Con il cambiamento del capitalismo internazionale, cambiano anche le risposte dei lavoratori

30 GIUGNO 2022
Del Professore Emerito David Peetz
 traduzione tramite google translator

 

 

Nonostante il declino dei sindacati, ci sono molti segnali di resistenza dei lavoratori. Ciò è correlato alla crescente disuguaglianza, alle incursioni sindacali in occupazioni e industrie apparentemente impenetrabili, allo sviluppo da parte dei sindacati di collegamenti internazionali e strumenti digitali e all’inevitabile pressione per la riforma del lavoro.

I sindacati sono in declino da circa quattro decenni e gran parte di questo può essere attribuito ai cambiamenti nel capitalismo stesso. Aziende e governi hanno perseguito fianco a fianco pratiche e leggi antisindacali. Sotto il controllo finanziario, le società pongono maggiore enfasi sulla riduzione dei costi e i governi hanno incoraggiato le riforme del mercato intensificando tale modello. Le aziende hanno stabilito fabbriche di alimentazione nei paesi in via di sviluppo con governi anti-sindacali e hanno chiuso i luoghi di lavoro sindacalizzati nei paesi sviluppati. Ciò ha coinciso con la creazione di nuove forme di lavoro che frammentano i lavoratori e rendono difficile la sindacalizzazione, e l’espansione esponenziale di occupazioni high-tech senza una storia di sindacalismo. In tutta l’OCSE, l’adesione media ai sindacati è scesa dal 37% della forza lavoro nel 1980 al 16% nel 2019.

Eppure, nel mezzo di tutto questo, abbiamo assistito a un’ondata di organizzazioni sindacali, con i lavoratori di parti di aziende come Apple , Amazon e Starbucks che perseguono la sindacalizzazione. È questo l’ultimo sussulto del movimento sindacale o qualcos’altro?

Leggi tutto

Agnoletto: in Lombardia la salute è stata trasformata in merce

Fonte Pressenza.com

Vittorio Agnoletto è stato inserito dalla rivistaSanità Informazione fra i 10 professionisti della scienza che nel 2021 hanno avuto un impatto nellalotta alla pandemia; è il portavoce italiano della campagna europea No profit on Pandemic; facciamo con lui il punto della situazione.

Come sta andando la campagna e quali sono le prospettive?

La campagna nessun profitto sulla pandemia diritto alla cura si sta ampliando continuamente ed è sostenuta dalla società civile di tutta Europa. E’ evidente che oggi ha acquisito ancora maggiore importanza che nel passato; la vicenda della variante Omicron dimostra che lì dove non arrivano i vaccini è più facile che si sviluppi una variante maggiormente aggressiva che poi circola in tutto il mondo e noi non sappiamo quanto i vaccini che stiamo utilizzando saranno in grado di bloccare quella variante. Per esempio, oggi stiamo sperimentando che i vaccini disponibili sono efficaci in misura ridotta contro Omicron; sono migliaia e migliaia le persone vaccinate che comunque si sono infettate, anche se sembra fortunatamente che Omicron sia meno aggressivo della variante Delta. Ma questa situazione ci manda un segnale per il futuro: se arriveranno altre varianti maggiormente aggressive non è detto che i vaccini riusciranno a fermarle.

L’obiettivo che noi abbiamo adesso come campagna europea è lo stesso che hanno i movimenti di tutto il mondo: chiedere che l’Organizzazione Mondiale del Commercio si riunisca; la riunione prevista per il 30 novembre è stata rinviata a causa dell’impossibilità delle delegazioni di raggiungere Ginevra per via delle limitazioni sui voli a causa di Omicron; noi siamo sicuri che la decisione di sospensione momentanea dei brevetti possa essere assunta anche in una riunione online nella quale venga accolta la proposta di India e Sudafrica per una moratoria di tre anni. Nel frattempo, bisogna fare il possibile per modificare la posizione della Commissione Europea che è tale perché è sostenuta da diversi governi europei tra i quali Germania, Francia e Italia. Quindi il nostro governo ha un’enorme responsabilità e questo è il motivo anche dell’appello che, l’ultimo dell’anno, ho rivolto al Presidente del Consiglio Draghi chiedendogli un atto formale del Governo Italiano di appoggio alla proposta di moratoria, votato in Parlamento, approvato in Consiglio dei Ministri e formalizzato all’interno delle istituzioni europee.

A proposito del governo: un tuo commento sugli ultimi provvedimenti e sulla sua strategia generale.

Spesso sembra che le decisioni assunte dal governo rispondano a meccanismi di compatibilità politica dei partiti che formano il governo e alle pressioni di Confindustria ed altri settori economici.

Per esempio, la decisione di cancellare la quarantena per chi è venuto in contatto stretto con un positivo e ha fatto tre dosi di vaccino o greenpass rafforzato da meno di 4 mesi risponde a valutazioni politiche del governo ed è comprensibile che incontri il plauso di molte persone attualmente rinchiuse in casa. Ma dal punto di vista scientifico non ha alcuna giustificazione: gli oltre 126 mila positivi identificati qualche giorno fa, in sole 24h, non sono certamente stati tutti contagiati da non vaccinati e inoltre, a differenza di quanto avviene per i ricoverati in terapia intensiva e per i deceduti, per i positivi non vengano fornite le percentuali tra vaccinati e non vaccinati.

Ad infettarsi con la variante Omicron sono anche moltissime persone vaccinate tre volte, le quali, se è vero che raramente evolvono verso le fasi avanzate della malattia è altrettanto vero che diventano potenziali involontari propagatori dell’infezione. Con Omicron il massimo dell’infettività si ha nei 2-3 giorni precedenti alla comparsa dei sintomi e nei 2-3 giorni successivi; dal punto di vista scientifico avrebbe avuto quindi più senso ridurre il tempo di isolamento per chi è risultato positivo ma asintomatico e ridurre, senza azzerarla, la quarantena per i contatti. Ma a prevalere non sono state le considerazioni sanitarie ma le ragioni dell’economia o meglio dei padroni dell’economia e il rischio di veder crescere ulteriormente positivi e di conseguenza i ricoverati e i deceduti è concreto.

Il comitato tecnico-scientifico conosce queste evidenze e avrebbe dovuto considerarle; chi governa deve compiere delle scelte e assumersene le responsabilità senza però piegare la scienza ai suoi obiettivi.

Ma soprattutto è sbagliato pensare una strategia centrata solo sui vaccini: i vaccini svolgono un ruolo fondamentalema per bloccare o limitare la diffusione del virus da soli non sono sufficienti. E’ necessario insistere sul distanziamento, sull’uso delle mascherine che avevano raggiunto prezzi esorbitanti (prima che il governo finalmente stabilisse un prezzo fisso), rendere gratuiti i tamponi (il cui costo reale è di pochi euro) in modo tale che le persone possano sapere subito se sono infette. Sono misure di sanità pubblica fondamentali. Se invece i tamponi non si trovano e bisogna andare dai privati e pagarli 100-170€ e fare sei ore di coda in piedi al freddo, è evidente che meno persone andranno a fare il tampone e quindi rischieranno di infettare altri.

Ci sono anche altre misure di sanità pubblica che avrebbero dovuto essere praticate; hanno avuto un tempo lunghissimo per aumentare il numero dei mezzi di trasporto urbani e interurbani, ma nulla è stato fatto; avrebbero dovuto: potenziare il servizio di medicina del lavoro per andare almeno a verificare l’uso dei dispositivi di protezione individuale e il rispetto del distanziamento; incentivare lo smart working anziché criminalizzarlo; sdoppiare le classi pollaio, cercare altre aule, modificare gli orari. Nulla di tutto questo.

Per non parlare del fatto che ormai da oltre un mese si è totalmente rinunciato al contact tracing, cioè si è rinunciato a inseguire il virus. Tutta l’attività di medicina territoriale è stata ridotta ai minimi termini, i medici di famiglia sono stati totalmente abbandonati a se stessi.

Si punta solo e unicamente sul vaccino, ma il vaccino moltiplicherebbe la sua utilità se fosse inserito in una complessiva strategia di sanità pubblica.

La pandemia ha messo in evidenza tutte le decadenze di un sistema sanitario privatizzato: dove chiediamo di intervenire con forza per evitare futuri disastri?

Il disastro che una regione come la Lombardia ha sperimentato nella prima fase della pandemia, ma che sta sperimentando anche adesso, non è un fatto isolato: la Lombardia è semplicemente una delle regioni in Europa dove maggiormente il liberismo è penetrato all’interno della sanità e dove la salute è stata trasformata in merce. Fino a prima della pandemia era il modello a cui guardavano alcune forze politiche non solo di destra, ma anche che si collocano nel centro-sinistra.

Perché c’è stato il fallimento del modello lombardo e si sono evidenziati enormi limiti anche a livello nazionale nelle strategie di contrasto alla pandemia? I motivi sono tanti.

Primo: la forte penetrazione delle strutture private all’interno del servizio sanitario pubblico attraverso i meccanismi di accreditamento; il privato quando interviene in sanità, come in qualunque altro settore, ha l’obiettivo di costruire i profitti e questi in sanità si costruiscono sui malati e sulle malattie non sulle persone sane e sulla salute. Ha quindi un obiettivo diverso da quello del servizio sanitario pubblico in cui più si riesce a prevenire, più si riduce il numero dei malati e delle malattie, più lo Stato, cioè noi, risparmiamo. La conseguenza di questa forte presenza del privato nel servizio sanitario pubblico è che quest’ultimo si è andato modellando sempre più a somiglianza del modello privato, scegliendo di abbandonare a se stessi i servizi di prevenzione e la medicina territoriale, ignorando l’epidemiologia, non aggiornando il piano pandemico e lasciando unicamente sulla carta, ma non nella realtà, un piano di allertche fosse in grado di attivare immediatamente le necessarie indagini sanitarie ogni volta che giungesse dai medici del territorio la segnalazione della comparsa di una nuova patologia o il moltiplicarsi, senza un’apparente ragione, di alcuni quadri clinici.

Secondo: noi abbiamo un servizio sanitario concentrato quasi unicamente sulla cura e con un approccio totalmente individualizzato; la prevenzione quasi non esiste. La medicina negli ultimi 30-40anni ha avuto come obiettivi fondamentali aumentare l’attesa di vita e il numero di giorni trascorsi senza malattia degli ultrasessantacinquenni. Si è cercato di realizzare questi obiettivi unicamente attraverso interventi personalizzati puntando sullo sviluppo della chirurgia e di nuovi farmaci. Oggi, di fronte a una pandemia si riduce il numero dei morti se si interviene il prima possibile per evitare che l’agente infettivo si diffonda, limitandone la diffusione; per fare questo è necessario un rapporto stretto tra il servizio sanitario e la popolazione, tra i professionisti della salute e le strutture sociali intermedie, perché se si devono modificare dei comportamenti dei cittadini è fondamentale un rapporto stretto con le strutture organizzate nella società. Questo riguarda la pandemia, ma anche l’impatto delle tematiche ambientali sulla salute, dei tumori ecc. E’ necessario cambiare il paradigma della medicina.

Oggi bisogna potenziare la medicina di comunità che è fondata sull’individuazione dei bisogni sanitari di ogni popolazione, l’elaborazione di un progetto sanitario, l’individuazione degli obiettivi prioritari con la conseguente capacità di andare a verificare se questi obiettivi sono raggiunti o meno. Riprendere per capirci alcune delle intuizioni di “Nemesi Medica di Ivan Illich.

Se tutto questo non ci sarà, e così sembra da come vengono individuate le priorità sanitarie con i fondi del PNRR, rischieremo, nel caso di una nuova pandemia, di trovarci una situazione molto simile a quella attuale.

E’ risultato molto controverso il tema della vaccinazione a adolescenti e bambini. Quale la tua opinione a riguardo?

Nell’ultimo mese è stata fatta una campagna a tamburo battente perché venissero vaccinati i bambini dai 5 agli 11 anni; a fronte di una posizione assolutamente decisa in questa direzione della Società Italiana di Pediatria altre società pediatriche come quelle francese, tedesca, norvegese e varie realtà scientifiche europee hanno assunto posizioni molto diverse. Qual è il punto? Di fronte ad ogni provvedimento si devono valutare i rischi e i benefici per ogni specifica popolazione: i bambini ad oggi certamente si infettano, ma è rarissimo che sviluppino dei sintomi ed è ancora più raro che possono evolvere verso malattia grave; dall’inizio della pandemia i bambini tra i 5 e gli 11 anni deceduti per Covid sono 9 e nella quasi totalità erano bambini con altre gravi precedenti patologie. L’infezione da Coronavirus-19 nei bambini si presenta in genere in modo completamente asintomatico e sono rarissime e comunque clinicamente trattabili, altre patologie infiammatorie che si potrebbero sviluppare nei bambini a causa del Covid.

D’altra parte, la sperimentazione presentata dalla Pfizer ha coinvolto un numero estremamente limitato di bambini, poco più di 2,000, ed è durato pochi mesi; infatti la stessa Pfizer in un suo documento afferma “Il numero di partecipanti all’attuale programma di sviluppo clinico è troppo piccolo per rilevare eventuali rischi potenziali di miocardite associati alla vaccinazione. La sicurezza a lungo termine del vaccino COVID-19 nei partecipanti da 5-12 anni di età sarà studiato in 5 studi sulla sicurezza dopo l’autorizzazione, compreso uno studio di follow-up di 5 anni per valutare a lungo termine sequele di miocardite/pericardite post-vaccinazione” ; queste frasi sono presenti nel documento che l’azienda farmaceutica ha consegnato a EMA e a FDA (gli enti che in Europa e negli USA approvano l’immissione sul mercato di farmaci e vaccini). Stiamo parlando di una popolazione, i bambini, il cui organismo è in una fase di grande crescita e sviluppo, con caratteristiche differenti dal corpo di un adulto; il principio di precauzione non può essere ignorato.

Non mi pare quindi che per la popolazione tra i 5 e gli 11 anni vi siano forti evidenze che i benefici superino i rischi.

Vari colleghi, pur condividendo queste mie perplessità, obiettano che si debbano vaccinare i bambini per evitare che costoro poi infettino gli adulti; ma in questo caso l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di raggiungere i milioni di adulti che non si sono vaccinati e di convincerli.

La logica di vaccinare i bambini per evitare che trasmettano l’infezione ad un adulto, al di là delle possibili valutazioni etiche, perde gran parte delle sue ragioni, di fronte ai i dati di questi giorni, con migliaia di persone vaccinate che si sono infettate. Il vaccino è invece estremamente utile nel bloccare la progressione della malattia nelle persone positive; per questo l’obiettivo prioritario deve restare quello di vaccinare tutti coloro che potenzialmente potrebbero evolvere verso le fasi avanzate della malattia e come abbiamo detto, i bambini sono quelli che rischiano molto meno di tutti gli altri.

Questo non significa rifiutare a priori la vaccinazione dei bambini, ma aspettare che siano pubblicati i risultati di ricerche più vaste e più approfondite.

Ad oggi si potrebbe proporre la vaccinazione a tutti i bambini che hanno delle fragilità o delle altre gravi patologie, per i quali il Covid potrebbe rappresentare un rischio significativo.

Resto perplesso quando vedo gran parte del mondo scientifico italiano invocare, senza porsi nessun interrogativo scientifico e senza valutare i pro e i contro, la vaccinazione dei bambini come una delle soluzioni alla situazione attuale, mentre mi pare evidente che le priorità per contrastare il virus, oggi dovrebbero essere altre.

Ultima questione. Sono fermamente convinto che tutte le società scientifiche che sono chiamate a pronunciarsi, a fornire indicazioni, ad elaborare linee guida sulle terapie non dovrebbero ricevere fondi da aziende farmaceutiche che producono farmaci relativi alle patologie delle quali loro si occupano. Sarebbe un importante contributo per un dibattito più trasparente al riparo da qualunque conflitto d’interesse.

Categorie: contenuti originaliEuropaInternazionaleIntervistePoliticaSalute
Tag: 

Mario Agostinelli: La necessaria transizione energetica e come realizzarla. Incontro con Mimmo Perrotta e Marino Ruzzenenti

Fonte: Inchiestaonline 

 

Energia e vita

Per cominciare, è necessario spiegare perché di questi tempi è così importante riflettere sull’energia. L’energia è una proprietà che consente a un corpo o a un sistema che la possiede di fare lavoro o di dar luogo a trasformazioni energetiche a spese delle sue caratteristiche di partenza. Quando si dispone di maggiori potenze, il lavoro o la trasformazione avvengono a maggiori rapidità. È questa una delle ragioni per cui si è concentrata sulla potenza l’applicazione prevalente e sempre più devastante dell’energia alla trasformazione della natura inerte e soltanto da poco più di un secolo la scienza tratta con sempre maggior preoccupazione del rapporto tra energia e vita, tenendo conto che i cicli naturali si riproducono raggiungendo condizioni di stabilità ed equilibrio con la minore dispersione di energia. Più ancora che di un oggetto di difficile definizione, si tratta di una lente formidabile attraverso cui si può leggere il mondo – dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande – e capire come tutto sia interconnesso in forma di scambi, di relazioni, che ordinano il vivente mentre “disordinano” l’ambiente in cui sopravvive.

Dalla rivoluzione scientifica del 1600 avevamo tratto la capacità di mettere in relazione quantitativa le grandezze fisiche presenti nel nostro universo, stabilendo leggi matematiche che ritenevamo immutabili e che trasformavano la materia a velocità sempre più elevata, nella presunzione che le risorse cui si applicava il lavoro e l’energia che ottenevamo con la combustione del carbone fossero illimitate. Si profilava e attuava un mondo artificiale sempre più complesso, che circondava le città, le fabbriche, delimitava le campagne e inquinava i fiumi, concentrando sulla produzione e il commercio di manufatti la crescita e la ricchezza delle economie e delle nazioni. È il mondo che Engels scopre nella sua valle di Wuppertal, ormai costipata di manifatture avvolte da nuvole pestifere. Ma è proprio dalla seconda metà dell’800 che nascono i primi studi sistematici e i nuovi modelli per interpretare la vita come fenomeno e valore distinto, irripetibile e fragile, che andava trattato come un insieme e non semplicemente come un “ente” scomponibile o smontabile in parti complementari, giacché il tutto era superiore alla pura somma dei costituenti. L’entrata in campo della vita e delle sue relazioni indissolubili con la natura finì col togliere alle leggi fisiche newtoniane, deterministe, indipendenti dal tempo e dal contesto in cui si applicavano, il primato nel disegnare il nostro futuro e addirittura di stabilire la gerarchia che presiedeva alla politica, consegnando a un approccio interdisciplinare e non più solo specialistico la preoccupazione per la cura, per il benessere, per una giusta sopravvivenza dell’intera biosfera.

Credo che la lettura più straordinaria che sia stata data negli ultimi anni sul rapporto tra energia e vivente sia quella articolata con suggestioni penetranti nella enciclica Laudato Si’. Con essa Francesco ha prodotto una cesura con la concezione meccanicistica e determinista dell’energia ed ha contribuito a spostare il centro della discussione dall’antropocentrismo e dalla geopolitica alla cura della Terra come complesso coerentemente inscindibile. Per la prima volta un religioso – non soltanto cattolico, ma, probabilmente, unico nelle religioni – fa marciare insieme la scienza più avanzata e la religione e non le mette in rapporto gerarchico e nemmeno dialettico tra di loro. Si tratta di una lettura della realtà che ci circonda, che io non mi sarei aspettato, soprattutto da un’esegesi religiosa, anche perché interiorizza un’idea di un tempo che va immancabilmente e colpevolmente a finire, in cui il disordine provocato dall’ultima specie comparsa sul Pianeta può diventare talmente insopprimibile da mettere in discussione la riproduzione della vita. Molta ecologia già percorreva una strada parallela, ma la diffusione del negazionismo climatico non aveva ancora incontrato un pensiero che – come afferma Peter Kammerer – “ha preso le ali”.

