La parte più disagiata del ceto medio

di
Giuseppe Dunghi (fonte:  area7.ch che ringraziamo)
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Ong, organizzazione non governativa, cioè indipendente dallo Stato. Come finanziano le loro attività le ong? Generalmente con le donazioni dei privati, i quali possono poi detrarre tali somme dalle imposte perché bisogna pagarne il meno possibile. Anzi, visto che – come ha affermato in questi giorni la Corte dei Conti italiana – un prelievo fiscale troppo alto «non aiuta il contrasto all’economia sommersa e la lotta all’evasione», per combattere l’evasione bisognerebbe ridurre le imposte. O almeno ne andrebbe eliminata la progressività, quell’aumento dell’aliquota in misura più che proporzionale all’aumento del reddito. Insomma le imposte dovrebbero diventare regressive, più sei ricco, meno paghi.

Le prigioni del terzo millennio hanno sbarre fatte di parole. Sono gli aggettivi, i sostantivi, i verbi e le frasi che tengono in ostaggio la società, fanno vivere nella paura e sequestrano il futuro. Mai come oggi mentre si parla di sostenibilità e biodiversità le foreste vengono distrutte a un ritmo forsennato per far posto a monoculture di soia, mais e palma da olio. Mai come quando si leggono servizi sul marchio bio e il chilometro zero i pomodori sono prodotti nello Xinjiang cinese, inscatolati in Italia e venduti in Africa a un prezzo così basso che ai contadini locali non conviene più coltivarli. Mai come quando si nega l’esistenza delle classi sociali (non si scrive più «salariati» o «classe operaia», ma «la parte più disagiata del ceto medio»), esiste la classe dei ricchi, che conduce la sua lotta di classe e la sta vincendo.

Quando il 12 febbraio scorso il popolo svizzero ha respinto gli ennesimi sgravi fiscali concessi alle imprese (e non «l’eliminazione dell’imposizione ridotta» delle multinazionali straniere, come affermato in modo truffaldino dal Consiglio federale), è stato detto che il quesito referendario era troppo complicato e in sostanza non sono state capite le ragioni dell’economia. Invece si sta finalmente comprendendo che l’economia non è quella cosa che intendono il ministro delle finanze Ueli Maurer e quello dell’economia Johann Schneider-Ammann, l’arte di arricchirsi o di fare investimenti redditizi o di rendere concorrenziale la propria nazione, insomma «il mondo delle imprese», ma è l’arte di far star bene il maggior numero possibile di persone al mondo. la lingua non è corvéable à merci da parte di coloro che dopo aver tolto dignità al lavoro stanno ora procedendo a toglierla anche alle parole.

L’oikonómos di Senofonte è il padre di famiglia che amministra saggiamente la casa, provvedendo a che ci sia sempre una scorta di farina e di olio, filo da tessere per le donne, paglia sufficiente per l’asino e una piccola bottega sul lato della casa che dà sulla strada per vendere i prodotti del lavoro domestico. Fra i moderni, chi più si è avvicinato al significato etimologico della parola è stato l’industriale Henry Ford che nel 1914 portò la paga giornaliera dei propri dipendenti da 2,50 a 5 dollari, e a un giornalista che gli domandava perché, rispose: per permettere ai miei operai di comprare le automobili che costruiscono. Scrivendo del lavoro oggi ridotto a merce e della lotta necessaria per riportarlo alla dignità fondativa del vivere civile, Paolo Favilli ha citato Piero Gobetti: «Al di fuori della lotta politica manca il criterio del rinnovamento etico». Non si esce dalla miseria se non attraverso il conflitto. Per scappare dalla prigione non bisogna aspettare che arrivi una ong dei diritti umani, bisogna incominciare a segare le sbarre.
Pubblicato il
12.04.17

