria diffusione.

 

Nel mese di marzo 1983, il presidente socialista François Mitterand, dopo il fallimento del piano economico keynesiano di rilancio, ha deciso di intraprendere una politica dell’offerta: meno vincoli sulle aziende e “moderazione salariale”. Nella stessa logica di “désinflation compétitive”, Mitterand ha appoggiato la scelta europeista di Jacques Delors, allora ministro francese delle Finanze, di accelerare l’integrazione europea: l’Atto Unico togliendo i dazi fu firmato a Milano nell’estate 1985. Da allora, si potrebbe affermare che, per i socialisti francesi, il progetto appunto socialista, fosse stato sostituito dal progetto europeo, e mai più ripristinato nei fatti. La contemporaneità e la complementarietà delle due decisioni strategiche è rimasta nell’immaginario francese. Assieme all’affermazione di una economia globalizzata e finanziarizzata, ai mutamenti sociali e culturali cosi generati e al progredire di una costruzione europea liberista, la coerenza di questa scelta da parte del partito socialista francese durante 35 anni non è stata però accompagnata di un aggiornamento esplicito come la Terza Via del NewLabour di Tony Blair o il Nuovo Centro della SPD di Gehrard Schroeder. Peggio: il vecchio blocco sociale di sinistra si è progressivamente sbricciolato a favore delle destre e dell’estrema destra, senza che l’aggregazione dei nuovi ceti medi agiati attorno ai diritti civili, a un ambientalismo moralistico e precisamente a presunti “valori democratici europei” possano contrastare con efficacio la defezione dei ceti popolari verso le destre e soprattutto l’astenzione.

Dal referendum del 1992, mentre già i ceti popolari hanno votato contro il Trattato di Maastricht, a quello del 2005, quando si sono aggiunte parti dei ceti medi contro il progetto di Trattato Costituzionale Europeo, molti elettori francesi hanno mostrato sfiducia nei confronti della costruzione europea.
Oggi, i limiti alla sovranità nazionale ripetuti in tante occasioni, dalla Grecia 2015 all’Italia 2018, contribuiscono alla diffidenza ancora diffusa in Francia. Dal “bisogna rispettare prima di tutto gli accordi firmati” (da precedenti governi) per Wofgang Schaeuble al “pilota automatico” di Mario Draghi, che corregge da se la rotta finanziaria ed economica, numerose sono le richiamate alla precedenza delle regole europee su quelle costituzionai e sul voto dei cittadini. Certo, quando c’era un deal tra costruzione europea e interessi economici della maggior parte della popolazione come negli anni 2000 (deal pericolo, come si è visto in Europa del Sud), lo scambio poteva sembrare vincente-vincente, ma oggi, quando l””austerità espansiva” (tanto elogiata per esempio nel caso complesso della Spagna) vede l’espansione approfitare solo a una minoranza della popolazione e quando la vecchia teoria liberista dello sgocciolamento (dall’alto verso il basso) sembra più che mai una bugia, lo scambio appare ai più come una truffa. Ovviamente con conseguenze diverse secondo i Paesi e secondo i momenti.
Nella stampa mainstream e non solo in Francia, l’opposizione chiusura nazionale versus apertura europea è diventata un topos, uno schema ripetuto e spesso non più discusso. Ma allo stesso tempo sono in molti quelli che avvertono però che, nonostante la riduzione degli spazi di dibattito e la crescita dell’astensione, il livello nazionale rimane quasi l’unica area ampia di democrazia, mentre il livello europeo (comunitario o intergovernativo che sia) si afferma come in realtà ristretto, opaco ed permeabile solo alle grandi lobbies.

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Stampa mainstream francese

 

L’analisi della presentazione superficiale della situazione italiana nella stampa mainstream francese mi pare almeno parzialmente giusta? (Certo analisi anche lei un pò superficiale: il Roberto Lombardi è Roberto Maroni, credo!) Ma la vedo almeno plausibile: il franco-centrismo, la macromania da cortigiani del Re Sole (ma oggi per il solo povero “président des riches”) e la mediocrità qualitativa della “stampa dei miliardari” sono una realtà verificabile quotidianamente.

Ho l’impressione che la stampa mainstream attuale, più è europeista sull’economia, meno è in grado di (e ha meno voglia di) informare sugli altri paesi, i popoli e le società europee: bastano i soliti clichés  e i paragoni strumentali, per meglio tornare alla propria scena provinciale-nazionale.
L’Europa è una costruzione di élites, che parlano inglese?
Jean Olivier Pisa

La Flat Tax: rubare alla classe media per dare ai ricchi?

Fonte Pressenza.com

22.05.2018 Gerardo Femina

La Flat Tax: rubare alla classe media per dare ai ricchi?

 

In quasi tutto il mondo ed anche in Italia vige un sistema di tassazione progressivo. Progressivo perché l’aliquota aumenta al crescere del reddito: se guadagno 1000 pago 10 ma se guadagno 10000 non pago 100 ma 120. Questo ha una logica molto chiara e si basa sull’idea di giustizia sociale e ridistribuzione della ricchezza. Chi guadagna di meno utilizzerà il suo reddito soprattutto per beni di necessità ed è quindi giusto che contribuisca alla collettività con una tassazione molto bassa se non nulla. Diversa situazione è quella del “ricco” che può soddisfare le sue necessità basiche utilizzando solo una piccola parte del suo reddito e quindi può pagare una tassa molto più alta senza assolutamente rinunciare ad una vita dignitosa. Se pensiamo questo concretamente osserviamo che una persona con un reddito per esempio di 30.000 euro annuo di fronte all’acquisto di una casa deve far ricorso a tutti i suoi soldi e questo per tanti anni. Una persona con un reddito di 200.000 euro annui non ha di questi problemi.

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Lib-pop: un governo neoliberale più che populista

Fonte Sbilanciamoci

Un grave equivoco circola in Europa: si pensa che in Italia stia nascendo un inedito governo populista. In realtà la Lega è già stata al governo con Berlusconi, Salvini è in una coalizione di centro-destra e ne è diventato il leader ma sono soprattutto le scelte economiche a dare l’impronta all’agenda di governo.

In Italia sta per nascere un governo con un’alleanza senza precedenti tra il Movimento Cinque Stelle (33% dei voti alle elezioni del marzo 2018, 36% dei seggi alla Camera) e la Lega (17% dei voti, 20% dei seggi). L’immagine che prevale è quella di un ‘populismo all’italiana’ arrivato al potere. Ma si tratta di grande equivoco. La Lega è già stata al governo per nove anni con Silvio Berlusconi e ha votato tutte le politiche neoliberali che hanno favorito la finanza, le imprese e il modello di integrazione europea che ora critica. I Cinque Stelle sono pronti a scendere a compromessi su qualsiasi cosa con chiunque – Washington, Bruxelles, imprese, finanza, militari – pur di avere il loro turno al potere, sapendo che il loro grande consenso è nel migliore dei casi temporaneo. Il risultato è che – retorica a parte – il programma di governo è dominato da politiche neoliberali a favore dei ricchi e delle imprese, con una verniciata di populismo: dure misure contro i migranti e piccole mance ai più poveri. Potremmo chiamarla ‘politica lib-pop’, il nuovo esperimento politico di casa nostra.

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Ieri, a Berlin, commovente e interessantissima serata….

Ieri, a Berlin, commovente e interessantissima serata . L’associazione LAF (Lateinamerika-Forum Berlin), presieduta da Werner Wuertele, ha invitato FLAVIO TAVARES a presentare il suo libro “As tres mortes de Che Guevara”, edito da L&PM Editores (per ora disponibile solo in portoghese). Tavares, che da giornalista e fotografo, accompagnò il Che in diverse missioni politiche, è stato Professore all’Università di Brasilia e ha partecipato alla resistenza armata contro la dittatura brasiliana, catturato ed esiliato dopo lo scambio, nel 1969, tra 15 guerriglieri fatti prigionieri e l’Ambasciatore degli USA in Brasile, sequestrato dalle forze della guerriglia. Dopo una lunga e cordiale chiacchierata con l’autore, che ci ha fatto omaggio della pubblicazione con la sua dedica, io e Gino Rubini, di cui ho il privilegio di essere amico da oltre mezzo secolo, abbiamo ripreso la strada di casa con l’animo pieno e leggero, rafforzati nella nostra convinzione che, anche per noi ultrasettantenni, la lotta continua.

Franco Di Giangirolamo

“Libre o preso, Lula va a ser presidente de Brasil”

https://www.facebook.com/Pagina12ok/videos/2143264862564117/

“Libre o preso, Lula va a ser presidente de Brasil”
Una mesa amplísima encabezada por la presidenta derrocada en Brasil convirtió la presentación del libro Lula – La verdad vencerá en un acto continental por la libertad del líder preso.

Affermazione di Dilma Rousseff, presidente del Brasile un mandato pieno, eletta ancora una volta nel 2014, ha assunto l’incarico nel 2015 e rovesciata nel 2016: “Temo per la vita di Lula, per il cibo che mangia e per  l’acqua che beve, e perché è stata impedita la visita di un medico “. Un altro: “Con Lula stanno usando la giustizia del nemico”, che individua chi distruggere e poi si vede come. È il sistema del lawfare che usa la legge come strumento di guerra……..
Questo era il tono dominante della presentazione presso la Sala Jorge Luis Borges della Fiera del Libro, da “La verità vincerà” il libro dei colloqui con Lula che hanno pubblicato PáginaI12, Editoriale ottobre, Boitempo editoriale e il Consiglio latinoamericano delle Scienze Sociali , in vendita dalla scorsa domenica presso i chioschi. E ‘il libro in cui Lula racconta come il colpo di Stato, perché non si è rifugiato in un’ambasciata piuttosto che andare in galera, quali errori ha fatto il Partito dei lavoratori e quello che è successo ai membri della élite sarà arrabbiato è stato concepito quando i poveri iniziarono salire sugli aerei….

L’ARTICOLO PROSEGUE SU PAGINA12

Rossana Rossanda: Macron l’americano

di Rossana Rossanda

Fonte Inchiestaonline.it

 

Diffondiamo da sbilanciamoci.info del 26 aprile 2018

Grande frastuono mediatico in Francia per la visita di Emmanuel Macron al presidente degli Stati Uniti: in questo momento, mentre scrivo, sta concludendosi con un discorso in inglese al congresso. Si sono sprecati gli abbracci, i baci e altre carinerie.

Tutti e due, il Donald e l’Emmanuel, avevano bisogno di una immagine rinfrescata; ma il bilancio politico del presidente francese appare modesto. Soprattutto sono emersi i dissensi a proposito del Medio Oriente e in particolare dell’Iran: Macron era molto più mite di quanto non sia stato il suo ospite americano, che ha addirittura alzato la voce contro i fatali persiani. “Abbiamo riempito il Medio Oriente con miliardi di dollari, senza averne nulla in cambio: adesso la musica cambia!” Macron ha cercato di rimediare la violenza di Trump, proponendo un rinnovo del contratto a suo tempo firmato da Obama, ma Trump non ha ceduto: la scadenza del vecchio contratto è il 12 del mese prossimo. In quel giorno, Trump farà sapere il suo parere.

Neanche sul problema dei dazi su acciaio e alluminio esportati dalla Francia si è lasciato commuovere, ma questo è secondario rispetto alle ambizioni di Macron di svolgere un ruolo internazionale come rappresentante degli stati europei. Effettivamente, è più lui ad aver bisogno dell’amico americano che il reciproco: Trump ha l’aria di stare benissimo anche da solo, mentre Macron si trova in una difficile situazione nel proprio paese.

Lo sciopero dei ferrovieri non declina, anche se è molto difficile da sopportare per gli utenti: anzi, i ferrovieri hanno segnato un punto rifiutandosi di continuare il dialogo fra sordi con la ministra dei trasporti Elisabeth Bornet. Hanno interrotto i rapporti con lei chiedendo di trattare direttamente col presidente del consiglio Edouard Philippe, e dopo qualche diniego, lo hanno ottenuto: l’incontro fra tutte e tre i sindacati e Philippe avrà luogo il 7 maggio. Sono in ballo non soltanto le sorti della SNCF e in particolare il suo ingente debito, ma anche lo statuto speciale dei ferrovieri, che il governo intende rinnovare: effettivamente, era diversa la condizione di lavoro quando i macchinisti dovevano riempire di carbone le locomotive in mezzo a un sudiciume e un calore asfissiante, tuttavia il pensionamento anticipato rispetto ad altre categorie e i vantaggi salariali non sono “privilegi” cui è facile rinunciare. Lo sciopero che si rinnova ogni 10 giorni e dura ogni volta 48 ore, non declina e fino ad oggi è appoggiato anche dall’opinione pubblica che continua ad amare i suoi cheminots. Non solo, ma la compagnia aerea di bandiera Air France si è aggiunta all’agitazione della SNCF, sia pure senza l’andamento a singhiozzo della mobilitazione dei ferrovieri. Anche alcune università si sono inserite nel movimento: niente però di simile alle molte rievocazioni del ’68.

