Violazione del diritto alla salute, al confine con la Francia – di Amelia Chiara Trombetta, Antonio G. Curotto, Gianni Giovannelli

FONTE  EFFIMERA

Da due anni alla frontiera con la Francia si concentrano centinaia di persone, bloccate per le ripetute decisioni dei governi degli Stati della UE che di fatto, in quest’ambito, negano il riconoscimento dei diritti e doveri fondanti l’Unione Europea.

Dal punto di vista normativo, per quanto riguarda lo stato italiano, l’art. 32 della Costituzione è certamente di natura precettiva e non soltanto programmatica; dunque le istituzioni della Repubblica sono vincolate da un obbligo di tutela della salute, elevata al rango giuridico di fondamentale diritto dell’individuo. Nel nostro ordinamento vengono espressamente garantite cure gratuite agli indigenti, senza preclusioni o limiti.

La salute delle persone in sosta e transito a Ventimiglia è stata invece gravemente condizionata, oltre che dalla privazione di libertà di movimento (e qualche volta anche personale) o dalla mancanza di autodeterminazione, anche e soprattutto dalle carenze igienico sanitarie nei luoghi di transito o di stazionamento in cui queste donne, questi bambini e questi uomini sono ristretti o costretti.

A partire dal 2015 diversi sono gli insediamenti informali in cui più o meno temporaneamente le persone stazionano prima di tentare di proseguire il proprio viaggio, dove, come medici volontari e solidali, abbiamo tentato, con scarsi mezzi, di visitare e di curare. Sarebbe stato un dovere delle istituzioni, ma noi ed altri solidali abbiamo tentato di supplire alle colpevoli omissioni dell’apparato pubblico, degli organi comunali e regionali, utilizzando spesso l’ascolto e l’attenzione, magari fornendo indicazioni semplici di igiene, come quella di non bere l’acqua del fiume.

Da un campo informale all’altro, durante questi due anni (2015-2017) si è passati attraverso sgomberi successivi. Stravolgendo il significato reale dell’art. 32 della Costituzione le autorità hanno concepito la tutela della salute non soccorrendo i bisognosi di aiuto (gli indigenti senza mezzi), ma rimuovendoli e cancellandoli per evitare il contatto fisico con i residenti. La deportazione risulta essere stata l’unico provvedimento di carattere igienico sanitario; in mancanza di qualsiasi pianificazione rivolta a risolvere il problema permanente e legato a oggettive circostanze storico-politiche queste misure repressive hanno comportato, invece, un’ulteriore precarizzazione delle condizioni di vita dei soggetti presenti nel territorio.

 

La maggior parte delle persone migranti hanno vissuto e vivono all’aperto su scogli, in ex stalle, sulle rive del fiume, in parcheggi, in assenza di accesso all’acqua potabile, servizi igienici, alimentazione sufficiente ed adeguata.  In particolare le ordinanze comunali 2.7.2015 e 11.8.2016 avevano come scopo il divieto di aiutare i migranti fornendo loro acqua e cibo, così criminalizzando perfino le forme di volontariato e filantropia senza scopo di lucro e costruendo un incredibile apparato normativo contro la legge fondamentale della repubblica italiana. L’uso massiccio del foglio di via obbligatorio (meccanismo fascista aggiornato con il decreto 159/2011) ha comportato grandi difficoltà nell’aiuto ai migranti; e il sistematico annullamento dei provvedimenti impugnati in giudizio giungeva sempre troppo tardi per essere davvero efficace.

Le moltissime persone da noi visitate, donne e uomini di ogni età, avevano iniziato il loro viaggio in ottima salute, rappresentando spesso un investimento per le famiglie di origine. In prevalenza si è trattato di persone provenienti da Sudan e dall’Eritrea, ma anche da altre nazioni africane, afghani e siriani. Il passaggio attraverso paesi come il Sudan e la Libia aveva comportato praticamente per tutte e tutti carcerazione, violenza e tortura a scopo di estorsione, le cui conseguenze sulla salute fisica e psichica erano ancora evidenti al momento della nostra visita.

Il viaggio e la vita condotti in Italia avevano determinato un ulteriore deterioramento dello stato di salute. Dopo una superficiale visita di controllo allo sbarco, nonostante l’esistenza teorica di diritti, nessuna tutela e continuità viene assicurata a potenziali richiedenti asilo che tentano di sopravvivere basandosi unicamente sulle proprie risorse.

