LE RAGIONI DI LANDINI

 

di Paolo Ciofi – 25 febbraio 2015

Ricapitoliamo i fatti. Il segretario della Fiom Maurizio Landini, in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, dichiara che siamo alla «fine di un’epoca» e che pertanto «è venuto il momento di sfidare democraticamente Renzi». Per questo, precisa, «il sindacato si deve porre il problema di una colazione sociale più larga e aprirsi a una rappresentanza anche politica». Il quotidiano diretto da Marco Travaglio traduce e strilla un titolo a tutta pagina «Landini: ora faccio politica». Si scatena una indecente bagarre mediatica. E sebbene lo stesso Travaglio riconosca che quelle parole messe tra virgolette Landini non le ha mai pronunciate, il capo del governo le brandisce come un’arma impropria per mettere fuori gioco il segretario del principale sindacato operaio di questo paese, con l’obiettivo di delegittimarlo anche moralmente. Come se fare politica sia diventato un peccato mortale: per gli altri naturalmente, non per chi il potere politico lo detiene.

Il repertorio di frasi ad effetto del governante di Rignano, che come al solito si spoglia di ogni responsabilità pubblica, è abbondante. Ma la qualità è nettamente al di sotto del livello medio di alfabetizzazione politica: «Landini sceglie la politica perché ha perso con Marchionne»; «non è Landini che abbandona il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini»; «sul Jobs Act ognuno può avere l’opinione che vuole (bontà sua), ma è difficile pensare che tutte le manifestazioni non fossero propedeutiche all’entrata in politica». E così via. Senza alcun riferimento ai contenuti della materia del contendere. Perché, essendo stati imposti da colui che comanda, i contenuti sono per definizione giusti e «di sinistra». Dunque, indiscutibili.

In questa logica è addirittura inconcepibile che un sindacalista possa organizzare la protesta popolare e di massa contro l’eliminazione di diritti fondamentali come quelli sanciti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Se lo fa non è per difendere un principio costituzionale, e perché crede nella giustizia sociale, nella solidarietà e nella democrazia, ma perché motivi loschi lo spingono a «entrare in politica». E se i sindacati protestano contro una patente violazione dei diritti del lavoro che moltiplica la precarietà, vanno ricondotti all’ordine. Meglio ancora se diventano una protesi dell’impresa, cioè del capitale, eliminando qualsivoglia rappresentanza generale e cancellando la contrattazione collettiva.

Insomma, un inguacchio retrogrado che guarda al passato. E che però è la dimostrazione inconfutabile della validità delle ragioni di Landini, quando denuncia che oggi il lavoro non ha rappresentanza politica, e che il sindacato deve coinvolgere tutti coloro che «per vivere devono lavorare». Dal sistema dei media l’attenzione viene invece strumentalmente concentrata sul dilemma se il segretario della Fiom scenderà o no in politica, nel tentativo finora riuscito di oscurare la sostanza del problema. In verità sono ormai molti anni che la classe operaia tradizionalmente intesa, i nuovi lavoratori generati dalla rivoluzione digitale, i precari e le partite iva, donne e uomini, giovani e anziani, non dispongono di un’autonoma e libera rappresentanza politica, che ne tuteli i diritti e la dignità, la condizione materiale e morale di fronte allo strabordante potere del capitale.

In questa area largamente maggioritaria sta la massa crescente degli elettori che non si sente più rappresentata dal sistema politico nel Parlamento della repubblica democratica fondata sul lavoro. Come dimostrano, tanto per stare ai dati più recenti, il successo di Grillo nelle elezioni politiche e l’astensione di oltre il 60 per cento degli elettori nel voto regionale dell’Emilia-Romagna. Landini dunque, sebbene con ritardo, enuncia una verità solare quando dice che in Italia il lavoro non ha rappresentanza politica. È un problema che dovrebbe agitare il sonno e turbare la coscienza di ogni democratico, perché il lavoro senza rappresentanza equivale a un’amputazione della democrazia. E proprio in questa amputazione risiede la causa più profonda della crisi democratica che stiamo vivendo, dalla quale certo non si esce con le (contro)riforme sociali e costituzionali del governo.

Non aiutano a chiarificare il quadro le filosofiche bubbole di Scalfari, per usare un termine a lui caro. Il quale prima ci fa sapere che «la definitiva attuazione del Jobs Act è un elemento molto positivo della politica economica renziana, anche se la fisionomia “classista” non sfugge a nessuno». E poi si rammarica osservando che se «la democrazia partecipata […] è in forte declino», «la causa si chiama indifferenza, soprattutto dei giovani». Come a dire: chi ti dovrebbe rappresentare non lo fa e anzi ti bastona, ma per non essere indifferente tu lo devi comunque votare.

