Turchia: referendum, chiusi i seggi, irregolarità e primi risultati

FONTE PRESSENZA.COM   che ringraziamo

16.04.2017 Murat Cinar

Turchia: referendum, chiusi i seggi, irregolarità e primi risultati
(Foto di Bianet)

Oggi in Turchia si vota per un cambiamento costituzionale molto radicale. I cittadini sono chiamati alle urne per approvare, solo con un sì o con un no,  un pacchetto composta da 18 punti. La maggior parte dei punti si concentra sull’aumento del potere del Presidente della Repubblica dal punto di vista legislativo, giuridico ed amministrativo.

La prima parte della votazione si è conclusa l’8 aprile tra i cittadini  residenti all’estero. Secondo i primi dati non ufficiali sono circa tre milioni di persone. Invece a livello nazionale si è votato solo in un giorno, ossia oggi, il 16 aprile. Alle ore 17:00 locali i seggi si sono chiusi ed è partito lo scrutinio. Secondo i dati sempre non ufficiali diffusi dalla Rete dei Giornalisti Indipendenti (BiaNet) l’affluenza è stata abbastanza alta: 84%, quindi sono circa 58 milioni e 400 mila voti.

E’ stata una giornata di voto piena di incidenti, irregolarità e brogli,  iniziata con la notizia dell’uccisione di tre persone nella città di Diyarbakir-Amed. Secondo la prima versione dei fatti sembra che si tratti di uno scontro a fuoco tra partigiani del sì e del no al referendum.

Verso la chiusura dei seggi l’Associazione per la Difesa dei Diritti Umani (IHD) ha comunicato una serie di violazioni registrate e documentate. Secondo questo rapporto dell’IHD, nonostante il divieto elettorale, in quasi tutto il paese erano presenti ancora i materiali di propaganda. L’Associazione specifica che, nonostante la regola dei 15 metri di distanza dai seggi, soprattutto nel sud est del paese la polizia e la gendarmeria erano fortemente presenti. L’IHD elenca diverse città in cui alcune persone hanno votato più di una volta, diverse schede si sono trovate già col timbro sul “Sì” pronte per essere imbucate; in diversi casi non  è stato permesso ai suoi membri di svolgere l’attività ufficiale di osservatorio indipendente.

Secondo diverse fonti si sono registrate alcune irregolarità. Il giornalista del quotidiano nazionale conservatore Yeni Safak, Ali Bayramoglu, famoso per la sua posizione a favore del “No” è stato malmenato dagli osservatori del partito al governo (AKP). Questo fatto è stato documentato con una video-ripresa. Uno dei parlamentari dell’AKP, Samil Tayyar, dopo aver votato ha fotografato la sua scheda e l’ha postata sul suo account Twitter. Secondo l’Agenzia di notizia russa Sputnik in un seggio è stato ripreso il caso di un volontario che ha messo il timbro su numerose schede al posto del “Sì”. Nel mentre Ersal Koç, il vice presidente della distretto di Afsin nella città di Maras, appartenente al Partito del Movimento Nazionalista(MHP), si è fatto fotografare mentre metteva il timbro sull’opzione “Sì” fuori dalla cabina elettorale e poi ha diffuso la foto in rete. Attraverso gli account Twitter e Facebook diversi volontari hanno fotografato e diffuso le lettere di denuncia ufficiali delle irregolarità. Quindi già con le prime notizie e prove sembra che si tratti di un voto pieno di irregolarità e violazioni.

Tuttavia la decisione più scandalosa è stata comunicata dall’Ente Superiore per le Elezioni (YSK). Durante la giornata ci sono stati numerosi casi di denuncia in cui sono state identificate varie schede prive di timbro ufficiale dell’Ente; quindi si tratterebbe di un lavoro di copisteria improvvisato all’ultimo momento. A proposito di queste denunce lo YSK ha deciso di contare comunque il parere del cittadino espresso sulle schede anche non ufficiali.

