Il numero dei migranti (che non sono numeri) da Unimondo.org

FONTE UNIMONDO

Foto: UNHCR

Perché usare dati e statistiche quando si scrive di migranti e rifugiati? Perché i numeri aiutano 1) a “pulire” l’informazione dalle scorie di pregiudizi e luoghi comuni; 2) a certificare e a fondare meglio le argomentazioni; 3) a verificare affermazioni discutibili (fact cheking). È questa la sollecitazione dell’Associazione Carta di Roma, fondata nel dicembre 2011 per dare attuazione all’omonimo protocollo per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione siglato dall’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione della Stampa Italiana nel giugno 2008.

Allora partiamo proprio dai dati. Iniziamo dal Global Trends 2016 che l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha presentato in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato (20 giugno). Il rapporto descrive la situazione a fine 2016 relativa a rifugiati, sfollati e richiedenti asilo costretti ad abbandonare la propria abitazione a causa di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani. Si tratta di 65,6 milioni di individui, più di tutta la popolazione residente in Italia; 300mila persone in più rispetto all’anno scorso ed il numero più alto mai registrato prima.

Di queste persone, 22,5 milioni sono gli individui fuggiti dal proprio Paese. Il conflitto in Siria ha provocato ben 5,5 milioni di rifugiati e nel 2016 è emersa la drammaticità del conflitto in Sud Sudan, dove la disastrosa interruzione del processo di pace ha contribuito alla fuga di 739.900 persone, diventate, ad oggi, 1,87 milioni. 2,8 milioni sono i richiedenti asilo, persone fuggite dal proprio Paese che hanno chiesto il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale in quanto rifugiati. 40,3 milionisono invece le persone sfollate all’interno del proprio Paese. Gli spostamenti forzati all’interno di Siria, Iraq e Colombia sono stati i più significativi. Un dato fondamentale riportato nel Global Trends è che nel 2016 ci sono stati 10,3 milioni di nuovi “migranti forzati” rispetto agli anni passati. Ciò significa che ogni 3 secondi – …un tempo uguale a quello impiegato per leggere questa frase … – 1 persona è costretta ad abbandonare la propria casa.

Sul fronte dei miglioramenti, circa mezzo milione di rifugiati hanno potuto fare ritorno nei Paesi di origine e circa 6,5 ​​milioni di sfollati interni sono tornati nelle loro zone, seppure molti restino in condizioni di forte vulnerabilità. Ma dove sono ospitate le milioni di persone rifugiate? I dati non confermano le tanto proclamate “invasioni dei migranti” in Italia e in Europa: alla fine del 2016 la maggior parte dei rifugiati – l’84 per cento – si trovava in Paesi a basso o medio reddito. I dati dell’UNHCR appena citati non sono ancora esaustivi rispetto alla complessità delle “migrazioni forzate” e non contemplano la situazione delle persone costrette ad abbandonare la propria terra per cause ambientalicome inondazioni e siccità imputabili al cambiamento climatico. Il dibattito internazionalesta riflettendo sulla necessità o meno di considerare le persone costrette a migrare a causa del peggioramento climatico, come rifugiati aventi diritto alla protezione internazionale, che attualmente è riconosciuta per motivi di persecuzione dovuti a razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un gruppo sociale (in base alla Convenzione di Ginevra del 1951) e, successivamente estesa includendovi ogni tipo di violenza in particolare, la guerra. Ma non si menzionano le catastrofi ambientali.

Eppure, anche in questo caso i dati parlano chiaro. Secondo il Global Report on Internal Displacement 2017 presentato dall’Internal Displacement Monitoring Centre, nel 2016 ci sono stati 24,2 milioni di sfollati a causa dei disastri naturali, soprattutto in contesti ad alta vulnerabilità socio-economica. I dati contenuti nel rapporto “Migrazioni e cambiamento climatico” a cura di CeSPI, FOCSIV e WWF Italia rilasciato alla vigilia della Conferenza di Parigi ci dicono che dal 2008 al 2014 oltre 157 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi.

In questi giorni alcune ricerche delle Nazioni Unite hanno fatto emergere che la temperatura dell’Africa Saheliana aumenterà una volta e mezzo più rapidamente della media globale. Prolungate siccità rischiano di esporre ad una penuria d’acqua fino a 250 milioni di africani entro il 2020. E nel 2040, secondo la Banca Mondiale, potrebbe divenire inservibile tra il 40 e l’80% della superficie dell’Africa Sub-sahariana destinata alla coltivazione di cereali. Un emblema delle disuguaglianze globali, dato che il continente ha un impatto minimo sul cambiamento climatico producendo appena il 2-4% delle emissioni annuali di gas serra.

Allora potrebbero porsi almeno altre tre questioni parlando di rifugiati e migrazioni forzate: la possibilità di rivedere il diritto alla protezione internazionale considerando le nuove crisi climatico-ambientali e includendo la categoria dei “rifugiati ambientali”; la necessità di mantenere forte l’attenzione ai comportamenti individuali ed al dibattito internazionale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico; la possibilità di rafforzare il sostegno ai Paesi di provenienza dei “migranti ambientali”, come già stanno facendo le Ong e la cooperazione internazionale, per aumentare la capacità delle comunità più vulnerabili ad affrontare gli eventi climatici estremi ai quali sicuramente saranno sottoposte negli anni a venire.