In questa situazione, a Macron giova vantarsi di essere il primo rappresentante di un paese europeo che Trump ha invitato, non senza stendere il tappeto rosso e tutti gli onori del cerimoniale. Anche le due consorti Brigitte e Melania hanno fatto la loro parte: mentre gli uomini si occupavano di politica, cioè delle cose serie, esse, bianco vestite, visitavano una esposizione di Cézanne oppure (Melania) si occupavano del menu e della decorazione del tavolo serale. Naturalmente la stampa degli Stati Uniti ha dato all’evento minore rilievo di quella francese, che non ci ha risparmiato nulla dei tre giorni di visita.

LA DISUGUAGLIANZA HA MILLE FACCE di Nadia Urbinati

 

FONTE FACEBOOK.COM

Destra, sinistra e nuove categorie
LA DISUGUAGLIANZA HA MILLE FACCE
Nadia Urbinati

Il segno più eclatante delle ultime consultazioni elettorali è stato da molti analisti sintetizzato così: la sinistra vince in centro e perde nelle periferie, dove vince il populismo nazionalistico o il gentismo anti-partitico. Il fenomeno non è solo italiano. Si è verificato con l’elezione di Trump, con Brexit e con l’arrivo di Macron all’Eliseo. Viene esaminato in relazione con la crescita delle diseguaglianze che hanno mutato la fisionomia del popolo sovrano, dividendolo in nuovi patrizi e nuova plebe. Per la prima volta da quando la democrazia è rinata, dopo la seconda guerra mondiale, l’andamento delle relazioni tra classi e forze politiche ha subito un mutamento profondo che cambia il significato dei termini “destra” e “sinistra”. Se fino agli anni ’ 80 il voto ai partiti di sinistra o centrosinistra era associato a basso tenore di vita, meno cultura e minor reddito, dalla fine del secolo si è sempre più associato alle élite con alta educazione e buoni redditi.

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Ridurre del 10% la spesa militare può salvare il nostro Pianeta!

Martedì, 24 Aprile 2018

Foto: Disarmo.org

Il cambiamento climatico e il riscaldamento del pianeta causato dall’uomo sono problemi giganteschi che avranno effetti devastanti su gran parte della popolazione mondiale. Le strategie politiche che stanno distruggendo il nostro pianeta alla ricerca di benefici solo per pochi possono essere sostenute solo dalla violenza, e la violenza è solitamente condotta attraverso gli eserciti e rafforzata dal militarismo e dalle spese militari. Gli affari di guerra, alimentati dai molti complessi militari-industriali, si basano sul commercio di armi e sulle strutture di potere che portano a morti civili e conflitti devastanti, depredando il pianeta e contribuendo attivamente al cambiamento climatico. Le azioni per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici richiedono una massiccia riduzione delle spese militari e rinnovati sforzi per utilizzare per risolvere i conflitti attraverso negoziati. 

Le spese militari nel 2016 sono arrivate ad un totale di 1.680 miliardi di dollari.Molti Governi stanno pianificando aumenti nei bilanci militari in contemporanea a tagli per la sanità, l’istruzione e la cooperazione allo sviluppo. Le notizie sul potenziamento del budget militare proposto negli Stati Uniti sono allarmanti: il Congresso ha recentemente approvato un aumento di 165 miliardi di dollari nelle spese militari nei prossimi due anni. Nel frattempo molti altri stati come Australia, Nuova Zelanda, Francia, Regno Unito, Germania, Camerun, Kenya, Nigeria, Spagna, Italia e altri stanno seguendo le linee guida degli Stati Uniti senza alcuna discussione. Le guerre in Siria e nello Yemen sono alimentate dal commercio di armi mentre la Corea del Nord viene utilizzata per giustificare una nuova corsa agli armamenti. Il Primo Ministro giapponese Abe sta tentando di emendare l’articolo 9 Costituzione giapponese che rinuncia esplicitamente alla guerra. L’Unione Europea (per la prima volta nella sua storia) investirà a breve ingenti fondi per sviluppare nuovi sistemi d’arma. Ciò potrebbe anche innescare una corsa agli armamenti in regioni come l’Africa e il Medio Oriente, dove sono dirette importanti esportazioni europee. Stiamo assistendo a massicci aumenti delle spese militari (incluse le armi nucleari, nonostante il recente Trattato per la messa al bando votato all’ONU) da parte delle grandi potenze, aumentando il pericolo di guerre disastrose. Ciò avviene in un momento in cui il “Bullettin of Atomic Scientist” ha spostato le lancette del “Doomsday Clock” a 2 minuti a alla mezzanotte, il punto più vicino all’annientamento globale dal momento dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

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Sindacati belgi, e internazionali: si allarga lo schieramento che chiede la liberazione di Lula e un percorso elettorale equo e trasparente

I sindacati belgi insieme al sindacato internazionale hanno chiesto l’immediato rilascio dal carcere dell’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. In una lettera consegnata all’ambasciatore brasiliano a Bruxelles, la CSC, la FGTB, la CIS e la Confederazione europea dei sindacati hanno dichiarato che la reclusione arbitraria di Lula è una minaccia per la democrazia. I sindacati di Asunción, Buenos Aires, Ginevra, Giacarta, Lima, Londra e Rabat si sono dati appuntamento ieri anche nelle ambasciate brasiliane, in seguito alle proteste di Madrid, Montevideo, Parigi, Roma e Washington, D.C.“Lula è stato giudicata colpevole da un tribunale di grado inferiore sulla base di nessuna prova, qualcosa che gli stessi giudici della bassa corte hanno ammesso. Lula è il politico più popolare del Brasile e la persecuzione giudiziaria ha lo scopo di impedirgli di diventare nuovamente presidente “, ha detto il segretario generale dell’ITUC Sharan Burrow.

Gli avvocati di Lula hanno portato il caso al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, sottolineando l’evidente pregiudizio di giudici e pubblici ministeri e chiedendo al Consiglio di riconoscere che “il tribunale regionale che lo ha riconosciuto colpevole, il giudice Sérgio Moro e il procuratore federale hanno ha violato i diritti di Lula alla privacy, il diritto a un processo equo, la libertà dall’arresto arbitrario, il diritto alla libertà di movimento e il diritto alla presunzione di innocenza fino a che non venga dichiarato colpevole”, si legge ancora nella nota.

Il movimento sindacale europeo si trova in assoluta solidarietà con i sindacalisti brasiliani e aiuterà in ogni modo possibile “la loro battaglia per difendere la democrazia e ripristinare lo stato di diritto”, ha affermato il segretario generale della CES Luca Visentini.

“Questa è l’ultima di una serie di gravi minacce alla democrazia in Brasile. Il movimento operaio belga sta con Lula per la lotta per il popolo brasiliano e la sua democrazia “, ha detto il presidente della CSC Marc Leemans.

“Siamo profondamente preoccupati dalla volontà delle forze conservatrici di mettere sotto accusa, con ogni mezzo, l’ex presidente Lula per essere candidato a un processo elettorale giusto e democratico”, ha affermato il segretario generale dell’FGTB, Robert Vertenueil.

Il Nord che cambia, un’inchiesta operaia fresca di stampa

Fonte: Sbilanciamoci

“Ma come fanno gli operai” è il titolo del libro di Loris Campetti risultato di una lunga inchiesta operaia nelle fabbriche e nei cantieri del Nord Italia. Ne esce una imprescindibile radiografia dei rapporti con i sindacati, la rappresentanza, gli immigrati.

Loris Campetti ci porta in giro per l’Italia del Nord a colloquio con venti o trenta dei suoi amici e delle sue amiche. Sono tutti operai, tanto che il titolo del viaggio è “Ma come fanno gli operai”. L’editore del libro, Manni, riassume così: “Precarietà, solitudine, sfruttamento/ Reportage da una classe fantasma”.

Loris ha di certo un’ invidiabile capacità di mettere a proprio agio le persone; le fa parlare, si confidano con lui, sono convinte che lui capisca i loro problemi e sappia spiegarli: dunque, da Torino al Varesotto, dalle valli di Brescia alla Bergamasca, dal Veneto al mare di Trieste impariamo a conoscere i lavori e la speranze della classe fantasma. Le persone che ci raccontano della loro vita sono per lo più inserite nella produzione metalmeccanica, tranne gli occhialai del bellunese che lavorano naturalmente al “miracolo” Luxottica oltre ai “ragazzi” della gig economy e la gente delle cooperative, dalle parti di Reggio Emilia.

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I nuovi schiavi… degli algoritmi e delle gerarchie aziendali

fonte controlacrisi.org

orologio

Vogliamo andare in ordine sparso cedendo alla presunta caoticità di argomenti che solo un osservatore superficiale giudicherebbe tra loro scollegati.
Nei giorni scorsi, una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che i lavoratori pubblici e quelli privati di fronte alla gerarchia aziendale e a ordini di servizio anche illegittimi debbono rispondere nel medesimo modo: obbedire.
Credere, obbedire e servire al posto del credere, obbedire e combattere di epoca mussoliniana, il diritto del lavoro è ormai prono ai rapporti di forza che da 30 anni a questa parte sono decisamente a favore dei padroni.

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« Ils ont oublié les leçons du Rana Plaza »

 

Garment worker Ziasmin Sultana survived the Rana Plaza building collapse on 24 April 2013, but 1,298 of her peers have been killed in Bangladesh’s garment factories since 2012.

(Musfiq Tajwar)

Suite à l’effondrement du Rana Plaza, au Bangladesh, où 1134 travailleuses et travailleurs de l’habillement ont péri et des milliers d’autres ont été blessés, l’horreur de la tragédie a suscité une mobilisation internationale qui a conduit à des améliorations notables au plan de la sécurité dans la majorité des quelque 3000 fabriques et ateliers du secteur de l’habillement.

Cependant, d’après les organisateurs des travailleurs de l’habillement au Bangladesh, cinq ans après la tragédie du 24 avril 2013, une majorité d’employeurs font preuve de négligence en matière de sécurisation des sites de production. Toujours d’après eux, le gouvernement fait très peu pour assurer que les travailleuses et travailleurs de l’habillement soient libres de former des syndicats aux fins d’accéder à des conditions de travail sûres. Depuis l’incendie de l’usine Tazreen, où 112 personnes ont péri en 2012, il est estimé que 1298 travailleurs de l’habillement ont été tués et 3875 blessés dans des catastrophes dues à des incendies, d’après les données du Solidarity Center.

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Francia: Ieri un’altra grande giornata di sciopero in Francia. Oggi la polizia sgombera Tolbiac

 Fonte Dinamopress

Continua lo sciopero francese con adesioni e numeri di piazza altissimi. Questa mattina il governo Macron ha lanciato la sua durissima controffensiva sgomberando la sede universitaria di Tolbiac

In Francia prosegue la lotta su più fronti contro il governo e le politiche di Macron che ha lanciato un’offensiva a 360 gradi contro tutto il settore pubblico, dai trasporti della SNFC all’Università, dalla loi asile et immigration al tentativo di sgombero della ZAD. Macron ha rivelato il suo vero volto neoliberale che unisce privatizzazione selvaggia e conservatorismo estremo –peggio di Le Pen, si dice nelle piazze. Ecco di quale “guerra civile europea” sta parlando.

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Si taglia tutto, ma mai la spesa per le armi: nel 2018 aumenta del 7%

Fonte MILEX

Articolo di addioallearmi.it del 6 aprile 2018

Tagli alla sanità, ai servizi pubblici, alle pensioni. Tagli ovunque, spesso orizzontali, ignorando le necessità dei cittadini: il tutto nel sacro impegno dei risparmi per le casse dello Stato. Ma nessuno ha pensato di concentrarsi su un capitolo ricco, che non conosce crisi: le spese militari; che nel 2018 sfioreranno (salvo eventuali ritocchi al rialzo) i 25 miliardi di euro. Né tantomeno il governo Gentiloni ha previsto specifiche riduzioni di spesa per gli armamenti. Anzi, al contrario: rispetto allo scorso anno è stato messo in conto un incremento del 7%. Una questione che si pone al prossimo governo e al nuovo Parlamento, peraltro già gabbato sulle reazione per l’export delle armi made in Italy.

