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Ecco alcuni elementi giuridici che aiutano a capire come sia potuto accadere che l’ex sindaco di Riace sia stato condannato in primo grado a 13 anni e due mesi
Mimmo Lucano è stato condannato a 13 anni e due mesi di reclusione, oltre a confische per importi elevatissimi. Una condanna che, giustamente, la maggior parte dei commentatori ha definito abnorme. In particolare questa abnormità risalta, perché tutte le violazioni che gli sono state contestate sono di modesta entità.
Passata l’onda delle prime reazioni, prevalentemente di segno politico, occorre provare ad aggiungere qualche elemento giuridico che aiuti a capire come è potuto accadere.
Occorre fare un passo indietro. Il diritto penale si forgia sul fatto fisico, istantaneo, spesso violento: la coltellata, lo scippo. Qui l’azione punita è un fatto umano, dai contorni concreti.
Nel corso degli anni, si sono aggiunti reati di secondo livello. La norma penale non punisce più un fatto fisico ben individuato, ossia la coltellata di cui si diceva, ma può riguardare anche la violazione di una norma di primo livello. Il reato consiste quindi, ad esempio, nella violazione di una norma amministrativa. Qui la spiegazione si fa necessariamente più complicata.