Un altro aspetto da prendere in considerazione nella relazione tra energia e vita è quello della giustizia sociale. Sembrerebbero nozioni assai distanti, ma basta per collegarli dare una definizione all’ordine e al disordine che si crea intorno alla vita: “entropia”. Essa è la misura del grado di ordine e di informazione che si può trarre da un corpo; in natura, fatta di tanti corpi isolati nel loroambiente, l’entropia di [vivente + ambiente] tende irreversibilmente a crescere. Poiché gli esseri viventi sono dotati di un “progetto interno” che mantiene il loro ordine il più elevato possibile, prelevano energia dall’ambiente, creando in tal modo una quantità di scarti, sprechi, rifiuti che fanno crescere il degrado e il disordine complessivo. “Ogni vivente – dice Bertand Russell – è a suo modo un imperialista che cerca di appropriarsi dell’ambiente circostante”. A meno che prevalga una cooperazione, che nel mondo animale e vegetale è assai presente e che la specie umana affronta o rifiuta dandosi regole politiche e sociali. Consumare troppa energia o troppi alimenti o troppi oggetti, e lasciarne privi altri esseri, corrisponde a ridurre potenzialità di vita in base a scelte che prevedono ingiustizia sociale, come accade nel sistema capitalista, che, oltrepassando i limiti naturali, è all’origine anche dell’ingiustizia climatica.

Da solo poco più di cinquanta anni abbiamo consapevolezza di un rapporto tra energia e vita così inquietante quando se ne infrangono i limiti, per due ragioni importanti, che purtroppo non vengono ancora insegnate nelle scuole (non le hanno insegnate neanche a me, che sono un chimico-fisico): la prima riguarda le eccessive potenze (velocità trasformative) con cui si è messa al lavoro da secoli l’energia fossile; la seconda corrisponde alla sottovalutazione dell’innalzamento della temperatura della Terra, che è indice di una crescita della sua energia interna oltre l’equilibrio.

La prima consapevolezza emerge solo negli anni ’60: prima di allora, si pensava all’energia come un magazzino infinito da cui potessimo trarre infinite risorse, impiegate nella trasformazione della natura in mondo artificiale. Solo dopo la metà del Novecento i primi attenti osservatori si accorgono che la natura si consuma e che alcune materie non sono recuperabili in cicli utili, ma vanno scartate e non c’è energia conveniente per rinnovarle. Nel 1972, il Club di Roma individuò nell’uso esasperato di materie prime la possibile fine della presenza umana sulla terra. E quindi spinse per un atteggiamento sobrio rispetto in particolare ai consumi di materia. L’energia fossile con i suoi effetti climalteranti era presa in considerazione solo per la sua esauribilità.

La seconda consapevolezza si è fatta strada quando si è estesa la convinzione che la finestra energetica in cui avvengono processi di vita “salubri” è entro i limiti di due-tre gradi al massimo. E la climatologia cominciò ad avvertire, con milioni di dati alla mano raccolti giorno dopo giorno e ad ogni latitudine e longitudine, che se la temperatura media dovesse aumentare oltre 2°C, le catastrofi sarebbero superiori alle disponibilità di prevenirle e l’estinzione della specie avrebbe un orizzonte temporale di poche generazioni. Non era possibile fino ai primi decenni del Novecento, con la relatività e la quantistica ormai affermate, individuare i meccanismi microscopici che spiegano gli scambi di energia tra raggi solari e Terra, per cui si comprende che l’esistenza della vita dipende da un fatto eccezionale: che questo pianeta è circondato da un insieme minuto e differenziato di particelle che vengono colpite dalla radiazione, che con un meccanismo quantistico ne spezza le molecole oppure, nel caso della CO2 o del metano, induce vibrazioni che trasmettono movimento alle altre molecole che stanno attorno e quindi producono calore. E si comprende, infine, che se questi meccanismi microscopici producono disordine irrecuperabile la vita stessa potrebbe estinguersi. Ad esempio, basta un eccesso di CO2 perché le piante non respirino come prima. Si è cominciato quindi a parlare di bilancio di flussi energetici in atmosfera, di assorbimenti negli oceani, di permeabilità dei suoli, di assorbimento delle foreste. Da questo punto di vista è stato decisivo l’osservatorio di Mauna Loa, alle Hawaii, che dalla fine degli anni ’50 misura costantemente la CO2 nell’atmosfera e la temperatura sulla terra.

Queste due consapevolezze sono molto recenti, storicamente datate e fortemente negate dagli interessi del mondo dell’impresa e delle grandi multinazionali, assecondate da gran parte dei governanti.

 

La transizione ineludibile

Oggi a livello globale tra le fonti di energia prevale ancora nettamente la quota di fossile: ancora molto carbone e, relativamente in crescita rispetto al carbone, petrolio in forma di benzina e diesel per la mobilità e gas per le forniture elettriche. Il futuro è però sicuramente un futuro di azzeramento delle quote fossili, anche se questa prospettiva sarà frutto di aspri conflitti e di resistenza alle pressioni lobbistiche delle multinazionali attivissime in tutte le sedi internazionali (come l’attività di Eni e Snam a Bruxelles e all’interno del governo italiano denunciate da Re:Common). Sono necessari una serie di accordi internazionali, dopo quello insufficiente di Parigi 2015, con il rispetto dei quali il mix energetico si deve drasticamente spostare dal carbonio per provenire esclusivamente da fonte solare in costante equilibrio con il pianeta terra. Questa è la indicazione “da scolpire sulla pietra” assieme ad una riduzione dei consumi energetici pro capite, allineata in ogni regione del globo.

Le fonti fossili sono il lavoro fatto per milioni di anni dal sole e conservato all’interno della crosta terrestre o dei mari in forma altamente condensata, quindi con densità energetica (potere calorifico) rilevante. I giacimenti fossili sono il frutto del sequestro sottoterra o nelle rocce o nei mari – e comunque non in atmosfera – di notevoli quantità di anidride carbonica che, senza processi di equilibrio tra aria, rocce, mari e vegetazione, avrebbero reso la vita impossibile. Man mano che questi stati di carbonio in forma di complessi, cioè carbone, gas, petrolio, sono stati sequestrati e sottratti all’atmosfera attraverso processi geologici, è diminuita la quantità di CO2 che sopravviveva in parti per milione nell’aria, fino a raggiungere un equilibrio attorno a 300 parti per milione, che ha consentito la transizione decisiva verso l’evoluzione, in quanto permetteva all’assorbimento di CO2 da parte delle piante l’emissione di ossigeno e, di conseguenza, l’alimentazione della vita attraverso la respirazione. La presenza di una concentrazione di CO2 sostanzialmente costante ha dato origine all’effetto serra, dovuto a una riflessione in atmosfera della radiazione infrarossa, che ha consentito che la temperatura media del pianeta raggiungesse 15°C, da -18°C in assenza di effetto serra. Ora, però, man mano che emettiamo CO2 in eccesso – siamo nel 2021 a oltre 415 parti per milione – rischiamo di far crescere a tal punto l’effetto serra da avere una temperatura media sul pianeta che non è più completamente compatibile con la riproduzione della vita, a cominciare dai tropici e dai poli.

Si capisce perché occorra tenere sotto terra due terzi di tutto il materiale denso di energia che proviene dal carbonio fossile, sotterrato geologicamente in una successione di miliardi di anni e che la combustione potrebbe invece liberare all’istante. Per questo è indispensabile lo spostamento verso fonti di energia come acqua, vento, sole e in misura meno rilevante geotermia, che non liberano anidride carbonica. L’attenzione così si sposta dal modello di consumo al modello di produzione: non più consumo rapido di energia – non più combustione! un evento che in natura esiste solo come incidente – ma equilibri naturali e ciclo solare secondo tempi biologici di smaltimento delle scorie.

Un secondo fattore che indica l’ineluttabilità dell’abbandono dei fossili sono i costi, che aumentano costantemente rispetto a quelli delle fonti rinnovabili, che oggi sono più convenienti anche considerate nell’intero ciclo di vita. Certo, dal punto di vista dei costi le fonti fossili hanno – ma potremmo dire avevano – un vantaggio rispetto alle rinnovabili: possono essere trasportate e bruciate anche per un intero anno, mentre le rinnovabili sono intermittenti: dipendono dall’esposizione al sole (quindi solo durante le ore del giorno) o al vento (che tira bene per tre quarti dell’anno nel Baltico, per metà dell’anno nel Mediterraneo…). Questo fino a cinque anni fa faceva pendere la bilancia dei costi verso i fossili. Oggi c’è una novità, che è vista come una soluzione decisiva anche in prospettiva: la possibilità che, attraverso l’idrolisi, l’energia elettrica prodotta in eccesso e non consumata (quando magari c’è vento troppo forte o c’è un sole troppo battente o magari di notte quando l’idroelettrico viene usato come pompaggio) venga invece trasformata in idrogeno, che può essere trasportato o di nuovo riconvertito in energia elettrica. Potremmo dire che una soluzione alla sostituzione definitiva dei fossili è già alla portata anche economica: rinnovabili, in particolare eolico, e accanto a esse un sistema di approvvigionamento che possa essere poi ridistribuito e utilizzato nei momenti in cui non c’è dispacciamento diretto di energia elettrica (idrogeno, pompaggi, batterie).

L’UE in questo Next Generation Plan ha puntato quasi tutto in una direzione di questo tipo.

 

Energia e democrazia

Dal punto di vista delle politiche energetiche, questo spostamento verso le fonti rinnovabili è il colpo più duro che potesse subire la geopolitica mondiale, almeno per come l’abbiamo ereditata dalle due guerre mondiali. Mentre le fonti fossili sono ad alta densità e concentrate anche localmente, le energie rinnovabili sono dappertutto: in un deserto c’è molto sole ma non c’è l’acqua, in un fondovalle c’è molto vento e c’è poco sole, in cima ad un ghiacciaio c’è sia sole che vento che acqua condensata. Insomma, le fonti rinnovabili sono largamente disponibili, sebbene in misure e proporzioni diverse, in quasi tutte le parti del pianeta. Questo è il colpo più duro che potessero subire le corporation minerarie e le multinazionali energetiche che avevano dislocato in spazi territoriali circoscritti le loro licenze e proprietà di derivazione sostanzialmente coloniale, visto che ormai il petrolio o il gas si andavano a cercare con strutture e impianti imponenti perfino tra i ghiacci o in fondo al mare, con costi crescenti e sistemi di trasporto smisurati.

A fronte del loro declino, oggi è in corso una duplice forma di guerra. La prima è di sapore antico, militare: per procurarsi il petrolio e il gas, gli eserciti sono in continua crescita e si contendono i territori con forme di occupazione ad alto dispendio di automazione e controllo a distanza. Si noti che il terzo produttore di CO2 al mondo, se lo considerassimo come uno stato, è il settore delle armi: droni, portaerei, cacciabombardieri, missili puntati, ordigni nucleari sempre allerta su mezzi mobili. Questa enorme mole di energia degradata ora dopo ora, sprecata e irrecuperabile contraddice profondamente la possibilità invece di convivere con un’energia rinnovabile, cioè rigenerabile nei tempi della vita umana o nel susseguirsi di generazioni in tempi storici. Le armi, evidentemente, contraddicono qualsiasi principio di rinnovabilità: in un tempo il più breve possibile scaricano il massimo di energia distruttiva. Non è un caso se questo papa è andato in Iraq, dove c’è una guerra per il petrolio, per l’acqua, per l’accaparramento degli elementi naturali.

Il secondo tipo di guerra lo stanno conducendo le grandi multinazionali dei fossili, che hanno capito che dal punto di vista economico in un tempo di venti o trent’anni bisogna passare a un mix dove le fonti naturali saranno nettamente superiori rispetto ai fossili e non hanno alcuna intenzione di lasciare il campo senza combattere. Già nel 2019 e nel 2020 nel mondo si sono fatti più investimenti in rinnovabili che in tutti gli altri settori, compreso il nucleare. L’economia sembra prendere un corso diverso: in tal caso le multinazionali provano a ritardarne quanto possibile la trasformazione anche a spese di salute e clima, per poter reindirizzare tutte le riserve finanziarie del mondo fossile, che sono tutt’ora enormi, verso sistemi ancora centralizzati, proprietari, a dimensione non territoriale.

Il sistema delle rinnovabili, al contrario, è territoriale, decentrato, democratico, cooperativo, senza sprechi. Con le fonti idriche, solari ed eoliche si potrebbe organizzare la produzione di energia in autentiche comunità, che siano in comunicazione tra loro attraverso sistemi informatici e usare il criterio della sufficienza – e ce n’è, perché abbiamo una quantità di sole infinitamente superiore a quella che serve per dare vita alla terra e a tutte le forme che la popolano – mentre il resto dell’energia prodotta potrebbe essere distribuita per eliminare la povertà energetica.

Purtroppo, nell’attuale fase di transizione le grandi corporation elettriche o fossili puntano a costruire ancora grandi impianti, di potenza non distribuita, stoccata eventualmente in grandi bacini di gas, idrogeno e acqua di loro proprietà.

A Civitavecchia è in corso uno scontro chiarissimo e con i connotati sopra riportati. La sostituzione della centrale a carbone dell’Enel – a dispetto della cittadinanza e delle sue rappresentanze territoriali – viene prevista con la combustione di gas metano e un tracollo dell’occupazione anche in prospettiva, con un silenzio tombale finora di Governo e Regione. A questa soluzione, deprecata e contrastata anche dai piani di raggiungimento della neutralità climatica approvati dal Parlamento europeo, i movimenti ambientalisti e la mobilitazione dei lavoratori e della popolazione stanno contrapponendo un modello territoriale concretamente perseguibile, con vantaggi tangibili sul piano della salute, dell’occupazione, della cura del territorio. Un sistema eolico galleggiante a distanza nel mare e una rete alimentata da fotovoltaico sull’area del carbonile attuale, assistiti da stoccaggio con idrogeno, alimenterebbero la città e il territorio circostante, estendendo anche alla mobilità e al calore i benefici di un sistema pulito. A Civitavecchia si è palesato uno straordinario esempo di protagonismo del mondo del lavoro, che si è schierato per la transizione energetica: i dipendenti della centrale, appoggiati dalla Uil, dalla Camera del Lavoro, dall’Usb e dai due maggiori comitati contro i fossili della città, hanno già indetto più ore di sciopero contro il progetto sbandierato con una dose di arroganza da altri tempi dalla direzione Enel attraverso la pagina locale del Messaggero.

 

La difficile transizione nei grandi stabilimenti produttivi e il rischio del nucleare

La svolta in corso adesso non ha i tempi che i governanti vorrebbero imporre. Una parte larga della società, compresi gli studenti, si rende conto che può vivere utilizzando di fatto le fonti solari, sebbene nei luoghi di lavoro questa consapevolezza non sia ancora giunta a piena maturazione.

Certo, non c’è ancora oggi una ricerca avanzata e una tecnologia non solo sperimentale per alimentare con sistemi a fonti rinnovabili alcuni processi produttivi complessi, ad alta temperatura e che richiedono energia molto condensata: acciaierie, cementifici, certi processi chimici. Il caso tipico riguarda le acciaierie di Taranto (io sono di quelli che pensano che l’Ilva andrebbe chiusa al più presto, perché non c’è soluzione per un sistema che non dispone di investimenti e progetti in ricerca di alternative, poiché non si sono prese per tempo le precauzioni per affrontare la transizione). I modelli alternativi per un impianto di quella portata e in condizioni di crisi così impellente non sono ancora all’altezza della sfida. L’idrogeno dovrebbe svolgere un ruolo chiave nella futura decarbonizzazione dell’industria siderurgica e di altre industrie pesanti. Può essere utilizzato come materia prima, combustibile o vettore energetico e stoccaggio e ha molte possibili applicazioni. Di recente la Germania ha adottato il documento “Steel Action Concept” per la decarbonizzazione dell’industria siderurgica tedesca attraverso un aumento dell’utilizzo di energie rinnovabili e l’introduzione dell’idrogeno verde nei processi industriali. Le acciaierie di Lienz in Austria funzionano totalmente a idrogeno, con quattro idrolizzatori; è uno stabilimento davvero notevole e fa un acciaio specialissimo, tuttavia produce solo un quarantesimo di quello dell’Ilva.

Penso che, se consumi e trasporti si convertono a energie rinnovabili e, cosa altrettanto importante, l’agricoltura viene convertita ad agricoltura di vicinanza, senza ricorso ai concimi chimici, allora anche il problema delle grandi produzioni verrà affrontato con uno sforzo maggiore di ricerca e con lo straordinario apporto che può offrire la nuova generazione.

Temo che in questa fase torni una spinta al nucleare, per i grandi impianti. Il nucleare è non solo peggio dei fossili, ma è ben più devastante e irrimediabile in tempi storici. Basti pensare che il tempo di dimezzamento del plutonio è di 121.400 anni e noi ancora non sappiamo dove mettere le scorie in depositi sicuri. E, ancora, che a Fukushima si continua a versare bario e stronzio radioattivo nel Pacifico per tenere a bada la fusione dei tre reattori avvenuta 10 anni fa. Così come ritengo pericolosa l’affermazione avventata del nuovo ministro per la transizione Cingolani sulla disponibilità a dieci anni della fusione nucleare: un diversivo – temo – per non giocare a fondo il passaggio a multipli di potenza rinnovabile già nei prossimi tre anni.

Non ci sono soluzioni meramente tecnologiche, se le tecnologie cercano di risolvere i problemi lasciandone inalterata la causa.

 

Le prospettive dell’Italia

L’Italia tra le nazioni europee ha una particolare caratteristica: possiede una quota di carbone nel suo mix energetico inferiore in genere alla gran parte degli altri paesi, ma non tende a innescare, come accade ad esempio in Germania e Spagna, un processo di crescita di eolico e solare equivalente agli obiettivi a cui tende l’Europa. Eppure, la sua posizione geografica glielo consentirebbe. Negli ultimi anni vi è stato uno stallo: se nel 2007 avevamo il 24,2% di energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili (compreso l’idroelettrico, su cui l’Italia vanta una eredità importante, grazie ai grandi impianti alpini e appenninici), nel 2014 siamo arrivati al 38,6%, ma nel 2019 la quota era scesa al 35,9%. Una vera e propria flessione, con una responsabilità politica. Dal 2011 al 2019 abbiamo mantenuto statica la quantità di energia fornita da vento, sole e acqua, mentre abbiamo aumentato la quota di gas, soprattutto in funzione di stoccaggio nel caso di black-out, lasciando del tutto inattivi i bacini di pompaggio pronti all’occorrenza. La crescita di generazione

fotovoltaica in Italia dal 2017 al 2019 è stata un quinto di quella della Germania. Inoltre, soffriamo di un forte disavanzo commerciale riguardo alle “tecnologie verdi”, perché i pannelli fotovoltaici prima prodotti, oggi sono completamente importati.

