ABUSI IN LIBIA: LA COMPLICITA’ DEI SOVRANISTI

 

FONTE R/PROJECT.IT

di Fulvio Vassallo Paleologo

Non bastano i report e le testimonianze sugli abusi subiti dai migranti intercettai in acque internazionali dalla Guardia costiera libica e riportati nei lager dai quali erano fuggiti. Sempre più tragica, in particolare, la situazione dei somali e degli eritrei internati nei centri di detenzione contollati dalle milizie, senza alcuna distinzione possibile tra centri governativi e centri “informali”. Ovunque spadroneggiano i mercanti di esseri umani, che nessuna indagine penale sembra fermare.

Non interessano i documenti di Amnesty International che confermano la gravi violazioni dei diritti umani in Egitto ed in altri paesi dell’Africa del nord. Non bastano neppure le conferme della corruzione delle polizie dei paesi di origine o di transito con i quali gli stati europei, e la stessa Unione Europea, non esitano a concludere accordi bilaterali per contrastare quella che definiscono soltanto come “immigrazione illegale”. Interessi economici e calcoli elettorali schiacciano i diritti umani e li rimettono alla discrezionalità della politica. In nome degli interessi nazionali si strappano le Convenzioni internazionali, ed i rapporti tra gli stati diventano un campo nel quale si esercitano ricatti basati sulla forza militare ed economica. Tutto quello che si vorrebbe nascondere dietro la campagna del fango intentata contro le ONG e chiunque si ostini ad operare soccorsi umanitari, in mare, ed anche in terra.

Il vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh ha confermato la politica europea di esternalizzazione delle attività di controllo delle frontiere, senza che ci sia stato alcun riguardo per le ragioni delle popolazioni e dei migranti oppressi dai regimi e dai governi che sono finanziati dagli stati europei all’esclusivo fine di impedire le partenze dei migranti verso l’Europa. La cooperazione internazionale tanto evocata nei documenti internazionali rimane priva di risorse adeguate e di qualsiasi controllo sulla effettiva destinazione dei finanziamenti quando questi arrivano nei paesi terzi. La questione ambientale costituisce soltanto un paravento per nascondere la sostanza degli accordi, centrati sulla divisione delle risorse energetiche tra i paesi più forti, e sulla ghettizzazione delle popolazioni più deboli, condannate ad un destino di fame e di morte.

Il vertice ha segnato il fallimento definitivo del Processo di Khartoum, avviato dal governo italiano nel 2014, con l’avallo del Consiglio Europeo del 12 maggio 2015, e quindi del Piano di azione Juncker. Forse qualcuno si è accorto che il dittatore sudanese Bashir, sotto accusa da parte della Corte Penale internazionale, non era proprio un partner affidabile, al punto che a Sharm Al Scheikh gli è stata interdetta la partecipazione. Chi scrive del Sudan viene minacciato, ma anche questo sembra trascurabile, nell’indifferenza generale. In Italia ancora si ritiene necessario ed opportuno collaborare con la polizia sudanese, quella stessa polizia che ancora in questi giorni sta massacrando l’opposizione che manifesta in piazza a Khartoum.

Ma il nuovo multilateralismo, rilanciato sotto l’egida del dittatore egiziano Al Sisi, non garantisce i diritti dei popoli ma i privilegi dei grandi gruppi economici. Che anche i dittatori possono assicurare. E infatti la questione centrale degli incontri si è centrata sullo sfruttamento delle grandi risorse energetiche del Mediterraneo orientale, con una attenzione estesa anche alla spartizione della Libia, dove le forze del generale Haftar, sostenute dagli egiziani, dai russi, e sottobanco dai francesi, avanzano ogni giorno sottraendo territorio ( e pozzi petroliferi) al traballante governo Serraj a Tripoli, sponsorizzato dall’Italia e da alcuni paesi europei soltanto per spartirsi risorse economiche e ottenere un maggiore contrasto dell’immigrazione.