A tal proposito riteniamo sia da ricordare che l’art. 54 del nostro codice penale statuisce la non punibilità di chiunque agisca con il solo scopo di salvare se stesso o altri dal pericolo di un grave danno alla persona; le condizioni di internamento e la mancanza di mezzi non sono certamente state determinate dai migranti, i quali si limitano a cercare una via di scampo e di sopravvivenza. La Corte di cassazione ha ravvisato gli estremi per l’esimente dello stato di necessità anche nell’esigenza di alloggio (a maggior ragione di vitto necessario alla sussistenza).

Mancanza di informazioni, assenza di mediazione culturale, orientamento legale e socio-sanitario sono le cause determinanti dello stato di abbandono in cui versavano coloro che abbiamo visitato.

Nelle centinaia di visite eseguite tra le sponde del fiume, campi informali e la chiesa di Sant’ Antonio, dove siamo stati assai presenti, soprattutto nella fase di maggior affluenza, le malattie prevalenti sono state quelle dovute al disagio delle condizioni di vita. Epidemie di scabbia, malattie esantematiche, infezioni soprattutto delle alte vie respiratorie o delle vie urinarie, patologie gastrointestinali e traumi infatti sono le conseguenze più banali di questo accidentato percorso. Le patologie gravi che abbiamo potuto osservare, di più raro riscontro ma presenti, dato il numero di persone visitate, costituivano ovviamente un pericolo di vita, in tali situazioni.

L’articolo 593 del codice penale, relativo all’omissione di soccorso, sembra essere dimenticato sia dai pubblici funzionari sia dalle locali procure inquirenti – e questo pare essere il segnale palese della sistematica progressiva introduzione nella nostra costituzione materiale dell’opzione autoritaria. L’art. 593 infatti non è limitato alla sola ipotesi dell’incidente stradale, pur se questa sembra essere opinione diffusa. É invece un obbligo giuridico che impone a chiunque, ma specialmente ai medici e agli amministratori, di portare soccorso ai minori, a coloro che non siano in grado di provvedere a se stessi per malattia di corpo o per altra causa. La norma costituzionale (art. 32) si lega all’interpretazione corretta all’art. 593 c.p. imponendo il soccorso a persone ferite o altrimenti in pericolo. Non solo l’intervento dei medici dovrebbe essere consentito, ma esiste l’obbligo di segnalare alle autorità preposte e di intervenire; in questo caso di necessità la solidarietà cessa di essere solo volontaria e diviene coatta, con applicazione di sanzioni a carico di chi si voglia sottrarre a questo imperativo etico e sociale. Ogni sindaco, compreso quello di Ventimiglia, non solo non deve frapporre ostacoli, ma deve agire e provvedere. Non bisogna dimenticare che  nel nostro ordinamento il sindaco, quale autorità sanitaria locale,  ha competenze in materia di igiene pubblica e sanità; il soccorso degli indigenti con carattere urgente e contingente tocca a lui e all’assessore regionale, cui spetta poi la programmazione degli interventi (si confronti il TUEL, testo unico enti locali, aggiornato il 14.11.2016).

Esiste dunque un obbligo di soccorso e certo non pare lecito sottrarsi a tale onere deportando altrove i soggetti che richiedono aiuto. Dunque le azioni di consapevole contrasto ai volontari si pongono in urto con l’ordinamento vigente, costituiscono illecito penalmente rilevante. La pena per l’oggettiva omissione di soccorso è la reclusione fino a un anno; aumentata quando ne derivi una lesione ulteriore o un aggravamento e raddoppiata quando segua la morte. Pensiamo ai noti casi di cronaca. Il panico collegato all’omissione di soccorso e allo sgombero coatto spinge alcuni migranti esasperati ad affrontare il tunnel che porta in Francia causando feriti o in molti casi la morte. Il nesso causale fra provvedimenti istituzionali e decesso lo qualifica aggravante del soccorso omesso. La solidarietà coatta e il diritto alla salute, intesi come valori di rango costituzionale, trovano nell’art. 593 c.p. la loro via di applicazione.

