Milano. Presidio di solidarietà con Marica Ricutti, licenziata dall’Ikea

FONTE ARTICOLO21.ORG

Paolo Matteo Maggioni

 

Martedi sera, nel piazzale dell’IKEA di Corsico, c’è stato un presidio. Due ore di sciopero dei lavoratori dell’azienda svedese in solidarietà con Marica Ricutti, la collega licenziata pochi giorni prima perché non riusciva più a rispettare il suo turno di lavoro. Trentanove anni, una laurea, madre single di due figli, Marica ha avuto accesso alla legge 104, che consente di accudire il figlio più piccolo, disabile. Ma il nuovo turno di lavoro, con inizio alle 7 del mattino, è inconciliabile con le terapie del figlio e la vita di una mamma separata che abita a 40 km da Corsico. E cosi, dopo alcuni richiami -Marica è sempre andata a lavorare attenendosi al vecchio turno, che inizia alle 9-, è scattato il licenziamento, dopo 17 anni di servizio. L’abbiamo incontrata oggi. Da una settimana è a casa, in giornate che definisce “pesanti, difficili, inaspettate”.

L’azienda le contesta gravi e pubblici episodi di insubordinazione, autodeterminazione dei turni e meno di sette giorni al mese di lavoro negli ultimi otto mesi. Come risponde?
E’ scorretto valutare solo gli ultimi otto mesi a fronte di diciassette anni di servizio in azienda. Gli ultimi mesi per me sono stati difficili: ho subito un grave lutto famigliare a seguito della morte di mio padre dopo una malattia degenerativa, cosi ho usufruito -in questi ultimi mesi- di giorni di ferie e dei permessi legati alla 104, ho preso un periodo di aspettativa e ho avuto anche dei problemi di salute a seguito della situazione che ho avuto. Nella vita ci sono periodi più o meno fortunati, ma non ho fatto nulla di male e ribadisco: non ho mai chiesto alcun privilegio particolare, chiedo solo di lavorare e che vengano rispettati i miei diritti.
In questi mesi è riuscita ad incontrare l’ufficio personale di IKEA per raccontare il suo disagio di fronte ai nuovi turni?
No, ma erano a conoscenza delle problematiche del periodo che stavo attraversando. Quando mi hanno chiesto questo ennesimo cambio turno, ho immediatamente richiesto un colloquio con i responsabili del negozio e con l’ufficio del personale, in questo ero appogiata anche dal sindacato, ma non abbiamo mai ricevuto delle risposte e non abbiamo mai avuto un incontro.
L’ha colpita la solidarietà dei suoi colleghi? 
Mi ha fatto molto piacere. Siamo molto uniti. Sono la mia forza.
E’ stata solo colpa dell’algoritmo che determina i turni di lavoro dei dipendenti? 
In parte si, in parte c’è anche un meccanismo che tende a mettere da parte la dignità dell’uomo. Siamo considerati più dei numeri, che non delle persone.
Tornerebbe a lavorare in IKEA?
Io voglio lavorare. Ho sempre lavorato, in diciassette anni non mi sono mai sottratta a nulla: cambi di turno, cambi di reparto, e ritengo che questa sia una ingiustizia. Chiedo solo di lavorare.
Come ha raccontato ai suoi bambini questa storia? 
Con sincerità. Al figlio più grande ho spiegato tutta la situazione. Gli ho detto di stare tranquillo perché la mamma gli è vicino, e che intorno a noi ci sono tanti amici, parenti e colleghi. Gli ho anche promesso che sua mamma andrà avanti a fare sacrifici. Come ha sempre fatto.
Martedi 5 Dicembre ci sarà un nuovo presidio. Il sindacato chiederà ai clienti IKEA di firmare un appello per il reintegro di Marica.

Amazon, giù il velo della finta modernità

Per anni, anzi per decenni, ci hanno raccontato che eravamo entrati in un nuovo mondo: l’economia digitale, il lavoro agile, l’individualizzazione dei rapporti di lavoro, l’obsolescenza delle vecchie forme di conflitto e di rappresentanza collettiva.

Ci hanno detto che pretendere limiti ai contratti a termine e al potere di licenziamento erano cose del passato, retaggi di un vecchio mondo ormai tramontato. Ci hanno raccontato che la liberalizzazione del mercato del lavoro era il volano dello sviluppo, della crescita dell’occupazione, di un maggiore benessere per tutti.

Poi si scopre che migliaia di  lavoratori dello stabilimento di Piacenza di Amazon, la multinazionale dell’e.commerce emblema della postmodernità trionfante, hanno dichiarato sciopero proprio il giorno dei mega-sconti, del blackfriday importato dalle usanze nordamericane.

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Dasaparecidos e i ‘voli della morte’, ergastoli alla dittatura argentina

 fonte remocontro che ringraziamo

Argentina e desaparecidos, condannati all’ergastolo i piloti dei “voli della morte”. Storica sentenza contro 48 ufficiali della dittatura.
Processo alla famigerata Escuela mecanica della Marina trasformata in un centro di tortura. Tra i condannati per sequestri, torture e omicidi c’è Alfredo Astiz, soprannominato l’«angelo della Morte». Nel 1977 si infiltrò tra le Madres di plaza de Mayo, le donne in cerca dei figli desaparecidos. Tre fondatrici dell’associazione, tra cui Esther Ballestrino, amica di Papa Francesco, due monache francesi e altri 7 attivisti vennero rapiti e uccisi.