La Conferenza internazionale sulla Libia, svoltasi a Palermo lo scorso anno, rimane soltanto una vetrina usata a scopi elettorali, ma è ormai superata dall’involuzione bellica tra la Tripolitania e la Cirenaica, sostenuta dal generale Haftar e dai suoi alleati al Cairo, a Parigi, a Mosca. Il premier Conte, ed i suoi due vice-presidenti del Consiglio, tanto abili nella propaganda elettorale, dovrebbero farsene una ragione, e magari parlare agli italiani senza raccontare altre menzogne. Il risveglio dal sonno dell’indifferenza potrebbe essere assai brusco. Non sembra proprio che ci siano le premesse per una rilancio del ruolo dell’Italia nella soluzione della crisi libica.

Si avvicina la guerra, una guerra commerciale in Europa, tante guerre nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ed ancora più a sud, fino all’Africa sub-sahariana, come in Niger, dove si vuole esternalizzare la frontiera europea. Forse sarà proprio la guerra, l’unica vera tragedia che costringerà il “popolo sovrano” ad interrogarsi sulla reale portata delle politiche di odio ed esclusione contro gli stranieri e contro chi presta loro assistenza. Il capovolgimento del principio di realtà sul quale si sta fondando l’attuale politica dei governi di destra in carica in Europa non potrà che produrre conflitti alle frontiere ed una disfatta economica dell’intero continente con una forte riduzione dei diritti fondamentali che verranno negati non solo agli stranieri ma agli stessi cittadini.

L’Unione Africana ha da tempo respinto i piani europei che prevedevano rimpatri collettivi e piattaforme di sbarco nei paesi nordafricani, ma in Europa si ritiene ancora che sia possibile riportare in Africa i migranti bloccati in acque internazionali nel Mediterraneo. Non sembra che la presenza dell’UNHCR in Libia riesca a garantire davvero i diritti dei migranti trattenuti nei centri di detenzione da quando sono diminuite le possibilità di fuga verso il Mediterraneo. In realtà le rotte migratorie più recenti sono interne al continente africano, e non portano necessariamente all’emigrazione verso l’Europa. Dunque i plitici nostrani non possono continuare a lucrare vantaggi elettorali su una emergenza che non esiste.

Le conclusioni del vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh sono state seguite da una aberrante mozione fatta passare da Fratelli d’Italia in un parlamento, ancora intontito dall’esito delle elezioni in Sardegna, che programma un blocco navale davanti alle coste libiche e chiude definitivamente all’adesione dell’Italia al cd. Migration Compact.

Un progetto vecchio, quello del blocco davanti alle coste libiche, di chi dall’estrema destra sa solo diffondere odio per conquistare una fetta di consenso elettorale. Senza però chiarire con quali navi e con quali uomini, mentre la missione Eunavfor-Med (definita anche come Operazione Sophia) si avvia ad un epilogo fallimentare, dopo la chiusura altrettanto ingloriosa della missione NAURAS della Marina italiana. Vedremo chi andrà davvero a fare il blocco navale davanti le coste libiche. Di certo l’Unione Europea non appoggerà mai con propri mezzi una proposta simile.

I cittadini italiani potranno anche illudersi di essere più sicuri perchè un paio di ministri hanno “chiuso” i porti alle navi di soccorso delle ONG ed hanno costretto al ripiegamento i mezzi della Guardia Costiera. Ma dietro queste scelte disumane si aggrava l’isolamento internazionale del nostro paese, acuita dalla concorrenza con la Francia in Libia, e non solo, una situazione che ci esporrà ancora di più alla prossima crisi economica internazionale, sempre più probabile dopo le elezioni europee di maggio. Nessun paese europeo può pensare di uscire da solo dalla crisi economica, soprattutto se è indebitato come l’Italia, così come nessun paese europeo può pensare che adottando misure di blocco navale, unilateralmente, possa risolvere la crisi dei rifugiati e raggiungere una maggiore efficacia nella lotta contro l’immigrazione irregolare. Solo aprendo canali legali di ingresso, attraverso il rilascio di visti umanitari, e rilanciando una grande missione di soccorso in acque internazionali, si potranno battere le organizzazioni criminali che lucrano proprio sullo sbarramento delle frontiere.