Il nostro lavoro sarebbe stato impossibile senza l’esistenza e la resistenza di una rete di persone solidali a cui spesso ci siamo riferiti per il supporto alla nostra attività.

Solidali, provenienti dall’Italia ma anche da altri Paesi , sono stati presenti da sempre su questo territorio. La condivisione, da parte dei solidali, del progetto politico per la libertà di movimento e l’autodeterminazione e della quotidianità dei vari campi informali, è stata a nostro parere la risposta lucida di una parte consapevole della società civile e del variegato mondo dell’attivismo politico: essa ha contribuito a ridurre la condizione di abbandono e invisibilità in cui versavano le vite delle e dei migranti.

Purtroppo la repressione delle istituzioni ha gradualmente determinato una frammentazione tra i gruppi presenti sul territorio e l’allontanamento di molti solidali, fino alla consegna di numerosi fogli di via, ritenuti illegittimi a distanza di mesi.

É bene ricordare in questo periodo, in cui la memoria storica è spesso derisa ed umiliata, che questa situazione, che sembra far ammalare chiunque viva su quel territorio, contravviene non solo ad istintivi sentimenti di umanità, uguaglianza e partecipazione sociale, ma a ben chiari standard internazionali. La salute infatti è stata definita dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 1946, durante la Conferenza Internazionale della Sanità, come uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”.

È considerata un diritto inalienabile dell’individuo, appartenente all’uomo in quanto tale, derivando dall’affermazione del più universale diritto alla vita e all’integrità fisica, di cui rappresenta una delle declinazioni principali. In linea con questa dichiarazione, le principali normative internazionali a tutela della salute come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (1948) sanciscono questo come uno dei diritti fondamentali dell’individuo e delle collettività e la sua tutela uno dei doveri degli Stati.

È inoltre da ricordare il Commento generale n. 14 del Comitato per i diritti economici sociali e culturali delle Nazioni Unite (2000), in cui vengono riconosciuti i concetti di disponibilità, accessibilità, accettabilità e qualità dei servizi per la salute e i concetti di determinanti sociali della salute.

I determinanti sociali della salute consistono in condizioni indispensabili perché la salute sia garantita: l’accesso all’acqua potabile sicura, a servizi igienici adeguati, la disponibilità di cibo e nutrimento sufficiente, la sicurezza e la qualità dell’abitazione, la salubrità dell’ambiente di vita e di lavoro, l’accesso alle informazioni relative alla salute, il divieto di discriminazione.

L’articolo 35 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, sotto il titolo “Protezione della Salute” afferma che “ogni individuo ha diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche e che nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”.

Facendo proprie le basi della la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (1948), la Costituzione italiana (1948) prevede, come si è visto, che il diritto alla salute sia compreso nel nucleo irriducibile dei diritti della persona umana (articolo 32).

Il testo ordinario di riferimento generale rimane il Testo Unico sull’Immigrazione (Decreto Legislativo n. 286 del 1998). Il titolo V, capo I (articoli 34-36) contiene proprio le disposizioni in materia sanitaria. L’art. 35, comma 3, garantisce ai cittadini stranieri, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, le cure essenziali  anche se continuative, sia per malattia sia per infortunio, estendendo loro i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale. Il comma 4 precisa l’esonero da qualsiasi onere per i soggetti privi di risorse; il comma 5 vieta la segnalazione all’autorità (Sentenza Corte Costituzionale n. 252/2001 in ordine alla legittimità del divieto di segnalazione; Sentenza Corte Costituzionale 299/2010).

La Suprema Corte ha inoltre affermato che lo straniero è “titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona” (sentenza 248/2008).

Ancora dopo due anni centinaia di persone, si trovano nelle condizioni sopra descritte e la situazione di Ventimiglia viene definita come emergenziale. Semplici e doverosi interventi di soccorso vengono deliberatamente e pervicacemente omessi Per esempio la fornitura di acqua potabile e la predisposizione di servizi igienici, pur se richiesti da singoli, associazioni, ONG, sono rifiutati perché potrebbero costituire dei fattori che favoriscono la presenza di persone migranti sul territorio. Violando le leggi italiane e internazionali le autorità riducono il soccorso a un problema di repressione in nome di un preteso ordine pubblico, dimenticando che la loro presenza, come già detto, è resa inevitabile, da due anni, a causa della chiusura della frontiera franco-italiana per i soli migranti. É oltremodo evidente come l’atteggiamento delle istituzioni, che utilizzano spesso per definire i propri atteggiamenti parole proprie di una neo-lingua di orwelliana memoria come decompressione, hotspot, decoro, degrado ecc., sia in contrasto con i concetti espressi dalla nostra Costituzione e dalle norme internazionali.