L‘Osservatorio Mil€x ha sintetizzato lo studio realizzato sull’ultima legislatura, in relazione alla spesa militare complessiva.

Nei cinque bilanci dello Stato 2014-2018 di diretta responsabilità di questa legislatura c’è stata una crescita di circa il 5% delle spese militari, valutate secondo la metodologia Mil€x. Si è passati da 23,6 miliardi annui ai quasi 25 miliardi appena deliberati, con una crescita avviata due anni fa dai Governi Renzi e Gentiloni che hanno deciso una risalita dell’8,6% (quasi 2 miliardi in più) rispetto al bilancio Difesa del 2015 (l’ultimo a risentire degli effetti della spending review decisa nel 2012 dal Governo Monti e applicata dal successivo Governo Letta anche al Ministero della Difesa).

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Marielle presente! Intervista a Daniela Albrecht – di Michela Pusterla

 Fonte Effimera.org

*Daniela Albrecht è laureata in psicologia e ricercatrice in servizio sociale, militante del movimento antimanicomiale e del PSOL di Rio de Janeiro

MP: Un mese fa, l’uccisione di Marielle Franco, consigliera comunale di Rio de Janeiro per il PSOL e militante nera, femminista e lesbica, e dell’autista Anderson Gomes hanno avuto una straordinaria eco globale, riverberata dalle reti sociali a centinaia di piazze cittadine. In Italia, il ruolo fondamentale nell’organizzazione è stato svolto da Non una di meno, facendo sì che l’attenzione fosse focalizzata (com’è legittimo) sulla militanza femminista di Marielle. Nella sfera mediatica italiana, quantomeno, ne è nata una narrazione concentrata sulla vicenda personale di Marielle e sulla sua figura potentissima, che ha forse trascurato il contesto di quella che Giuseppe Cocco su effimera ha definito «un’esecuzione politica» e ha isolato Marielle dalla sua militanza, cioè dal motivo per il quale è stata uccisa. Tuttavia, gli eventi successivi che hanno coinvolto il fondatore del PT hanno rifocalizzato l’attenzione mediatica italiana ed europea sul Brasile, producendo un moto di affetto politico – tanto comprensibile quanto spesso acritico – nei confronti di Lula. Non sono mancati interventi – tra i quali citerei quello di Eliane Brum uscito su El País e tradotto su Transglobal e Euronomade – che hanno avuto la capacità di analizzare il funzionamento della macchina mitologica del Lula in vita e le contraddizioni insuperabili del progetto politico del PT. Questa intervista – realizzata il 2 aprile 2018 – si pone come obiettivo quello di provare a comprendere la situazione politica brasiliana attraverso l’esecuzione di Marielle Franco e insieme le ragioni di quella esecuzione alla luce di quel contesto, in un dialogo con una voce interna al partito nel quale Marielle Franco militava.

MP: Qual è la situazione in Brasile?

DA: Per capire meglio il contesto del Brasile oggi, secondo me, è necessario partire dal 2013 – un anno di grande sconvolgimento sociale e mobilitazioni di piazza, che scoppiarono quasi all’improvviso, a seguito dell’aumento dei prezzi dei biglietti degli autobus. In quel momento, divenne chiaro alla borghesia che il Partido dos Trabalhadores (PT), dopo 12 anni al potere, non era più in grado di mantenere il suo ruolo nel patto sociale, di garantire il consenso sociale intorno al progetto borghese come aveva fatto fino ad allora. Allora la borghesia cominciò a interrogarsi sul suo progetto politico, a perdere unità intorno a questa sua rappresentanza politica, con una parte della borghesia che cominciò a volere la caduta del governo PT.  In quella occasione, la stampa brasiliana – che solitamente criminalizza fortemente le lotte sociali – di fronte alla portata delle manifestazioni popolari trasformò radicalmente la sua strategia e tentò di intestarsi le manifestazioni, dettandone le parole d’ordine. Tentò cioè di depoliticizzare quelle rivendicazioni che avevano un contenuto sociale e chi contestava l’ordine in questo senso, lanciando lo slogan della lotta alla corruzione. Una parte della stampa era già contro lo stesso PT.

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Migranti, Open Arms: “Nave dissequestrata, ma buona notizia a metà”

Fonte Pressenza.com

Migranti, Open Arms: “Nave dissequestrata, ma buona notizia a metà”
(Foto di DIRE)

Il dissequestro della Open Arms è una buona notizia, ma è una piccola battaglia vinta all’interno di una situazione che resta difficile: l’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e associazione a delinquere contro i nostri due operatori continua. Ma la decisione di oggi dimostra che stiamo andando verso la verità“. A parlare alla DIRE è Riccardo Gatti, portavoce della ong spagnola Proactiva Open Arms.

Poche ore fa il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo, ha deciso di far cadere il provvedimento di sequestro della nave, ferma al porto di Pozzallo dal 18 marzo. Il fermo della nave cadrà entro la giornata. Ma proseguono le indagini a carico di Marc Reig Creus, il comandante della nave di ricerca e soccorso, e del capo missione Ana Isabel Montes Mier, che ad ogni modo “si imbarcheranno oggi stesso“.

 

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“La Open Arms deve ripartire al più presto- prosegue Gatti – ma adesso la porteremo ‘in secca’, per valutare i danni subiti mentre è rimasta ferma al porto. Qualche giorno fa c’è stato mare grosso. Oggi stesso partirà invece la Astral, e intanto continuiamo a cercare una nave che possa sostituire la Open Arms: non sappiamo quanto ci vorrà per metterla a posto, forse qualche settimana, forse più di un mese”.

Sebbene le donazioni alla ong si siano ridotte del “40 per cento da luglio scorso, più o meno da quando sono iniziate le accuse di traffici illeciti contro le navi che salvano migranti nel Mediterraneo”, Gatti dichiara di aver assistito a una dinamica positiva: dopo il sequestro della loro imbarcazione, “abbiamo ricevuto un enorme supporto non solo dai singoli cittadini e associazioni, ma anche dalle istituzioni e dalle piccole amministrazioni. E’ questo che ci sta aiutando ad andare avanti”.

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L’indagine contro la Proactiva Open Arms è stata avviata dal gip di Catania Carmelo Zuccaro, dopo che è sopraggiunto un problema di competenza a intervenire tra l’imbarcazione e la Marina militare libica, nell’ambito di un triplice intervento di salvataggio che ha coinvolto oltre 200 migranti nel Mediterraneo.

Secondo il giudice di Catania, la nave avrebbe trasportato i migranti in Italia violando le norme sulla competenza. Il salvataggio secondo le autorità italiane in un primo momento sarebbe dovuto spettare alla Marina militare libica, ma l’ong ha contestato il fatto che l’incidente non sia avvenuto nelle acque territoriali di quel Paese. Gli operatori inoltre denunciano di essere stati “minacciati di morte dalle autorità libiche“, se non avessero consegnato i profughi appena tratti in salvo.

Cosa che si sono rifiutati di fare, temendo per l’incolumità dei profughi. Inchieste giornalistiche e testimonianze raccolte da operatori sostengono che in Libia i migranti subiscano gravi violazioni dei diritti umani, ed è sulla base di tali accuse che  la Proactiva ha preferito portare i migranti nel territorio italiano.

 

Lula, l’umano

 Fonte Associazione Transglobal 

Introduzione e traduzione di Stefano Rota – Associazione Transglobal

Il 7 aprile 2018 si è verificato un fenomeno piuttosto raro: una esplicita richiesta da parte di un uomo in vita del riconoscimento di una sorta di trascendenza verso una dimensione non umana, verso una forma-mito. La richiesta è stata accolta da una larga parte della popolazione che lo sostiene, in ragione del ruolo importantissimo che ha svolto quest’uomo nella storia recente del proprio paese: si tratta di Luiz Inácio Lula da Silva e il paese è quindi il Brasile.

Tutti noi che abbiamo visto nel laboratorio politico dell’America Latina dello scorso decennio una possibilità concreta di contrapposizione continentale al neoliberismo globale abbiamo messo post sui social network con foto che ritraevano Lula letteralmente sommerso dall’abbraccio del suo Popolo. Tutti noi che parliamo portoghese abbiamo seguito il discorso dell’ex presidente il giorno della sua consegna alla Polizia Federale – dopo aver assistito alla messa in suffragio della moglie – trasmesso in diretta anche dalla televisione portoghese. Forse molti, non tutti, sono rimasti un po’ colpiti dalla modalità discorsiva e dal linguaggio scelti da Lula. Nessuno, incluso il sottoscritto, ha sentito però il bisogno di rendere pubblico un certo disagio, perché il momento era drammatico: Lula andava difeso, punto e basta. Quella tragedia umana (umana!) che si apprestava a dispiegare la sua pagina più dolorosa, presentandogli un conto salatissimo e ingiustificato, è frutto di una macchinazione golpista orchestrata dai nemici politici che non gli avevano perdonato le misure sociali, economiche e politiche a favore dei ceti popolari e da sempre svantaggiati (ma non tutti!), come argine, molto parziale, invero, delle logiche sviluppiste e neoliberiste in cui è lanciato il paese; una macchinazione che lo aveva trascinato nel fango, tuttora senza prove concrete, dello scandalo di corruzione “Lava Jato”.

 

Il 9 aprile, sull’edizione brasiliana di El Paìs esce questo articolo di Eliane Brum, che riportiamo qui tradotto. E’ un articolo lungo, ma vale la pena leggerlo tutto, perché di quella vicenda complessiva offre una lettura sobria, rotonda, facendo giustizia dei nostri imbarazzi e riportando al centro la caleidoscopica composizione e le contraddizioni di un paese, a cui Lula prima e soprattutto Dilma dopo, hanno offerto soluzioni a volte quanto meno imbarazzanti, creando delle fratture tra un Brasile e un altro, tra metropoli e Amazonia, tra sviluppo e diritti umani e non-umani, tra cittadini “sviluppabili” e lavoratori marginali, indigeni e negros delle favelas. E molto altro (Stefano Rota).

Lula, l’umano

Di Eliane Brum*

 

“Io non sono più un essere umano. Io sono un’idea”. La frase del discorso di L. I. Lula da Silva prima della prigione dal palco del sindacato dei metallurgici di São Bernardo do Campo, è già diventato celebre, come era programmato. Ma il simbolo di questo momento che passerà alla storia non è stato il discorso, ma piuttosto l’immagine presa dall’alto, in cui colui che aveva appena finito di proporsi non come candidato, ma come una leggenda, sembra mutuare la propria sostanza nella moltitudine che lo circonda. “Questo paese ha milioni e milioni di Lula”.

Il problema di colui che vuole essere un mito in vita è la vita stessa. La vita intralcia il mito. La vita ricorda al mito, giorno dopo giorno, che è umano, troppo umano. Questo è un pericolo per il mito. Consapevole di questo rischio, Getùlio Vargas (1882-1954) [politico progressista brasiliano della prima metà del secolo scorso] si suicidò, con l’accortezza di lasciare una lettera-testamento impeccabile dal punto di vista storico, in un ultimo slancio di genialità politica. Il Padre dei Poveri del Brasile del XX secolo sapeva che la vita ostacolava la leggenda.

Lula crede di poter essere un mito in vita, il corpo arrestato nella cella della Polizia Federale di Curitiba, mentre il mito attraversa il corpo della moltitudine. E’ in questa direzione che si sono rivolti gli sforzi principali di Lula, da quando la prigione si è manifestata come una possibilità sempre più concreta e vicina. Le frasi in questo senso sono state molte nelle ultime settimane; la più messianica è questa: “Loro si stano raffrontando con un essere umano differente: io non sono io, io solo l’incarnazione di un pezzetto di cellula di ognuno di voi.”

