Jujuy, Argentina: sollevazione popolare, durissima repressione

Fonte Dinamopress che ringraziamo

 

di Alioscia Castronovo

 

Decine di feriti, arresti e persecuzioni: una sollevazione popolare guidata da docenti e popoli indigeni contro la riforma costituzionale della provincia andina che rafforza l’estrattivismo, criminalizza la protesta sociale ed intensifica l’impoverimento

Nel pieno di una durissima crisi economica e politica, e a pochi mesi dalla elezioni presidenziali che il prossimo mese di ottobre indicheranno quale prossimo governo dovrà affrontare il pagamento del debito al Fondo Monetario Internazionale – e nel pieno delle definizioni delle prossime formule presidenziali ancora in discussione nelle due principali coalizioni – una sollevazione popolare nella provincia andina di Jujuy sta ridefinendo dal punto di vista delle lotte l’agenda politica del paese. Contro impoverimento ed estrattivismo, in difesa dei salari e dei territori, una rivolta è esplosa nel nord occidente del paese, al confine con la Bolivia.

Al centro delle proteste l’operazione politica che favorisce le politiche estrattiviste e costituzionalizza la repressione contro chi reclama salari, diritti e dignità, portata avanti dal governatore Gerardo Morales, con il consenso trasversale dei radicali e del partito giustizialista.

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Verso l’economia di guerra

Fonte Sinistrainrete 

Autore  Alessandro Somma 

 

Le conseguenze della guerra non sono solo quelle visibili a occhio nudo, quelle denunciate dalle innumerevoli immagini che raccontano la tragica quotidianità di chi sopravvive e muore sotto le bombe. Non sono da meno gli effetti su chi viene apparentemente risparmiato dal conflitto perché vive in Paesi non direttamente coinvolti nei combattimenti. Semplicemente sono meno riconoscibili, sebbene coinvolgano il complessivo modo di stare insieme come società e in ultima analisi i fondamenti di quanto siamo soliti chiamare Occidente.

A mutare profondamente è l’ordine politico: la guerra richiede decisioni rapide e unanimi, a monte processi deliberativi opachi, e questo incide profondamente sulla qualità della democrazia, che vive al contrario di conflitti, di tempi scanditi dai ritmi della partecipazione e soprattutto di trasparenza. E anche l’ordine economico viene travolto: la produzione di armamenti e altri beni funzionali al conflitto deve procedere con modalità per certi aspetti incompatibili con il capitalismo, che tra i propri fondamenti vanta l’avversione verso il dirigismo e la pianificazione, utile invece a concentrare lo sforzo produttivo.

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