L’appalto degli snack ha ucciso l’Alitalia

L’appalto degli snack ha ucciso l’Alitalia

di Giorgio Meletti, da Il Fatto quotidiano, 25 aprile 2017

fonte MICROMEGA

A tutti questi salvatori dell’Alitalia in servizio permanente effettivo (ministri, sindacalisti, manager, capitani coraggiosi, consulenti a gettone e figli di papà con lo stipendione) dei posti di lavoro non gliene frega niente. Salvare l’Alitalia è il business preferito di una classe dirigente (non solo politica) irresponsabile e corrotta dai suoi pensieri ignobili, non dalle tangenti. Nessuno dei medici pietosi che si sono avvicendati al capezzale della “compagnia di bandiera” (titolo abusivo e abusato per dare parvenze vitali a un cadavere) ha il coraggio di dire chi è stato. Chi ha spinto l’Alitalia sempre più in basso, succhiando miliardi di euro pubblici e proclamando che il problema era in via di soluzione? Nessuno lo dice perché l’hanno fatto tutti insieme, per anni, dandosi il turno tra chi faceva e chi fingeva di non vedere.

Sappiano allora i dipendenti Alitalia che stanno per perdere il lavoro che la loro sorte è segnata da 30 anni. Da quando lo scenario del trasporto aereo cambiò radicalmente: dai mercati protetti si passò alla competizione aperta. E nessuno in Italia si pose il problema.

Ci provò Romano Prodi, per la verità. Nel 1988, da presidente dell’Iri, silurò il potentissimo numero uno Umberto Nordio, accusandolo di non aver fatto niente per posizionare l’Alitalia nel nuovo scenario competitivo internazionale. Il plenipotenziario andreottiano Paolo Cirino fulminò Prodi con l’indimenticabile “è finita la stagione dei professori”. Prodi ci riprovò 20 anni dopo, da presidente del Consiglio. Stava per vendere l’Alitalia all’Air France. Ma c’erano le elezioni alle porte, Silvio Berlusconi annunciò le barricate contro lo straniero, e lo straniero disse a Prodi “arrivederci e grazie”.

Turchia: 14 sindacalisti condannati alla prigione

In collaborazione con la Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto, , federazione globale di 690 sindacati che rappresentano circa 4.5 milioni di lavoratori del settore del trasporto in 153 Paesi.

 

Quattordici dirigenti sindacali e membri del sindacato turco TÜMTİS di Ankara stanno affrontando la prigione per accuse di natura politica che risalgono al 2007. Chiediamo il loro rilascio incondizionato. I 14 uomini sono tra i 17 uomini travolti da una serie di retate nel 2007, in seguito ad una denuncia presentata da una azienda logistica dove il TÜMTİS aveva da poco portato a termine un’azione di organizzazione sindacale di successo. E’ incredibile come, nonostante le proteste internazionali e le evidenti incongruenze e irregolarità per il loro trattamento e i processi contro di loro, siano stati condannati nel 2012 a pene detentive per l’incredibile reato di “fondare un’organizzazione allo scopo di commettere reati, violando il diritto al lavoro pacifico attraverso la coercizione al fine di ottenere un guadagno pecuniario ingiusto e ostacolando il godimento dei diritti sindacali”. Le condanne e il processo hanno violato il diritto internazionale. Il TÜMTİS e la Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto hanno fatto ricorso contro la sentenza, ma nonostante tutte le prove di sviamento di procedura, la corte d’appello ha confermato le sentenze.

 


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Bambini

di Alexik

missili-siriaNessun bambino dovrebbe soffrire come hanno sofferto quelli siriani !

Con queste parole Donald Trump ha esternato, il 5 aprile scorso, la sua incontenibile indignazione davanti alle immagini dei bambini di Idlib. Esternazione seguita dal rituale lancio di missili contro il mostruoso assassino, e dalla corale piaggeria degli alleati europei, estasiati dal tuonar delle cannoniere.
Dalla Merkel alla May, da Hollande all’ex pacifista Gentiloni, tutti si sono affannati a dimostrare a Trump il proprio incondizionato consenso, pronti a spergiurare che dietro tanto amore per l’infanzia non si celi alcun secondo fine e che, questa volta, la faccenda del sarin di Assad non sia un’altra montatura.