Nel vuoto di rappresentanza che dura da anni, e che genera crescente indifferenza, c’è oggi però una novità rispetto al passato che Landini descrive così: «Renzi ha preso il programma di Confindustria e lo sta applicando», perdipiù «senza che nessun italiano abbia potuto votarlo». In altre parole, Renzi, che si proclama di sinistra, sta attuando il programma della destra e sta facendo ciò che neanche Berluscuni, il padre-padrone della destra, era riuscito a fare. Il massimo del trasformismo, che da una parte umilia il Parlamento esautorato della sua funzione legislativa, e dall’altra adotta un linguaggio menzognero e insultante degradando la politica a pura irrisione dell’avversario. Chi è Landini, se non uno sfigato, un povero perdente che vuole entrare in politica per scopi poco chiari? È dunque del tutto legittimo esporlo al pubblico ludibrio.

Nella sostanza si delinea una forma dura di autoritarismo, che punta al massimo di personalizzazione della politica, e quindi all’ascesa non effimera dell’uomo solo al comando. Con l’intento di consolidare un nuovo sistema di potere, conformando a questo fine l’insieme delle istituzioni e dei corpi dello Stato, dal parlamento alla magistratura. Su un aspetto Scalfari coglie nel segno: dal punto di vista sociale, questa è una fisionomia tipicamente classista, senza virgolette. In altre parole, siamo di fronte a un tentativo di modernizzazione capitalistica feroce, che cerca di farsi largo nella dimensione europea puntando tutto su un consenso trasformistico e mediatico. Ed è contemporaneamente la sepoltura senza onore della sinistra che sarebbe dovuta nascere dalla svolta della Bolognina di Occhetto.

Se ancora con Bersani l’ideologia prevalente nel Pd tendeva a conciliare il conflitto tra capitale e lavoro, fino a negarlo in una immaginaria visione buonista del liberismo dominante, con Renzi l’incantesimo si rompe. Lui sta con Marchionne contro Landini senza se e senza ma, vale a dire dalla parte del capitale contro il lavoro. E ci sta in modo ostentatamente dichiarato. Così il conflitto, che è organico al capitale come rapporto sociale, e che perciò non era mai scomparso in presenza di una la lotta di classe condotta con spietatezza dall’alto verso il basso, riappare alla luce del sole in una dimensione dichiaratamente politica. Fino a diventare un asse portante del governo e a mettere in discussione i principi della Costituzione, che fonda sul lavoro l’Italia democratica

da paolociofi.it

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JOBS ACT : COSA CAMBIA NELLA GESTIONE SALUTE E SICUREZZA NEL LAVORO


Cosa cambiano le nuove norme in materia di diritto del lavoro per quanto riguarda la qualità della gestione dei rischi per la salute e la sicurezza nel lavoro?  Dal punto di vista formale, per il momento, al di là della complessa vicenda dell’istituzione dell’Agenzia unica delle ispezioni sembrerebbe non cambiare nulla.

Ma non è vero. Jobs Act nei fatti ridisegnerà nei prossimi mesi e più in profondità nei prossimi anni i sistemi di relazione e potere  tra lavoratori e impresa, tra lavoratori e lavoratori e tra lavoratori e rappresentanza sindacale (Rsu e Rsa) e di scopo (Rls). Cercheremo di prefigurare in questo primo breve articolo e successivamente in profondità quali sono gli scenari attesi dell’impatto che avrà Jobs Act sulla  gestione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.

Il primo aspetto che subirà una trasformazione profonda e radicale sarà la possibilità e agibilità dei lavoratori e delle lavoratrici  di esprimere con la partecipazione il proprio punto di vista su aspetti critici della gestione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.

La storia della crescita della partecipazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, dagli anni ’70 in poi,  ha coinciso con un feed back continuo tra lavoratori e impresa  che è servito in molte  imprese per migliorare le modalità di gestione della sicurezza e delle condizioni di lavoro. La partecipazione dei lavoratori nelle imprese più illuminate è stata favorita dalla continuità dei rapporti di lavoro, dalla consapevolezza dei lavoratori che con il loro contributo di conoscenza sul campo aiutavano l’impresa a migliorare il lavoro e le condizioni di lavoro.

I lavoratori hanno fatto esperienze di partecipazione e hanno contribuito a migliorare la qualità del lavoro e della gestione degli aspetti critici riguardanti anche salute e sicurezza.