Il fatto che quella che è già diventata l’immagine storica del momento sia stata la foto scattata da sopra non è un dato qualunque. Da sopra c’è il mito, da sotto, nell’interno della moltitudine, ci sono le realtà e i sentimenti più umani. Ma la foto segna un punto importante, mostrando che Lula si intende di politica molto più di Sérgio Moro [giudice federale a capo dell’operazione Lava Jato], che scommetteva nella foto di Lula arrestato, sconfitto dall’operazione Lava Jato. Dovrà invece fare i conti con la foto di un mito tra le braccia del popolo. Non è un peso di poco conto per un uomo vanitoso come Moro, che aspira a un luogo di rispetto nella Storia. Nessuno vuole il posto di un Carlos Lacerda [politico brasiliano della metà del secolo scorso, conservatore e alleato delle forze interventiste dell’esercito, oppositore del candidato alle presidenziali nel 1950 per le forze progressiste Getùlio Vargas, ai cui danni orchestrò un attentato].

La storia, però, è un punto interrogativo, perché il passato è costruito nel futuro. Niente sembra più incerto del futuro del Brasile. La memoria di Lula è ancora oggetto di disputa.

Il futuro è imprevedibile anche nel modo in cui la memoria sarà costruita nel mondo che verrà. Non siamo ancora in grado di comprendere come internet ripercuote e cambia quello chiamiamo memoria. Il futuro del Lula storico no sarà determinato dai libri di storia scritti da accademici o da biografie fatte da giornalisti – o per lo meno non solo da loro – come accadde con Vargas e altre icone della traiettoria del Brasile. Questo rappresenta già un nuovo dato del momento. Solo più avanti sapremo se un martire di sinistra in carcere ha la forza che ebbe nel futuro del passato, quando internet non entrava nella costruzione delle narrazioni.

Lula è arrestato, non morto. Lula è ancora nel gioco del presente.

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Dentro le ragioni dell’assalto a Lula

 

fonte ComuneInfo

di Raúl Zibechi

La votazione degli undici giudici del Supremo Tribunale Federale (STF), nella notte di mercoledì 4 aprile, presuppone la fine della carriera politica di Luiz Inácio Lula da Silva, così come desideravano i militari, i grandi imprenditori, il governo degli USA e un importante settore della società brasiliana.

L’offensiva permanente della destra durante gli ultimi cinque anni, gli ha permesso di compiere il suo sogno più desiderato: disarcionare Lula dalle elezioni presidenziali di ottobre, per le quali era il favorito con il 35% di sostegno popolare, molto lontano dagli altri candidati.

Il STF ha votato negativamente l’habeas corpus presentato da Lula, che gli avrebbe permesso di aspettare il risultato del processo per arricchimento illecito, che è stato confermato in seconda istanza. Il tribunale si è appellato alla giurisprudenza che dice che ogni processato, la cui pena è confermata in seconda istanza, entrerà in prigione. In effetti, il passato gennaio Lula è stato condannato da un tribunale federale a 12 anni.

Sembra necessario ripassare le ragioni che hanno portato ciascuno di quei settori ad appoggiare la condanna di Lula, al di là della sua presunta colpevolezza. Anche molti politici dovrebbero stare nei tribunali per delitti ancor più gravi, come l’attuale presidente Michel Temer, in una chiara dimostrazione di una doppia misura della giustizia, delle istituzioni e della stessa società brasiliana.

In primo luogo, per gli USA i governi di Lula non furono specialmente problematici, per lo meno se ci atteniamo alle dichiarazioni di ambedue le parti. Salvo su un punto: il progetto di autonomia nella difesa, concretizzatasi nella costruzione di un sottomarino nucleare, oltre alla capacità di fabbricare caccia di quinta generazione e al potenziamento della base di satelliti di Alcántara, vicina alla linea equatoriale.

“Casualmente”, da quando Dilma Rousseff fu disarcionata dal governo nell’agosto del 2016, i tre progetti affrontano delle serie difficoltà, anche se le autorità si impegnano a negarlo. Il terzo fabbricante mondiale di aerei commerciali, l’Embraer, che ha firmato un accordo con la svedese Saab per i caccia brasiliani, è in via di fusione con la statunitense Boeing, fatto che può rendere vano lo sviluppo che renderebbe autonoma la forza aerea.

Riguardo al sottomarino nucleare, insistere solo sul fatto che è a carico della ditta di costruzioni Odebrecht, in alleanza con la francese DCNS, che è seriamente indagata dalla giustizia, e che può mandare all’aria tutto il programma strategico. Non può essere casuale che solo l’Odebrecht stia nell’occhio della giustizia quando tutte le imprese di costruzioni operano allo stesso modo.

8 aprile 2018, Lula e il suo popolo

Gli USA sono vicini a giungere ad un accordo con il governo di Temer per operare nella base di Alcántara, che per la sua ubicazione geografica permette un risparmio fino al 30% del combustibile. Questo è unito al sottomarino nucleare, uno dei punti più sensibili per il Pentagono.

La seconda questione sono i grandi imprenditori, che avevano mantenuto un atteggiamento favorevole ai governi del PT, per lo meno fino all’anno 2012. Nonostante ciò, il rafforzamento del movimento sindacale e l’irruzione delle nidiate più povere dei lavoratori nel movimento degli scioperi del 2013, che batté tutti i record storici nella quantità di scioperi, li convinsero della necessità di interrompere il corso della presa di potere del movimento operaio.

In questo senso, bisogna ricordare che la federazione industriale di San Paolo (PIESP), la più potente del paese e una delle più ricche del mondo, è tornata a giocare il medesimo ruolo che ebbe nel 1964 quando fu la principale artefice del colpo di stato militare che abbatté Joao Goulart.

La terza incognita sono le forze armateSotto i governi di Lula (2003-2010) furono uno dei settori più privilegiati. Fu programmato un importante riarmo, come era avvenuto solo sotto la dittatura militare (1964-1985). Fu rafforzato il complesso industriale-militare con sede nella città paulista di Sao José dos Campos, con accordi con imprese europee che hanno aperto nuovi affari alle compagnie brasiliane coinvolte nella difesa.

Ma soprattutto, è stata definita una Strategia Nazionale di Difesa che è stata concordata con gli alti comandi, il governo e gli imprenditori, che definisce nuovi e più ambiziosi progetti per le Forze Armate.

Due di questi stabiliscono la creazione di una seconda base navale alla foce del Rio delle Amazzoni, che si aggiungerebbe all’attuale situata a Río de Janeiro. Parallelamente, il rafforzamento della vigilanza sui giacimenti off-shore della piattaforma marittima, implica la progettazione di una potente flotta di sottomarini convenzionali e nucleari.

Le ragioni che hanno portato al cambio di direzione militare hanno due basi. La prima è la politica sottile ma persistente degli USA, che non hanno mai visto di buon occhio la costruzione del sottomarino nucleare né l’autonomia satellitare, progetti che hanno persistentemente minato dietro le quinte. Anche se un settore dei militari brasiliani ha delle forti inclinazioni nazionaliste, c’è un altro settore molto dipendente dalla logica statunitense che pone il Venezuela, la Russia e l’Iran come nuovi demoni che giocano lo stesso ruolo del comunismo, sotto la dottrina della sicurezza nazionale che portò ai colpi di stato dei decenni del 1960 e 1970.

Il secondo, è il crescente ruolo della destra civile nelle caserme. Molti alti comandi rifiutano qualsiasi menzione dei crimini di lesa umanità commessi durante la dittatura. La ex presidente Rousseff fu torturata da militari, comportamento che è esaltato da vari alti comandi che non hanno mai accettato la minima critica della repressione della dittatura.

Da ultimo, le classi medie e medio alte hanno intensamente militato contro Lula e i quattro governi del PT. Così come non ci fu rottura con la dittatura, in Brasile nemmeno c’è stata una  decolonizzazione sociale e culturale che avrebbe democratizzato la società e le relazioni tra bianchi e neri (il 54% dei brasiliani). Questi ostacoli hanno provocato l’attuale polarizzazione sociale e politica, in risposta all’ascesa dei più poveri al rango di classi medie. Ma queste eredità sono, anche, alla base della crescente decomposizione di un paese che si proponeva come potenza globale.

Gli umanisti brasiliani ripudiano l’incarcerazione illegale di Lula

Fonte Pressenza.com

10.04.2018 Partido Humanista do Brasil

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Portoghese, Greco

Gli umanisti brasiliani ripudiano l’incarcerazione illegale di Lula

Il Movimento Umanista Internazionale  si oppone all’ingiusto ordine di incarcerazione politica dell ex-presidente del Brasile, Luis Inácio Lula da Silva.

Denunciamo un processo kafkiano

Noi ci opponiamo a questa decisione frettolosa, manipolata dal Ministro Carmen Lucia, e spinta dai media e dai generali dell’esercito che non hanno seguito le normali procedure, semplicemente per far fuori Lula dalle elezioni del 2018.

Denunciamo una carcerazione politica

Noi ci opponiamo a questa angosciante e frettolosa carcerazione che dimostra la disperazione delle elites brasiliane di cogliere questa opportunità, a tutti i costi, prima che si apra il registro dei candidati . Dimostrazione del fallimento delle elites, dato che non hanno candidati sostenibili a difesa del loro programma di ritorno al passato.

Denunciamo accuse senza prove

Noi ci opponiamo all’insolita accusa basata su un power point  e la  confusa sentenza di Moro che ordina gli arresti per “convinzione” senza presentare uno straccio di prova.

Denunciamo le bugie dei media

Noi ci opponiamo al linciaggio dei media portato avanti dal network di Globo TV, che mente sistematicamente all’intera popolazione, manipolando l’informazione a servizio di un golpe giudiziario e degli interessi nordamericani.

Denunciamo la propaganda di Netflix

Ci opponiamo alle armi della propaganda mascherate come film e serie tv che si presuppone siano basate su eventi reali, che hanno lo scopo di distorcere i fatti e creare una visione storicamente falsa del momento attuale, incitando all’odio e confondendo la popolazione.

Denunciamo l’intervento militare

Ci opponiamo alle minacce dei generali in pensione e in servizio, che hanno voluto la carcerazione di Lula e che tacciono sull’impunità di Aécio, Temer, che mettono sotto silenzio l’assassinio di Marielle Franco, relatrice della commissione d’inchiesta sull’intervento militare a Rio de Janeiro.

Denunciamo l’autoritarismo giudiziario

Ci opponiamo alla decisione arbitraria del tribunale speciale di Curitiba sul caso Lava Jato (l’inchiesta sulla corruzione che si pretende coinvolga Lula, N.d. T.),  che serve a nutrire le falsità dei media, a perseguitare gli oppositori politici del neoliberalismo e delle grandi imprese nazionali.

Denunciamo l’interferenza americana

Ci opponiamo all’accordo di cooperazione tra  dipartimenti degli USA e i promotori di Lava Jato, che mettono sotto inchiesta le imprese brasiliane per aprire la strada alle multinazionali straniere.

Denunciamo la perdita dei diritti

Ci opponiamo al taglio delle pensioni e alla riduzione dei diritti dei lavoratori, alla chiusura delle scuole e delle università, al congelamento per 20 anni degli investimenti pubblici nel campo dell’educazione, alla sanità e la sicurezza sociale di questo governo, basato su un colpo di stato, che sta favorendo le banche e le multinazionali straniere.

Denunciamo la persecuzione dei più poveri

Ci opponiamo all’incitamento dell’odio politico verso i poveri, i neri e le persone precarie, adducendo come scusa la battaglia contro i traffici di droga, un processo noto come “messicanizzazione” del Brasile.

Denunciamo lo svilimento della democrazia

Ci opponiamo allo svilimento della Costituzione del 1988, e all’interruzione del processo elettorale per cercare di estromettere Lula dalla competizione, imponendo nuove regole elettorali che accorceranno i tempi della campagna elettorale da 90 a 45 giorni con lo scopo di ridurre il processo di rinnovamento del Parlamento nazionale.

Denunciamo gli accordi basati su un colpo di stato

Noi ci opponiamo agli accordi con settori golpisti che non danno alcuna fiducia, come possiamo credere che rispetteranno i nuovi accordi se non hanno rispettato i precedenti? E’ molto ingenuo negoziare la consegna di Lula credendo che verranno rispettati gli accordi.

Faremo pressione su coloro che hanno il potere di decidere

Per cambiare la situazione corrente, è necessaria moltissima pressione popolare e dobbiamo imparare ad usare i metodi della nonviolenza attiva in maniera massiva e sistematica, pretendendo che la Costituzione sia osservata e i diritti di tutti siano rispettati.

Guardiamo al futuro

Nessuna galera può imprigionare il cuore, le idee o lo spirito di persone come Lula, che a dispetto di molte contraddizioni del suo governo, che noi spesso criticavamo, non merita di essere trattato in maniera scorretta e illegale.

