La presunzione d’innocenza ai tempi di Orban: il caso Salis

 

 

 

 

Fonte : Articolo21.org

Le sue immagini con le catene a mani e piedi hanno fatto il giro del mondo e qualcuno ha dovuto rivederle più volte per rendersi conto che era tutto vero e che accadeva in Europa, sì nella patria dei diritti umani. Ma accadeva, e soprattutto accade, nell’Ungheria del Premier Orban, un Paese non nuovo a violazioni dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Ilaria Salis, insegnante milanese di 39 anni, era stata arrestata ormai quasi un anno fa e accusata di aver aggredito due estremisti neonazisti durante una manifestazione organizzata da nostalgici del Terzo Reich a Budapest. Lesioni lievissime, evidentemente, perché la prognosi era stata di appena cinque giorni. Ma, da quel momento, Ilaria Salis è stata inghiottita nel buco nero delle carceri ungheresi, ormai da undici mesi. La Procura di Budapest, che è di nomina governativa e da anni agisce sotto il controllo del Governo, ha contestato reati più gravi come il terrorismo e reati d’odio, secondo un copione che in Ungheria come in Russia è ricorrente per bloccare ogni forma di dissenso. Mesi di silenzio totale delle autorità italiane. Solo a seguito dell’inizio del processo, nel Tribunale di Budapest, in cui la detenuta, presunta innocente, è stata trascinata attraverso una catena legata a un cinturone, con manette e altre catene che le bloccavano i piedi, sono state presentate alcune note di protesta da parte del Ministro degli esteri Antonio Tajani che ha convocato per spiegazioni l’ambasciatore ungherese in Italia. Eppure, stando al racconto del padre, la donna è stata trasferita in ogni udienza con le stesse modalità e si può immaginare che, come farebbe ogni Stato nel caso di un cittadino in pericolo nelle famigerate carceri ungheresi e di un padre che ormai da undici mesi denuncia le gravi violazioni subite dalla figlia, qualche rappresentante dell’ambasciata italiana in Ungheria abbia seguito la vicenda e comunicato con la donna che, dalla ricostruzione giornalistica, sembra abbia scritto una lettera di denuncia sulla sua situazione carceraria alle autorità italiane. Sul fronte giudiziario l’udienza del 29 gennaio 2024 si è subito chiusa con la dichiarazione di non colpevolezza della donna e il rinvio al 24 maggio. Non sono stati disposti gli arresti domiciliari e quindi la donna è tornata in carcere.

La vicenda mostra, sotto il profilo del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea, diverse violazioni. In primis, l’Ungheria, Paese membro dell’Unione europea, malgrado le costanti violazioni dei diritti dell’uomo e del mancato rispetto delle regole sulla rule of law, continua a calpestare il diritto e i valori fondanti dell’Unione europea come se nulla fosse, restando sostanzialmente impunita. In questo caso, è evidente la violazione della direttiva 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza e sul diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 9 marzo 2016 (direttiva 2016:343). Questa direttiva all’articolo 5 dispone che “Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica”. Solo in casi eccezionali, in cui vi sia una minaccia alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi, situazioni che certo non sussistevano in questo caso, è possibile applicare misure coercitive, in via, quindi, del tutto eccezionale. Ma Ilaria Salis non costituiva alcun pericolo. Appare violata, così, la direttiva.

Sembra carta straccia, poi, per l’Ungheria la raccomandazione (UE) 2023/681 della Commissione dell’8 dicembre 2022 sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione (raccomandazione) con la quale è stato affermato che la custodia cautelare deve essere considerata una misura eccezionale, da utilizzare nel rispetto della presunzione di innocenza, con la conseguenza che va adottata una presunzione a favore della liberazione. Inoltre, la raccomandazione chiede il rispetto di alcune condizioni nelle strutture detentive.

Tra le altre violazioni, proprio le condizioni di detenzione che, stando anche a quanto descritto da un’altra detenuta italiana, comportano trattamenti inumani o degradanti. D’altra parte, sullo stato delle strutture detentive in Ungheria è sufficiente considerare il rapporto dell’Hungarian Helsinki Committeesulla gravissima situazione nelle strutture detentive in Ungheria, tra sovraffollamento e condizioni igieniche terribili (https://helsinki.hu/en/hungarian-prison-population-reaches-a-33-year-high/).