Nel nostro piano energetico nazionale (PNIEC), per raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media al di sotto di 1,5 gradi, noi dovremmo ridurre anno dopo anno della metà le emissioni di CO2, installando almeno 17 GW di rinnovabili, cosa del tutto improbabile se non si sblocca il meccanismo delle autorizzazioni e se il PNIEC rinuncia all’obbiettivo UE del 55% rimanendo fermo al 48%. Un problema tuttora molto acuto è quello dei trasporti: impieghiamo più energia nei trasporti che nell’industria, abbiamo il carico di auto per famiglia più alto in Europa e un parco macchine che mediamente supera i 135 grammi di CO2 di emissione per km.

Naturalmente una transizione come quella in discussione è fitta di conflitti, ma anche di imbrogli. Il più imbarazzante lo sta gestendo Eni a Ravenna, con il progetto di produrre idrogeno da una centrale a metano con sequestro della CO2 da pompare sottoterra. È un progetto non solo ambientalmente dannoso, data la pericolosità di un giacimento di anidride carbonica, ma anche assurdo, perché l’idrogeno verrebbe a caricarsi dei costi della cattura e della compressione del gas climalterante nelle falde sotterranee. Senza mettere in conto le perdite inevitabili di metano nelle condutture dell’impianto, sotto osservazione per il suo pesante effetto sull’innalzamento della temperatura terrestre.

Rispetto al governo Draghi e al nuovo ministero per la transizione ecologica non sono ottimista. Lo sarei se le associazioni ambientaliste e le rappresentanze locali avessero voce e potessero partecipare alla formulazione dei PNRR (Piani nazionali di ripresa e resilienza). Ma il fatto che la validazione avvenga attraverso McKinsey significa affidarsi a una cultura che punta esclusivamente all’efficienza in termini di come la valuta l’impresa. E qui non siamo di fronte a una contabilità aziendale e nemmeno a progetti che vengano semplicemente delegati agli accordi che Eni, Enel e Cassa Depositi e Prestiti raggiungono a livello ministeriale, nel silenzio dei cittadini e dei lavoratori.

Io non credo che il ministro Cingolani possa presumere di avere da solo la cultura sufficiente per affrontare questo passaggio. Occorre svolgere un dibattito pubblico, accessibile e informato, ma di ciò finora non si ha notizia alcuna. Nemmeno a Civitavecchia, dove la transizione energetica è all’ordine del giorno. Penso che, per quanto riguarda l’ecologia integrale, la tecnologia, che spesso diventa tecnocrazia, prenda il problema per la coda anziché per la testa: è il nostro modo di produrre e consumare che va radicalmente cambiato. A Cingolani proporrei di partire da una attenta considerazione della  Laudato Si’.

Stiglitz afferma che la pandemia del Covid-19 ha mostrato conseguenze del neoliberismo

Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, si è scagliato contro il neoliberismo e ha assicurato che la pandemia del Covid-19 sta attualmente mostrando le conseguenze di 40 anni di imposizioni da parte del neoliberismo.

L’eminente economista statunitense ha tenuto una conferenza principale nell’ambito delle sessioni del Future Congress 2021, il principale evento scientifico del Cile, tenutosi virtualmente e programmato per concludersi giovedì, dopo aver concentrato la sua attenzione sulla pandemia.

Stiglitz ha affermato che il neoliberismo ha denigrato per quattro anni l’importanza del ruolo dei governi e ha privilegiato l’azione incontrollata dei mercati, ecco perché molti Stati si sono trovati in una situazione povera per affrontare l’attuale crisi sanitaria.

Il professore dell’Università dell’Indiana ha considerato che le nazioni di maggior successo nell’affrontare la pandemia Covid-19 sono state quelle “che vantano governi efficaci, istituzioni forti e buona scienza”.

Ha aggiunto che la pandemia ha colpito di più quelle nazioni con profonde disuguaglianze, dove non c’è accesso universale ai sistemi sanitari e hanno una scarsa protezione sociale, e ha anche detto che ‘per questo motivo gli Stati Uniti sono stati uno dei più colpiti, con il 25% dei casi, nonostante abbia solo il 4 per cento della popolazione mondiale. ”

Si tratta di un paese “che non riconosce l’accesso al sistema sanitario come un diritto umano fondamentale” e ha assicurato che i settori poveri “hanno subito più morti, una maggiore esposizione alla malattia e una maggiore perdita di reddito sanitario”.

 

Il neoliberismo radicale è nato e morirà in Cile 07.11.2020 – Patricio Zamorano – Pressenza IPA

FONTE PRESSENZA.COM

 

In Bolivia un’ondata di indigeni che sostenevano la candidatura presidenziale di Luis Arce e David Choquehuanca ha sconfitto il principale candidato di destra, Carlos Mesa, per 20 punti, ripristinando la democrazia nel paese, nonostante il fatto che le forze di destra fossero sostenute dagli Stati Uniti e dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Pochi giorni dopo circa l’80% degli elettori cileni ha deciso con un referendum di rifondare la propria nazione con una nuova Costituzione. Questi eventi epocali rappresentano due vittorie gemelle per l’indipendenza latinoamericana, il rifiuto del neoliberismo radicale, il desiderio di riforme socio-economiche e l’insistenza sull’autodeterminazione dal basso.

Nel caso cileno, gli indicatori storici sono ovunque. In Bolivia, un’elezione democratica ha ripristinato il protagonismo politico dei leader indigeni dopo un colpo di Stato che ha cercato di invertire il “processo di cambiamento”. Si è trattato di un evento storico. Il risultato del plebiscito in Cile significa che, per la prima volta nella storia del paese, una Costituzione sarà redatta da rappresentanti eletti direttamente con voto popolare. I 155 delegati costituzionali che saranno eletti entro l’aprile del 2021 dovranno rappresentare l’ampia diversità delle organizzazioni di base, le opinioni politiche, i diritti settoriali e gli interessi legittimi dei gruppi al di là delle élite tradizionali. Domenica 25 ottobre centinaia di migliaia di cileni provenienti da tutte le parti dello spettro politico si sono riuniti nel centro di Santiago intorno all’attuale “Plaza de la Dignidad” (Piazza della Dignità) per festeggiare pacificamente, per tutta la notte, con musica, balli e canti di speranza. Con quasi 7,6 milioni di elettori, è la più grande affluenza alle urne dai tempi del ritorno della democrazia nel 1989.

Gradualmente l’idea di elaborare una nuova Costituzione ha guadagnato terreno tra le migliaia di partecipanti alle proteste spontanee di piazza. I manifestanti hanno subito una brutale repressione da parte della polizia che, tra migliaia di violazioni dei diritti umani, ha accecato centinaia di persone sparando proiettili di gomma.

Decenni di acuto deterioramento delle condizioni di vita nel cosiddetto “miracolo neoliberista dell’America Latina” hanno frantumato il racconto dell’establishment e avviato il processo che si è concretizzato in questo storico 25 ottobre.

Poiché l’origine bolivariana-chavista di questo movimento per riscrivere la Costituzione non piaceva all’establishment politico conservatore, nella versione finale del voto hanno modificato l’espressione “Assemblea Costituente” in “Convenzione Costituzionale”. Non importa. Il Cile, uno degli ultimi baluardi del neoliberismo radicale, ha finalmente risposto a quel desiderio di riforme di vasta portata che ha portato i popoli dell’Ecuador (2007), della Bolivia (2006) e del Venezuela (1999) a riscrivere le loro Costituzioni.

La fine dell’economia neoliberista

L’effetto simbolico e concreto più importante della decisione popolare di domenica è che il neoliberismo radicale è iniziato e finito in Cile, esattamente 40 anni dopo che la Costituzione del 1980 è stata forgiata sotto una dittatura che ha imposto un coprifuoco militare e una repressione diffusa. L’ultra nazionalista Pinochet scelse, ironia della sorte, un’ideologia straniera per inquadrare il suo regno del terrore. A Santiago vennero accolti i Chicago Boys, reclutati dai leader religiosi conservatori che davano il loro sostegno ideologico alla dittatura.

Le teorie di Milton Friedman furono poi applicate in Cile in un esperimento sociale incontrollato imposto dal governo militare: decine di migliaia di cileni furono torturati, scomparvero, vennero gettati nell’Oceano Pacifico con il ventre aperto, esiliati ed espulsi dai posti di governo. In questo contesto sanguinoso, l’ideologia neoliberista dei Chicago Boys venne infusa nella Costituzione, privatizzando aspetti fondamentali della vita dei cileni. Questa Costituzione ha insinuato i principi del profitto e dell’investimento di capitale in settori chiave e sensibili come l’istruzione, la sanità, le pensioni, la regolamentazione del lavoro e altre aree socialmente vitali dell’economia. Il contratto tra lo Stato e la cittadinanza è stato completamente privatizzato.

L’esperimento sociale continuò ad avere un impatto drammatico sulla vita dei cileni anche dopo la fine della dittatura di Pinochet, soprattutto a causa della lunga ombra della Costituzione del 1980. Il suo rigido meccanismo per gli emendamenti e la trappola elettorale creata dagli avvocati di destra e dai costituzionalisti conservatori richiedevano super maggioranze per allontanare il paese dal sistema creato dai Chicago Boys e da Pinochet. Ecco perché anche le cosiddette “amministrazioni socialiste” (Lagos e due mandati della Bachelet) sono state incapaci di realizzare una riforma significativa.

Il voto di domenica scorsa e le massicce proteste di piazza che hanno invaso il paese per diversi anni (gli studenti avevano guidato un’ondata di ampie mobilitazioni prima del 2019) hanno finalmente liberato la nazione da queste pastoie politiche.

 

 

 

Claudia Aranda

Il rifiuto di 40 anni di crudele neoliberismo in Cile non è una sorpresa. L’andamento macroeconomico apparentemente sano del paese non nasconde la realtà di ciò che la popolazione ha sopportato durante la dittatura e fino al presente. Oggi, metà della popolazione sopravvive con meno di 500 dollari al mese. Circa il 70% guadagna meno di 700 dollari.

Come ha riferito il COHA (Council on Hemispheric Affairs) qualche mese fa, circa la metà dei 9 milioni di lavoratori cileni [1] è indebitata [2]. Uno studio del giugno 2017 ha dimostrato che il 31% dei lavoratori indebitati ha un onere finanziario superiore al 40% del suo reddito e il 22% ha un onere finanziario superiore al 50%. Inoltre, il 43% dei debitori ha un reddito mensile inferiore a 500.000 pesos, equivalente a poco meno di 700 dollari secondo i tassi di cambio attuali [3]. È semplicemente impossibile sbarcare il lunario in tutta tranquillità.

I livelli di disuguaglianza di oggi sono difficili da credere. Il Cile è oggi uno degli esempi più drammatici di disuguaglianza sociale ed economica del pianeta:

Tutto porta alla disuguaglianza. Secondo un rapporto del 2019 della CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi), l’1% più ricco dei cileni detiene il 26% della ricchezza della nazione [4] e il Cile è al settimo posto tra i paesi più disuguali del pianeta, come riportato dalla Banca Mondiale nel 2018 [5].

Ora la sfida per i movimenti sociali progressisti in Cile è di assicurarsi che la nuova Convenzione Costituzionale non venga cooptata dai politici conservatori ricchi e dai loro benefattori corporativi. I loro candidati riempiranno i programmi televisivi e le pubblicità sui giornali. L’assemblea dei rappresentanti, che rifonderà il paese scrivendo una nuova Costituzione, deve essere all’altezza delle aspettative di tante generazioni di cileni che hanno cercato di creare un paese che protegga e si prenda cura di tutti i suoi abitanti, invece che di pochi privilegiati.

Il risultato del voto del 25 ottobre avrà senza dubbio deluso le forze favorevoli al mercato nelle Americhe. La “storia di successo” neoliberista non è andata come previsto. Ci vorranno anni perché il paese e la sua popolazione si riprendano dall’esperimento dei Chicago Boys, importato da quella terra lontana, gli Stati Uniti, politiche che nemmeno la più ardente nazione capitalista ha osato applicare in patria.

Speriamo che il Cile cessi presto di essere famoso come una delle nazioni più disuguali e venga riconosciuto come terra di equità, di pari opportunità e anche di pari diritti. Forse il sogno del presidente Salvador Allende, condiviso attraverso un drammatico messaggio radio dal Palazzo della Moneda mentre veniva consumato dalle fiamme dei bombardieri dell’Aeronautica Militare quel fatidico 11 settembre 1973, si avvererà finalmente 40 anni dopo il suo sacrificio: “Hanno il potere, potranno dominarci, ma i processi sociali non possono essere fermati né dal crimine né dalla forza (…) Ho fiducia nel Cile e nel suo destino (…) Molto presto si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore”.

Domenica 25 ottobre 2020, parte di quel sogno è diventata una realtà piena di speranza.

Patricio Zamorano è analista politico, accademico e co-direttore del COHA.

Jill Clark-Gollub e Fred Mills hanno collaborato come redattori di questo articolo.

[Tutte le foto, da Pressenza News Agency, licenza aperta]

Fonti:

[1] Banca Mondiale. https://datos.bancomundial.org/indicator/SL.TLF.TOTL.IN

[2] “Raggi X SBIF del debito in Cile”, https://www.sbif.cl/sbifweb/servlet/Noticia?indice=2.1&idContenido=11889

[3] “Raggi X SBIF del debito in Cile”, https://www.sbif.cl/sbifweb/servlet/Noticia?indice=2.1&idContenido=11889

[4] “Cepal descrive il Cile come un paese disuguale: L’1% concentra il 26,5% della ricchezza”, https://www.cnnchile.com/pais/cepal-describe-a-chile-como-un -país-desigual-un-1-concentra-el-265-de-la-riqueza_20190116 /

5] “Il Cile appare: questi sono i 10 paesi più disuguali del mondo”, https://www.biobiochile.cl/noticias/nacional/chile/2018/07/04/aparece-chile-estos-son-los- 10-paises-mas-desiguales-del-mundo.shtml

Una giornata storica in foto

Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid

Revisione di Anna Polo

Quando le decisioni sul lavoro vengono prese dalla macchina

FONTE CONTRETEMPS.EU

Tuttavia, nonostante l’ondata di Trump, nessun segnale viene registrato sul lato aziendale, il che mostrerebbe una diminuzione dell’outsourcing della produzione verso paesi con bassi costi del lavoro. Al contrario, l’aumento delle competenze delle aziende in questi paesi consente loro di migliorare la propria offerta di servizi verso prodotti di fascia alta. D’altra parte, l’automazione influisce su tutte le attività, ma su lavori specializzati più fortemente intermedi. Questi sono caratterizzati da un lavoro di routine che coinvolge compiti intellettuali e manuali, eseguiti secondo un insieme esplicito di regole: industria manifatturiera (dagli elettrodomestici alle automobili) e attività di servizio (contatore, consulente clienti). Questa esternalizzazione e automazione sono le due principali cause identificate come che portano alla polarizzazione dei lavori che sembra preoccupare così tanto il FMI e l’OCSE. Questi fenomeni sono stati identificati in molti paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti[3] , Germania [4] e Francia [5] .

La polarizzazione dei posti di lavoro e i crescenti fenomeni che la accompagnano, come la flessibilità e la precarietà, in particolare attraverso lo sviluppo del subappalto di attività dalle più grandi aziende alle più piccole, portano a ciò che David Weil designa con il termine di luoghi di lavoro fessurati [6]  : un luogo in cui la diversità dello status dei lavoratori, una concorrenza sfrenata organizzata tra loro o tra i subappaltatori minano i salari, le condizioni di lavoro e la solidarietà. Phoebe Moore era particolarmente interessata all’influenza della digitalizzazione ( digitalizzazione) attività come strumento che accompagna (e consente in larga misura) questa destrutturazione del lavoro umano per profitti sempre maggiori per le aziende che avviano catene di valore con in cambio attività più vincolate e meno remunerate per la maggioranza dei lavoratori [7 ] .

Questo articolo fa parte di questa logica. Usando esempi concreti tratti dagli eventi attuali degli ultimi due anni, mostra la crescente tentazione che alcune persone sentono di considerare il lavoratore come un sostituto dell’automa: che è virtuale quando è è un algoritmo o nella forma molto reale di un robot nel settore.

 

Tanto lavoro umano il cui merito va all’algoritmo

Nel frattempo i robot. Indagando sul lavoro a click [8] , Antonio Casilli ha dimostrato quanto l’apprendimento, ma anche il funzionamento quotidiano dell’intelligenza artificiale, dipenda ancora dagli umani. Spesso il lavoro ripetitivo e poco remunerato, la mancanza di protezione sociale, l’isolamento professionale, lo status di lavoratore autonomo di questi lavoratori a scatto contribuisce a minare le basi della regolamentazione dell’organizzazione del lavoro attuata dalla fine del XIX secolo grazie le lotte dei lavoratori e quelle dei sistemi di protezione sociale.

Analogamente, negli ultimi anni è stato osservato che lo sviluppo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) in forme sempre più avanzate può avere l’effetto di degradare significativamente le condizioni di lavoro e aumentare i rischi. professionisti, mentre l’automazione sotto controllo sociale potrebbe avere risultati opposti: riduzione delle difficoltà fisiche e intellettuali, riduzione dell’orario di lavoro, ecc.

La cosa più sorprendente in questo caso è che sembra accadere in una relativa indifferenza del corpo sociale (a parte alcune lotte dei lavoratori), come se la presenza di software, algoritmo, automa eliminasse le abitudini datore di lavoro delle sue responsabilità in termini di salute e sicurezza sul lavoro e anestetizzato la risposta della società, anche degli Stati e degli organi competenti in materia di regolamentazione e controllo del lavoro e delle sue condizioni. Certo, i sindacati organizzano la risposta, ma sembra avere meno peso (o anche meno legittimità) che se si trattasse di aziende convenzionali e non di imprese dell’economia digitale.

La situazione è tanto più impegnativa in quanto la porosità sta aumentando di giorno in giorno tra le cosiddette compagnie classiche e quelle dell’economia dei concerti , i metodi di lavoro di questi ultimi percorrono sempre più verso i primi, in un momento in cui si stanno formando alleanze. , dove vengono organizzati i buyout e vengono create filiali comuni. Cosa sta succedendo allora? Come è cambiata la situazione negli ultimi anni che giustificherebbe prestare meno attenzione alla persona umana?

Leggi tutto

Brasile da Lula a Bolsonaro: quando la paura ha superato la speranza?

FONTE : CONTRETEMPS.EU

Leggi offline:

L’attuale situazione in Brasile è sia catastrofica a livello sociopolitico sia disastrosa a livello sanitario ed epidemiologico. Dallo scorso 20 maggio, questo paese-continente di 210 milioni di abitanti ha concentrato più della metà dei decessi del Covid-19 in America Latina (con oltre 20.000 morti). Questo, mentre l’affascinante e militaristico potere di Jair Bolsonaro continua a respingere apparentemente qualsiasi piano per combattere la pandemia a livello federale, riaffermando il suo orientamento ultra-liberale a livello economico e reazionario a livello politico.

Come ci siamo arrivati ​​dopo 15 anni di governo del partito dei lavoratori? Il ricercatore Fabio Luis Barbosa dos Santos, professore all’Università Federale di San Paolo e autore di “La  paura ha superato la speranza. Il Brasile da Lula a Bolsonaro ”  (Syllepse, 2020), ci offre una lettura critica della storia recente del suo paese.

 ***

Nel 2002, la vittoria di Lula alle elezioni presidenziali brasiliane aveva suscitato speranze di cambiamento sociale in America Latina e oltre. Nato alla fine della dittatura militare (1964-1985), il Partito dei Lavoratori (PT) si consolidò negli anni ’80 prendendo parte alla lotta per la democratizzazione e poi portando resistenza al neoliberismo durante il decennio Il prossimo. Mentre saliva al potere, il PT iniziò ad adottare un discorso e una pratica di riconciliazione di classe. Durante un decennio di forte crescita economica, il partito è riuscito a pacificare il paese e vincere altre tre elezioni presidenziali. Tuttavia, nel 2016, il secondo mandato di Rousseff è stato interrotto da un controverso processo di licenziamento e due anni dopo Lula è stata incarcerata.[1] .