Del resto non si può certo affermare che gli USA e i loro alleati non facciano di tutto per evitare ai bambini inutili sofferenze.
Al contrario delle armi chimiche, infatti, le bombe convenzionali lanciate sul Siraq dalla Coalizione a guida americana (CJTF-OIR) sortiscono spesso l’effetto di ucciderli sul colpo, risparmiandogli l’orribile agonia.

Come nella cittadina irachena di Tal Afar (l’areoporto di Mosul), bombardata dalla Coalizione giusto il 4 aprile, il giorno prima che l’inquilino della Casa Bianca si accorasse per le stragi degli innocenti.
A Tal Afar fonti locali hanno denunciato la morte sotto le bombe di 20 civili, bambini compresi, mentre i portavoce della Coalizione recitavano la classica versione di circostanza: “Near Tal Afar, one strike engaged an ISIS tactical unit and destroyed an ISIS-held building”.1

Al Tafar1

4 aprile 2017: Tal Afar, dopo il bombardamento.(Fonte: Iraqi Spring Media Center)

Chi avesse sperato, a Mosul, che tanto interesse presidenziale per la salvaguardia degli infanti fosse il segnale di una svolta umanitaria nella politica statunitense, è certo andato incontro ad una cocente delusione: proprio il 5 aprile – più o meno in contemporanea alle dichiarazioni di Trump – nel quartiere Rifai, la famiglia del barbiere Nizar Mahdi veniva annientata da un bombardamento della Coalizione, con un bilancio di due genitori uccisi assieme ai due figli piccoli.

Stesso giorno e stessa sorte per 16 civili, tutti membri della stessa famiglia, ad Al Shafa, un altro quartiere di Mosul ovest, e per 40 civili del villaggio di Mayouf, a nordovest della città, che si erano riuniti nelle loro case in attesa di poter fuggire. Il 6 aprile è stato il turno di una madre e due bambini, uccisi in casa propria nel quartiere di Zanjili.2

Tutti avevano obbedito ai volantini, lanciati a migliaia dagli aerei, che invitavano gli abitanti di Mosul ovest e dintorni a rimanere chiusi in casa, allontanandosi unicamente dai centri di comando del Daesh. ‘Solo quelli‘ – si annunciava – ‘sarebbero stati bombardati3Per questo intere famiglie sono morte tutte insieme nella distruzione delle loro case.

14 aprile 2017. Mosul, bombardamento del quartiere di Mahatta. (Foto: Jérémy André)

14 aprile 2017. Mosul, bombardamento del quartiere di Mahatta. (Foto: Jérémy André)

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Diritti Umani: dall’Italia un ponte verso l’Argentina

Diritti Umani: dall’Italia un ponte verso l’Argentina

fonte PRESSENZA.OM

20.04.2017 Federico Palumbo

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Diritti Umani: dall’Italia un ponte verso l’Argentina
(Foto di Manuela Pita)

Parte il corso di formazione per Osservatori dei Diritti Umani

A seguito dell’aggravarsi della situazione dei Diritti Umani in Argentina, con l’arresto di militanti dell’organizzazione Tupac Amaru a Mendoza e le ulteriori accuse rivolte alla loro leader indigena Milagro Sala, partirà a Roma un corso di formazione per osservatori di Diritti Umani con il fine di formare un gruppo di lavoro e dar vita ad alcune missioni in Argentina coordinando il lavoro con le organizzazioni locali impegnate sul fronte dei Diritti Umani.

L’iniziativa è sorta durante le riprese del documentario sulla Tupac Amaru “Welcome to the Cantri” girate lo scorso febbraio in Argentina per opera di un gruppo di attivisti del Nuovo Umanesimo.