La storia ieri

Ventiquattro marzo 1976. Tutto finì all’una di notte, quando il generale José Rogelio Villareal disse a Isabel Martínez de Perón: «Signora, le Forze armante hanno preso il controllo politico del Paese. Lei è in arresto».

Il controllo del Paese fu assunto da una triade di comandanti: il tenente generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il generale di brigata Orlando Agosti.
Fu il maggior genocidio nella storia del Paese: 30 mila desaparecidos e 500 bambini rubati, secondo le madri di Plaza de Mayo, 7/8 mila morti ammazzati secondo lo stesso Videla, che già nel 1977 aveva dichiarato: «In ogni guerra ci sono persone che sopravvivono, altre che rimangono invalide, altre che muoiono e altre che spariscono. L’Argentina è in guerra e la sparizione di alcune persone è una conseguenza non desiderata di questa guerra».

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#NetNeutrality, in gioco c’è la libertà

fonte Qualcosadisinistra

Il problema della neutralità della rete è l’idea secondo cui esisterebbe il diritto ad avere una connessione internet. In realtà non esiste. Ci sono il diritto alla vita, alla libertà e alla felicità. Ti servono dei gigabit per giocare a un videogioco? Paghi il prezzo imposto dal mercato. E lo fai, perché il gioco è fichissimo.”

Con queste parole, l’esponente del Partito repubblicano statunitense Austin Petersen ha preso le parti del capo della Federal Communications Commition (FCC), Ajit Pai, nominato da Trump con un solo obiettivo: cancellare la net neutrality. Perché il tycoon intende abrogare l’ennesima legge targata Obama? E soprattutto che cos’è la net neutrality?

La net neutrality, in italiano neutralità della rete, è la politica che devono rispettare le aziende nell’offrire i propri pacchetti ai consumatori. Secondo questo principio, gli operatori devono garantire all’utenza un servizio equo e trasparente, basato su un trattamento rigorosamente identico per tutti i siti, senza favorire certi argomenti a discapito di altri. Negli Stati Uniti questa norma è stata introdotta nel 2015 da Barack Obama quasi alla fine del suo secondo mandato, malgrado la resistenza del Congresso, composto per la maggior parte da membri del Partito repubblicano.

Il dibattito negli USA riguardo la neutralità della rete è coinciso con la diffusione di internet alla fine degli anni Novanta e l’opinione pubblica, come spesso succede in America, si è divisa in due schieramenti profondamente polarizzati. Chi è a favore sostiene che sul web debba necessariamente esserci un’imparzialità di fondo, per scongiurare un pericolosissimo controllo dei contenuti che di fatto sfocerebbe in censura.

Nessuno meglio di Tim Berners-Lee, inventore del World Wide Web, potrebbe spiegare perché è doverosa la net neutrality: “Internet prospera di mancanza di regole. Ma alcuni valori fondamentali devono essere preservati. Per esempio, l’economia dipende dalla regola che non puoi fotocopiare il denaro. La democrazia dipende dalla libertà di parola. Libertà di connessione, in qualsiasi modo e in ogni luogo, è la base sociale fondamentale di internet e ciò su cui è fondata adesso la società.

Insomma, alla radice ci sarebbero questioni piuttosto serie come la libertà di espressione, ma questo non sembrerebbe interessare ai più scettici, che hanno individuato in Donald Trump, acerrimo nemico dei media tradizionali, la loro guida. La modifica che vorrebbero apportare i repubblicani prevede una rigida regolamentazione che avvantaggia i più ricchi e si configura come un blocco per qualunque nuova azienda: senza la net neutrality, il provider può permettersi di far pagare 5 dollari aggiuntivi per il pacchetto social (quindi un potenziale libero accesso a Facebook, Twitter, LinkedIN, Instagram e via dicendo) e altri 5 per un pacchetto media, per i bisogni di musica, film e serie TV. Qualora non si volesse sottoscrivere tali offerte, ci si potrebbe ritrovare a visitare tali siti con la connessione limitata ad una velocità preimpostata, effettivamente rallentandone l’utilizzo, oppure direttamente trovarsi con l’accesso totalmente bloccato. Questo significa che, a seconda del provider, si dovrebbe pagare per l’accesso a servizi che sono gratuiti nel resto del mondo.

Il prossimo 14 dicembre il nuovo progetto di riforma passerà al vaglio del Congresso e il rischio che lo sforzo fatto da Obama nei suoi 8 anni alla Casa Bianca venga vanificato è concreto.
Il partito di Trump infatti ha la maggioranza e potrebbe agilmente scavalcare l’opposizione dei democratici. In pochissimo tempo l’America potrebbe venire travolta da una inquietante deriva autoritaria che molti, un po’ per scherzo e un po’ per preoccupazione, prevedevano dopo l’elezione di Trump. Tuttavia, anche stavolta l’ultima parola toccherà alla Corte suprema, in cui ripongono fiducia tutti gli ISP (Internet Service Provider) e che ha già tentato inutilmente di smantellare il “Muslim Ban”.

In definitiva, la neutralità della rete è indispensabile perché oggi rappresenta uno dei pochi baluardi contro il dispotismo del terzo millennio. E non saranno le esigenze neoliberiste e lobbiste a permettere che scompaia. Non nella terra dei liberi e la patria dei coraggio

fonte Qualcosadisinistra.it