Questo testo affronta questo riorientamento della politica brasiliana in relazione allo spostamento del centro di gravità della politica verso destra, che si osserva su scala internazionale. La mia ipotesi principale è che stiamo assistendo a una trasformazione del quadro alla base della riproduzione del capitale in Brasile. Questo cambiamento può essere riassunto da due idee: c’è stato uno spostamento dal “neoliberismo inclusivo” alla espropriazione sociale e dalla riconciliazione al confronto di classe.

Questo cambiamento in primo luogo minaccia le istituzioni associate alla Costituzione del 1988 (soprannominata “Costituzione dei cittadini”), considerata la pietra angolare della cosiddetta Nuova Repubblica, che è succeduta per 25 anni di dittatura. Da una prospettiva più ampia, il Brasile avanza verso quello che Christian Laval ha definito un “nuovo neoliberismo”, in cui si aggravano le contraddizioni tra capitalismo e democrazia. Il nuovo neoliberismo impone la violenza economica attraverso un impopolare programma sociale ed economico, nonché la violenza politica, perché ha abbandonato il suo contenuto democratico liberale (Laval: 2018).

Da un punto di vista politico, questo cambiamento è evidenziato dalla rotta del PT (tra il licenziamento di Roussef nel 2016 e l’arresto di Lula nel 2018) e l’elezione di Bolsonaro. Analizzerò questo processo in tre fasi: la caduta del PT; l’elezione di Bolsonaro e il progetto del nuovo governo. Concluderò evidenziando la logica perversa all’opera nella gestione della pandemia da parte del Presidente.

 

Come spiegare la caduta del Partito dei Lavoratori (PT)?

Le amministrazioni del PT hanno fatto affidamento sulla conciliazione di classe per riformare il capitalismo brasiliano. Questa strategia era ragionevole: data l’importanza delle disuguaglianze che caratterizzano il paese, si può fare molto per combatterli senza affrontare le strutture che li perpetuano. Il programma Fame Zero, la cui guida è stata affidata a un fratello cattolico, illustra questo approccio: dopo tutto, chi si opporrebbe alla fine della fame?

In questo contesto, il “modo lulista di regolare i conflitti sociali” combina due dimensioni. Da un lato, i più poveri hanno fatto progressi modesti grazie all’estensione delle politiche di trasferimento di denaro e ad una leggera variazione del salario minimo. D’altra parte, le banche e il capitale internazionale sono stati in grado di continuare a gestire il paese come una merce e di ricevere gli utili che di solito sono collegati ad esso. Questo doppio movimento ha permesso di pacificare relativamente il Paese per oltre un decennio.

Secondo Braga, l’egemonia di Lulist si basava sull’articolazione di due forme distinte ma complementari di consenso. Se il governo era soddisfatto del consenso passivo delle classi inferiori, lavorava per cooptare le burocrazie sindacali, i leader dei movimenti sociali e alcuni settori intellettuali al fine di creare le basi per il consenso attivo al lulismo. Quest’ultimo tipo di consenso era inteso a difendere la presenza della parte nell’apparato statale (Braga; Santos: 2019).

La rottura del consenso passivo al Patto di Lulist è diventata evidente dalle manifestazioni di giugno 2013 che hanno costituito il più grande ciclo di mobilitazioni popolari dalla fine della dittatura nel 1985.

Per farla breve: il PT è emerso in politica negli anni ’80 portando le persone in strada. Poi è salito al potere nei decenni successivi ponendo fine alla protesta di strada. Le dimostrazioni di giugno hanno mostrato che il partito non aveva più il potere di mobilitare la popolazione o di calmarla. Il suo ruolo è stato quindi ampiamente messo in discussione.

Giugno 2013 ha aperto una nuova congiuntura politica, segnata dall’esaurimento del modo lulista di regolare i conflitti sociali. Negli anni seguenti, gli scandali di corruzione messi in scena dai media mainstream sono stati aggiunti a una crisi economica che si è trasformata in una recessione dal 2015. Il campo di applicazione della riconciliazione di classe è stato ridotto e il la pressione per aggiornare il regime di accumulo è aumentata.

PT versione comprensivo di neoliberismo ha dato modo di deprivazione sociale, mentre nell’era della conciliazione è stato sostituito da guerra ‘s classi. Sebbene avviata dal governo Rousseff, questa inflessione fu consumata dal suo licenziamento e approfondita con la prigionia di Lula e l’elezione di Bolsonaro.

Visto attraverso questo prisma, il licenziamento di Rousseff nel 2016 fa parte della crisi nel cosiddetto modo “lulista” di regolare i conflitti sociali, così come l’arresto di Lula. Poiché la strategia della classe dominante si spostava a destra, la gestione proposta dal PT non era più utile per loro.

In sintesi, le recenti tendenze della politica brasiliana non dovrebbero essere viste come una svolta radicale di 180 gradi, ma piuttosto come una metastasi delle amministrazioni PT. Una metastasi nel senso che gli interessi anti-popolari che sembravano contenuti ma che non erano mai stati affrontati sotto il PT possono ora svilupparsi senza ostacoli: agro-industria, finanza, società mediatiche, neopentecostalismo, esercito e così via proprio adesso. Dal breve governo di Temer (il vicepresidente di Rousseff), i professionisti corrotti che hanno assicurato la governabilità del PT hanno smesso di svolgere il ruolo di comparse e hanno ripreso il controllo dello stato. In breve, l’esaurimento del lulismo ha indebolito le mediazioni tra i disegni predatori della borghesia brasiliana e i diritti e le aspirazioni dei lavoratori.

Il governo anti-popolare e impopolare di Temer (2016-2018) deve essere compreso in questo contesto, come nel caso dell’elezione di Bolsonaro. Tuttavia, al di là del lulismo e del bolsonarismo, questa tendenza verso un nuovo neoliberismo minaccia la stessa Nuova Repubblica. Ciò è stato evidente nelle elezioni presidenziali del 2018.

 

Le elezioni presidenziali del 2018

Per la classe dirigente, l’economia non è stata una questione centrale nelle ultime elezioni. Il vincitore affronterebbe i problemi del neoliberismo con più neoliberismo, sia per via utopica di un “neoliberalismo inclusivo” predicato dal PT, sia per l’ultraneoliberalismo dei Tucani (storici oppositori del PT) o di Bolsonaro.

Ciò che era in gioco per questa classe era la forma politica che avrebbe preso la gestione della crisi brasiliana. In altre parole, il volto dell’accordo istituzionale, giuridico e culturale che avrebbe sostituito la Nuova Repubblica, ora definitivamente condannato. Sono stati proposti due modi per gestire la colossale crisi brasiliana: il PT ha offerto l’ordine attraverso i negoziati, mentre Bolsonaro ha promesso l’ordine attraverso la violenza.

Dato che nessuno dei tre candidati che rappresentavano chiaramente il capitale si era qualificato per il secondo turno [2] , è emersa quindi la questione di quale percorso potesse servire al meglio i suoi interessi.

Se il PT vincesse, sarebbe difficile governare. Come convincere coloro che hanno chiesto il licenziamento e la reclusione di Lula ad accettare che tutto ciò conduca all’elezione di Haddad (il candidato che ha sostituito Lula)?

Con la vittoria di Bolsonaro, il problema sorge per i governati. La sua base tra i potenti è fragile; il suo livello di rifiuto è alto e il suo personaggio imprevedibile. Chi potrebbe domare il domatore?

Il PT e Bolsonaro furono visti come risposte provvisorie e necessariamente instabili da una classe dirigente in riorganizzazione.

Tuttavia, la classe dirigente scelse di sostenere Bolsonaro perché la fine della nuova Repubblica compromise anche i Tucani. Tuttavia, l’ideale per la classe dirigente è il bolsonarismo senza Bolsonaro. In Francia, Marine le Pen si lamenta di coloro che si sono incontrati per sconfiggerla al secondo turno, perché alla fine il funzionario eletto implementa la sua politica ma senza vantarsi. Sotto la polvere delle elezioni, la classe dirigente brasiliana sta cercando il suo Macron.

Tra il crollo del lulismo, iniziato durante la ribellione di giugno 2013, e un bolsonarismo presentabile in preparazione, la classe dirigente si riorganizzò, provocando la dispersione dei candidati. Come nel 1989, quando nacque la Nuova Repubblica, la classe dominante cercò la sua strada, ma questa volta per seppellirla [3] .

Tuttavia, il futuro sotto Bolsonaro è imprevedibile. Molti lo hanno sostenuto per sbarazzarsi del PT, ma nessuno sa chi libererà il Brasile da Bolsonaro. In Cile, i democratici cristiani hanno appoggiato il colpo di stato nel 1973 per tornare al potere. Di certo non si aspettavano di dover aspettare 17 anni perché ciò accadesse realmente.

Bolsonaro aveva le sue idee: fondare una dinastia con i suoi tre figli che entrarono in politica, sostenuti dai militari e dalla polizia. Deve quindi sostituire il supporto effimero che ha sui social network con una base che gli è letteralmente fedele. Per questo intende fare affidamento sugli evangelisti, presto più numerosi dei cattolici nel paese.

Non c’è nulla di nuovo nell’appartenenza di quelli sopra a Bolsonaro. Sebbene brutale e volgare, la violenza che incarna è soprattutto violenza di classe. Il dramma è l’adesione delle classi inferiori. In assenza del leader carismatico, il sottoproletariato che sosteneva il lulismo si rivolse a Bolsonaro, tranne che nel nord-est del paese. Tutti i brasiliani conoscono qualcuno che ha già votato per Lula ma che ha finito per votare per il capitano. Lula era in prigione, ma gli elettori no. Allora, cos’è successo?

Escludendo l’ipotesi che tutti coloro che hanno votato per lui siano fascisti o siano stati manipolati contro il PT, questo risultato suggerisce l’ipotesi scomoda che ci siano punti in comune tra bolsonarismo e lulismo. In questo senso, si sono opposti, ma non sono esattamente opposti.

È vero che l’anti-PTismo ha avvelenato il dibattito, ma diversi candidati hanno sostenuto questo striscione. Uomo di vecchia politica, Bolsonaro ha incarnato con successo il rinnovamento. Il segreto sta piuttosto nella forma che nel contenuto: il capitano usa il linguaggio della brutalità, che un popolo brutalizzato conosce e comprende. Parla in modo perverso con le persone, come fa Lula, il che gli ha permesso di distinguersi dai normali candidati. Se Lula emerse come un Messia, Bolsonaro divenne il mito (come lo chiamano i suoi sostenitori).

Sebbene in modo falso, Bolsonaro si posizionò dalla parte di coloro che, come lui, non articolano bene le idee o non capiscono molto le cose. Piuttosto che un programma, ha difeso un insieme di valori appositamente costruiti, quindi il dialogo fluido che mantiene con gli evangelisti.

La campagna PT, da parte sua, ha scommesso sulla vittimizzazione di Lula, poi sul renderlo il candidato dietro Haddad. In breve, Lula intendeva trasformare le elezioni in un plebiscito su se stesso – si potrebbe dire che sognava di diventare Mandela. In tal modo, il PT ha contribuito a depoliticizzare il conflitto e spostarlo su questioni morali.

Mentre la campagna di PT ruotava attorno al concetto di giustizia, il valore principale evocato da Bolsonaro era l’ordine, che per lui significava concludere il lavoro incompiuto della dittatura. Forse questo è, dopo tutto, il suo programma.

 

Bolsonaro al potere

Se propone lo stato di polizia, che è il quadro del nuovo neoliberismo, in realtà non ha un programma. Per dirla semplicemente, possiamo dire che subappalta la sua produzione a grande capitale.

Questo è il messaggio che voleva trasmettere con il suo comportamento ingenuo durante la campagna: ha rifiutato di rispondere a domande economiche sostenendo che sarebbero state trattate dal suo Ministro dell’Economia, un ex ragazzo di Chicago.

Ciò a cui punta il grande capitale è trasformare il quadro in cui la riproduzione del capitale avviene in Brasile attraverso riforme contro i lavoratori. L’idea coltivata dai militari e presa dal PT secondo cui il Brasile potrebbe essere un potere su scala internazionale è stata abbandonata.

Lo possiamo vedere chiaramente nel cambiamento di atteggiamento dei militari. In passato, l’esercito associava il suo potere all’industrializzazione del paese, che tra l’altro iniziò e si consolidò tra due dittature: l’Estado Novo (1937-1946) e il colpo di stato ‘Stato del 1964. Di fronte alla regressione industriale e al degrado sociale, i militari hanno gettato la spugna, rinunciando a rendere il Brasile una potenza internazionale. Ora si stanno concentrando sulla gestione armata della vita sociale al fine di mantenere in piedi un paese in rovina. Scommettono quindi su una relazione privilegiata con gli Stati Uniti, in un contesto globale che può salvare.

Ecco un’illustrazione di questa tendenza. Lula aveva inviato il generale Augusto Heleno a guidare la missione delle Nazioni Unite ad Haiti, credendo che ciò avrebbe reso il Brasile un “attore globale”. Il generale è tornato in Brasile pensando a come impedire al Brasile di diventare Haiti. A Heleno è stato impedito di essere vice-presidente di Bolsonaro dal suo partito, e ora utilizza questa esperienza come direttore dell’Ufficio di sicurezza istituzionale del governo, che riferisce direttamente al presidente (Harig: 2018).

Le riforme pianificate dal capitale mirano ad andare oltre il quadro istituzionale associato alla “costituzione del cittadino”. Non è un caso che l’onnipotente Ministro dell’Economia di Bolsonaro sia un ex ragazzo di Chicago che ha lavorato nel Cile di Pinochet negli anni 80. Paulo Guedes disprezza tutte le politiche economiche attuate dalla fine del la dittatura brasiliana che considera “di sinistra” e che definisce “interventismo statale”.

Bolsonaro trae anche ispirazione dal Cile di Pinochet, un regime che riorganizzò la società in modo globale. Questa esperienza neoliberista fondamentalista e pionieristica in economia ha avuto importanti effetti sulla sfera politica e sulla soggettività in senso lato (Bocardo; Ruiz: 2015). Fino alla ribellione scoppiata nell’ottobre 2019, il paese è stato considerato un esempio del successo del neoliberismo a livello globale. Oggi, sono proprio gli effetti sociali devastanti di questa agenda che vengono combattuti in Cile con un potere notevole.

La riforma del sistema pensionistico intrapresa dal governo dimostra la sua volontà di distruggere la “costituzione dei cittadini”. L’argomento principale utilizzato è quello del deficit, che esploderà negli anni a venire. Tuttavia, si suppone che il sistema di sicurezza sociale progettato dalla Costituzione sia bilanciato dal pagamento di contributi da parte di lavoratori e datori di lavoro, cosa che non accade oggi. Lo stato brasiliano non sta adempiendo al proprio dovere, poiché sempre più risorse sono destinate al pagamento degli interessi sul debito.

Questa nuova logica implica la distruzione del sistema di sicurezza sociale per sostituirlo con un sistema in cui tutti sono liberi di scegliere se salvare o meno per proteggersi dai rischi sociali. Stiamo passando da una logica collettiva a una logica individuale, da un diritto sociale a un prodotto finanziario. Questa riforma del sistema pensionistico implica una rottura con il modello sociale su cui si basano la costituzione del cittadino e la nuova repubblica.

Ecco perché è in discussione una riforma dell’amministrazione. Ha lo scopo di sbarazzarsi dell’articolo della costituzione che obbliga ad assegnare una percentuale minima del bilancio statale all’istruzione e alla salute, ad esempio. Ciò segue il congelamento della spesa pubblica decretato per i prossimi 20 anni dal governo Temer. Dal momento che Bolsonaro non vuole sfidare questo limite, cerca di cambiare le basi del finanziamento della sicurezza sociale. Oltre a contraddire la costituzione, un tale cambiamento avrebbe profonde conseguenze sul tessuto sociale del Paese.

 

Bolsonaro testato da Coronavirus

La sfida del presidente è quella di convertire il supporto online che gli ha permesso di essere eletto in una vera mobilitazione. Trasforma gli utenti di Internet in camicie nere.

Su questa strada segue sempre la stessa sceneggiatura: designa i nemici che attacca ponendosi come vittima. Accusa non solo le persone ma anche le istituzioni e la stampa nel suo insieme di essere ostacoli al suo progetto, che genera profezie che si autoavverano. Quando il presidente accusa il Congresso di boicottarlo, trasferisce la responsabilità dei suoi fallimenti a coloro che “non glielo lasciano governare”. Allo stesso tempo mobilita il sostegno popolare per opporsi alle istituzioni che, agli occhi dei cittadini, incarnano la politica marcia e corrotta. Quando il congresso reagisce, il presidente vede la sua storia legittimata e alza la voce. Quando tace, il presidente avanza di uno spazio. In questo gioco di opposti, Bolsonaro appare sovversivo mentre la sinistra brandisce la costituzione per difendere l’ordine.

A Brasilia vengono richieste risposte semplici a problemi complessi. Questo segue la storia dell’eroe che affronta una serie di cattivi e che è lo stesso di quello prevalente sui canali di video online e nei videogiochi. In questa logica, ciò che il governo effettivamente fa conta poco. Si tratta piuttosto di eccitare i suoi sostenitori e rendere naturale ciò che era ancora intollerabile fino a poco tempo fa. Bolsonaro muove il quadro della normalità e allarga l’orizzonte delle aspirazioni della sua base.

È un movimento che non può arretrare. Al contrario, come una palla di neve accumula solo massa, velocità e violenza. In questo movimento, il presidente ha preso la sua base per strada il 15 marzo per chiedere la chiusura del congresso nazionale. Tre giorni dopo, la dimostrazione pianificata in difesa dell’educazione sembrava una contro-dimostrazione.

È in questo contesto che i Covid-19 sbarcarono in Brasile. La manifestazione del 15 marzo è stata annullata, ma alcuni irriducibili sono scesi in strada per salutare personalmente il presidente. Di fronte a questo, la dimostrazione di 18 si è trasformata in un panelaço nazionale (concerto di pan) e ha messo in evidenza il declino del sostegno a Bolsonaro tra i ricchi e la classe media, che sono stati i primi a essere colpiti da un virus che è venuto con quelli con passaporto.

Il presidente ha poi rafforzato la sua negazione dell’Olocausto e ha iniziato a raccogliere nemici. Ad ogni nuovo discorso pronunciato, i vasi tintinnavano alle finestre. Il presidente si perderebbe nel suo mondo parallelo? La strategia di sopravvivenza di questo animale politico perverso considera ogni pulsione di morte come un’opportunità politica. Dobbiamo quindi cercare la logica al lavoro dietro la follia.

Bolsonaro riconosce che la crisi ha due dimensioni: sanitaria ed economica. Sta scommettendo che le persone saranno più sensibili agli effetti del secondo. Il suo discorso contro l’isolamento orizzontale è quindi rivolto a coloro che muoiono di fame, non ai Covid. Bolsonaro presume correttamente che i lavoratori vogliano lavorare: ho sentito i venditori ambulanti criticare il governatore che sostiene il parto e difende Bolsonaro. Oltre ai commercianti e agli imprenditori, i leader evangelici sono anche contrari al confinamento che svuota le loro chiese.