Per quanto riguarda il contatto tra la detenuta e le autorità italiane, occorre verificare se sia stata effettivamente rispettata la direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013 relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari (autorità consolari). In base all’articolo 7, infatti, gli Stati membri sono tenuti “a garantire che indagati e imputati che non sono loro cittadini e che sono privati della libertà personale abbiano il diritto di informare della privazione della libertà personale le autorità consolari del loro Stato di cittadinanza senza indebito ritardo e di comunicare con tali autorità, se lo desiderano”. Inoltre, indagati e imputati hanno altresì il diritto di ricevere visite delle loro autorità consolari, il diritto di conversare e di corrispondere con esse nonché il diritto ad una assistenza legale predisposta dalle loro autorità consolari, fatto salvo il consenso di tali autorità e se gli indagati o imputati in questione lo desiderano. Ora non è noto se Ilaria Salis abbia avuto questa possibilità: se abbia chiamato le autorità consolari o diplomatiche e se qualcuna di queste autorità abbia già in passato seguito da vicino, con una comunicazione diretta, la detenuta.

Se l’Ungheria non ha permesso questo contatto ha anche violato l’articolo 36 della Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, che conferisce agli Stati il diritto di avere contatti con i propri cittadini, proprio attraverso le autorità consolari.

Potrebbe essere stata violata anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, partendo dall’articolo 5 sul diritto alla libertà personale: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inflitto diverse condanne all’Ungheria proprio a causa della durata eccessiva della detenzione preventiva, anche per reati di lieve entità (tra le tante, si veda la pronuncia X.Y. contro Ungheria e Varga) e per la mancata valutazione circa la possibilità di applicare misure alternative alla custodia cautelare. Senza dimenticare le condanne per violazione dell’articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti proprio per il sovraffollamento carcerario, le condizioni igieniche scarse e i maltrattamenti.

Sul fronte del diritto internazionale, le violazioni potrebbero riguardare il Patto sui diritti civili e politici del 1966 (articolo 7, 9 e 14). Nell’ultimo rapporto sull’Ungheria, il Comitato per i diritti umani ha evidenziato, tra le violazioni, l’eccessiva durata della detenzione preventiva e l’utilizzo eccessivo di misure limitative della libertà personale prima della condanna definitiva, sottolineando che, inoltre, non sono fissati, nella legge, precisi limiti temporali di durata della custodia cautelare.

Resta da vedere adesso se una risposta del Governo italiano, seppure tardiva e finanche troppo mite, possa riuscire a condurre l’Ungheria al rispetto dei diritti umani. Intanto vale la pena citare la risoluzione del Parlamento europeo del 18 gennaio 2024 sulla situazione in Ungheria e sui fondi dell’UE congelati con la quale gli eurodeputati hanno ricordato, anche alla Commissione e al Consiglio, che l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana e dei diritti umani e che l’approvazione di pacchetti legislativi come quello sulla “protezione della sovranità nazionale” e le riforme del sistema giudiziario volute da Orban senza un controllo parlamentare dovrebbero portare alla piena applicazione del regolamento sulla condizionalità dello Stato di diritto e spingere il Consiglio a superare la propria incapacità verso l’attivazione delle procedure dell’articolo 7 del Trattato Ue (PE Ungheria).

L’Osservatorio della Unfreedom, un progetto che documenta il crescente utilizzo del digitale nell’ascesa della governance autoritaria

, di Global Voices

The Unfreedom Monitor è un progetto che cerca di analizzare, documentare e riferire sul crescente utilizzo delle comunicazioni digitali nell’ascesa del governo autoritario in tutto il mondo.

Fonte: immagine tratta dai rapporti dell’Osservatorio Unfreedom.