Soltanto chi saprà costruire e realizzare progetti basati sulla solidarietà internazionale e sulla soluzione pacifica dei conflitti, avrà un futuro. Quelli che scelgono di rinchiudersi dentro le frontiere nazionali, e quindi dentro le mura di casa, potranno soltanto armare le polizie ed armarsi per la propria difesa personale, ma non saranno certo più sicuri. La vera sicurezza la troveranno soltanto coloro che si organizzeranno per affrontare la crisi senza scaricarla sui più deboli, ma attaccando i veri responsabili a livello nazionale ed internazionale, riattivando processi di partecipazione democratica, e realizzando scelte di vita e di lavoro che creino opportunità di incontro e di solidarietà.

“Un nuovo patto su lavoro, salario, investimenti”. Intervista di Maurizio Landini, segretario della Cgil, al Sole 24 ore di domenica 3 marzo 2019

FONTE  CONTROLACRISI.ORG

“E‟ interesse di lavoratori e imprese mettere al centro l’aumento degli investimenti e dei salari oltre a una nuova fiscalità seriamente orientata a ridurre gli squilibri e le diseguaglianze, uno dei fenomeni più gravi del nostro tempo, e non a premiare chi ha di più e a punire chi ha di meno come accade con la tassa piatta». Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, è reduce dal corteo «People. Prima le persone» dove a Milano hanno sfilato in 200 mila.

Perché ha portato la confederazione in quella piazza?
“Per sostenere un’idea di giustizia sociale e di modello di Paese fondato su accoglienza e integrazione e sui valori profondi della Costituzione”.

Una manifestazione in continuità con alcuni degli slogan dell’altra manifestazione del 9 febbraio a San Giovanni, dove con i sindacati partecipavano anche alcune rappresentanze delle imprese del si-tav. Si sta creando un clima nuovo tra imprese e sindacati? Dove vede le maggiori convergenze?
“Non so se si tratta di vere e proprie convergenze. So che insieme possiamo mettere al centro il tema del lavoro, il lavoro di qualità e non quello precario che nel frattempo è aumentato. E so che per fare questo bisogna prima dare attuazione al Patto della fabbrica con cui abbiamo già concordato nuove regole perla rappresentanza e per tracciare nuovi perimetri dei contratti (anche per ridurli di numero). Bisogna che sindacati e imprese chiedano con forza al ministero di applicare le convenzioni che, tramite Inps, possano certificare la reale rappresentanza di chi firma gli accordi. Oggi ci sono ancora troppi contratti pirata firmati da non si sa chi e per conto di chi e servono solo a creare un mercato selvaggio della contrattazione in dumping”.

Lei parla anche di investimenti. Che sono la priorità anche delle imprese.
“Gli investimenti sono la via principale per creare il lavoro, quello vero. Servono investimenti pubblici in dosi massicce e anche investimenti privati. Che non sono stati sufficienti nonostante le imprese abbiano avuto incentivi in quantità mai vista prima. Incentivi che non sempre ho visto tornare anche nelle tasche dei lavoratori”.

Se il Pil non è sprofondato è per l’aumento del valore aggiunto dell’industria che in questi anni con le agevolazioni per Industria 4.0 ha investito massicciamente in innovazione, fino a cambiare del tutto il paradigma tecnologico di riferimento. Ciò che manca è la spesa pubblica.
“Mancano gli investimenti pubblici che si sono bloccati. Ma anche le imprese private hanno avuto atteggiamenti diversi: quelle maggiormente orientate hanno investito in innovazione e sono quelle più dinamiche, mentre gran parte delle altre non hanno fatto lo stesso e sono oggi in posizione arretrata e a rischio. È anche vero che il sistema degli incentivi messi in campo da Industria 4.0 non ha aiutato la crescita e lo svipuppo della piccola e media impresa. Non è affatto diminuita la differenza tra Nord e Sud e spesso ci sono forme di squilibrio e diseguaglianza anche all’interno delle stesse regioni. In questi annidi forti incentivi non tutto è tornato agli investimenti, alcune imprese hanno preferito la speculazione finanziaria o le scelte immobiliari. E il lavoro si è impoverito e si è allargata anche l’area del lavoro precario e pocoremunerato”.