Noi metteremo in moto un fronte amplio

In questo momento abbiamo bisogno di capire il contesto attuale e unire le forze in un fronte amplio contro il fascismo e l’autoritarismo, con la priorità di formare forti blocchi in tutti i parlamenti e con una forte presenza nelle periferie e anche nelle campagne.

E’ necessario disobbedire

E’ un obbligo resistere ad una ingiusta prigionia. Quelli che non rispettano le leggi sono quelli che condannano senza prove e non rispettano la costituzione.

Quando le decisioni sono ingiuste è necessario disobbedire.

Partido Humanista do Brasil

 

Traduzione di Annalaura Erroi

ISRAELE E DINTORNI

 

FONTE : IL BLOG DI FRANCO CARDINI CHE RINGRAZIAMO

 

Molti mi chiedono, dopo i recentissimi fatti di Gaza, quali siano le radici storiche della tragedia: prima 21 morti e 1400 feriti circa, la settimana scorsa; e quindi, il 6 scorso, un altro “Venerdì di Sangue” con altri 7 palestinesi morti e un altro migliaio di feriti. Sassate, bombe molotov e cortine fumogene create da pneumatici bruciati per difendersi dai soldati israeliani, che sparano non già per “rispondere al fuoco” (sassi, molotov e fumo non sono “fuoco” nel senso militare del termine), ma solo per impedire ai manifestanti di avvicinarsi a un confine che, oltretutto, non è uno di quelli stabiliti e internazionalmente riconosciuti ma solo una recinzione creata per decisione e nell’interesse di uno stato e di una forza armata che rifiutano la definizione di “occupanti”. Ma il fuoco israeliano è giustificato dalla necessità di “impedire le infiltrazioni”.

E’ stato notato che le manifestazioni di questi giorni sono state monopolizzate da Hamas, che è il partito leader della “Striscia di Gaza” ma che non rappresenta la volontà di tutti i palestinesi che vi sono rinchiusi, e che ormai arrivano a circa 2 milioni. Certo, l’attuale capo di Hamas nella “Striscia”, Yahya Sinwar (56 anni, scarcerato dagli israeliani nel 2011 nel gruppo dei 1000 imprigionati che vennero “scambiati” con il soldato israeliano Gilad Shalit) è un fautore deciso della “linea dura”. I tribunali d’Israele gli avevano inflitto condanne multiple che giungevano a totalizzare ben quattro ergastoli: è lui l’anima della “Marcia del Ritorno” avviatasi prima di Pasqua e che culminerà il 15 maggio prossimo, tre giorni prima del settantesimo anniversario di quel 18 maggio 1948 che vide la fondazione dello stato d’Israele e che per i palestinesi fu la Nakba,il giorno della “sciagura”.

Pianificata, quindi, l’azione di Hamas: e prevedibile che non tutti i palestinesi di Gaza, che ne subiranno le conseguenze, l’auspichino e l’approvino. Ma queste sono le regole del gioco: il perpetuarsi di una situazione già condannata dalle Nazioni Unite (dalla celebre “risoluzione 242” in poi) ha reso inevitabile che si arrivasse a tanto. La gente di Gaza è ormai provata fino alla disperazione: e una vecchia regola politico-militare, in casi come questi, prescrive che non si debba mai condurre un avversario in condizioni d’inferiorità alla disperazione. I disperati diventano micidiali. Ma il comunicato degli organizzatori della “Marcia del Ritorno” parla chiaro: “Non abbiamo nient’altro da perdere se non la nostra vita”.

Abu Mazen, presidente dell’Authority nazionale palestinese ed erede riconosciuto della linea dell’OLP di Arafat, non ama né Hamas né il partito sciita libanese Hezbollah che l’appoggia: e non ne è riamato. Israele non ha certo bisogno di esser consigliata, sul piano della politica, eppure non dovrebbe mai dimenticare l’aurea massima latina del Divide et impera, che in passato ha magistralmente messo in pratica. Sarà che Bibi Nethanyahu è attualmente preoccupato di ben altre cose che non i palestinesi e che teme molto per il suo posto e i suoi interessi privati, per non parlare della sua immagine pesantemente compromessa: sta di fatto che negli ultimi tempi sembra aver abbassato la guardia in termini di prudenza in misura inversamente proporzionale a quanto ha alzato le mani in termini di aggressività. Non si spara su chi “si avvicina a un confine”, specie se non lo ha nemmeno ancor superato e se quello non è un confine internazionalmente legittimo: non ci si può permettere di far ciò neppure se si è difesi a oltranza da un inquilino della Casa Bianca (a sua volta piuttosto nei guai). Il risultato delle scelte sbagliate di Nethanyahu è stato che Abu Mazen, messe da parte le sue riserve su Hamas, si è rivolto accorato all’ONU, all’Unione Europea e alla Lega Araba affinché vengano fermate “le uccisioni e la repressione da parte delle forze di occupazione israeliane a fronte di una pacifica manifestazione di massa”. Prima dell’ecatombe del 6 scorso, hanno ripetuto i media internazionali, “inviti alla calma” erano arrivati da Jason Greenblatt, inviato del presidente Trump nel Vicino Oriente, dall’Unione Europea, dal presidente egiziano. “Inviti alla calma” rivolti ai manifestanti, affinché desistessero dall’avvicinarsi alle linee difese dai soldati israeliani? O ai vertici delle forze armate (e della politica) d’Israele, affinché si tenesse presente che il rispondere a una manifestazione di protesta usando le armi da fuoco e seminando la morte è qualcosa che almeno da noi italiani, dai tempi di Bava Beccaris in poi, è stata universalmente disapprovata?

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Francia, blindati e gas lacrimogeni contro attivisti ecologisti

09.04.2018 Agenzia DIRE

Francia, blindati e gas lacrimogeni contro attivisti ecologisti
(Foto di DIRE)

Gas lacrimogeni e blindati sono stati utilizzati nella notte della Gendarmeria francese per sgomberare gli attivisti della Zone à defendre (Zad), in prima fila contro il progetto  di nuovo aeroporto di Notre Dame Des Landes, nella regione di Nantes. Immagini e video del raid sono stati diffusi sulle reti sociali questa mattina. In segno di protesta contro il blitz gli attivisti si sono dati appuntamento oggi alle 18 davanti alla prefettura di Nantes.

Il progetto del nuovo scalo era finito nel mirino dei movimenti sociali per il rischio di insostenibilità ambientale. La protesta aveva spinto a gennaio il primo ministro Edouard Philippe a parlare di “aeroporto della divisione”.

In quell’occasione l’esecutivo aveva sostenuto di voler puntare su una ristrutturazione dello scalo esistente di Nantes-Atlantique e su un ampliamento di quello di Rennes-Saint Jacques. Altra possibilità resta lo sviluppo di linee ferroviarie ad alta velocità tra l’ovest della Francia e Parigi.

Ventimiglia: pensieri su testimonianza e sovraesposizione – di Marta Menghi, Amelia Chiara Trombetta e Antonio Curotto

 FONTE EFFIMERA.ORG

Ti offro questi dati perché niente muoia, né i morti di ieri, né i resuscitati di oggi. Voglio brutale la mia voce, non la voglio bella, non pura, non voglio si diverta, perché parlo infine dell’uomo e del suo rifiuto, del suo marcio quotidiano, della sua spaventosa rinuncia. Voglio che tu racconti. Fanon, Lettera a un francese

 

Dall’inizio del 2016, siamo stati a Ventimiglia regolarmente e tutte le volte abbiamo voluto scrivere e condividere ciò che abbiamo visto e vissuto.

Ci muoveva la convinzione dell’importanza di descrivere gli eventi di cui eravamo testimoni.

Un forte movimento politico e umano tentava di rovesciare la visione dominante e di condividere spazi politici con chi viaggiava, nonostante la repressione delle istituzioni.

Da allora abbiamo osservato e cercato di delineare ciò che accadeva sul nostro territorio: gli effetti della privazione della libertà di movimento, basata sulla provenienza geografica e sul colore della pelle, costringevano un grande numero di persone a vivere in uno spazio artefatto, in condizioni di difficoltà estrema.

Negare l’esistenza di esseri umani, arbitrariamente, in un determinato tempo e luogo, costituisce il presupposto per politiche con cui le istituzioni non solo rifiutano qualsiasi supporto, ma addirittura appaiono tendere all’annientamento della vita stessa.

Riteniamo che, per non cadere nella complessa macchinazione fondata sulla disumanizzazione dei (s)oggetti delle politiche e di noi spettatori, il primo passo sia la conoscenza di ciò che concretamente e quotidianamente accade intorno alla recentemente rinforzata frontiera – delle donne, degli uomini, delle bambine e dei bambini che tentano di attraversarla e che forzosamente si trovano a vivere nelle sue vicinanze.

Come medici, siamo da sempre politicamente impegnati nella direzione dell’accesso alla salute per tutte e tutti.

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In Brasile viviamo una guerra civile sempre più esplicita

Fonte Dinamopress

Realizzata pochi giorni prima della ratifica della condanna a Lula, in questa intervista il filosofo brasiliano Vladimir Safatle denuncia la svolta autoritaria che sta vivendo il Brasile negli ultimi mesi.

Cosa sta accadendo in Brasile?

Gli ultimi eventi dimostrano chiaramente che siamo entrati in una fase di guerra civile sempre più esplicita. Non parlo solo degli spari contro il pullman dell’ex presidente Lula. L’assassinio di Marielle Franco non ha avuto fino ad ora nessuna risposta da parte delle autorità, non vi è stata risposta alcuna nemmeno dopo l’enorme commozione causata dalla sua morte. E’ sorprendente che Geraldo Alckmin, governatore dello stato più grande del paese, e altri rappresentanti istituzionali, presentino come naturale l’attentato contro Lula. Alckmin praticamente dice che l’ex presidente se lo sarebbe meritato, disconoscendo completamente la differenza tra la violenza simbolica della politica e la violenza reale dello sterminio.

Cosa o chi potrebbe risolvere questa impasse?

Non vi è una soluzione a breve termine. La società brasiliana va verso forme estreme di radicalizzazione politica. Non vedo altre vie di uscita. La questione è che solo uno dei due estremi si è organizzato, ed è il campo reazionario. I progressisti continuano a rimanere legati all’idea di un patto di normalità che regola la vita politica nazionale. Ma questo patto è già saltato. La politica nazionale non vive una situazione di normalità. E’ necessario tenerlo presente ed essere pronti.

Questa assenza di comprensione della realtà potrebbe spiegare il fatto che le manifestazioni spontenee dopo la norte di Marielle non si siano trasformate in qualcosa di più efficace ed organizzato?

Non esistono attori politici in Brasile capaci di estendere queste rivendicazioni e dargli un carattere generale rispetto alla situazione nazionale. La società vive una fase di grande effervescenza ma le manifestazioni sono tutte spontanee, como lo sono state lo scorso anno quelle contro il governo di Michel Temer e lo sciopero generale, che ha portato in piazza 35 milioni di lavoratori. Mancano però attori politici che riescano a sostenere nel tempo questa effervescenza sociale. I partiti sono in crisi e vivono una fase di degrado. C’è un deficit tremendo di organizzazione in tutto il paese. Tutta questa forza, enorme, viene dispersa.

In generale in Brasile momenti come questi hanno portato a soluzioni autoritarie. Esiste questo rischio oggi?

Sí, evidentemente. E’ importante per la sinistra prepararsi a tutte le possibili situazioni. Ogni volta che abbiamo vissuto una avanzata autoritaria, la sinistra è sempre stata l’ultima ad abbandonare la speranza nello Stato democratico di diritto. Stava ferma in attesa di qualcosa che non esisteva già più, mentre i reazionari organizzavano la via d’uscita autoritaria. E’ evidente oggi che questo fantasma è qui tra noi. Lo scorso anno, il generale Hamilton Mourão ha parlato in modo esplicito di un progetto di golpe militare e non è stato mai smentito dai suoi superiori. Stiamo vivendo una situazione sempre più tesa. Le elezioni, sappiamo, saranno una farsa, degna della Repubblica di Velha, dove si escludono i candidati che non si vogliono vittoriosi. Il patto minimo di democrazia non esiste più nel paese. Non è un caso che Temer ha appena dichiarato che nel 1964 non vi è stato un golpe militare, ma un movimento sostenuto dal popolo. La dichiarazione è anche falsa dal punto di vista storico. Studiosi dell’opinione pubblica dell’epoca hanno infatti dimostrano che João Goulart sarebbe stato il più votato alle elezioni presidenziali. Si tratta di una falsità che punta a trasformare in elezione popolare una decisione presa dalle elites (quella della dittatura militare del 1964, ndr). Questa dichiarazione di Temer non è per nulla strana nel contesto attuale.