I regimi autoritari e dittatoriali intrattengono da tempo rapporti complessi con le tecnologie della comunicazione e i media, utilizzandoli per promuovere i propri obiettivi. Allo stesso tempo, questi regimi limitano l’accesso a determinate tecnologie e informazioni, il che consente loro di modellare e distorcere la realtà, rendere invisibili gli abusi e rimanere al potere. Quanto più le persone utilizzano Internet e altre tecnologie digitali, tanto più forte diventa questa tendenza. Ciò implica che, nonostante i suoi lodevoli obiettivi, Internet viene talvolta utilizzata dai governi con tendenze autoritarie come strumento di menzogna, propaganda e controllo.

Nel 2010, Rebecca MacKinnon, co-fondatrice di Global Voices, ha coniato il termine “autoritarismo della rete” per definire il modo in cui la Cina manipola Internet per mantenere il potere. Questa prospettiva consente di aprire un dibattito limitato attorno ad alcune questioni, ma controlla le piattaforme e inquadra i termini del dibattito. La tecnologia facilita la sorveglianza e le modalità di controllo sociale, mentre l’informazione, il dibattito e l’attivismo che potrebbero potenzialmente mettere in discussione il potere sono proibiti.

Global Voices monitora e documenta questo fenomeno in molti paesi dal 2007, attraverso il nostro progetto Advox. Siamo stati in grado di identificare alcune tendenze. Nel corso del tempo, le minacce alla libertà di espressione online si trasformano in minacce agli individui o ai sistemi, colpendo intere popolazioni. Le modalità di controllo di Internet e di sorveglianza di massa cominciano ad essere accettate come parte delle modalità di governance. La capacità degli Stati di individuare, reprimere e prendere di mira organizzazioni, espressioni e attivisti è sempre più sofisticata. Molti stati combinano la negazione mirata dei servizi di informazione e una potente sorveglianza con la capacità di “inondare l’area” con informazioni false o distorte attraverso tecnologie automatizzate e reti di fan. Queste pratiche, tra molte altre, consolidano poteri autoritari preesistenti e mettono in pericolo la stabilità delle democrazie, da quelle più giovani a quelle di più lunga data.

Oggi, quello che è noto come autoritarismo digitale è diventato una pratica comune per tutti i tipi di governo. Internet è pieno di tecnologie pubblicitarie che tracciano e segmentano gli utenti secondo una logica commerciale. Governi, stati e partiti politici, spesso di concerto con le multinazionali, stanno sfruttando questo potere di sorveglianza. Un futuro pieno di tecnologie di machine learning, il riconoscimento facciale e l’intelligenza artificiale per scopi di analisi “predittiva” implicano probabilmente un ulteriore aumento della capacità di controllo dello Stato. Se a ciò aggiungiamo l’onnipresente videosorveglianza, il fatto che portiamo ovunque con noi i nostri dispositivi di comunicazione elettronica e la banalizzazione dell’idea che questi dispositivi possano ascoltarci, allora ci troviamo di fronte a un sistema di sorveglianza invasivo.

Ecco i motivi per cui abbiamo lanciato l’Osservatorio della Unlibertà. Cerchiamo di capire cosa motiva, modella e influenza gli autoritarismi digitali in tutto il mondo, indipendentemente dal tipo di governo o sistema politico. Partendo da 11 paesi pilota, l’obiettivo è sviluppare una metodologia per dare un nome all’autoritarismo digitale, per aiutare le persone di buona coscienza a domarlo.

Filippine : Negli ultimi sei anni, lo spazio civico filippino si è ristretto quando il governo del presidente Duterte e di Marcos Jr. ha approvato leggi che mettono in discussione le libertà conquistate a fatica. Tra queste leggi troviamo l’Anti-Terror Act (Legge contro il terrorismo), di cui alcune clausole riguardano la sorveglianza digitale, e che punisce “l’incitamento al terrorismo”. Esiste anche la legge sulla registrazione della SIM, che impone a tutti gli utenti di telefoni cellulari di registrare le proprie informazioni personali. Sono apparse altre forme di autoritarismo digitale,

Ungheria  : l’uso delle tecnologie digitali non è stato lo strumento principale utilizzato dal governo Fidesz nelle sue tendenze autoritarie; solo di recente il fenomeno ha acquisito slancio. Gli incidenti illustrano come opera l’autoritarismo digitale in Ungheria, raggruppati in tre grandi categorie: presa del controllo delle principali infrastrutture digitali; mettere a tacere le voci dissenzienti attraverso l’intimidazione; uso della legge per indebolire i diritti umani. Il rapporto mostra come questi diversi metodi si concretizzino in casi di vita reale e danneggino i diritti umani individuali e collettivi.