Questa politica si basa anche sulla certezza che lo stato brasiliano, essendo stato fondato sulla schiavitù, non aiuterà mai i lavoratori come in Europa. Al contrario, le misure provvisorie facilitano la riduzione dei salari e i licenziamenti. Il fondamentalismo neoliberista del Ministro dell’Economia è la base per il calcolo politico di Bolsonaro.

Ovviamente questa è una scommessa rischiosa, che può portare il paese al disastro. Come ha sottolineato Pierre Salama, se la lotta contro il Covid è descritta come una guerra, allora Bolsonaro è un criminale di guerra. In questo contesto, il fatto che un presidente in stile Hitler suicida e genocida sia tollerato dalla popolazione e dal Congresso ci dà una misura dello scoraggiamento di quelli sotto e del cinismo di quelli sopra.

Questo cinismo include Lula e il Partito dei Lavoratori (PT) come membri a pieno titolo della famiglia Brasília. A marzo, la festa era contro il licenziamento di Bolsonaro. È corretto affermare che una rivolta al congresso darebbe a Bolsonaro qualcosa da masticare. Ma questo argomento rivela che i principi (vita umana) sono subordinati agli interessi (calcoli politici).

Di fronte al numero di protocolli di impeachment innescati per la maggior parte dai nuovi nemici di Bolsonaro ad aprile, il PT ha sfumato la sua posizione. Ma è uno degli elementi che impedisce a questa lotta di avanzare perché nessuno vuole intraprendere questa strada per far trionfare qualcun altro. In altre parole, il licenziamento di Bolsonaro avverrà solo quando i parlamentari ritengono che avrebbero guadagnato di più che sfruttando le debolezze del governo.

Nel frattempo, Bolsonaro ha raddoppiato la scommessa. Il suo governo, che comprende più soldati di quelli della dittatura, si è liberato dalle due figure che potrebbero metterlo in ombra. È stato innanzitutto il Ministro della Salute a non essere d’accordo con il Presidente a considerare questo virus “un po ‘di influenza”. Poi alla fine di aprile è stata la volta di Sergio Moro, ministro della giustizia responsabile della prigionia di Lula, ora sostituito da un evangelista. Il costo della defezione di un uomo visto come il paladino della lotta contro la corruzione non è ancora chiaro. Moro se ne andò facendo una dichiarazione scioccante: disse che il presidente voleva mettere la polizia federale sotto il suo controllo, il che portò a una denuncia dinanzi alla Corte suprema, un altro obiettivo del presidente.

Criticato dalla stampa, minato dalla giustizia, fischiato dalla classe dirigente e vedendo minacciata la sua popolarità, Bolsonaro si lanciò in una corsa precipitosa. Ha annunciato un aiuto di emergenza di 600 real [100 euro] per oltre 50 milioni di persone. Vale a dire quattro volte più denaro destinato a quattro volte più persone rispetto al piano Bolsa familia , il programma di punta del lulismo. Nel processo, è apparso circondato da soldati e senza Paulo Guedes ha annunciato un massiccio piano di investimenti pubblici, mettendo da parte l’ortodossia neoliberale. L’obiettivo è chiaro: rafforzare il legame diretto con quelli di seguito facendo affidamento sui militari e quindi mettendo da parte la sua solidarietà di classe con quelli di cui sopra. Il filosofo Paulo Arantes parla di “lulismo arretrato” per descrivere questa situazione.

Tuttavia, il presidente sta camminando sulle uova. Il tumulto politico che preoccupa il capitale ha già costretto Bolsonaro a ritirarsi e riaffermare i pieni poteri al Ministro dell’Economia. Contro la corrente dei “panelaços”, i fedeli del governo hanno manifestato in auto e hanno suonato il clacson di fronte agli ospedali contro il contenimento e tutto ciò che si è opposto al loro leader.

Per il momento nessuno ha il potere di prevalere e il futuro del Paese è nelle mani di questo parlamento che il presidente vorrebbe chiudere. Dal momento che non ha la forza di farlo, Bolsonaro acquista stabilità con il “centrão”, un’assemblea eterogenea di piccoli partiti veniali pronti a sostenere chiunque in cambio di budget pubblici e posizioni nell’apparato di ‘Stato. In breve, interpreta la politica come è sempre stata praticata.

A maggio, fuori Brasilia, il paese stava per diventare l’epicentro dell’epidemia nonostante la famigerata sottovalutazione del numero di casi. Gli studi mostrano una correlazione tra la popolarità del presidente, la violazione del confinamento e il crollo del sistema sanitario pubblico in varie regioni. In periferia, il contenimento è impossibile e gli operai si radunano davanti alle banche per ricevere i loro 600 reali. Nelle campagne, la copertura medica è minuscola e il virus ha iniziato a raggiungere i territori delle popolazioni native, il che può avere un effetto devastante. Il sistema sanitario pubblico è sull’orlo del collasso e le compagnie assicurative non rinunciano a nulla durante i negoziati con il governo, che vuole usare i letti nelle cliniche private. In breve, l’apartheid sociale continua.

Molti bussano alle loro pentole, ma hanno continuato a portare i loro collaboratori domestici. Altri hanno trascorso la prigionia con i loro dipendenti, che non potevano più tornare a casa. Le compagnie di consegna a domicilio hanno aumentato le loro commissioni in modo che i telelavoratori non perdano nulla e le persone che hanno effettuato la consegna hanno protestato invano su strade vuote.

Sebbene abbiamo assistito a molti episodi di solidarietà, è la dinamica autoassorbente tipica del neoliberismo che prevale. La pandemia può aprire il cibo al pensiero ma sembra incapace di provocare da solo l’emergere di nuove soggettività. In Brasile, la sinistra sembra più che mai condannata all’insignificanza.

Il crimine è calato, i cieli si sono schiariti e gli uccelli cantano alle finestre della classe media. Ma dietro la pausa si nasconde la sofferenza. La crisi economica colpisce tutti, anche se in modo diverso. Questo crea tensione in una società che si aspetta un futuro migliore del presente, ma non oltre il passato. In Brasile non ci sarà alcun reflusso keynesiano né il ristabilimento di uno stato sociale che non è mai esistito. Piuttosto, la tendenza è verso la furiosa ripresa della spogliazione sociale, mentre la popolazione spera di poter riguadagnare una certa normalità i cui standard sono sempre più bassi, con o senza Bolsonaro.

 

Riferimenti

BRAGA, Ruy; SANTOS, Fabio Luis B. “L’economia politica del lulismo e le sue conseguenze”. Prospettive latinoamericane , c. 46, p. 1, 2019.

GUEDES, Paulo. “Atolados no Pântano”. O Globo , 1/5/2017.

HARIG, Christop (2018). “Reimportazione della” svolta robusta “nel mantenimento della pace delle Nazioni Unite: missioni di pubblica sicurezza interna del mantenimento della pace internazionale militare del Brasile” DOI:  10.1080 / 13533312.2018.1554442

LAVAL, cristiano. Anatomia del nuovo neoliberismo. Testo presentato all’Universidade de São Paulo, settembre 2018.

RUIZ, Carlos; BOCCARDO, Giorgio. Los chilenos bajo el neoliberalismo . Santiago: Fundación Nodo XXI, 2015.

 

Appunti

[1] Nel bilancio dei governi progressisti dell’America Latina, vedi: F. Gaudichaud, M. Modonesi, J. Webber, Fin de partie? I governi progressisti latinoamericani nel vicolo cieco , Syllpse, 2020 e anche il file: https://www.contretemps.eu/dossier-amerique-latine/ .

[2] Geraldo Alckmin, allora governatore dello stato di San Paolo, corse di nuovo per il PSDB; Henrique Mereilles ha assunto il compito ingrato di rappresentare il partito di Temer; e João Amoedo, rappresentante di un nuovo partito di ricchi brasiliani, che adottarono giustamente questo nome: “Partito Nove”. Tuttavia, l’aggiunta dei voti di questi tre candidati non ha nemmeno raggiunto il 10% dei voti al primo turno.

[3] Nelle elezioni del 1989 c’erano 22 candidati, cinque dei quali erano considerati potenzialmente efficaci. Il collor de Mello ha sconfitto Lula con un piccolo vantaggio nel secondo turno. Nel dicembre 1992, Collor fu rimosso dall’incarico per impeachment , tra accuse di corruzione.

Noam Chomsky e la crisi causata dal Covid-19: siamo di fronte a un altro errore colossale del capitalismo neoliberista

foto wikipedia

FONTE PRESSENZA.COM

Il filosofo e linguista statunitense ha criticato con toni molto duri la gestione della pandemia da parte di Donald Trump, asserendo che «ciò che ha fatto all’OMS è un vero crimine».

Per il filosofo e linguista Noam Chomsky, la prima grande lezione dell’attuale pandemia è che siamo di fronte a un «altro colossale errore del capitalismo neoliberista» che, nel caso degli Stati Uniti, è aggravato dall’indole dei «buffoni psicopatici che guidano il governo» capitanato da Donald Trump.

Dalla sua casa in Tucson (Arizona) e lontano dal suo ufficio nel Massachusetts Institute of Technology (MIT), in cui rivoluzionò per sempre il campo della linguistica, Chomsky esamina – in un’intervista con Efe – le conseguenze di un virus  che dimostra come i governi siano sempre stati «il problema e non la soluzione».

Quali lezioni positive possiamo ricavare dalla pandemia?

La prima lezione è che siamo di fronte a un altro errore colossale del capitalismo neoliberista. Se non capiamo questo, la prossima volta che ci succederà qualcosa di simile andrà ancora peggio. È ovvio dopo quello che successe in seguito all’epidemia della SARS nel 2003. Gli scienziati sapevano che sarebbero arrivate altre pandemie, forse del tipo del coronavirus. In quel momento sarebbe stato possibile prepararsi e trattarlo come si fa con l’influenza, ma non è stato fatto.

Le aziende farmaceutiche hanno le risorse e sono ricchissime, ma non lo fanno perché i mercati dicono che non ci sono benefici nel prepararsi a una catastrofe dietro l’angolo. Poi arriva la batosta neoliberista. I governi non possono fare nulla. Continuano a essere il problema e non la soluzione. Gli Stati Uniti sono una catastrofe per il gioco che portano avanti a Washington. Sanno come incolpare tutti eccetto se stessi, nonostante siano responsabili. Adesso siamo l’epicentro, in un paese talmente disfunzionale che non riesce nemmeno a fornire informazioni sul contagio all’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS).

Leggi tutto

Rivolta in Cile: la vita contro il capitale Pierina Ferretti e Mia Dragnic 13 febbraio 2020

FONTE : VIEWPOINTMAG.COM CHE RINGRAZIAMO

“Non sono 30 pesos, sono 30 anni”

All’inizio di ottobre 2019, un aumento di $ 0,04 della tariffa della metropolitana è entrato in vigore nella città di Santiago. Pochi giorni dopo, gli studenti delle scuole superiori hanno iniziato a organizzare giorni di azione diretta, invitando le persone a sfuggire al pagamento del biglietto in segno di protesta contro le misure imposte dal governo. L’atto di saltare sui tornelli nelle stazioni della metropolitana si è diffuso rapidamente e le organizzazioni studentesche hanno richiesto un giorno di grande evasione venerdì 18 ottobre, con lo slogan “Evadi, non pagare, un’altra forma di lotta”. La popolazione ha risposto massicciamente alla chiamata e le proteste hanno avuto luogo nelle principali stazioni della metropolitana della città, che hanno incontrato una brutale repressione da parte dei Carabineros del Cile (una forza di polizia armata sotto il Ministero degli Interni) e la sospensione dei trasporti pubblici in diversi punti centrali della Santiago. Questa situazione ha portato al caos nelle ore di punta, mentre milioni di residenti stavano tornando a casa dal lavoro. Al calar della notte, la popolazione, indignata per l’azione della polizia e la reazione del governo, si riversò per le strade, sbattendo pentole e padelle. Le barricate salirono in tutta la città e nel giro di poche ore era iniziata la più grande rivolta sociale del paese, passando da una reazione all’aumento della tariffa a una sfida generale alle condizioni di vita imposte in più di quarant’anni di neoliberismo ortodosso .

Leggi tutto

Il furore di sfruttare e di accumulare – di Gianni Giovannelli e Turi Palidda

FONTE EFFIMERA che ringraziamo

Il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini Karl Kraus

Solo chi è prigioniero dell’ideologia dominante può accettare con felice soddisfazione l’odierna struttura dell’economia e dei rapporti sociali. Il sistema di comunicazione costruito dal liberismo contemporaneo ha trasformato la rappresentazione in realtà e il mondo sembra, nonostante tutto (come sussurrano prudentemente i più critici), un porto felice, o, quanto meno, l’unica vita possibile nel terzo millennio. La servitù volontaria, nata per contrastare il timore dell’esclusione e della miseria, rende ciechi, impedisce di vedere gli effetti di una quotidiana violenta prevaricazione che caratterizza il meccanismo di estrazione del valore. L’esame, nudo e crudo, dell’esistenza di gran parte delle persone che ci circondano dovrebbe invece rendere palese la verità: quella di un oggettivo accanimento, di uno sfruttamento crudele e senza freni inibitori, a volte perfino inspiegabile nella sua sostanziale irragionevolezza. Non a caso viene evocato il concetto di neoschiavitù per descrivere le insostenibili condizioni in cui si trovano i soggetti soggiogati dai funzionari del capitalismo ultraliberista.

Era prevedibile questo scenario, a ben pensarci. La concezione liberista della società tende ad esasperare ogni cosa, perfino le modalità dello sviluppo e l’idea del cosidetto progresso. L’esasperazione travolge davvero tutto: il libero arbitrio dell’imprenditore, del padrone e del sotto padrone, del caporale, e ancora omologa i comportamenti dei gendarmi, dei lobbisti, dei politici e delle banche. Tutto si tiene ancor più di prima. L’abuso e la violenza sono tornati ad essere, come spesso accade nel tempo delle transizioni, lo strumento istituzionale, percepito come necessario e non evitabile, richiesto ai funzionari delle polizie e ai tutori dell’ordine pubblico. Il popolo degli illegalismi esprime uno stato che li garantisce e approva sia le grandi opere devastatrici come la TAV sia l’accanimento dello sfruttamento. Un ordine che pubblico non è di certo e che coincide invece con la rimozione di qualsiasi ostacolo si frapponga alle esigenze dello sfruttamento; dunque è sua logica conseguenza la crescente predilezione per l’intolleranza (tolleranza zero), per la punizione esemplare, per l’esclusione, per il carcere per chi cerca di resistere anche se è una 73enne come Nicoletta Dosio. Sempre più spesso i soldati del sistema liberista si abbandonano ad esporre le loro prede come un trofeo, utilizzando perfino lo strumento del media mentre l’impunità per i loro illeciti garantisce la legittimità dell’agire per il supersfruttamento.

Leggi tutto

«In Argentina viene violato il diritto umano al cibo»

FONTE : LA VACA.ORG  CHE RINGRAZIAMO 

Marcos Filardi è un avvocato specializzato in diritti umani e sovranità alimentare e fa crollare un mito tra molti: «Non produciamo cibo per 400 milioni di persone». Un discorso emozionante su ciò che sta accadendo nel paese con fame e malnutrizione. Le malattie che sono una conseguenza di ciò che mangiamo. Il modello estrattivo che commercializza cibo mentre i territori e la salute pubblica sono sempre più contaminati e distrutti. Il ruolo delle nuove generazioni contro la crisi climatica. E uno sguardo alla nuova gestione e alle ipotesi sulla presunta salvezza della Patria in Vaca Muerta. Dati per tenere conto di ciò che ci fanno deglutire. (Ascolta il programma completo)

https://soundcloud.com/lavacamu/filardi-bloque-1-deci-mu

 

https://soundcloud.com/lavacamu/filardi-bloque-2-deci-mu

Tomás Hirsch: Cile, un sistema profondamente inumano

 

FONTE  PRESSENZA.COM

 

Il “modello cileno”, mostrato all’estero come il più grande successo del neoliberismo, presenta una realtà molto diversa per milioni di famiglie cilene,” ha affermato Tomás Hirsch, deputato del Partito Umanista Cileno (Frente Amplio), in un intervista con ALAI. Questo si esprime nell’aumento della disparità di reddito e della concentrazione della ricchezza e nell’indebitamento soffocante in cui affonda la maggioranza dei lavoratori. Infatti, “tutti gli indicatori ci pongono come uno dei paesi più diseguali nell’OCSE, con i tassi peggiori di istruzione, sanità, pensioni, qualità delle abitazioni, aree verdi per abitante …”, aggiunge.

Questo “sistema profondamente inumano” non dà priorità alla qualità della vita. Di seguito, uno scambio sulle linee guida politiche del governo cileno, che mettono in discussione la sua qualità morale per poter criticare il Venezuela.

Deputato, il giudizio critico del Presidente Sebastián Piñera sul governo costituzionale di Nicolás Maduro in Venezuela è conosciuto, per quanto riguarda l’attacco da parte del gruppo di Lima e dell’OAS contro la Rivoluzione Boliviana. Vorremmo rivedere alcuni aspetti del vostro paese per verificare la coerenza nell’atteggiamento del governo cileno.

La posizione del presidente Piñera è di un’incoerenza che rasenta il surrealismo politico. Il Cile dev’essere l’unico paese al mondo che, 29 anni dopo la fine della dittatura, ha ancora una Costituzione generata durante la dittatura, scritta da un piccolo gruppo di uomini di estrema destra senza dibattito, “votata” senza registri elettorali, progettata per perpetuare un sistema profondamente antidemocratico. Tranne qualche piccolo aggiustamento, rimane la stessa che manteneva al potere il dittatore Augusto Pinochet. Per quasi 20 anni abbiamo avuto senatori selezionati puntando il dito e un sistema elettorale totalmente truccato. E poi vogliamo dare lezioni sulla democrazia?

Il Cile, pur vantandosi a livello internazionale del suo supposto successo economico, ha una delle peggiori distribuzioni di reddito del pianeta, con un salario minimo vergognoso che non è sufficiente per la sussistenza del milione di lavoratori che lo ricevono. E intendiamo dare lezioni sui diritti sociali? Il sistema pensionistico cileno, anch’esso creato in regime di dittatura e mantenuto dal potere degli affari sul mondo politico, fornisce pensioni misere, vicine al 25% del salario percepito al momento del pensionamento. È una vera e propria violazione dei diritti umani degli anziani. Allo stesso tempo, sanità e istruzione sono imprese e non diritti, definiti dallo stesso presidente come beni di consumo.

Il Cile è l’unico paese al mondo in cui l’acqua è privata al 100%. Le risorse di pesca sono state consegnate in forma perpetua dal primo governo di Piñera  a 7 famiglie, attraverso una legge che è stata pubblicamente riconosciuta come corrotta, approvata con tangenti a ministri e parlamentari. Rame, litio, foreste, energia, tutto, assolutamente tutto, è stato denazionalizzato e consegnato alle multinazionali, che ovviamente parlano molto bene del nostro paese.

Leggi tutto

In Ungheria, la deregolamentazione degli straordinari scatena una protesta sociale

FONTE EQUALTIMES.ORG

” Tutti gridiamo insieme,” non saremo schiavi! ” ” Non abbiamo paura di dirglielo, non saremo schiavi!” “. freddo polare, ma ambiente caldo, Sabato 5 gennaio, a Budapest, capitale ungherese, dove una grande parata corteo di circa 10.000 persone, da Piazza degli Eroi al parlamento neogotico monumentale si affaccia sul Danubio. Per la terza volta da metà dicembre, i sindacati, i partiti politici e le organizzazioni civili che dimostra in attacchino insieme contro il governo nazionalista del primo ministro Viktor Orbán al comando d’Ungheria dal 2010.

