Amazon, giù il velo della finta modernità

Per anni, anzi per decenni, ci hanno raccontato che eravamo entrati in un nuovo mondo: l’economia digitale, il lavoro agile, l’individualizzazione dei rapporti di lavoro, l’obsolescenza delle vecchie forme di conflitto e di rappresentanza collettiva.

Ci hanno detto che pretendere limiti ai contratti a termine e al potere di licenziamento erano cose del passato, retaggi di un vecchio mondo ormai tramontato. Ci hanno raccontato che la liberalizzazione del mercato del lavoro era il volano dello sviluppo, della crescita dell’occupazione, di un maggiore benessere per tutti.

Poi si scopre che migliaia di  lavoratori dello stabilimento di Piacenza di Amazon, la multinazionale dell’e.commerce emblema della postmodernità trionfante, hanno dichiarato sciopero proprio il giorno dei mega-sconti, del blackfriday importato dalle usanze nordamericane.

Per cosa hanno scioperato questi lavoratori? Per aumenti salariali e per migliori condizioni di lavoro, a partire dalla riduzione del ricorso indiscriminato a turni e lavoro straordinario. Cose, come si vede, vecchie, anzi antichissime. Molti di questi lavoratori tuttavia non hanno partecipato allo sciopero: erano soprattutto assunti con contratti a termine e extracomunitari. Perché mai? Risposta semplice: perché essere lavoratori a termine significa essere sottoposti al ricatto del mancato rinnovo del contratto e essere extracomunitari moltiplica quel ricatto per due, aggiungendo alla perdita della occupazione quella del permesso di soggiorno.

Si legge che anche molti lavoratori neoassunti con contratto a tempo indeterminato tuttavia non hanno aderito allo sciopero. Ci si chiede: perché mai questi lavoratori hanno rinunciato alla lotta, pur essendo garantiti da una assunzione stabile? Risposta semplice: perché sono stati assunti dopo il 7 marzo 2015, data a partire dalla quale il Job’s Act ha introdotto la libertà di licenziamento, salvo il pagamento di una irrisoria penale.

Questa è dunque la pseudo modernità che ci ha ammannito l’ideologia dominante da vari anni a questa parte. Una unica risposta pare allora razionalmente praticabile, se si vogliono assicurare le condizioni elementari per restituire al lavoro un carattere di dignità: introdurre limiti oggettivi alle assunzioni a termine e una efficace regolazione del potere di licenziamento. Guarda caso sono i punti cruciali  su cui il Job’s Act ha fatto l’esatto contrario: squarciato il velo della pseudo modernità non resta quindi che agire di conseguenza.