Venezuela  : Dal 2007, la democrazia e la libertà di espressione in Venezuela sono state severamente censurate attraverso strategie legali contro i media tradizionali e indipendenti, riducendo la separazione dei poteri, fino a scomparire completamente. In questo contesto, l’uso di strumenti digitali per resistere alla repressione è stato affiancato da un altro fenomeno: l’uso di questi stessi strumenti di comunicazione digitale per reprimere i cittadini. Questo è l’effetto dell'”  autoritarismo della rete “. “. L’uso dei media digitali per garantire l’accesso alle informazioni è stato accolto con campagne di disinformazione da parte del governo, blocchi di Internet e persecuzione giudiziaria di giornalisti e attivisti che hanno indagato sul governo di Maduro o che hanno parlato della crisi umanitaria.

El Salvador  : In appena tre anni, Bukele è riuscito a costruire un fenomeno politico complesso che alcuni hanno soprannominato “bukelismo”, che comporta un misto di immagine millenaria, promozione del Bitcoin come moneta nazionale, discorsi anti-corruzione e politiche anti-tradizionali. partiti politici e una retorica contro l’influenza degli Stati Uniti negli affari interni di El Salvador. Questo rapporto analizza due incidenti importanti: la rivelazione che lo spyware Pegasus è stato utilizzato contro giornalisti di media indipendenti e rappresentanti della società civile ; e minacce da parte del consulente legale di Bukele contro due giornaliste che si erano rifiutate di rivelare le loro fonti anonime in un articolo giornalistico. Questo secondo incidente illustra una tendenza di molestie e minacce online contro le giornaliste, una tendenza sostenuta dal presidente Bukele e replicata dai suoi sostenitori, dai centri troll e dagli influencer filogovernativi dei social media.

Ecuador : I tre temi sollevati da questo rapporto, affrontati attraverso il prisma dell’autoritarismo digitale, rivelano pratiche che potrebbero avere un impatto sulla vita democratica in Ecuador. Sebbene il decennio del governo Correa (2007-2017) non sia stato esente da vessazioni e persecuzioni, limitarsi ai dati relativi all’ideologia specifica di Correa potrebbe impedire la comprensione e l’analisi del contesto ecuadoriano in modo più globale. In altre parole, analizzare l’Ecuador solo in termini di binarismo politico tra autoritarismo e democrazia potrebbe ostacolare la comprensione, nel tempo del post-correismo, delle pratiche antidemocratiche e regressive che sono ancora attuali in questo paese. L’Ecuador mostra pratiche che rientrano nella categoria dello spettro come autoritarismo digitale,

Kazakistan  : il regime al potere in Kazakistan monitora e controlla le attività delle voci dissenzienti e critiche.Il presidente Tokayey continua le politiche repressive dei suoi predecessori e controlla l’informazione e il cyberspazio applicando soluzioni tecnologiche: sorveglianza mirata, chiusura di Internet e comportamento coordinato non autentico sui social network. La stampa è inondata di propaganda filogovernativa, anche se i resoconti critici sono tollerati purché rimangano entro determinati limiti da non oltrepassare. I giornalisti e i media che alzano la voce vengono presi di mira in casi penali pretestuosi, talvolta con l’uso della violenza e dell’intimidazione. Il Kazakistan è uno dei paesi con la classifica più bassa in termini di libertà di stampa: 158esimo su 180.