Intervista di  Sergio Lirio a Vladimir Safatle, pubblicata lo scorso 28 marzo 2018 su Carta Capital. Discepolo di Bento Prado Junior, Vladimir Safatle è un filosofo.

I suoi lavori, dalla tesi di dottorato La pasión del Negativo: Lacan y la dialéctica (2006), si occupano dell’intrreccio tra filosofia e psicoanalisi. Ha scritto Cinismo y falencia de la critica (2008), Lo que resta de la dictadura: la excepción brasileña (con Paulo Arantes, 2010), Una izquierda que no teme decir su nombre (LOM, 2012) y El circuito de los afectos: cuerpos politicos, desamparo y el fin del individuo (2015) e Solo un esfuerzo más (2017 ).

Tratto dal blog LOBO SUELTO, traduzione in italiano a cura della redazione di DINAMOpress.

Bruno Giorgini: Il disobbediente e l’arcivescovo

Fonte INCHIESTAONLINE.IT

Il 16 aprile 2018 l’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi  presenterà a Bologna al centro sociale TPO di Via Casarini il libro ‘Terra, casa, lavoro” (ed. Il Manifesto) che raccoglie tre discorsi di Papa Francesco ai movimenti popolari. Con l’arcivescovo dialogheranno anche il curatore del libro Alessandro Santagata e Luciana Castellina, tra i fondatori del Manifesto.

 

Siamo a Pasqua la festa cattolica per eccellenza, quando Cristo risorge. Lo hanno crocifisso per molte ragioni, a me piace pensare che fosse soprattutto perchè aveva cacciato i mercanti dal tempio, e con una certa energia.

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La frontiera dove l’Europa ha perso l’anima

Fonte Ilmanifestobologna

di Marco Revelli

Colle del Monginevro, 1.900 metri di quota, a metà strada tra Briançon e Bardonecchia. È su questa linea di frontiera che oggi batte il cuore nero d’Europa. È qui che la Francia di Emmanuel Macron ha perso il suo onore, e l’Europa di Junker e di Merkel la sua anima (quel poco che ne rimaneva). In un paio di mesi, in un crescendo di arroganza e disumanità, i gendarmi francesi che sigillano il confine hanno messo in scena uno spettacolo che per crudeltà ricorda altri tempi e altri luoghi.

È appunto a Bardonecchia che si è verificata l’irruzione di cinque agenti armati della polizia di dogana francese nei locali destinati all’accoglienza e al sostegno ai migranti gestiti dall’associazione Rainbow4Africa, per imporre con la forza a un giovane nero con regolare permesso in transito da Parigi a Roma di sottoporsi a un umiliante esame delle urine, dopo aver spadroneggiato, minacciato e umiliato i presenti.

Davanti a quello stesso locale, a febbraio, ancora loro, gli agenti di dogana francesi, avevano scaricato come fosse spazzatura il corpo di Beauty, trent’anni, incinta di sette mesi e un linfoma allo stadio terminale che le impediva il respiro. Aveva i documenti in regola, lei, ma non Destiny, il marito, così l’implacabile pattuglia l’aveva fatta scendere dal pullman che da Clavier Oulx porta alla terra promessa, quella dove lo jus soli avrebbe permesso al loro figlio di nascere europeo, e incurante delle condizioni disperate l’aveva abbandonata a terra, al gelo.

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La Francia agisca nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone e delle norme internazionali, europee e nazionali

 Fonte ASGI

Il parere giuridico dell’ASGI sulla vicenda di Bardonecchia: ecco le norme vigenti.

In seguito alla richiesta di spiegazioni da parte del Governo italiano, le autorità francesi hanno affermato che i controlli effettuati dagli agenti della Dogana francese nei locali della stazione di Bardonecchia in cui operano i medici di Rainbow4Africa e i mediatori culturali del Comune si sarebbero svolti nel rispetto della normativa vigente.

Le norme europee e gli accordi tra Italia e Francia, intervenuti nel corso degli anni per disciplinare la cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana così come le operazioni congiunte di polizia, prevedono che gli agenti francesi possano operare sul territorio italiano, nelle zone di frontiera, ma stabiliscono determinate procedure e specifici limiti e condizioni, che nella vicenda svoltasi venerdì sera sono state palesemente violate.

Il parere giuridico dell’ASGI

Difficile da digerire, il lavoro duro dei riders bolognesi

Fonte FiomNotizieBologna

 

 

E’ una serata qualsiasi al circolo Arci RitmoLento.  Sono le dieci e mezza e le attività del circolo sono finite. La maggior parte dei frequentatori inizia ad andare verso il letto. Non è raro che vi siano serate in cui il RitmoLento si riempa di riders. Ma chi sono i riders? I riders sono i tradizionali fattorini inquadrati nel nuovo settore del “food-delivery” (consegna del cibo). Quando termina il turno capita che si riuniscano per conoscersi e confrontarsi.

Dall’autunno scorso i riders della città hanno cominciato a incontrarsi periodicamente e organizzarsi sotto il nome di Riders Union Bologna. L’obiettivo? Rivendicare condizioni contrattuali migliori, ottenere diritti e tutele oggi assenti, divenire un punto di riferimento e di mutuo aiuto per i fattorini della gig economy. L’ultima iniziativa è stata lo sciopero inter-piattaforma di venerdì 23 febbraio, mentre era in corso una pesante nevicata. Nemmeno il freddo e il gelo sono riusciti a impedire il corteo in bicicletta per le vie del centro.

Per comprendere bene in quale contesto si inserisca questo sciopero, quali siano le condizioni dei lavoratori del food delivery e la situazione bolognese, è però necessario fare qualche passo indietro. Fin dall’ inizio del 2016 il settore del food delivery a Bologna era interamente occupato da un’unica piattaforma online che copriva la stragrande maggioranza dei ristoratori bolognesi, PizzaBo, e la cui unica funzione era quella di offrire uno spazio virtuale di incontro tra domanda e offerta. Ogni pizzeria gestiva la consegna degli ordini autonomamente, tramite i propri fattorini. Nel 2016 PizzaBo è stata venduta a Justeat, un colosso mondiale del food delivery. Da quel momento abbiamo assistito a una progressiva invasione di altre compagnie internazionali del settore; una invasione che si è accompagnata a una proliferazione di ristoranti e pizzerie, tanto che Bologna è ormai definita “city of food”(città del cibo).

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Il nuovo Parlamento sospenda l’invio di armi che alimentano il conflitto in Yemen

fonte Pressenza.com

27.03.2018 Rete Italiana per il Disarmo

Il nuovo Parlamento sospenda l’invio di armi che alimentano il conflitto in Yemen
(Foto di Pressenza London)

A tre anni esatti dall’inizio della conflitto, richiediamo con fermezza alle istituzioni italiane, ai Paesi membri ed all’Unione Europea di sospendere l’invio di armamenti alle parti in conflitto in Yemen e di sollecitare una iniziativa di pace a guida ONU

Non possiamo più chiudere gli occhi davanti alla catastrofe umanitaria che da tre anni si sta perpetrando in Yemen anche con armi italiane. Per questo chiediamo che la prima iniziativa del Parlamento italiano sia quella di conformarsi alle risoluzioni, votate ad ampia maggioranza nel Parlamento europeo, che chiedono di promuovere un embargo di armamenti verso l’Arabia Saudita e i suoi alleati in considerazione del coinvolgimento nelle gravi violazioni del diritto umanitario in Yemen accertate dalle autorità competenti delle Nazioni Unite. Chiediamo inoltre al prossimo Governo di farsi promotore della medesima istanza in sede di Consiglio europeo e di avviare un’iniziativa multilaterale per promuovere la fine del conflitto e il processo di pace in Yemen.

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Cosa abbiamo da perdere?

Fonte LavoroeSalute

Pubblicato da

 Cosa abbiamo da perdere?

Hanno salvato 218 vite esposte a due alternative: la morte in mare su gommoni alla deriva o finire catturati dalla sedicente Guardia costiera libica, finanziata dall’UE, per essere riportati nelle mani di aguzzini usi a chiedere un riscatto, a torturare, a stuprare a rinchiudere in centri di detenzione.

In un mondo normale sarebbero stati chiamati “eroi”, oggi invece come ormai noto perché anche la stampa mainstream ha sussultato, sono accusati di “associazione a delinquere” e la loro imbarcazione è stata sequestrata con un atto di vera e propria pirateria giuridica.

In una affollata conferenza stampa ieri pomeriggio Oscar Camps, fondatore dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, che dal 2016 con 3 imbarcazioni ha tratto in salvo circa 25 mila persone, Riccardo Gatti, (Coordinatore in Italia dell’Ong), l’ormai ex senatore Luigi Manconi e l’avvocato Alessandro Gamberini, hanno raccontato di una vicenda assurda che potrebbe divenire normalità fino a quando verranno tollerati i comportamenti di governi e procure simili.

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Zar Vladimir

FONTE nuovAtlantide.org

 

di Franco Cardini – 18 marzo 2018

All right, Mister Trump! Chapeau, Monsieur Macron! Ausgezeichnet, Frau Merkel! La vostra tempestiva e coraggiosa discesa in campo al fianco della premier britannica contro il nuovo tiranno del Cremlino ha sortito il massimo successo. E difatti lui, Zar Vladimir, vi ha cavallerescamente presentato le armi ringraziandovi all’indomani del voto in Russia. Siete stati i suoi più efficaci agenti elettorali. Prolungando l’assurdo e insensato embargo antirusso, non farete altro che rafforzare la sua popolarità. Evidentemente, la reazione degli italiani alle “inique sanzioni” del ’35-’36 non vi ha insegnato nulla. Mala cosa, non saper un po’ di storia…

Non che nel nostro stesso paese, a proposito di Putin, ci siamo fatti mancar nulla, per carità! Alla vigilia, con qualche flebile e minoritaria eccezione, crucifige preelettorali, finissime previsioni d’insuccesso (alle urne non sarebbe andato quasi nessuno…) e ferme denunzie contro il despota moscovita erano moneta corrente nei nostri media. Valga l’autorevole e illustre esempio del “Corriere della Sera” di sabato 8 marzo scorso: dove a p. 1 Franco Venturini prevedeva che Putin “non avrà domani il coraggio politico di affrontare nelle urne una nascente opposizione” e che “i russi potrebbero decidere di punirlo, con un’affluenza tanto bassa da render fragile la sua scontata rielezione”; a p. 10 si mettevano alla gogna i “putiniani d’Italia”, banda trasversale da Salvini alla Meloni a Giulietto Chiesa (candidato alle nostre elezioni, si ricordava generosamente, con Ingroia, che ora sta passando i guai suoi a causa d’un’accusa di peculato), mentre Luigi Ippolito ribadiva che il ministro degli esteri britannico Johnson (che per ironia della sorte inalbera un arcirusso nome di battesimo, Boris) è certo che all’origine del pasticciaccio di Salisbury vi sia proprio lui, il despota…, e a p. 11 si tessevano le lodi della bella, brava, intelligente Ksenya Sobchak, ex vedette televisiva e concorrente del cattivo di turno.

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Le macerie della sinistra

Fonte: Sbilanciamoci

L’Italia del dopovoto/ La sinistra è stata sconfitta nelle urne perché non è stata credibile. LeU è progetto sconfitto, ma resta l’esigenza della costruzione di una forza unitaria di sinistra.

Alle elezioni del 4 marzo il 60% degli operai ha votato per la Lega e i Cinque Stelle, così come le zone del paese –tra tutte il Sud– che vivono condizioni di povertà, esclusione e disagio sociale. Il 90% di chi ha lasciato il Pd, si è rivolto ai Cinque Stelle e non a Liberi e Uguali. Le elezioni del 4 marzo ci consegnano una maggioranza: anti-establishment.

 Un paese, assediato dalla povertà e dalla paura – come ricorda Mario Pianta – ha scelto il cambiamento, che non è stato rappresentato dalla sinistra ma dalla Lega populista e da una nebulosa ambigua come i Cinque Stelle che mescolano messaggi di destra e di sinistra, di radicale innovazione e di rincorsa rancorosa dell’Italietta strapaese, di partecipazione dal basso e manipolazione dall’alto.
 