” Andiamo in fabbrica, loro al castello “. Questo slogan scritto su un cartello brandito nella processione è esplicito: la folla protesta sia contro una legge di ” flessibilizzazione ” straordinarie che contro il crescente autoritarismo del potere. Dopo una terza vittoria consecutiva alle elezioni legislative dell’aprile 2018, è stato in grado di rinnovare la ” super maggioranza ” dei due terzi che gli ha permesso di governare senza ostacoli dal 2010 e di rilanciare il suo controverso disegno di legge al quale aveva rinunciato un anno e mezzo fa sotto la pressione sindacale.

Leggi tutto

Stampa mainstream francese

 

L’analisi della presentazione superficiale della situazione italiana nella stampa mainstream francese mi pare almeno parzialmente giusta? (Certo analisi anche lei un pò superficiale: il Roberto Lombardi è Roberto Maroni, credo!) Ma la vedo almeno plausibile: il franco-centrismo, la macromania da cortigiani del Re Sole (ma oggi per il solo povero “président des riches”) e la mediocrità qualitativa della “stampa dei miliardari” sono una realtà verificabile quotidianamente.

Ho l’impressione che la stampa mainstream attuale, più è europeista sull’economia, meno è in grado di (e ha meno voglia di) informare sugli altri paesi, i popoli e le società europee: bastano i soliti clichés  e i paragoni strumentali, per meglio tornare alla propria scena provinciale-nazionale.
L’Europa è una costruzione di élites, che parlano inglese?
Jean Olivier Pisa

Ridurre del 10% la spesa militare può salvare il nostro Pianeta!

Martedì, 24 Aprile 2018

Foto: Disarmo.org

Il cambiamento climatico e il riscaldamento del pianeta causato dall’uomo sono problemi giganteschi che avranno effetti devastanti su gran parte della popolazione mondiale. Le strategie politiche che stanno distruggendo il nostro pianeta alla ricerca di benefici solo per pochi possono essere sostenute solo dalla violenza, e la violenza è solitamente condotta attraverso gli eserciti e rafforzata dal militarismo e dalle spese militari. Gli affari di guerra, alimentati dai molti complessi militari-industriali, si basano sul commercio di armi e sulle strutture di potere che portano a morti civili e conflitti devastanti, depredando il pianeta e contribuendo attivamente al cambiamento climatico. Le azioni per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici richiedono una massiccia riduzione delle spese militari e rinnovati sforzi per utilizzare per risolvere i conflitti attraverso negoziati. 

Le spese militari nel 2016 sono arrivate ad un totale di 1.680 miliardi di dollari.Molti Governi stanno pianificando aumenti nei bilanci militari in contemporanea a tagli per la sanità, l’istruzione e la cooperazione allo sviluppo. Le notizie sul potenziamento del budget militare proposto negli Stati Uniti sono allarmanti: il Congresso ha recentemente approvato un aumento di 165 miliardi di dollari nelle spese militari nei prossimi due anni. Nel frattempo molti altri stati come Australia, Nuova Zelanda, Francia, Regno Unito, Germania, Camerun, Kenya, Nigeria, Spagna, Italia e altri stanno seguendo le linee guida degli Stati Uniti senza alcuna discussione. Le guerre in Siria e nello Yemen sono alimentate dal commercio di armi mentre la Corea del Nord viene utilizzata per giustificare una nuova corsa agli armamenti. Il Primo Ministro giapponese Abe sta tentando di emendare l’articolo 9 Costituzione giapponese che rinuncia esplicitamente alla guerra. L’Unione Europea (per la prima volta nella sua storia) investirà a breve ingenti fondi per sviluppare nuovi sistemi d’arma. Ciò potrebbe anche innescare una corsa agli armamenti in regioni come l’Africa e il Medio Oriente, dove sono dirette importanti esportazioni europee. Stiamo assistendo a massicci aumenti delle spese militari (incluse le armi nucleari, nonostante il recente Trattato per la messa al bando votato all’ONU) da parte delle grandi potenze, aumentando il pericolo di guerre disastrose. Ciò avviene in un momento in cui il “Bullettin of Atomic Scientist” ha spostato le lancette del “Doomsday Clock” a 2 minuti a alla mezzanotte, il punto più vicino all’annientamento globale dal momento dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

Leggi tutto

“Gli economisti non sanno più contare”: intervista a Christian Marazzi

Dietro la modesta ripresa economica interrotta dal susseguirsi di flash crash dei mercati finanziari, si nasconde l’incapacità dei modelli economici dominanti di leggere la realtà. Sullo sfondo, la svolta autoritaria del neoliberismo

Dopo un lungo periodo di relativa stabilità dei mercati finanziari a inizio febbraio si sono manifestate delle nuove turbolenze. Sono state fornite diverse spiegazioni contrastanti sull’origine di questo flash crash. I più pessimisti parlano dell’inizio di una nuova ondata di crisi, altri dicono che è il risultato di una ‘eccesiva autonomia’ degli algoritmi che controllano oltre il 60% delle transazioni nelle borse mondiali e sono capaci di determinare vere e proprie profezie auto-avveranti, altri analisti invece – e questo è il dato più interessante – spiegano la volatilità dei mercati con la ripresa dei salari in Usa e con l’accordo salariale che l’IG Metal ha raggiunto in Germania. Ne abbiamo parlato con Christian Marazzi, economista, docente presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.

Leggi tutto

I neonazisti tedeschi alla conquista dei lavoratori

fonte fiom.cgil.it

Guido Reil è un minatore come suo padre e suo nonno prima di lui. E’ entrato nel sindacato a 18 anni e nel partito socialdemocratico a 20. Parlatore rapido, è stato rappresentante sindacale da più di 10 anni. Ma due anni fa, dopo l’arrivo in Germania di centinaia di migliaia di rifugiati, Reil ha scelto il partito di strema destra Alternativa per la Germania. Partecipando per la prima volta come candidato alle elezioni del suo distretto nel maggio scorso, il partito ha ottenuto il 20% dei voti e socialdemocratici sono scivolati di 16 punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti. “Quelli sono i miei ex compagni” ha detto Reil. Sono venuti con me”.
Come fa un partito di estrema destra ad attirare elettori dal mondo del lavoro, un bastione tradizionale della sinistra? La domanda non è accademica. Va direttamente al cuore della emergente minaccia che AfD rappresenta per l’establishment politico tedesco, compresa la cancelliera Angela Merkel.

Leggi tutto

Perché le proposte di Emma Bonino finirebbero per distruggere economia e diritti sociali

FONTE PRESSENZA.COM

La prima proposta, per ridurre addirittura di 22 punti percentuali il debito, è di bloccare “la spesa pubblica primaria nominale” al livello del 2017 per 5 anni.

Che cos’è la spesa pubblica primaria?
È la spesa pubblica al netto della spesa per interessi sul debito pubblico, cioè si tratta della spesa per far funzionare la macchina statale e distribuire servizi sociali e contributi alle famiglie. Che si tratti di spesa nominale vuol dire che non si considera l’aumento dovuto all’inflazione. In pratica, se blocco la mia spesa ai 100 euro del 2017, nel 2022 continuerò a spendere 100 euro, anche se con quella somma potrò comprare meno beni e servizi, perché nel frattempo il prezzo di acquisto è aumentato. È abbastanza semplice capire che, sebbene l’inflazione sia bassa, Bonino propone di diminuire l’importo reale della spesa, che già oggi è insufficiente a garantire adeguati servizi a tutti i cittadini, ad esempio nella sanità, nell’istruzione, nei trasporti, eccetera.
Ma c’è un’altra questione importante: la crescita del debito non dipende dalla spesa primaria.

Leggi tutto

Facciamo fuori i poveri, ma senza darlo a vedere…

Mio dio, quanti poveri… Non se ne potrebbero eliminare un bel po’? Fa veramente impressione vederseli tra i piedi dalla mattina alla sera… Castriamoli, dài, così ne nascono di meno…”

Non è una battuta letteraria, non è una citazione del Dickens che descrive un aristocratico del primo Ottocento, ma il pensiero attuale di un giovanissimo e rampantissimo deputato inglese. Non un deputato qualsiasi, oltretutto, ma nientemeno che il vicepresidente del partito Tory, appena nominato da Theresa May come reposnsabile del dipartimento giovanile con l’obiettivo di riconquistare le fasce più “fresche” dell’elettorato, ormai conquistate dall’anziano progressista Jeremy Corbyn.

Leggi tutto

Neoliberismo autoritario . Attività antisindacali del governo Macri in Argentina

Agli insegnanti di Buenos Aires, Argentina viene data la possibilità di lasciare volontariamente la propria unione locale ogni volta che si collegano personalmente al sito web del ministero della Cultura e dell’Istruzione.

“Sei registrato come membro corrente di (United Teachers Front, UTF). Per iniziare il processo di dimissioni dall’unione clicca QUI, “legge la pagina all’accesso alla pagina del governo.

Segue testo in inglese

Teachers in Buenos Aires, Argentina are being given the option to voluntarily leave their local union each time they personally log in to the Culture and Education ministry website.

Leggi tutto

La répression de la société civile se poursuit en Pologne

 FONTE EQUALTIME.ORG

La répression de la société civile se poursuit en Pologne

NEWS

Graffiti on a wall outside the Palace of Culture in Warsaw says: “I, a common individual, I am calling to you! Wake up!” The quote comes from the manifesto of Piotr Szczęsny, a chemist who set himself on fire nearby on 19 October 2017, in protest against government policies. He died 10 days later from his injuries.

(Marta Kucharska)

Un graffiti peint à la bombe avertit les passagers à l’extérieur de la gare d’Ochota, dans le centre-ville de Varsovie : « Réveillez-vous. Il n’est pas encore trop tard ». Il s’agit d’une citation tirée des tracts éparpillés par Piotr Szczęsny avant de s’arroser de liquide inflammable et de s’immoler par le feu devant l’emblématique Palais de la Culture en octobre.

Szczęsny, qui décéda 10 jours plus tard, accusait le gouvernement nationaliste d’enfreindre les règles démocratiques, de créer des divisions entre les citoyens, de détruire les forêts de la Pologne et de réprimer la société civile. Se décrivant comme « un citoyen banal et ordinaire », il avait également indiqué combattre une dépression, mais que sa vision de la réalité n’était pas déformée, seulement plus lucide que celle des autres personnes qui la partageaient, y compris de nombreuses ONG.

Leggi tutto

Les clés d’Internet confisquées par des multinationales

FONTE SOLIDAIRE

Photo Tim CarterPhoto Tim Carter
Thema’s

MÉDIA

Salvare internet: un appello dei pionieri della rete

Nota di Editor

L’Amministrazione USA si appropria del “bene comune” internet basato sulla neutralità della rete , neutralità  indifferente , ora, ai contenuti e al censo di chi li propone, per dare invece, nel prossimo futuro, vantaggi ai contenuti commerciali, alle soap opera e ad ogni banale schifezza  di chi potrà pagare noleggi di rete molto salati. In altri termini i siti o i blog di persone o di  associazioni democratiche che propongono idee, che criticano l’establishment  saranno messi in cantuccio, difficilmente raggiungibili. Dobbiamo batterci affinché l’Europa mantenga la posizione a favore della net neutrality e non si adatti ai voleri di Trump . Gino Rubini, onde corte blog 

———————————————–

FONTE PRESSENZA.COM

14.12.2017 Pressenza London

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo

Salvare internet: un appello dei pionieri della rete
Questa workstation NeXT (un NeXTcube) è stata utilizzata da Tim Berners-Lee come primo server Web sul World Wide Web. (Foto di Coolcaesar, pagina in inglese su Wikipedia)

Per salvare l’Internet che hanno contribuito a creare, i pionieri del Web chiedono al FCC di annullare il voto sulla neutralità della rete

Più di 20 fondatori di Internet e leader del settore hanno scritto una lettera aperta per avvertire che il piano di Ajit Pai per eliminare la neutralità della rete è “una minaccia imminente” per il web.
di Jake Johnson, sceneggiatore di Common Dreams

Più di venti pionieri di Internet partecipano alla rivolta che ha preso piede nelle strade e on-line contro il Presidente della Commissione della FCC (Federal Communications Commission) Ajit Pai e il suo piano per uccidere la neutralità della rete; questi pionieri, tra cui l’inventore del World Wide Web Tim Berners-Lee, il cofondatore di Apple Steve Wozniak e Vint Cert, uno dei “padri di Internet”, lunedì hanno pubblicato una lettera aperta che giudica le proposte di Pai come “imperfette e di fatto inaccurate” e che chiede alla sua agenzia di cancellare il voto previsto per il giovedì su tali proposte.
“L’ordine, precipitoso e tecnicamente scorretto, della FCC di abolire le protezioni della neutralità della rete senza alcuna loro sostituzione è una minaccia imminente per l’Internet che abbiamo creato e per cui abbiamo lavorato duramente”, si legge nella lettera. “Dovrebbe essere fermato.”
La lettera continua criticando la FCC per aver ignorato entrambe le analisi degli esperti (pdf) e richiamando l’attenzione sulle “incomprensioni” del web controllate dalla GOP e sui milioni di commenti pubblici che dimostrano che il popolo americano è “chiaramente volenteroso di proteggere Internet”.
Data la rapidità con cui Pai sta portando il suo piano al voto, la “FCC non potrebbe aver considerato adeguatamente questi (commenti)”, sostengono i pionieri di Internet. “Infatti, pur modificando le pratiche consolidate, la FCC non ha tenuto neanche un unico incontro pubblico aperto per ascoltare i cittadini e gli esperti sul piano proposto”.
Con la loro lettera feroce, i fondatori di Internet e gli esperti del settore si sono aggiunti alla già massiccia ondata di indignazione scatenata dal piano di Pai di eliminare le protezioni della neutralità della rete, rilasciate il mese scorso.
Oltre alle proteste sul campo della scorsa settimana avutesi in tutti i 50 Stati e alle dimostrazioni “Break the Internet” iniziate martedì, i due commissari democratici della FCC hanno anche parlato contro le proposte dei loro colleghi repubblicani.
Riprendendo le argomentazioni dei creatori di internet nell’editoriale di Wired di sabato, la commissaria FCC Jessica Rosenworcel si è pronunciata contro la “mancanza di integrità” nel processo di commento pubblico della FCC e ha invitato l’agenzia “a fare qualcosa di semplice: uscire da dietro i computer e le scrivanie e tenere udienze pubbliche sui cambiamenti proposti”.
“La mancata esecuzione qui equivale ad accettare la frode in questo processo e ad utilizzarla per giustificare il ritiro delle regole di neutralità della rete”, ha concluso Rosenworcel. “Per il popolo americano un voto affrettato come questo, basato su una documentazione discutibile, sembrerà illegittimo. Dovrebbero richiedere un processo migliore e un risultato migliore”.

A giudicare dalla loro lettera aperta, i fondatori di Internet e gli esperti del settore sono d’accordo. La loro lettera completa segue:

“Senatore Wicker:
Senatore Schatz:
Rappresentante Blackburn:
Rappresentante Doyle:

Siamo i pionieri e gli esperti di tecnologia che hanno creato e che ora gestiscono Internet, siamo alcuni degli innovatori e degli uomini d’affari che, come molti altri, dipendono da questo per il proprio sostentamento. Vi scriviamo rispettosamente sollecitandovi a chiedere al Presidente della FCC, Ajit Pai, di annullare il voto del 14 dicembre sull’Ordine di Ripristino della Libertà di Internet (WC Docket n. 17-108) proposto dalla FCC.
Questo Ordine abolirebbe le principali protezioni di neutralità della rete che impediscono ai provider di accesso a Internet di bloccare contenuti, i siti Web e le applicazioni, rallentando o accelerando servizi o classi di servizio e tassando i servizi per l’accesso o le corsie veloci di accesso a internet ai clienti dei fornitori. L’ordine proposto eliminerebbe inoltre la possibilità di controllo rispetto ad altre discriminazioni e pratiche irragionevoli e anche rispetto all’interconnessione con i fornitori di accesso a Internet dell’ultimo minuto. L’ordine proposto rimuove il controllo a lungo termine della FCC sui fornitori di accesso a Internet senza prevedere una sostituzione adeguata dei controlli per proteggere i consumatori, i mercati liberi e l’innovazione online.
È importante capire che l’Ordine proposto dalla FCC si basa su una comprensione errata e in realtà inaccurata della tecnologia Internet. Questi difetti e imprecisioni sono stati documentati dettagliatamente in un commento congiunto di quarantatré pagine, firmato da oltre 200 tra i più importanti pionieri e ingegneri di Internet e presentato alla FCC il 17 luglio 2017.
Nonostante questo commento, la FCC non ha corretto i suoi equivoci, ma ha invece premesso l’Ordine proprio sui difetti molto tecnici evidenziati nel commento. L’Ordine che è stato proposto smantella quindici anni di supervisione mirata da parte dei presidenti repubblicani e democratici della FCC, che hanno compreso le minacce che i fornitori di accesso a Internet potrebbero rappresentare per il mercato libero di Internet.
Il commento degli esperti non è stato l’unico ad essere ignorato dalla FCC. Oltre 23 milioni di commenti sono stati presentati da un pubblico che è chiaramente intenzionato a proteggere Internet. La FCC potrebbe non averli considerati adeguatamente.
Infatti, pur modificando una pratica consolidata, la FCC non ha tenuto nessun incontro pubblico per ascoltare i cittadini e gli esperti sull’Ordine proposto.
Inoltre, il sistema di commenti online della FCC è stato afflitto da gravi problemi su cui la FCC non ha avuto il tempo di indagare. Tra questi si includono commenti generati dai bot che hanno impersonato americani, compresi i cittadini deceduti, e un’interruzione inspiegabile del sistema di commenti online della FCC che si è verificata proprio nel momento in cui il presentatore televisivo John Oliver incoraggiava gli americani a inviare commenti al sistema.
Aumentando la nostra preoccupazione, la FCC non ha risposto alle domande del Freedom of Information Act riguardanti questi incidenti e non ha fornito informazioni al Procuratore Generale dello Stato di New York riguardanti un’indagine a suo carico.
Vi invitiamo quindi a sollecitare il Presidente della FCC Pai a cancellare il voto della FCC. L’Ordine affrettato e tecnicamente errato della FCC di abolire le protezioni della neutralità della rete senza alcuna sostituzione è una minaccia imminente per l’Internet che cui abbiamo lavorato così duramente. Dovrebbe essere fermato.
Firmato:
Frederick J. Baker, presidente IETF 1996-2001, presidente del consiglio ISOC 2002-2006
Mitchell Baker, presidente esecutivo, Mozilla Foundation
Steven M. Bellovin, pioniere di Internet, Chief Technologist FTC, 2012-2013
Tim Berners-Lee, inventore del World Wide Web e professore, MIT
John Borthwick, CEO, Betaworks
Scott O. Bradner, pioniere di Internet
Vinton G. Cerf, pioniere di Internet
Stephen D. Crocker, pioniere di Internet
Whitfield Diffie, inventore della crittografia a chiave pubblica
David J. Farber, pioniere di Internet, Chief Technologist FCC 1999-2000
Dewayne Hendricks, CEO Tetherless Access
Martin E. Hellman, pioniere della sicurezza di Internet
Brewster Kahle, pioniere di Internet, fondatore, Internet Archive
Susan Landau, esperta di cybersicurezza e professoressa alla Tufts University
Theodor Holm Nelson, pioniere dell’ipertesto
David P. Reed, pioniere di Internet
Jennifer Rexford, Cattedra di Informatica, Università di Princeton
Ronald L. Rivest, co-inventore dell’algoritmo di crittografia a chiave pubblica RSA
Paul Vixie, pioniere di Internet
Stephen Wolff, pioniere di Internet
Steve Wozniak, co-fondatore, Apple Computer
cc:
Membri del sottocomitato del commercio del Senato su comunicazioni, tecnologia, innovazione e Internet
Membri della sottocommissione per l’energia della Camera su comunicazioni e tecnologia
Commissari Federali per le Comunicazioni

Che cos’è che ha ammazzato il Partito Democratico? – William Greider, The Nation

 

fonte workingclass.it

autopsy demparty

Un recente documento offre una bruciante autopsia delle elezioni 2016 – e propone un percorso per la riscossa.