In questo momento secondo l’agenzia di stampa di Stato, Anadolu Ajansi, gli scrutini si sono conclusi quasi del tutto ed il risultato è del 51% a favore del Sì. Tuttavia nasce un grande dubbio su come si è riusciti a contare quasi tutti i 58 milioni di voti in meno di tre ore. Dunque sia il Partito Democratico dei Popoli (HDP) sia il Partito Repubblicano del Popolo (CHP) invitano gli osservatori a non abbandonare i seggi perché secondo loro si tratta di un risultato falso.

Nel mentre il sito web ufficiale dell’Ente Superiore per le Elezioni (YSK) è down. Secondo Erdal Aksunger, vice segretario generale del CHP, lo YSK ha registrato per ora circa il 15% dei voti. quindi i dati comunicati dall’Anadolu Ajansi non sarebbero veritieri. Alle ore 19:00 italiane nelle città di Istanbul ed Ankara, a differenza dei primi dati, sembra che il “No” stia crescendo notevolmente.

Secondo i primi dati alcuni numeri interessanti vengono dalle città fortezza dell’AKP come Bayburt, Aksaray, Rize, Konya, Cankiri dove ha vinto fortemente il “Sì”. Invece nelle città dove sono forti l’HDP e il CHP – Dersim, Kirklareli, Edirne, Sirnak, Hakkari – vince notevolmente il “No”.

LA “LEGGE-MINNITI”: DIRITTI NEGATI PER I MIGRANTI

fonte AVVENIRE.IT  che ringraziamo

 

13/04/2017  La Camera ieri ha approvato il decreto: “Ingiustizia è fatta”. Da ieri non tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Ecco perché

Ieri la Camera dei Deputati ha sancito che non siamo tutti uguali davanti alla legge. Gli italiani sono una cosa, gli stranieri migranti un’altra. Loro, gli immigrati, evidentemente figli di un dio minore, non hanno diritto a ricorrere in appello, qualora non venga accolta la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiati o di protezione umanitaria. Il ministro Minniti ha chiarito che l’articolo 3 della Costituzione vale solo per gli italiani. Ma non solo, secondo l’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), anche l’articolo 111 (il diritto a un giusto processo) e l’articolo 24 (il diritto di difesa). Idem per l’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti umani (che prevede il diritto al contraddittorio): infatti, il richiedente asilo perde il diritto a essere sentito in Tribunale. Spetta al giudice valutare se sarà necessario o meno ascoltarne le ragioni. Se questi diritti venissero negati a qualunque cittadino italiano si parlerebbe di “giustizia ingiusta” e di “giustizia negata”. E invece 240 parlamentari, che hanno votato il decreto, non hanno avuto nulla da ridire (176 i contrari, 12 gli astenuti).

Ha prontamente reagito l’organizzazione non governativa Intersos: «Con l’approvazione del decreto Minniti e le nuove norme sull’esame delle richieste d’asilo, che eliminano la possibilità di ricorrere in appello in caso di diniego, si comprimono pesantemente i diritti dei rifugiati presenti nel nostro Paese. Fino ad oggi oltre la metà dei giudizi di diniego espressi da parte delle prefetture, venivano ribaltati in appello. Da oggi questa possibilità viene cancellata».

 

«Si tratta di un grave passo indietro», prosegue Intersos, «purtroppo in scia con una serie di decisioni, dall’accordo con la Libia al decreto sulla sicurezza nelle città, che vanno nella direzione della restrizione dei diritti e dell’esasperazione del tema della sicurezza, a scapito delle politiche dell’accoglienza e dell’integrazione».

Qui e in copertina: il ministro dell'Interno Marco Minniti.

Qui e in copertina: il ministro dell’Interno Marco Minniti.

Il provvedimento viene messo sotto la luce dello “snellimento delle procedure” per renderle più rapide. Ma “snellire” conculcando un diritto(quello a opporre appello contro una decisione che, appunto, otteneva ragione in oltre la metà dei casi) non è un passo avanti, è una riduzione dei diritti, quindi di democrazia.