Resta il fatto che bisogna affrontare il tema della produttività da cui dipende anche quello dei salari. E su questo le parti sociali possono fare molto.
“Bisogna però intendersi su cosa sia la produttività. Quella del lavoro è già alta. Non c’è più spazio per organizzare la competitività con la riduzione continua dei costi e dei diritti. Manca l’investimento in innovazione, nel miglioramento del processo di produzione, dell’organizzazione. Mancano spesso nuove sfide produttive che guardino alla sostenibilità e alle tecnologie digitali”.

Anche in questo caso non si può generalizzare. Manca anche la produttività che deriva dall’efficienza complessiva del Paese. Dal suo livello di istruzione, di infrastrutture, di qualità del captale umano. Conta anche la politica fiscale. E il rilancio dei salari e degli investimenti passa anche dalla riduzione del famigerato cuneo fiscale.
“Non ho problemi a discutere su come abbattere il cuneo fiscale a patto che non si tratti di ridurre i contributi per le pensioni o per la sanità. Bisogna comunque trovare un sistema che ne garantisca il finanziamento. Per me l’importante è abbassare l’Irpef del lavoro dipendente e ridisegnare una riforma fiscale nel segno dell’equità e della progressività, come prevede la Costituzione. È evidente che da noi c’è una questione di diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. È sotto gli occhi di tutti che chi era più ricco è diventato ancora più ricco e chi era più povero si è impoverito ancora di più. La risposta non è la flat tax che fa aumentare questi squilibri”.

È la patrimoniale?
“Non mi voglio impiccare alle definizioni. Penso che vada affrontato il tema dell’evasione fiscale e della tassazione non solo dei redditi. Ci sono moltissimi esempi di altri paesi europei e non solo. L’importante è il risultato e credo abbia anche senso parlare anche di tassa di successione. La riforma fiscale è una delle richieste di Cgil, Cisl e Uil e, tornando all’Irpef, per me bisogna aumentare le detrazioni per il lavoro dipendente e per le pensioni: la priorità è questa”.

II Governo che segnali vi ha dato?
“Sembrano continuare in una sorta di autoreferenzialità. Del resto non si consultano con nessuno, nemmeno con il Parlamento che è stato del tutto bypassato in occasione della legge di stabilità. Che resta una legge sbagliata e del tutto inadatta a far cambiare verso alla crescita economica II governo pensa alla disintermediazione sociale come hanno fatto anche altri governi che non mi pare abbiano lasciato un grande ricordo. Discutere e trattare con il sindacato è utile perché la complessità dei temi è tale che occorrono interlocutori in grado di comprendere i problemi, le conseguenze delle scelte sulla vita vera”.

E allora cosa farete per farvi ascoltare?
“La manifestazione del 9 febbraio ha avuto una partecipazione che ci ha stupito nella sua inimmaginabile ampiezza C’è grande voglia di partecipare e di dire che bisogna cambiare strada. Noi insistiamo. Il 15 marzo è previsto uno sciopero degli edili. È un settore bloccato in una stasi drammatica Tutti i cantieri sono fermi per colpa delle incertezze del governo sulle infrastrutture. Non c’è un indirizzo strategico”.

E quando c’è, come con la Tav, si torna indietro (e anche lei non è mal stato favorevole).
“La Tav è sicuramente un problema. Ma la cosa principale è che conosciamo una molteplicità di analisi di costi benefici e di report di segni opposti ma non sappiamo ancora che vuole fare davvero il Governo. Che ha il compito istituzionale di decidere e non lo fa È questa la cosa più grave. Ma ciò che è più drammatico è che questa incertezza ha bloccato tutti i cantieri e paralizzato un intero settore”.