Le persone partecipano quando sanno di essere ascoltate e che in qualche misura il loro contributo di partecipazione conta e serve a migliorare la condizione complessiva del lavoro.

Tutto questo sarà ancora possibile dopo la ventata di cultura autoritaria e dirigista contenuta in filigrana nel dispositivo del Jobs Act ? I fattori negativi che taglieranno le gambe a qualsivoglia processo partecipativo sono intrinseci alla filosofia della norma.

Immaginiamo il vissuto non detto che passa per la testa di tante persone in queste ore. Sei un lavoratore anziano con esperienza e con qualità nel lavoro ma sei fuori “moda” in tempi della  “rottamazione”, non sei più un target sul quale l’azienda investirà. Eccoti pronto, se rompi le scatole, una bella procedura legale di autentico mobbing: il demansionamento con relativa riduzione del salario…
Il demansionamento è una delle esperienze più devastanti l’identità  e l’autostima della persona.
Se poi si vuole andare oltre c’è sempre il licenziamento per ragioni economiche ….

Questo potrebbe essere, purtroppo,  il  Jobs Act per voi,  cari ragazzi e ragazze nati negli anni ’50 …

Questo vale anche per i quarantenni e cinquantenni. Se questo sarà il clima in molte  aziende nei prossimi mesi, speriamo di sbagliare, si accrescerà nel silenzio la sofferenza e il rancore sociale che in genere non ha mai prodotto lavoro in qualità nè nulla di buono, neanche per i padroni.

Il peggio sarà la competizione silente tra colleghi nella triste gara di compiacere chi ha un pò più di potere sul tuo futuro di lavoratore, sul permesso per assistere il genitore anziano, sulla miriade di piccole cose della vita quotidiana nel lavoro e oltre. Chi conosce gli ambienti di lavoro sa di cosa parlo.

Sei un lavoratore giovane o una ragazza new entry, assunta con l’incentivo degli sgravi fiscali, ti faranno assaggiare per un pò un lavoro a tempo indeterminato … in alcuni casi soltanto fino all’esaurimento del beneficio fiscale… Il rinnovo del contratto, il passaggio concreto alle “tutele crescenti” sarà collegato alla sottomissione e adattamento passivo a ogni richiesta della gerarchia di prossimità, il team leader, il caporeparto. Sfortunati coloro che capiteranno sotto un team leader o caporeparto cattivello e un pò sadico.

La speranza per ciascuno di questi giovani e ragazze è quella  di capitare in un’azienda eticamente corretta che non intenda abusare dell’eccesso di potere che il Jobs Act ha attribuito all’impresa togliendo molti paletti rispetto agli abusi possibili da parte delle gerarchie intermedie e di prossimità.

Tutto questo rende molto più complessa la gestione dei rischi per la salute e la sicurezza: la partecipazione dei lavoratori in molte realtà sarà debole o totalmente subalterna. I rischi “psico-sociali” verosimilmente non saranno visualizzati e affrontati. Le nuove patologie da lavoro attese, oltre a quelle tradizionali saranno quelle “psicosociali”. [Vedi Rapporto Eisener 2 in questa stessa newsletter]

Ci sarà un clima diverso nelle aziende, con più silenzio, il non detto da parte dei lavoratori sarà la “comunicazione” prevalente, la prevenzione e la tutela della salute saranno più difficili in mancanza della partecipazione attiva dei soggetti interessati.

Questo scenario che prospetto è anche un’ipotesi di ricerca : sarei felice di essere smentito, tra qualche tempo,  come incorreggibile pessimista. In ogni caso i sindacati dei lavoratori si trovano di fronte ad una formidabile sfida su come, con la ricerca, riapprendere ad essere animatori di partecipazione in un contesto ancora sconosciuto come lo fu per qualche tempo il sistema produttivo dopo la ristrutturazione degli anni ’60. Allora le OO.SS  riuscirono a individuare il nuovo soggetto trainante la partecipazione che animò straordinarie lotte per il miglioramento della salute  e della sicurezza e delle condizioni di lavoro, l’operaio della linea di montaggio. Ora quel soggetto non è più trainante e le nuove serialità innovative sono tutte da scoprire.  Senza ricerca per una adeguata conoscenza del lavoro di oggi non c’è la speranza d’innovare il modo di lavorare del sindacato e il sindacato e migliorare le condizioni di lavoro , in salute e sicurezza.

Gino Rubini, editor di diario prevenzione