 

Il Partito Democratico ha perso praticamente tutto il perdibile nel 2016, ma finora ha fornito solo espressioni di rammarico evasive e deboli scuse. Invece di prendere atto del pesante fallimento e dei madornali errori, i leaders del partito e i professionisti delle campagne elettorali si sono crogiolati in atteggiamenti di autocommiserazione e di sussiegosa indignazione. I veri colpevoli, hanno insistito, sono stati i vili Russi e l’odioso Donald Trump, che in combutta hanno violato il santuario della democrazia Americana e manomesso i risultati elettorali. Le indagini ufficiali sono tuttora in corso.

Mentre il paese attende il verdetto, una critica diversa e piuttosto provocatoria è stata formulata da un gruppo di attivisti orientati a sinistra, che indicano nello stesso Partito Democratico il responsabile di questa sconfitta epica. Il loro documento di 34 pagine “Un’autopsia: la crisi del partito Democratico” (https://democraticautopsy.org/) va letto più come una lucida messa in stato di accusa che come una diagnosi post-mortem.

E’ una fredda dissezione del perché i Democratici hanno così miserevolmente fallito, a un avvertimento che senza un cambiamento profondo, il partito resterà un perdente.

Leggendo i dettagli della critica, ho avuto l’impressione che probabilmente il partito ha avuto quello che si meritava nel 2016. Non voglio dire che Trump meritasse di vincere. In realtà, “Autopsia” menziona la campagna di Trump solo incidentalmente, e i Russi in un’unica occasione. La loro analisi propone la spiegazione che Trump sia diventato presidente principalmente perché la campagna dei democratici è stata inetta, malaccorta, autocompiaciuta e lontana dalla percezione degli orientamenti presenti nel paese.

Molti dettagli del rapporto erano già noti, almeno in parte. Ma le prove presentate in “Autopsy” hanno una forza e una efficacia molto maggiori. La task force che ha preparato questo documento critico era guidata dal giornalista ed esperto di critica dei media Norman Solomon, delegato alle Conventions democratiche nel 2008 e 2016; Karen Bernal, responsabile del Coordinamento Progressista del Partito Democratico della California; Pia Gallegos, storica avvocato e attivista nella difesa dei diritti civili nel New Mexico; e Sam McCann, uno specialista in comunicazione di New York esperto in giustizia internazionale. Gli estensori non supportano nessun candidato per il 2020, anche se ovviamente sono simpatizzanti di Bernie Sanders e della sua radicale agenda di riforme. Il loro obiettivo è in realtà quello di provocare un’esplicita resa dei conti nel Partito Democratico, fra l’establishment Clinton-Obama e la base, ferita e delusa.

L’establisment ha i soldi e il controllo del governo; i militanti di base la rabbia e le loro convinzioni forti.

Leggi tutto

Fondazione Di Vittorio-Cgil. L’occupazione è anche una questione di qualità

Fonte: il manifesto Autore: Roberto Ciccarelli

Jobs Act, più professioni dequalificate nel terziario povero

Venerdì 8 dicembre Matteo Renzi ha inviato ai suoi affezionati una mail esilarante. La enews della settimana contiene un grafico – con tanto di simbolo del Pd – che rappresenta il tasso di occupazione in Italia. Sottotesto: da quando ci sono i governi del piddì l’«occupazione» cresce. Dal 2013 a oggi il tasso di occupazione è cresciuto dal 55,5% al 58,1%. Prima, ovvero dal dicembre 2008 al 2013 – quando al governo c’era Berlusconi – è diminuito dal 58,1% al 55,5%.

Leggi tutto

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni

FONTE PRESSENZA.COM

22.11.2017 Rodolfo Schmal

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni
(Foto di Agencia UNO)

I risultati delle elezioni presidenziali e parlamentari cilene sorprendono anche se non dovrebbero. Ormai da tempo i sondaggi non sono più strumenti affidabili, per via della crescente astensione, dell’alto numero di indecisi man mano che si avvicinano le elezioni e della loro manipolazione da parte dei poteri di fatto.

L’astensione e l’indecisione sono dovute essenzialmente alla depoliticizzazione che si sta vivendo, in cui pare che la vita dei cittadini segua un percorso diverso dalla politica. Come se la politica non influenzasse le nostre vite, la direzione presa dalla nazione, come se non avesse importanza chi sono le nostre autorità. Ormai un’elezione non si basa su ideali o un’immagine di futuro, ma su quanto sia conosciuta una  persona. Si spiega così l’esplosione di candidati provenienti dal mondo dello spettacolo, molti dei quali sono stati eletti.

E’ la banalizzazione della politica. Dopo il cibo e i film spazzatura, adesso c’è anche una politica spazzatura, con una grande quantità di politici tutti uguali.

Il rischio che corriamo, come diceva a suo tempo Platone, è che disinteressandoci della politica finiremo per essere governati dagli uomini peggiori.

D’altra parte i sondaggi si sono rivelati sbagliati. Davano per vincitore Piñera, molto al di sopra del 40% e assegnavano alla candidata del Frente Amplio, Beatriz Sánchez, una tendenza in calo che l’attestava più o meno intorno al 10%. A partire dai sondaggi e in collusione con i mezzi di comunicazione di massa, si è fabbricato uno scenario del secondo turno con Piñera contro Guillier, pensando a una distanza di oltre 20 punti tra di loro. Tuttavia i cittadini, o almeno molti di quelli che hanno votato, non si sono lasciati influenzare dai sondaggi e hanno smentito le previsioni.

In termini di aspettative, Piñera è stato sconfitto perché non ha ottenuto il risultato sperato e ora dovrà fare i salti mortali per arrivare al 50% e vincere al secondo turno. I voti di Kast non gli basteranno. Dovrà muoversi verso l’estrema destra e verso il centro, una specie di missione impossibile.

Dall’altra parte Guillier non può presentarsi come trionfatore, visto che è arrivato secondo, ma i risultati gli  permettono di vedere la luce alla fine del tunnel: la distanza da Piñera infatti non è grande come si pensava e c’è tutta una parte del Frente Amplio da conquistare, che non vuole Piñera presidente. Neanche per lui sarà facile, però. Non potrà avere intenzioni occulte.

Il 20% del Frente Amplio permette ai suoi dirigenti si collocarsi in una posizione alla pari con Guillier e i suoi. Queste conversazioni andranno fatte davanti al paese, riguardo a pochi temi specifici su cui si potrebbero stringere accordi chiari.

In ogni caso il nostro dramma è che abbiamo un paese diviso politicamente in due parti quasi uguali, con alcuni che vogliono mantenere il modello neoliberista individualista e competitivo in tutte le sue espressioni e altri che lo vogliono sostituire in modo radicale con un modello basato sulla solidarietà. Una metà lievemente superiore, corrispondente circa al 55% , aspira a quest’ultimo modello.

Finora si è tentato senza successo di rompere questa semi parità. Per farlo sarebbe necessario un grande accordo nazionale che abbia come punti centrali l’istruzione, la sanità e le pensioni, da considerare un bene pubblico e non privato. Questo comporterebbe un grande sforzo nazionale per assicurare educazione e cure sanitarie gratuite e di buon livello e farla finita con i fondi pensione come sono concepiti attualmente.

 

Un’alternativa di umanità è possibile

FONTE  UNIMONDO.ORG

Se si dovesse trovare una colonna sonora per commentare l’ultimo libro di Riccardo Petrella, la scelta ricadrebbe su una canzone di Roger Waters, l’ex leader dei Pink Floyd, contenuta nell’album da solista del 1992 intitolato “Amused to death”. La canzone si chiama “Perfect sense”. Il senso fondamentale, appunto perfetto nella sua follia, di questa globalizzazione si esprime nel denaro e quindi nella guerra, in una religione piegata all’ideologia, in uno stile comunicativo che moltiplica la paura e la rabbia. Il pessimismo di Waters non lascia scampo, ma è ugualmente profetico: eppure eravamo nel 1992, quando le promesse della globalizzazione a guida americana avevano convinto quasi tutti.

Petrella analizza criticamente quelli che chiama i principali produttori/distruttori di senso oggi: Dio (narrato secondo i nostri interessi); il popolo e la nazione; il denaro declinato nei suoi vari aspetti, il capitale, l’impresa, il mercato, la finanza. Manca un protagonista, in grado di cambiare il paradigma. Questo “grande assente” è l’umanità. E proprio “In nome dell’umanità” si intitola il volume di Petrella.

Leggi tutto

I Paradise Papers sono molto più rivelatori di quanto si pensi

FONTE PRESSENZA.COM

07.11.2017 DiEM25

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese

I Paradise Papers sono molto più rivelatori di quanto si pensi

Ormai nessuno resta più sorpreso dalle rivelazioni sul modo in cui le persone più ricche del mondo nascondono i loro soldi nei paradisi fiscali. Nel 2016 abbiamo visto i Panama Papers e ora ecco una nuova fuga di notizie: i Paradise Papers, che coinvolgono la Regina d’Inghilterra, il Presidente americano Donald Trump, lo Stato russo, multinazionali e personaggi famosi, mostrando anche i legami tra di loro.

Il vero scandalo, come disse Glenn Greenwald quando scoppiò il caso dei Panama Papers, è che tutte queste azioni sono legali. Non restiamo sorpresi perché conosciamo benissimo la mancanza di trasparenza dei potenti, dei ricchi e dei governi. Questa è una conseguenza diretta delle nostre democrazie sbiadite o assenti: la gente ha un potere elettorale limitato, soprattutto nell’Unione Europea.

Le rivelazioni di Snowden e i Panama e Paradise Papers ci mostrano quello contro cui ci troviamo a lottare. Mantenere scappatoie legali per questi paradisi fiscali non è solo immorale, ma offre anche un vantaggio economico a chi nasconde il suo denaro. I paradisi fiscali sono l’ennesimo esempio di un’Europa che mantiene lo status e distoglie lo sguardo mentre allo stesso permette alle élite di continuare con il loro comportamento rapace.

L’Unione Europea deve dare l’esempio ed eliminare i paradisi fiscali nei suoi territori periferici. Tutte le possibilità devono essere considerate: confisca dei beni, divieti di élite viaggio e controllo dei capitali.

I responsabili politici però non lo faranno di loro iniziativa – dobbiamo spingerli e organizzarci per rendere l’alternativa una realtà. Come DiEM25, lottiamo per un’Unione Europea giusta e democratizzata. Vogliamo coinvolgerti e sentire le tue idee, così che i prossimi Paradise Papers ci trovino più uniti!

Aris Telonis è un membro e un volontario del movimento DiEM25.

Neoliberismo, biopolitica e schiavitù. Il capitale umano in tempo di crisi

SILVIA VIDA
Articolo pubblicato nella sezione “Schiavitù contemporanee”
della Rivista COSMOPOLIS che ringraziamo 

1. Lo ha affermato di recente Luciano Canfora (2017, 9): «Per ora, chi sfrutta ha vinto la partita su chi è sfruttato». La diagnosi del presente si aggrava se si pensa che «solo ora il capitalismo è davvero un sistema di dominio mondiale», reso più forte dall’avere di fronte a sé esclusivamente miseri spezzoni di organizzazioni di stampo sindacale o settoriale che gli oppongono una resistenza trascurabile; se è vero, com’è vero, che il capitale oggi è davvero “internazionalista”, avendo dalla sua parte la cultura e ogni possibile risorsa. Gli sfruttati, invece, «sono dispersi e divisi» dalle religioni, dal razzismo istintuale, dalle discriminazioni sociali non sanate ma approfondite dall’operato delle istituzioni, e dal fatto che, per funzionare, il capitale ha ripristinato forme di dipendenza di tipo servile creando sacche di lavoro neo-schiavile che non credevamo più possibili, soprattutto nelle aree del mondo più avanzate (ibidem, 11-12).
Di fronte a tutto questo, già nel 2003 Glenn Firebaugh scriveva a proposito di un’inversione di tendenza: il passaggio da una crescente diseguaglianza tra nazioni (accompagnata a livelli di diseguaglianza stabili o in calo all’interno delle nazioni) a una diminuzione della diseguaglianza tra nazioni, con conseguente aumento della diseguaglianza al loro interno. Ciò si deve al fatto che il capitale, che circola liberamente nello “spazio del flussi” globale (secondo l’efficace definizione di Manuel Castell), perché liberato dalla politica, è ansioso di cercare zone in cui gli standard di vita siano modesti e sia consentito sfruttare il differenziale tra regioni del pianeta dove le paghe sono basse e non esistono istituti di autotutela e tutela statale dei poveri, e altre regioni che mantengono queste tutele. Ma il libero fluttuare del capitale produce un effetto collaterale significativo, ossia la progressiva riduzione di quello stesso differenziale, con il concomitante livellamento degli standard di vita tra paesi diversi. Inoltre, i paesi che hanno immesso capitali nei flussi globali si trovano a loro volta a essere oggetto delle situazioni di incertezza della finanza globale (svincolata da regole).
Tutto ciò si ripercuote sulle condizioni della forza-lavoro urbana che l’autorizzata secessione del capitale dalla politica si è lasciata alle spalle. Quella forza-lavoro oggi non solo è minacciata dalla nuova incertezza globale, ma anche dai costi incredibilmente bassi del lavoro in quei paesi dove il capitale, libero di muoversi, decide di insediarsi temporaneamente. Di conseguenza, il differenziale tra paesi “sviluppati” e “poveri” tende a contrarsi, e nei paesi che non molto tempo fa sembravano aver superato le diseguaglianze sociali più stridenti torna a riemergere più forte che mai l’inarrestabile crescita della distanza tra chi ha e chi non ha.

Leggi tutto

Psicopatologia della politica

fonte  Saluteinternazionale

Autore :  Gavino Maciocco

Avvicinandosi sempre di più la data delle elezioni, cresce l’ansia della ricerca del consenso.  Rimarranno come al solito in ombra le questioni che riguardano la vita delle persone e il futuro del paese, tra cui la più importante è la crescita delle diseguaglianze, anche nell’assistenza sanitaria, tra classi sociali e tra diverse aree del paese.  La sinistra e i sindacati si stanno rendendo complici di un disegno caro alla destra: la creazione di un pilastro assicurativo privato, di fatto alternativo al sistema sanitario pubblico, destinato a divenire una struttura residuale, a uso e consumo dei poveri e dei bisognosi.


Nell’editoriale di Repubblica di domenica 17 ottobre 2017, dal titolo “Renzi e la politica del neurologo”[1], Eugenio Scalfari si rivolge al segretario del PD dandogli dello psicopatico e invitandolo caldamente a curarsi.  Il motivo della severa e inusuale critica del fondatore di Repubblica, generalmente benevolo nei confronti dell’ex-premier, è il suo comportamento tenuto nella nota vicenda Bankitalia. Comportamento definito da Marco Meloni, deputato PD “un atto di teppismo parlamentare, che squassa l’equilibrio tra le istituzioni”[2].  “Per lucrare qualche migliaia di voti si distrugge un pezzo dello Stato”, commenta il costituzionalista Sabino Cassese[3]. Parere analogo quello di Ezio Mauro che scrive: “Più che la preoccupazione per la sicurezza di correntisti bancari e risparmiatori, nell’offensiva di Renzi contro il governatore di Bankitalia c’è un’evidente ansia da campagna elettorale”[4].

Purtroppo la cappa di ansia da campagna elettorale opprime l’Italia da alcuni mesi. A farne le spese soprattutto i migranti diventati improvvisamente “merce politica oltremodo appetibile, in un mercato dei partiti e dei leader stremato, asfittico, afasico; impossibilitati a essere soggetto politico in proprio, si trovano di colpo trasformati in oggetto della politica altrui, che vede qui, sui loro corpi reali e simbolici, le sue scorciatoie alla ricerca del consenso perduto”[5].

Stiamo assistendo semplicemente — e tragicamente — al contatto e all’incontro tra la domanda politica più spaventata e meno autonoma degli ultimi anni e un’offerta politica gregaria del senso comune dominante, opportunistica, indifferenziata. La prima – osserva E. Mauro – chiede tutela quasi soltanto attraverso l’esclusione, il respingimento, il “bando”, accontentandosi di non vedere il fenomeno purché le città che abita siano ripulite e i banditi finiscano altrove, non importa dove. L’altra asseconda gli istinti e rinuncia ai ragionamenti, sceneggiando prove di forza con i più deboli, alla ricerca di un lucro politico a breve, che mette fuori gioco ideali, storie, tradizioni, identità politiche, e cioè quella civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri che si vorrebbe difendere”[5].  Così abbiamo dovuto assistere all’indecente competizione tra chi gettava più fango addosso alle organizzazioni umanitarie che salvavano le vite nel Mediterraneo, al blocco degli sbarchi nei porti italiani,  alla negazione dei più elementari diritti, del diritto d’asilo a quanti, costretti  alla fuga dalla guerra e dalla fame, non sono messi in condizione di raggiungere i paesi dove questo diritto possa essere esercitato, al rinvio sine die della legge sulla cittadinanza, detta Ius Soli (vedi Se il sentimento umanitario finisse in minoranza).

Leggi tutto

Follia: totalitarismo neoliberista e i giochi con le carte truccate

fonte IL BLOG di Mauro Zani

Autore :  Mauro Zani

Nell’attuale momento storico dove s’è ormai imposto un pieno totalitarismo liberista, come forma di dittatura sulla politica, è, a mio avviso vano e sterile cercare di manovrare all’interno delle coordinate dettate, esplicitamente o implicitamente, dalla sua inesorabile logica.

Insomma continuare a giocare con carte truccate porta alla sconfitta “reale” sul piano dei valori e dei principi sociali fondamentali per una forza di sinistra, anche quando si dovesse formalmente vincere. Dato che la contrapposizione culturale, teorica e pratica non si è avuta,fino ad ora, restano solo due strade.

Quella del PD che segue come l’intendenza i dettami della dittatura liberal/liberista entro un progetto di trasformismo denominato centro-sinistra e quella di chi guarda con speranza e comunque ardimentosamente, pericolosamente verso “nuove vie della seta” per la sinistra, nell’unico modo possibile.

Ripartire daccapo. Forse dal livello zero Ritentare ancora. E’ quest’ultima una posizione ultra minoritaria che impone di fermarsi, prendere fiato e cercar di ripartire su basi diverse, radicalmente diverse, rispetto all’esperienza della sinistra comunista e socialdemocratica del novecento.

Per questo, al netto di qualche simpatia per i tentativi in atto a sinistra (del PD naturalmente) faccio fatica a ragionare in termini di razionalità politica a corto respiro. Non so bene a cosa serva. Non vedo dove porti una manovra classica entro le attuali coordinate.