 

Non c’è solo questo. Il decreto che oggi diventa legge contiene anche una camaleontica trasformazione (ma solo nel nome) dei famigerati Cie: d’ora in poi non saranno più “Centri di identificazione e di espulsione”, ma Cpr, ossia “Centri di permanenza per il rimpatrio”. Gli immigrati, d’ora in poi, non avranno nulla di cui preoccuparsi, perché tali nuove prigioni – assicura il decreto – dovranno essere «di capienza limitata (100-150 posti al massimo)» e dovranno garantire «condizioni di trattenimento che assicurino l’assoluto rispetto della dignità della persona». Difficile immaginare come, vista l’esperienza di questi anni.

Giusto per completare il (fosco) quadro di questa norma, si parla anche dell’identificazione dei migranti: lo straniero che giunge «in modo irregolare» in Italia viene condotto «per le esigenze di soccorso e di prima assistenza» presso appositi «punti di crisi». Ma qui cosa accade? Insieme al soccorso e all’assistenza viene fatto il «rilevamento foto dattiloscopico e segnaletico», ossia la schedatura. Se il migrante si rifiuta di sottoporvisi, secondo la nuova legge si «configura il rischio di fuga» e quindi viene internato nei Centri di permanenza per il rimpatrio. Un altro articolo che fa a pugni col diritto e col principio per cui “la legge è uguale per tutti”.

Questi gli aspetti più rilevanti del “decreto-Minniti”. A quando, invece, una seria politica dell’immigrazione?

Geopolitica : le intenzioni della Serbia di acquistare S-300

Il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov ha commentato i piani della Serbia di comprare dalla Russia i sistemi missilistici S-300; ha dichiarato che il tema della cooperazione tecnico-militare (VCO) appare nell’agenda delle comunicazioni di alto livello.

“Il tema della cooperazione tecnico-militare è legato ad una serie di questioni molto sensibili. Certamente esso si trova all’ordine del giorno nelle comunicazioni di alto livello” ha risposto Peskov alla domanda se la questione delle consegne degli S-300 sia stata discussa con il presidente serbo.

La scorsa domenica il Premier serbo Aleksandr Vucic ha dichiarato che Belgrado ha bisogno di due divisioni di sistemi missilistici antiaerei S-300 e un reggimento di comando, e il loro acquisto è in corso di valutazione con la Russia e la Bielorussia. Il presidente serbo ha personalmente parlato con il presidente russo Vladimir Putin e il presidente bielorusso Alexander Lukashenko.
FONTE SPUTNIK

Commento di Editor
Inquietante questa volontà del governo serbo di acquistare missili S-300 russi. Chi sono nell’immaginario del governo serbo i nemici da cui difendersi con questo sistema d’arma ?
Sulle concrete motivazioni per un acquisto importante di un sistema d’arma così potente da un paese economicamente modesto sarebbe opportuno avere maggiori conoscenze. Cosa dice in merito  la rappresentante dell’Europa Mogherini ? La crescita delle tensioni proprio nell’area balcanica, zona faglia tra occidente e medio oriente è motivo di seria preoccupazione. 

Alcune caratteristiche di questo sistema d’arma.

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LA SCRITTRICE ASLI ERDOGAN: ‘LA TURCHIA? UN REGIME KAFKIANO’

fonte ANSA.IT

LA SCRITTRICE ASLI ERDOGAN: ‘LA TURCHIA? UN REGIME KAFKIANO’

136 giorni passati nelle prigioni della Turchia per “terrorismo”. Colpi sparati? Zero: del resto, si dichiara anti-militarista e professa l’obiezione di coscienza, vietatissima da queste parti. Azioni clandestine? Nessuna, secondo i suoi stessi accusatori. Parole? Di quelle, a fiumi: come si conviene a una scrittrice. Asli Erdogan, cinquant’anni appena compiuti, autrice pluripremiata e tradotta in 17 lingue (in Italia con Il mandarino meraviglioso, ed. Keller), è diventata il simbolo delle centinaia di intellettuali colpiti dalla repressione nella Turchia post-golpe. “Un paradosso per una scrittrice esistenzialista”, come si definisce in un’intervista all’ANSA. Parla senza quasi mai smettere di gesticolare, agitando spesso la sigaretta spenta, tra pile di libri ammucchiati all’ultimo piano di un’importane casa editrice nel centro di Istanbul: “Non mi considero una figura politica. Ma adesso non mi tiro indietro. Non posso tacere, perché la mia esposizione serve a parlare di tutti gli oppressi”.