Il Mezzogiorno è da anni abbandonato a sé stesso e si è vendicato. Idem i giovani, e così gli operai. In un paese dove non ci sono più corpi intermedi capaci di avere antenne nella società e produrre consenso elettorale (e sociale) significativo – mentre i partiti sono comitati elettorali senza radici (partiti senza società direbbe Diamanti) – tutto diventa complicato.

Il Brasile dopo l’omicidio di Marielle Franco – Intervista a Giuseppe Cocco

Fonte Effimera.org

Il Brasile dopo l’omicidio di Marielle Franco – Intervista a Giuseppe Cocco

Ringraziamo Giuseppe Orlandini per la traduzione dal portoghese.

Cosa significa in termini politici l’esecuzione della consigliera di Rio de Janeiro Marielle Franco?

In base a ciò che è stato scoperto dalle prime investigazioni, ci sono sufficienti elementi per dire che non è stata solo “una” esecuzione, ma una esecuzione politica, un attentato. Si tratta di una esecuzione la cui dimensione politica ha almeno tre elementi: il primo è che Marielle era una militante del PSOL (Partito Socialismo e Libertá, una dissidenza di sinistra del PT, creato nel 2004), in particolare del PSOL di Rio; il secondo è che Marielle era espressione di una generazione di “giovani poveri, neri e nere di favela” che hanno cominciato a fare politica in prima persona, autonomamente; il terzo è che l’omicidio avviene nell’ambito dell’intervento federale a Rio, decretato dal presidente Temer.

Com’è ovvio, ci sono molti altri elementi, ma per un primo approccio penso sia necessario ordinarli a partire da qui.

1)     Marielle era del PSOL di Rio de Janeiro. Il PSOL di Rio è stato capace di uscire dal ghetto nel quale si trova il PSOL nazionale e costituirsi come una forza elettorale con peso e consistenza. É importante comprendere come il PSOL di Rio abbia ottenuto questo ruolo da protagonista, in termini sia di attivismo che elettorali. Senza pretendere di essere esaustivo, credo ci siano tre principali spiegazioni: il PSOL a Rio è diventata l’unica opposizione al consorzio politico-mafioso comandato a livello federale dal PT e a livello fluminense e carioca dai compari del PMDB: se a livello nazionale il marketing lulista riusciva a non rendere esplicite le negoziazioni infami alle quali si associava (quando non le promuoveva), a Rio tutto questo è evidente perlomeno dal 2010.

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Le scomode verità di Enrico Zucca

Fonte Comune.Info

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di Lorenzo Guadagnucci*

Parafrasando un aforisma del compianto Roberto Freak Antoni potremmo dire, pensando alla bufera mediatica esplosa attorno a Enrico Zucca, che non c’è gusto in Italia a dire la verità. Invece d’essere ascoltato e ringraziato, il magistrato è stato additato come una minaccia da buona parte della nomenclatura istituzionale, con il chiaro obiettivo di non discutere le questioni da lui sollevate.

Enrico Zucca, che fu pm nel processo Diaz (il cui esito non è mai stato digerito ai vari piani del Palazzo), durante un convegno a Genova ha messo in fila alcune evidenze processuali degli ultimi anni.

Ha detto che la tutela dei diritti fondamentali è diventata più difficile dopo l’11 settembre e l’avvio della cosiddetta guerra al terrorismo, tanto che la ragion di stato, in più casi, ha prevalso sulle regole scritte nelle Convenzioni sui diritti umani.

Ha detto che l’Italia ha violato più volte queste convenzioni, ad esempio nel caso Abu Omar (l’imam rapito a Milano dalla Cia e consegnato all’Egitto dove è stato torturato), subendo così una condanna davanti alla Corte europea per i diritti umani, e anche nelle vicende riguardanti il G8 di Genova, quando il nostro paese ha disatteso l’impegno a sospendere e rimuovere i funzionari condannati per le torture alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto.

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Riarmo di Stato

FONTE MILEX

Pubblicato su La Nuova Ecologia il 23 marzo 2018

Nel 2018 il ministero dello Sviluppo economico “investirà” 3,5 miliardi di euro per l’acquisto di armamenti, il 5% in più rispetto al 2017. Tra distorsioni e paradossi

Più che la guerra, l’Italia ripudia il buon senso. È sorprendente scoprire fra i dati contenuti negli stati di previsione allegati alla legge di bilancio che nel 2018 il ministero dello Sviluppo economico sganci 3,5 miliardi di euro per l’acquisto di armamenti militari (+ 5% rispetto al 2017). E ancora più sorprendente è realizzare che questo fiume di denaro è pari al 71,5% dell’intero budget dedicato alla competitività e allo sviluppo delle imprese italiane. Una quota sproporzionata di investimento per un settore che contribuisce allo 0,8% del Pil, mentre a quelle piccole e medie imprese tanto amate e difese in ogni campagna elettorale, che sul prodotto interno lordo pesano per il 50%, restano le briciole.

Non si tratta di numeri sparati a caso per fare propaganda a basso costo. A svelarli è l’Osservatorio sulle spese militari italiane nel secondo “Rapporto Mil€x”. Un progetto lanciato nel 2016 dal giornalista Enrico Piovesana e da Francesco Vignarca della Rete italiana per il disarmo. Senza questo strumento di monitoraggio indipendente sarebbe stato più difficile venire a sapere che nel suo complesso la spesa militare italiana per l’anno in corso ammonta a 25 miliardi di euro: l’1,4% del Pil, il 4% in più rispetto al 2017. Un trend di crescita avviato dal governo Renzi (+ 8,6% rispetto al 2015) che non sembra volersi arrestare. Nel 2018 cresce infatti il bilancio del ministero della Difesa (21 miliardi, + 3,4% rispetto al 2017) come continuano ad aumentare le spese per gli armamenti: 5,7 miliardi, l’88% in più rispetto a tre legislature fa. E si conferma la distorsione per cui queste spese sono possibili solo grazie ai contributi del ministero dello Sviluppo economico.

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I Giuristi Democratici esprimono la massima solidarietà al Dr. Zucca

Redazione 22 marzo 2018 9:1
Comunicato 22 marzo 2018 di solidarietà nei confronti del dr. Enrico Zucca oggetto di attacchi per le opinioni espresse in un pubblico convegno.
I Giuristi Democratici esprimono piena solidarietà al Dr. Enrico Zucca, già Pubblico Ministero nel processo Diaz, nei confronti del quale il Procuratore generale della Cassazione avrebbe avviato “accertamenti preliminari” per aver dichiarato, riguardo alle vicende del G8 di Genova, che “Le nostre forze di polizia non ci hanno consegnato alcun torturatore, e chi ha coperto quegli ignoti torturatori è oggi ai vertici delle forze di polizia. E allora noi, con questa Storia e con questa voce, chiediamo all’Egitto di consegnarci dei torturatori: la possibilità che questa indagine approdi a qualcosa è fortemente minata dalla Storia che abbiamo, e dalla incapacità che abbiamo”.
Le affermazioni del Dr. Zucca trovano obiettivo riscontro, oltre che nelle promozioni accordate ad alcuni dei funzionari condannati all’esito del processo Diaz (come Gilberto Caldarozzi, attuale vice-capo della DIA), anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che in relazione a detta vicenda ha condannato l’Italia per aver violato il principio in base al quale “laddove un agente statale sia incriminato per torture o maltrattamenti, questi dovrà essere sospeso dalle sue funzioni durante l’istruttoria e il processo e, qualora sia condannato in via definitiva, rimosso” (sentenza Cestaro c/ Italia, 7 aprile 2015, par. 210).
I Giuristi Democratici, che hanno avuto modo di apprezzare il rigore morale e professionale del Dr. Zucca nonché il prezioso apporto critico da lui fornito –fra l’altro– al dibattito pubblico sul reato di tortura, ricordano innanzitutto che la Repubblica assicura libertà di opinione ed intervento anche ai magistrati e, nello specifico, condividono l’idea che la credibilità e l’autorevolezza internazionale delle istituzioni si fondino sul rispetto, anche e soprattutto da parte di queste ultime, dei principi che presiedono alla civile convivenza democratica e garantiscono l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge; ribadiscono pertanto il proprio convinto sostegno al Dr. Zucca, cui esprimono stima e gratitudine per il suo costante impegno a favore della verità e della giustizia.
22 marzo 2018
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI

I Giuristi democratici nel gruppo di supporto legale alle ed ai manifestanti del Global forum di Genova ’01
 

“La scelta è nostra”. L’Europa, le sue radici e i suoi confini: dalle persecuzioni nazi-fasciste alle stragi in mare

FONTE MELTINGPOT.ORG

di Ilaria Papa, MigrAzioni – 21 marzo 2018

Racconta Liliana Segre, nel suo libro “Sopravvissuta ad Auschwitz” (2005), un fatto che cambiò il corso della sua vita: quando, bambina, il 7 dicembre del 1943, tenendo per mano suo padre, passò il confine italo-svizzero attraverso un buco della rete di recinzione. La gioia di trovarsi sul suolo svizzero – una terra neutrale che avrebbe potuto offrire salvezza a quel piccolo gruppo che, come altri gruppi di ebrei, antifascisti, renitenti alla leva, cercava scampo in quel periodo tra i sentieri di montagna – fu presto interrotta dalle guardie di confine svizzere. Scrive Liliana:

Infatti, al comando di polizia, dopo una lunga attesa – senza dirci una parola, senza darci un bicchiere d’acqua né un pezzo di pane – l’ufficiale di turno ci condannò a morte. Ci trattò con disprezzo estremo, disse che eravamo degli imbroglioni, che la Svizzera era piccola e non c’era posto per noi. Ci rimandava indietro.

Delle quattro persone che costituivano quel gruppetto – Liliana, di tredici anni, suo padre e due cugini, finiti in campo di concentramento nazista per essere stati “rimandati indietro” da quel comandante rimasto senza nome e poi arrestati dai finanzieri italiani – solo Liliana sopravvisse. Io non morii, solo per caso, scrive .

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Il gelato di Salvini

FONTE COMUNE.INFO

“Di crema, di limone o di vainiglia, il gelato, che meraviglia!…”: da una poesia di Gianni Rodari

 

di Matteo Saudino*

Gentile Nadia Mohammedi, ti scrivo queste poche righe per ringraziarti per quanto hai fatto. Grazie, grazie perché quel semplice gesto, bello e rivoluzionario come solo l’ingenuo coraggio sa esserlo, di non voler servire un cono gelato a Salvini, ci dice che a vent’anni è ancora possibile ribellarsi e indignarsi.

Il conformismo dilagante dei tempi in cui ci è dato vivere, ti sta condannando senza appello, etichettandoti come maleducata, indegna o stupida. Il gotha decadente degli intellettuali di questo Paese, in gran parte figli di un sessantotto rovesciato e rinnegato, si sta prodigando nel farti una morale stucchevole e paternalistica, ricorrendo addirittura a parole e concetti quali etica, educazione e rispetto.

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Accuse infamanti? Ecco le carriere dei condannati per la Diaz

«I nostri torturatori sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori? L’11 settembre 2001 e il G8  hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti internazionali. Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper far per vicende meno drammatiche». Queste le dichiarazioni del sostituto procuratore di Genova  Zucca, nell’ambito di un dibattito sul caso Regeni. Frasi che da un paio di giorni sono al centro dell’ennesima, faziosa, polemica sul g8 di Genova dettata dall’intransigente rifiuto, ancora oggi dopo quasi vent’anni, delle istituzioni di fare i conti con quella che è stata definita «la più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale» 

Nel nostro paese, ogni volta che vengono effettuate dichiarazioni sui fatti di Genova, si solleva un polverone. Questa volta a innescare la polemica sono state due frasi pronunciate da Enrico Zucca, oggi sostituto procuratore generale di Genova, allora pubblico ministero responsabile dell’istruttoria contro le forze dell’ordine nel processo per la macelleria messicana compiuta alla Diaz. Zucca non è nuovo a prese di posizione molto dure in relazione all’atteggiamento dei vertici della Polizia nei confronti delle vicende giudiziarie riguardanti i propri funzionari. Già in passato aveva infatti duramente criticato l’operato della Polizia parlando di «totale rimozione» dei fatti di Genova e del rifiuto delle forze dell’ordine di riconoscere le proprie responsabilita’ in merito a tali eventi. Nelle frasi pronunciate qualche giorno fa, Zucca torna sull’argomento, sottolineando un altro aspetto vergognoso della gestione post G8 da parte del Ministero dell’Interno e, in particolare, del Dipartimento di Pubblica Sicurezza: le promozioni, le carriere folgoranti e, in alcuni casi il reintegro, dei funzionari condannati in via definitiva dalla Cassazione nel 2012 per la vicenda della scuola Diaz. Nel farlo, il magistrato fa un parallelismo con il brutale assassinio di Giulio Regeni, altra vicenda di torture rimaste impunite. Non è un caso. è bene infatti ricordare che, oltre all’impunita’ assicurata alla quasi totalita’ degli agenti coinvolti nelle vicende del luglio genovese, secondo la legge contro la tortura recentemente approvata dal Parlamento i fatti della Diaz e di Bolzaneto non sarebbero perseguibili («la tortura deve essere reiterata»…).