Chi vuole ottenere peso politico ed elettorale per fare pressione sul PD e togliere dal campo Renzi e il suo arruffato trasformismo come condizione per ricostruire un centro-sinistra mi sembra rimanere del tutto interno alla realtà, sociale, politica psicologica plasmata da trent’anni di liberismo.

Alla fine anche se quest’operazione, dovesse andare (molto parzialmente) in porto, del ché è lecito dubitare, non farebbe altro che consolidare gli imperativi ideologici dell’attuale dominio dei poteri globali (per dirla sbrigativamente).

Tante volte ho detto a coloro che si ostinano ad intervenire su questa sottospecie di intermittente blog che c’è da intraprendere una traversata nel deserto. Necessariamente minoritaria ma non per questo priva di una sua interna e forte verità. Il coraggio di osare lasciandosi alle spalle il bagaglio di un passato che non passa, guardando oltre ogni attuale contingenza.

Oltre i limiti imposti da sistemi politici resi obsoleti da ormai tanto tempo. L’efficacia politica oggi mi sembra risiedere in un immersione, senza zattere di salvataggio, nei problemi sociali del nostro tempo con il coraggio di cercare di erodere i miti e gli idoli che sono stati imposti come diffuso senso comune.

Via e fuori dal senso comune è la prima condizione per ritentare la scalata verso una società di liberi ed uguali. Anche continuando a sbagliare. Ma ritentare occorre. Cosa vuol dire in termini pratici? Di prassi politica?

Secondo il mio, sempre provvisorio, parere converrebbe operare sul medio lungo periodo. Esempio, entro questa visione, da qui alle elezioni non c’è tempo né per seminare né per raccogliere. L’uva è del tutto acerba. Conviene, converrebbe puntare più in alto.

Persino saltare un giro dando forza eclatante al “partito” delle schede bianche. Condizione forse per presentare una lista civica nazionale, un’alleanza tra cittadini, al prossimo giro di boa elettorale che, con ogni evidenza, ci sarà nel giro di non molto tempo. E farlo, necessariamente con i protagonisti, la classe dirigente, che potrà formarsi nel frattempo.

E da lì ripartire dividendo la destra dalla sinistra in modo netto, al fine democratico in senso pieno e “reale”, per ricostituire l’autorità della politica basata sull’autorevolezza degli attori sociali. E tra questi il ruolo, finalmente e politicamente centrale e trainante della classe sociale maggioritaria dopo la proletarizzazione della classe media.

E’ un modo per non rassegnarsi. Per dirla in gergo mercatista :votiamo scheda bianca perché sul mercato della politica non c’è alcuna nuova offerta all’altezza delle prove ardue del presente e del futuro.

E intanto stiamo ventre a terra sui cosiddetti territori con un attivismo centrato su piccoli parziali successi che possano aggregare dal “basso” per far crescere idee nuove, proposte politiche non ancora elaborate.

Follia?

Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Mauro Zani l’11 ottobre 2017

Macron, il nuovo ritorno al vecchio liberalismo conservatore autocratico

FONTE PRESSENZA.COM

19.09.2017 – Riccardo Petrella

Macron, il nuovo ritorno al vecchio liberalismo conservatore autocratico

«Non cederò niente né ai fannulloni, né ai cinici, né agli estremi » («Je ne céderai rien ni aux fainéants, ni aux cyniques, ni aux extrêmes»), è in questi termini che il presidente Macron ha reagito alla mobilitazione popolare del 12 settembre contro la riforma del codice del lavoro. Eppure secondo un sondaggio realizzato il 13 e 14 settembre per conto di FranceInfo e di Le Figaro il 60 % degli intervistati si è espresso contro la riforma e solo il 26 % considera che i decreti governativi (39 in totale approvati in due mesi dal nuovo governo francese !) avranno un impatto positivo sul lavoro. Il 38 % pensa, al contrario, che avranno un impatto negativo. Per il restante 36%, non avrà nessun impatto.

Ricordiamo che Macron ha imposto alla «sua» Assemblea Nazionale di approvare la delega al governo per modificare il codice del lavoro unicamente via decreti governativi senza più alcuna partecipazione del parlamento francese. Ora, il lavoro resta un campo fra i più importati per la vita di ogni persona ed il vivere insieme dopo essere stato per più di un secolo la grande questione sociale dei paesi occidentali. Per l’autocratico Macron ciò non conta nulla.

L’ispirazione di fondo della sua riforma consiste precisamente nel tentare – sono sue parole -di liberare l’economia francese (e la società) dai vincoli e dalle regole che l’ impediscono di creare occupazione dando forza alla flessibilità e riducendo considerevolmente l’obiettivo della sicurezza. Per lui il lavoro non riveste più un carattere di essenzialità per la vita. Esso non è più un diritto ma un’opportunità. 

Inoltre la riforma è centrata sul principio di fare dell’impresa il luogo e lo «spazio sociale» unici degli accordi sul lavoro relegando al museo dell’oblio gli accordi settoriali, di categoria e nazionali.

Macron sta applicando gli stessi principi nel campo della casa. Il «piano alloggio» da lui presentato l’11 settembre a Tolosa come un «patto alle collettività locali» ha l’obiettivo di « liberare la costruzione di alloggi grazie alla riduzione delle esigenze e le norme ambientali e sociali», da lui considerate espressione di «buoni sentimenti» allorché la politica è fatta di «pragmatismo».

Oramai la maggioranza delle classi dirigenti oggi al potere in Europa non ha più vergogna di legiferare relegando ad un ruolo di poco conto i parlamenti nazionali e di dichiarare che i diritti umani (del e al lavoro, alla casa, all’acqua per la vita, alla salute, alla conoscenza…) non sono più, a loro avviso, fonte ispiratrice  della regolazione collettiva.

In piedi, cittadini!

Terminal

di Alessandra Daniele

Sbaglia chi accusa Macron di scarso europeismo perché tratta l’Italia a pesci in faccia. Macron è ancora europeista, solo che non considera l’Italia parte dell’Europa, la fortezza carolingia della quale è impegnato a difendere gli interessi commerciali e coloniali.
E non è certo il solo.
“Fuori dall’Europa”. Cosa prometteranno adesso i nostri abbronzati demagoghi? Siamo già fuori dall’Europa.
Dopo più d’un ventennio di sanguinosi sacrifici, imposti sempre agli stessi lavoratori dalle stesse classi dirigenti in nome dell’europeismo, siamo fuori dall’Europa che conta qualcosa, e ci resteremo per sempre.
Allo Château Macron-Merkel serviamo ancora solo come buttafuori.
Il buttafuori che sta fuori.
Questo compito infame e meschino è l’approdo terminale della stirpe italica: stare sulla soglia del terminal a respingere quelli che i nostri padroni ritengono indegni d’essere ammessi al loro servizio.
Renzi, Salvini, Di Maio, il coro è unanime: “Anneghiamoli a casa loro“.
Siamo i nuovi Gheddafi.
Cosa ci fa credere che alla fine non subiremo la stessa sorte?
Che negando la salvezza agli altri compreremo la nostra?

Per tutta la nostra Storia, per quanto la situazione potesse sembrare disperata, ci siamo sempre illusi che all’ultimo minuto l’avremmo fatta franca. L’Arca non sarebbe partita senza di noi.
E invece sta succedendo.
Chi ci salverà stavolta, Michelangelo, Buffon, Sophia Loren, Sorrentino?
Di certo non Renzi, che non è più in grado di salvare neanche se stesso.
Come i replicanti sintetici a sviluppo accelerato di Blade Runner, il Cazzaro è invecchiato alla stessa velocità alla quale era cresciuto. Adesso è politicamente più vecchio di Berlusconi, e ogni suo tentativo di recuperare il controllo non fa altro che accelerare la decomposizione della sua leadership e del suo partito, che ogni giorno perde un brandello putrefatto.
Per citare Blade Runner: “I topi abbandonano la nave che affonda. E poi la nave affonda”.
Che fine faremo?
Se dalle prossime elezioni non uscirà una maggioranza accettabile per le élite, il paese sarà definitivamente commissariato.
L’Italia sarà divisa in una good company, che comprenderà le bellezze naturali e artistiche, e una bad company, della quale faranno parte gli italiani.
La good company sarà venduta per un euro. La bad company sarà smantellata.

Per una nuova teoria socio-ecologica del valore – di Salvo Torre

FONTE EFFIMERA

Il confronto tra le tematiche poste dal neo-operaismo e quelle dell’ecologia sociale permette di riflettere su ciò che in realtà è un percorso politico seguito negli ultimi anni da diversi movimenti, sostenuto da una riflessione teorica che potrebbe portare ad un nuovo capitolo della critica al sistema capitalistico.

Dal dibattito animato dal pensiero critico degli ultimi anni, è emerso chiaramente come il capitalismo debba essere considerato un regime ecologico, ovviamente come tutti i sistemi economici che lo hanno preceduto, ma con una diversa capacità di trasformazione del pianeta, per l’ampiezza dei mutamenti che produce e per i tempi in cui li produce. I sistemi economici sono stati anche forme di riorganizzazione della biosfera da parte delle comunità umane, ma finora nessuno di quelli che si sono succeduti era riuscito a portarci con tale forza di fronte al problema del limite della nostra azione. Ciò perché il capitalismo è un sistema che può produrre un serio ostacolo alla continuità della biosfera, quantomeno per come la conosciamo. L’intero dibattito proveniente dall’ecologia politica e dall’ecologia sociale ha chiarito ampiamente la questione.

Leggi tutto

Grenfell exposes the true face of deregulation

fonte STRONGERUNIONS-.ORG

21 Jun 2017, By

I think it is important that we do not rush to conclusions over the catastrophic fire at Grenfell Tower that has killed so many people in West London. The priority must be supporting residents who have lost their homes and comforting those who have lost loved ones. Many of those who lived, and died, in the block were union members and trade unions have already been active around supporting those members, or their families.

However, regardless of the outcome of any enquiry, it is clear that we cannot see Grenfell Tower as a “one-off” disaster but as something that is much more symptomatic of the society we live in and the value that it places on human life, especially the lives of the poor, the dispossessed and the vulnerable.

Leggi tutto

IDENTIKIT AMERICANO NEL PAESE DEGLI HOMELESS

Identikit americano nel paese degli homeless

di SANDRO MEZZADRA.

La povertà ha assunto negli ultimi anni negli Stati Uniti dimensioni e caratteristiche per molti versi inedite. La figura del senza tetto, dell’homeless, le riassume nel modo più efficace, per quel che riguarda la sua crescita esponenziale, certo, ma anche per il tipo di visibilità che ha assunto in molte metropoli e per le relazioni che intrattiene con le istituzioni – a partire da quelle repressive sempre più presenti nella sua quotidianità

Quello degli homeless è ormai «un popolo nel popolo», scrive Elisabetta Grande nel suo Guai ai poveri. La faccia triste dell’America (edizioni Gruppo Abele, pp. 172, euro 14): non solo perché ha effettivamente assunto la consistenza quantitativa di un «popolo», ma anche nel senso che un insieme di dispositivi politici, giuridici e culturali – sapientemente orchestrati quantomeno a partire dalla prima presidenza di Ronald Reagan – ha finito per separare la figura inquietante e minacciosa del povero estremo dall’insieme della popolazione statunitense, scardinando le basi di quell’empatia che aveva pur caratterizzato altre fasi storiche, come il New Deal (nonostante la persistente discriminazione nei confronti degli afroamericani) e gli anni della «guerra alla povertà» di Lyndon Johnson.

Leggi tutto

Stop Trump, change the world

 

FONTE SOLIDAIRE.ORG

Un fou à la tête des États-Unis ? L’élection de Donald Trump à la présidence des États-Unis a inquiété le monde entier. Sa campagne, menée à grands renforts de remarques insultantes, sexistes, racistes… a parfois laissé croire qu’il n’avait pas vraiment d’idéologie ou de stratégie, que son caractère sanguin déterminait ses actions. Et pourtant, derrière l’apparente imprévisibilité, il y a bien des constantes.

À y regarder de plus près, on constate cependant que son programme comportait un certain nombre de points récurrents. Trump voulait restaurer la grandeur de l’Amérique en y ramenant les entreprises, instaurer des taxes à l’importation sur les produits étrangers, supprimer l’accord libre-échange TPP et renégocier un autre accord de libre-échange, l’Aléna. Trump allait également renouer des liens avec la Russie et se concentrer davantage sur la Chine. Il ferait payer davantage les alliés de l’Otan pour leur sécurité. Il allait battre l’État islamique dans les plus brefs délais et fermer les frontières aux terroristes. Il construirait un mur pour protéger les États-Unis des migrants mexicains. Il rouvrirait les mines de charbon, poursuivrait la construction des pipelines vers les gisements de sables bitumineux au Canada et enverrait valser les scientifiques du climat. L’Obamacare serait aboli et l’argent des projets sociaux servirait à augmenter les dépenses militaires. Il baisserait les impôts et engagerait malgré tout des investissements gigantesques dans l’infrastructure américaine. 

Leggi tutto

Istat: scompaiono la classe operaia e la piccola borghesia, aumentano le disuguaglianze

FONTE ATLANTIDE.ORG

Il Rapporto Annuale Istat ricostruisce le classi sociali: disgregate le vecchie classi sociali, le differenze sono acuite da una distribuzione dei redditi che penalizza gli stranieri e le famiglie con figli. Pesa anche la scomparsa delle professioni intermedie, cresce soprattutto l’occupazione a bassa qualificazione. In stato di povertà assoluta 1,6 milioni di famiglie, il 28,7% a rischio di povertà o esclusione sociale. Il 70% degli under35 vive ancora con i genitori

di ROSARIA AMATO – 17 maggio 2017

ROMA – Non esiste più la classe operaia, si fa fatica a rintracciare il ceto medio, e sempre di più nelle famiglie italiane la “persona di riferimento” è un anziano, magari pensionato. Nel Rapporto Annuale 2017 l’Istat prova a ricostruire la società italiana e a tracciare i connotati delle nuove classi sociali: molto è cambiato ma molto si è cristallizzato. La disuguaglianza aumenta e non è legata a ragioni antiche, al censo, ai beni ereditati, ma in gran parte ai redditi, e in buona parte anche alle pensioni. Da opportunità nascono opportunità: i figli della classe dirigente diventano classe dirigente, i figli dei laureati diventano laureati, gli altri lasciano la scuola giovani. La classe impiegatizia si arricchisce con le attività culturali, le famiglie a basso reddito guardano la tv. Il lavoro si polarizza: scompaiono le professioni intermedie, aumenta l’occupazione nelle professioni non qualificate, si riducono operai e artigiani. E nella classe media impiegatizia le donne giocano un ruolo importante: nonostante nel complesso il tasso di occupazione femminile sia più basso di 18 punti rispetto a quello maschile, in 4 casi su 10 le donne sono i principali percettori di reddito, e dunque con una quota maggiore rispetto agli altri gruppi della popolazione.

Le nuove classi sociali. “La perdita del senso di appartenenza a una certa classe sociale è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia”, osserva l’Istat. L’istituto però non si limita a prendere atto della disgregazione dei gruppi tradizionali della società italiana, ma ne propone una ricostruzione originale, che suddivide la popolazione (stranieri compresi) in nove nuovi gruppi: i giovani blue-collar e le famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri, gruppi nei quali è confluita quella che un tempo era la classe operaia; le famiglie di impiegati, di operai in pensione e le famiglie tradizionali della provincia, nei quali confluisce invece la piccola borghesia; un gruppo a basso reddito di anziane sole (le donne vivono di più rispetto agli uomini) e di giovani disoccupati; e infine le pensioni d’argento e la classe dirigente. In questa classificazione incidono vari fattori, il più importante è il reddito. Il gruppo sociale più povero, quello delle famiglie con stranieri, si ferma a una spesa media di 1.697 euro; si arriva poi agli oltre 3.000 delle famiglie di impiegati e delle pensioni d’argento fino alla classe dirigente che supera di poco i 3.800 euro mensili.

Disuguaglianze sempre più cristallizzate. Una divisione nuova della società italiana farebbe pensare a cambiamenti rivoluzionari. In realtà di rivoluzionario in Italia al momento non c’è niente: è una società che cristallizza le differenze, e che da tempo ha bloccato qualunque tipo di ascensore sociale. In effetti funziona quello verso il basso, ma i piani alti sono sempre meno accessibili. Tra le famiglie con minori disponibilità economiche pesano di più le spese destinate al soddisfacimento dei bisogni primari (alimentari e abitazione), mentre in quelle più abbienti, che sono poi anche quelle con un maggiore livello d’istruzione, sale l’incidenza di spese importanti per l’inclusione e la partecipazione sociale, destinate a servizi ricreativi, spettacoli e cultura e a servizi ricettivi e di ristorazione. L’Istat ordina le famiglie per “quinti” di spesa, e il risultato è che gli ultimi due quinti spendono il 62,2% del totale contro poco più del 20% dei primi due.

Leggi tutto

Bruno Giorgini: Oui Macron. Comincia la lotta di classe

FONTE INCHIESTAONLINE.INFO

 

 

 

VINCERE O MORIRE è il titolo di un bel libro dove Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha raccolto una serie di saggi sulla legittimità e il potere, la presa del potere, col significativo sottotitolo “Lezioni politiche nel Trono di Spade” , che come tutti sanno è una saga televisiva di grande successo. Vincere o morire deve essersi anche detto Macron, l’enfant prodige della borghesia liberale finanziaria che con ascesa fulminante ha preso il potere in Francia, diventando Presidente della Republique per antonomasia.

La legittimità l’ha ottenuta al primo turno arrivando primo seppure di poco tra i quattro sfidanti. Quindi l’ha coltivata nello spaziotempo che lo separava dal ballottaggio. L’ha affermata poi nello scontro diretto con Marine Le Pen, robusta grande borghese nazional populista – dicono con indulgenza molti osservatori – comunque con netti tratti xenofobi, razzisti e fascistoidi. Le Pen, sperando di battere a colpi di bastone la spada affilata della ragione cartesiana e illuminista del suo avversario, ha tentato di scimmiottare la lingua del popolo povero, derelitto, e incazzato, precipitando invece nel grottesco.

Leggi tutto

Tra il buio del fascismo e lo schiavismo neoliberista

FONTE ALFABETA2  CHE RINGRAZIAMO

Franco Berardi Bifo

Sembra inevitabile di questi tempi scegliere tra schiavismo e fascismo. Lo schiavismo neoliberale ha vinto in Francia fermando (temporaneamente) l’avanzata del fascismo, e pare che dobbiamo esserne contenti. La vittoria di Emmanuel Macron permetterà di allentare lo strangolamento che ha asfissiato i lavoratori dell’Unione Europea? Credo piuttosto che la vittoria di questo estremista liberista sia destinata a intensificare in Francia l’offensiva anti-sociale, l’impoverimento dei lavoratori, la precarizzazione.

Emmanuel Macron si è presentato sulla scena promettendo di licenziare 120.000 impiegati pubblici, e ha ottenuto il sostegno di François Fillon, il quale, per parte sua, mentre intascava un milione di euro intestati alla moglie Penelope, prometteva di licenziarne 500.000. Macron ha promesso di portare a termine le riforme timidamente abbozzate dal governo Hollande, e di rivedere la loi el Khomri così da rendere più fluida la precarizzazione del lavoro che negli anni scorsi non è stata imposta fino in fondo per le resistenze della società. Macron, che si è formato culturalmente all’interno del sistema bancario, ha un compito: sfondare la resistenza della società francese per piegarla definitivamente all’ordine finanziario.

Leggi tutto