A Ventimiglia, per quanto sia a nostra conoscenza, a parte le ordinanze di sgombero sommario e di divieto di somministrazione di cibo in luoghi pubblici, non vi sono state proposte innovative da parte delle istituzioni. Il soccorso viene omesso e le autorità rivendicano come lecito un comportamento che invece ha le caratteristiche di un crimine.
Le persone presenti sul territorio (abitanti e migranti, che continuiamo a considerare come un unico gruppo abitante un territorio ostile), si rendono conto della scarsità delle risposte istituzionali e questo provoca rabbia, frustrazione e la nascita di opposti schieramenti. L’omissione di soccorso genera odio razziale.

A nostro avviso, per rispondere al progressivo deterioramento, occorre superare l’aspetto emergenziale e proporre soluzioni coraggiose, dal breve al lungo termine.

La scelta più difficile sarebbe ovviamente quella del farsi fautori del diritto all’autodeterminazione e alla libera circolazione per tutti, in Europa.

Nell’immediato, tuttavia, le istituzioni avrebbero dovuto considerare a nostro parere l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici nei territori di frontiera, soprattutto per tutto ciò che concerne il diritto alla salute delle persone presenti (migranti in transito, richiedenti asilo, locali) e delle attività e strutture per la prevenzione e protezione a prescindere dall’identificazione degli aventi bisogno:
– luoghi abitativi degni non gestiti in forma poliziesca, ma in accordo con i solidali, per non indurre il timore di abitarvi, l’isolamento e la frattura sociale. Abitazioni non poste a chilometri dal centro abitato e raggiungibili con strade sicure, dotate di servizi igienici ed acqua calda, cibo a sufficienza per tutte le persone presenti;
– l’interruzione delle deportazioni sommarie e ingiustificate che a volte hanno anche separato famiglie (spesso i migranti temono di spostarsi di giorno nella città poiché sanno che possono essere deportati anche se in possesso della tessera del centro della Croce Rossa o se si muovono per raggiungere ospedali o fonti di acqua pubblica) e che inducono disagio anche psichico per la ripetizione infinita del viaggio verso Ventimiglia;
– implementazione dei servizi offerti dal poliambulatorio di Ventimiglia o dal punto di primo intervento di Bordighera (già quasi smantellato dal 2011 e minacciato di privatizzazione, poiché tra la popolazione presente non vengono considerati le migliaia di persone che transitano sul territorio: a tal proposito è interessante leggere  le dichiarazionidi un medico ad un giornale locale);
– miglioramento dei trasporti pubblici locali da Ventimiglia a Bordighera per evitare che gli spostamenti dei codici bianchi avvengano attraverso ambulanze quando non vi sono operatori che spontaneamente si offrono per l’accompagnamento.
Ventimiglia è probabilmente un punto di osservazione privilegiato per valutare fenomeni esistenti a livello nazionale, soprattutto in territori dove poteri contrapposti e illegalità diffusa convivono e dove prevalgono la mancanza di programmazione e la sperimentazione di risposte frammentarie e discontinue senza un obiettivo di lungo termine.

Riteniamo sia giusto ampliare il più possibile la consapevolezza su ciò che accade nel nostro territorio, ritenendo che questo aumenti la libertà di tutti, consentendo la possibilità di informarsi sulle lotte delle persone che lo attraversano, di sostenerle e denunciare le violazioni dei diritti fondamentali.

Per i compagni, per le persone della società civile, per le nostre e i nostri colleghi medici, infermiere/i, psicologhe/i che abbiano voglia di uscire dai loro ambulatori e che condividano con noi l’idea che spesso l’accesso ai servizi sanitari è negato a chi ne ha più bisogno, siamo disponibili a spiegare più nello specifico le nostre esperienze e a condividere ciò che in questi anni abbiamo appreso da quel territorio.

 

Foto di Amelia Trombetta.

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