Birmania  : il rapporto analizza la situazione dell’autoritarismo digitale in Birmania e valuta in modo completo il comportamento oppressivo del governo nel cyberspazio. Fa appello a cinque categorie di repressione digitale implementate dall’esercito birmano: chiusura di Internet, censura online, sorveglianza, persecuzione mirata degli utenti online e disinformazione e manipolazione dei social media. In questo contesto, sta emergendo l’era della resistenza digitale del popolo birmano per affrontare la dittatura, attraverso l’elusione, la migrazione multipiattaforma e iniziative collaborative di finanziamento della resistenza, tra le altre cose.

Camerun  : Autoritarismo digitale è un termine che descrive sempre più il Camerun. Il governo camerunese utilizza sempre più strumenti digitali per monitorare e controllare i cittadini, limitando al contempo l’accesso a Internet e ad altre tecnologie digitali. La mancanza di regolamentazione dei social network e di Internet facilita la diffusione di informazioni false e discorsi di incitamento all’odio, un ostacolo significativo a una migliore comprensione della verità e alla capacità di compiere scelte informate. Inoltre, la pervasività delle fake news e delle molestie online limita fortemente la presenza delle donne nella definizione del discorso pubblico.

Hong Kong  : al momento della stesura di questo rapporto, gli strumenti dell’autoritarismo digitale potrebbero non essere utilizzati in modo così diretto e massiccio come in Cina; tuttavia, a Hong Kong stiamo assistendo a un drammatico cambiamento nel discorso statale per quanto riguarda la libertà di stampa e di espressione. La legge sulla sicurezza nazionale (NSL), introdotta nel giugno 2020 dal governo cinese in risposta ai disordini sociali del 2019, ha cambiato le condizioni e l’ambiente per i lavoratori dei media, compresi giornalisti ed editori, in cui organizzazioni sociali e politiche come sindacati e politici i partiti si evolvono, così come i cittadini sia online che offline.

Vedi il file in inglese sul sito web di Global Voices

Iran: le autorità stanno preparando una macchina ghigliottina per amputare le dita dei prigionieri.

Le autorità iraniane stanno preparando la loro macchina di tortura per mutilare e traumatizzare ancora una volta deliberatamente le persone attraverso punizioni corporali giudiziarie indicibilmente crudeli, ha dichiarato oggi Amnesty International dopo aver ricevuto informazioni sulle autorità dell’accusa a Urumieh, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, che si preparano a portare una ghigliottina usata per amputare le dita nella prigione di Urumieh. Fino a sei uomini condannati per rapina e detenuti in prigione corrono il rischio imminente di farsi amputare le dita, pochi giorni dopo che le autorità dell’accusa di Teheran hanno frustato 74 volte un attivista per i diritti dei lavoratori per aver organizzato una protesta pacifica che criticava il ministro del lavoro.

Data:
 3 dicembre 2020
IL TESTO DEL RAPPORTO AMNESTY 

Le scomode verità di Enrico Zucca

Fonte Comune.Info

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di Lorenzo Guadagnucci*

Parafrasando un aforisma del compianto Roberto Freak Antoni potremmo dire, pensando alla bufera mediatica esplosa attorno a Enrico Zucca, che non c’è gusto in Italia a dire la verità. Invece d’essere ascoltato e ringraziato, il magistrato è stato additato come una minaccia da buona parte della nomenclatura istituzionale, con il chiaro obiettivo di non discutere le questioni da lui sollevate.

Enrico Zucca, che fu pm nel processo Diaz (il cui esito non è mai stato digerito ai vari piani del Palazzo), durante un convegno a Genova ha messo in fila alcune evidenze processuali degli ultimi anni.

Ha detto che la tutela dei diritti fondamentali è diventata più difficile dopo l’11 settembre e l’avvio della cosiddetta guerra al terrorismo, tanto che la ragion di stato, in più casi, ha prevalso sulle regole scritte nelle Convenzioni sui diritti umani.

Ha detto che l’Italia ha violato più volte queste convenzioni, ad esempio nel caso Abu Omar (l’imam rapito a Milano dalla Cia e consegnato all’Egitto dove è stato torturato), subendo così una condanna davanti alla Corte europea per i diritti umani, e anche nelle vicende riguardanti il G8 di Genova, quando il nostro paese ha disatteso l’impegno a sospendere e rimuovere i funzionari condannati per le torture alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto.

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