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Caso Zucca: il capo della Polizia tira fuori una grossa bugia

fonte pressenza.com

Autore Alberto Cacopardi 
Oggi, 21 marzo 2018, equinozio di primavera, il capo della Polizia della Repubblica Italiana ha pronunciato una flagrante menzogna davanti alla stampa, ai media e a tutto il popolo italiano.
Franco Gabrielli stava manifestando la sua alta indignazione per le parole del sostituto procuratore generale di Genova Enrico Zucca, già pubblico ministero al processo per le torture della scuola Diaz, il quale, davanti alla madre di Giulio Regeni, aveva osato sostenere che è difficile pretendere che l’Egitto ci consegni i suoi torturatori, quando noi teniamo i nostri torturatori ai vertici della polizia.
Zucca si riferiva al fatto che diversi responsabili di quei tristi e indimenticabili episodi, pur essendo stati riconosciuti colpevoli e condannati per i loro misfatti, sono stati reintegrati nelle loro funzioni e addirittura promossi a posizioni di alto livello nella Polizia di Stato, non appena scaduti i termini dell’interdizione dai pubblici uffici conseguente alle condanne penali.

I membri di Open Arms “rischiano pene tra i 4 e i 7 anni di prigione”

Fonte Meltingpot.org

La Colau offre il ’supporto giuridico’ di Barcellona e ’tutto quanto possa essere utile per aiutare

- Link all’articolo originale (ESP) su ElPlural.com del 19 marzo 2018

Traduzione a cura di: Anna Latino, Angela Ciavolella

Il fondatore e direttore dell’ONG Pro Activa Open Arms, Oscar Camps, ha affermato oggi che i tre membri dell’equipaggio accusati in Italia per aver soccorso i migranti “rischiano tra i 4 e i 7 anni di prigione”, pertanto ha sottolineato che ora la priorità è quella di “lottare affinché non vengano incarcerati”.

La procura di Catania ha disposto questa domenica il sequestro dell’imbarcazione spagnola “Open Arms” e l’apertura di un’indagine per il possibile reato di “favoreggiamento dell’immigrazione illegale” ai danni dell’Italia.

I capi d’imputazione contro l’equipaggio attraccato in Italia sono un pretesto; l‘obiettivo è quello di “bloccare l’intervento delle organizzazioni umanitarie” nel Mediterraneo, ha affermato Camps.

In conferenza stampa ha spiegato che per la prima volta l’organizzazione ha dovuto chiedere aiuto al governo spagnolo per poter attraccare in un porto.

Più concretamente, il fondatore dell’ONG ha spiegato che l’organizzazione si è messa in contatto con il console spagnolo in Sicilia, ed è stato il governo a negoziare con l’esecutivo italiano affinché l’imbarcazione potesse attraccare nel porto di Pozzallo.

Camps ha spiegato che “la ragione addotta è la questione meno rilevante”, e che “avrebbero potuto accusarli di insubordinazione o di qualsiasi altra cosa”, con l’unico obiettivo di bloccare le attività delle organizzazioni nel Mediterraneo.

La ragione addotta è la cosa meno rilevante e sarà molto difficile per la Procura italiana dimostrare ciò che afferma; sappiamo che tutto questo va molto più in là della decisione di un singolo Procuratore, e che alla fine dietro a tutto questo c’è l’Unione Europea”, ha affermato Camps.

Secondo la ONG, “i tre membri dell’equipaggio sotto indagine rischiano dai 4 ai 7 anni di prigione, e tra le ragioni addotte c’è quella di aver agevolato il traffico di esseri umani”; la priorità è quella di “lottare affinché non siano incarcerati”, ha affermato Camps, che ha sottolineato anche che, “per il momento”, i membri dell’equipaggio resteranno in Italia.

Siamo passati dall’essere vittime di un’aggressione all’essere accusati dalla Procura di Catania, e stiamo aspettando che il giudice confermi i capi d’accusa”, ha sottolineato Camps, il quale ha assicurato che il caso sarà portato “tanto lontano quanto sarà necessario”.

Il direttore dell’Open Arms si è detto convinto che la misura cautelare che mantiene l’imbarcazione dell’ONG sotto sequestro “sarà sicuramente definitiva, visto che la scorsa estate un’altra associazione si è trovata nella medesima situazione e la sua imbarcazione è tuttora bloccata in un porto italiano”.

Il fondatore dell’ONG ha aggiunto che la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha contattato il Ministro degli Affari Esteri, Alfonso Dastis, e che l’organizzazione si è messa in contatto con il console spagnolo in Sicilia, precisando che è stato il governo spagnolo a negoziare con l’esecutivo italiano affinché l’imbarcazione potesse attraccare nel porto italiano di Pozzallo.

Nello specifico, la Colau ha annunciato che Barcellona “farà tutto quanto possa essere utile per aiutare” e che offrirà “supporto giuridico”: “se verrà avviato un processo faremo sapere che la Open Arms non è sola”, ha dichiarato.

Se si tratta di un’imbarcazione che batte bandiera spagnola, il Governo deve fare tutto il possibile affinché le persone siano rilasciate”, ha sottolineato la Sindaca, la quale ha aggiunto che si tratta di “quanto di più grave stia accadendo in Europa in questo momento”.

La Pro Activa Open Arms ha denunciato la “campagna di diffamazione che le organizzazioni che operano nel Mediterraneo stanno subendo dal 2016”: Camps ha sottolineato che da allora “le difficoltà sono andate via via crescendo e i toni si sono alzati”, e che ora addirittura “si è passati direttamente all’attacco militare”.

Ad ogni modo, il fondatore dell’ONG ha assicurato che, nonostante la situazione in cui si trova oggi, l’organizzazione non smetterà di operare nel Mediterraneo; ha inoltre difeso l’equipaggio, perché “ha fatto ciò che bisognava fare”.

Se il sequestro della nave dovesse prolungarsi, Camps non esclude di inviare altre imbarcazioni poiché sostiene che la missione “è quella di salvare le persone che si trovano in pericolo in mare”.

La sindaca di Barcellona ha esortato gli Stati europei “ad adempiere ai propri obblighi legali ed accogliere chi fugge dalla guerra”.

Non ci prendiamo in giro: chi scappa continuerà ad arrivare, indipendentemente da quante barriere o da quanti mari ci siano di mezzo”, ha affermato la Colau.

In Polonia le donne tornano in piazza per l’aborto legale

Dopo le pressioni della chiesa polacca, il partito di maggioranza conservatore ha messo in calendario l’estensione del divieto all’interruzione della gravidanza. Le donne polacche hanno ripreso la mobilitazione in tutto il paese e lanciato l’appello al movimento femminista globale

In Polonia torna la protesta delle “grucce”. Dopo la black monday protest che paralizzò il paese lo scorso 3 ottobre del 2016 con il primo sciopero delle donne contro il divieto di aborto si diede il via ad una lunga serie di mobilitazioni e scioperi che di fatto bloccò qualsiasi iniziativa restrittiva agita da parte della maggioranza governativa di estrema destra. Lo scorso 14 marzo la Conferenza Episcopale ha riaperto lo scontro, esortando ufficialmente i legislatori polacchi a procedere immediatamente verso il divieto di aborto nei casi di gravi malformazioni fetali.

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Migranti, affidarne i soccorsi alla Libia significa respingerli

FONTE FAMIGLIACRISTIANA

 

 

 

Un verbale della riunione dell’ Organizzazione mondiale del mare del 30 ottobre scorso svela la contrarietà di creare un coordinamento libico dei salvataggi nel Mediterraneo. Ma giovedì scorso la nave della Ong spagnola Open Arms è stata affidata proprio alle motovedette di Tripoli come ha spiegato anche la Guardia Costiera italiana. Ora cominciano i respingimenti collettivi per conto terzi?

 

Torna il Caos Mediterraneo, tornano le accuse alle Ong impegnate nel salvataggio dei migranti nelle acque tra la Libia e l’ Italia. E tornano veleni, narrazioni tossiche, post sui social carichi di razzismo. Giovedì 15 marzo, primo pomeriggio. A 73 miglia dalle coste libiche – ovvero in acque internazionali – la nave dell’ organizzazione spagnola Open Arms interviene su un naufragio che coinvolge più di 200 profughi. Il gommone era stato avvistato dai mezzi aerei italiani, che a loro volta avevano passato l’ informazione all’ IMRCC, il centro di coordinamento delle operazioni di Search and Rescue (ricerca e salvataggio, in sigla SAR) gestito dal comando generale della Guardia costiera italiana. La nave della Ong, quando arriva sul punto del naufragio, si trova davanti una motovedetta della Guardia costiera libica: «Allarme! A 73 miglia dalla costa le guardie costiere libiche minacciano la nave con bandiera spagnola di sparare per uccidere se non consegniamo le donne e i bambini che abbiamo salvato», scrive alle 16.14 Oscar Camps, direttore di Open Arms, su Twitter. La tensione sale velocemente. Gli spagnoli decidono di recuperare lo stesso in mare i profughi, ignorando le minacce dei libici. Dopo ore di braccio di ferro la nave di soccorso riparte e chiede a IMRCC di Roma dove poter sbarcare, annunciando di avere anche situazioni mediche difficili a bordo. Per ore non arriverà nessuna risposta.

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Gas nervino… di un tipo sviluppato da bugiardi

FONTE PRESSENZA.COM

18.03.2018 Redazione Italia

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese

Gas nervino… di un tipo sviluppato da bugiardi
(Foto di Wikimedia Commons)

di Craig Murray, 16/3/18
L’articolo originale si trova qui

Ho appena ricevuto conferma da una fonte ben piazzata  nel FCO (Foreign and Commonwealth Office – il Ministero degli Esteri Inglese – NdT) che gli scienziati di Porton Down (la sede centrale dei laboratori militari inglesi – NdT) non sono in grado di stabilire se l’agente nervino (usato per l’attentato a Skripal – NdT) sia di fabbricazione russa, e sono irritati per le pressioni che hanno avuto di affermare il falso. Porton Down ha accettato solo la formulazione: “di un tipo sviluppato dalla Russia” dopo un incontro alquanto difficile in cui questa formulazione è stata concordata come compromesso. Si presume che i russi stessero ricercando, nel programma ‘Novichok’, una generazione di agenti nervini che potessero essere prodotti da precursori disponibili in commercio come insetticidi e fertilizzanti.
In tal senso questa sostanza (quella usata nel presunto attentato a Skripal – NdT) è un ‘Novichok’, è di quel tipo. Proprio come io sto scrivendo su un laptop ‘di un tipo sviluppato dagli Stati Uniti’, anche se questo qui è stato fatto in Cina.

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Facebook oscura Cambridge Analytica, ha usato dati per campagna Trump

Fonte Primaonline

Riccardo Luna sta indagando su chi in Italia ha usato i servizi dì Cambridge Analytica e dice di essere “vicino alla soluzione”. Intanto ha fatto interessanti ricostruzioni su vecchi e nuovi protagonisti degli studi delle
Dinamiche Comportamentali che hanno l’obiettivo di studiare il funzionamento dei comportamenti di massa e come manipolarli.
Pubblichiamo qui di seguito il pezzo di Riccardo Luna uscito sull’Agi, di cui è direttore.

Il 17 marzo  Facebook ha deciso di oscurare sulla sua piattaforma Cambridge Analytica , la società dati britannica che ha aiutato il presidente Donald Trump durante le elezioni del 2016. La decisione e’ stata presa dopo gli articoli pubblicati sul New York Times e sul Guardian che raccontano della piu grande fuga di dati nella storia di Facebook che ha permesso a  Cambridge Analytica di sviluppare tecniche che hanno costituito la base del suo lavoro sulla campagna presidenziale di Donald Trump nel 2016.

L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE PRIMAONLINE