Al presidente Erdogan, la lega solo un’omonimia. Non potrebbero essere più diversi. “So di rappresentare tutto quello da cui è ossessionato: provengo dalle cosiddette élites laiche, sono una donna indipendente, e soprattutto una turca che si batte per i diritti di tutti, anche dei curdi, pur non essendo curda. Per questo mi considerano ancora più pericolosa”.

Per i magistrati che l’accusano, e per lei chiedono l’ergastolo, il corpo del reato di Asli Erdogan è il suo nome stampato sulla gerenza e sugli articoli di Ozgur Gundem, quotidiano filo-curdo chiuso dopo il golpe, di cui è stata per anni tra i consulenti. Su questa base, le rimproverano legami con i “terroristi” del Pkk. “Il giornale era sotto pressione, così è stata avviata una campagna di solidarietà per la libertà di stampa. Molti intellettuali hanno fatto simbolicamente il direttore per un giorno. Anche loro ne hanno pagato le conseguenze. In quel caso è stato un abuso della legge, ma nel mio una punizione totalmente illegittima: tutti gli avvocati mi hanno assicurato che un semplice consulente non può essere considerato legalmente responsabile”.

Un mese dopo il putsch andato a vuoto il 15 luglio, Asli Erdogan è finita in manette: “Hanno fatto irruzione in casa mia e mi hanno arrestata con la più grave delle accuse: quella di far parte di un’organizzazione terroristica”. Da lì, è iniziato il suo incubo. “Mi hanno lasciata in una cella di isolamento per 5 giorni. La prigione di Bakirkoy, dove ero detenuta, ospita per lo più prigioniere comuni. Ma io potevo solo decidere se stare nella sezione delle detenute del Pkk o con quella di estrema sinistra”. Ha scelto le prime.

Giorno dopo giorno, è stata costretta a fare i conti con la nuova vita in carcere. La sua casa è diventata la cella numero 16, condivisa con una giovane militante curda. Quella stessa stanza di pochi metri quadrati, prima di lei l’aveva occupata Esra Mungan, nota docente di psicologia cognitiva alla prestigiosa università del Bosforo di Istanbul, arrestata perché promotrice dell’appello degli ‘Accademici per la Pace’, che chiedevano la fine delle operazioni militari contro il Pkk. Il presidente Erdogan li aveva definiti “traditori della patria”, invocando per loro una dura punizione. E la professoressa, puntualmente, è finita in prigione. In quella cella è rimasta per oltre un mese, prima di poter riabbracciare – letteralmente – i suoi studenti, che l’aspettavano emozionati fuori dal carcere. Da lei, Asli ha ereditato uno di quei rituali che sembrano dare un senso alle lunghe giornate in prigione: “Oltre le sbarre della finestra, c’era un piccione a cui dava da mangiare ogni giorno. Era così abituato alla sua presenza che continuava a tornare anche quando non c’era più. Allora me ne sono presa cura io”.

Come si vive oggi in un carcere turco, “neppure tra i più duri”, Asli Erdogan lo racconta nel dettaglio: “Prima dello stato d’emergenza si potevano avere 3 visitatori esterni, ora è permesso solo ai familiari più stretti, e io ho solo mia madre. Ti permettono di fare una telefonata di 10 minuti a una sola persona ogni 2 settimane. Puoi avere al massimo 15 libri. Io ho dovuto abbandonarne molti che la gente mi mandava. La carta per scrivere? Quella potevamo comprarla al negozio della prigione, ma io spendevo quasi tutto in sigarette”, ammette sorridendo.

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