I realizzatori, insieme al Comitato italiano per la Liberazione di Milagro Sala, promuovono così un corso aperto a tutti gli interessati che si svolgerà ogni lunedì dalle 18 alle 20 in Via degli Equi 45 (San Lorenzo, Roma), presso la sede di Energia per i Diritti Umani.

Durante il corso sono previsti interventi di esperti e giornalisti per i Diritti Umani e la collaborazione dell’agenzia stampa internazionale Pressenza. Verrà presentato il contesto argentino e la sua critica situazione in merito al rispetto dei diritti. Ci saranno anche delle lezioni e degli approfondimenti sulla lingua spagnola e anche della formazione ai partecipanti per muoversi in situazione di conflitto sociale.

L’invio di osservatori dei Diritti Umani in Argentina è quanto mai urgente considerando che organizzazioni come Amnesty International, Human Right Watch e anche il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria dell’ONU sono intervenute ripetutamente sulla questione.

Per partecipare: fedepalu2@gmail.com – Tel. 3891494050 – Facebook: welcometothecantri

“I Diritti Umani non appartengono al passato, stanno nel futuro attraendo l’intenzionalità, alimentando una lotta che si ravviva ad ogni nuova violazione del destino dell’essere umano. Pertanto, qualunque rivendicazione di tali diritti è sempre valida giacché mostra che gli attuali poteri non sono onnipotenti e che non controllano il futuro…”  (Silo)

La crisi economica non molla la presa, ma per il settore militare è sempre sviluppo a due cifre

FONTE CONTROLACRISI.IRG

I dati forniti dall’odierno rapporto del SIPRI sulle spese militari mondiali nel 2016 confermano l’incremento globale del settore, giunto a 1.686 miliardi di dollari. Dopo diversi anni gli Stati Uniti hanno aumentato le loro spese (611 miliardi di dollari) dell’1,7% rispetto all’anno precedente, seguiti dalla Cina (215 miliardi) con un incremento del 5,4%. Terza è la Russia (69,2 miliardi) con un aumento del 5,9%. Si registra una crescita in alcuni paesi dell’area mediorientale (Iran e Kuwait), mentre in altri una diminuzione (Arabia Saudita e Iraq).

“Diversi paesi produttori di petrolio – non solo mediorientali -, a causa dei suoi prezzi bassi, hanno dovuto contrarre le spese – si legge in una nota firmata da Maurizio Simoncelli Vicepresidente IRIAD. Già si era rilevato a partire dal 2010 sino al 2015 un aumento delle spese militari russe e cinesi, che avevano procurato allarme in Occidente (USA e UE), anche se mediamente le prime rappresentano solo un decimo di quelle occidentali e le seconde solo un quarto. Anche in Europa occidentale, per il secondo anno consecutivo, si riscontra un incremento delle spese per la difesa del 2,6%”.

La nuova amministrazione Trump ha recentemente promesso un significativo incremento di quelle statunitensi con ulteriori 54 miliardi di $ che si andranno ad aggiungere ai 611 dello scorso anno, rappresentando più di un terzo del totale mondiale. “Mentre permane una diffusa crisi economica e si accentua il divario tra paesi ricchi e paesi poveri – continua Simoncelli – sembra che il settore della spesa militare non conosca particolari difficoltà, come è dimostrato anche dall’incremento che si sta registrando nel commercio mondiale di armamenti, corollario della maggiore disponibilità finanziaria nel settore: si è passati infatti dai 19 del 2000 ai 26 miliardi di dollari del 2010 sino ai 31 del 2016. E va ricordato che questo dato non comprende il settore delle armi piccole e leggere (pistole, fucili, mitra, bazooka, lanciarazzi ecc.), più difficile da quantificare, ma stimato intorno al 10-20% del totale mondiale. E il 29% dell’export globale è stato diretto nel quinquennio 2012-2016 proprio verso il Medio Oriente”.