Meloni, la sua destra e la “democrazia” dell’underdog: vocazione al comando senza contrappesi

10 Agosto 2024

C’è un minimo comune denominatore, una assonanza nemmeno tanto recondita, un sottile filo nero che tiene insieme le reazioni di Giorgia Meloni alle parole di Bolognesi sulle connessioni storiche tra l’estremismo neofascista e l’attuale destra di governo e le dichiarazioni di Federico Mollicone relative all’esistenza di un teorema giudiziario secondo cui “nel dopoguerra gli Usa, con la loggia P2 e perfino il MSI avrebbero, con la strategia della tensione e le stragi, condizionato la storia repubblicana”. Teorema che giustificherebbe un’interrogazione al Ministro della Giustizia volta a far accertare il rispetto, nell’ambito dei processi per la strage del 2 agosto 1980, delle garanzie di accusa e difesa.

Un sottile filo nero che travalica il collaudato tentativo di estirpare la violenza dal fascismo, alla ricerca di una sorta di “fascismo buono” al quale saldare le radici profonde della fiamma tricolore; un sottile filo nero in grado di andare oltre l’altrettanto collaudata tendenza a descrivere gli esponenti della destra italiana, financo nelle sur articolazioni ordinoviste, come il bersaglio di una persecuzione giudiziaria che rinnega le responsabilità accertate tra Bologna e Piazza Fontana, passando per Piazza della Loggia e l’Italicus; un sottile filo nero destinato a non esaurirsi nella capacità dell’underdog di proporsi sempre e comunque come la potenziale vittima del livore di quanti faticano a metabolizzare il responso delle urne.

Underdog ma senza limiti

No, questo filo nero va oltre: si insinua nel pensiero più profondo degli epigoni di Almirante e del maestro Rauti, portando ad emersione la concezione di democrazia che in definitiva ispira le strategie del melonismo. Su cosa si basa questa concezione? In quale democrazia credono, i fratelli dell’underdog?

In un’idea di democrazia non ispirata al limite imposto ad un potere dalla presenza di un altro potere: un’idea di democrazia per certi versi caratterizzata dal libero imperversare di quei “poteri selvaggi” a cui faceva riferimento Luigi Ferrajoli in un suo saggio di qualche anno fa. Un’idea di democrazia, in altri termini, basata sulla artificiosa sovrapposizione tra fisiologica aspirazione al governo e pericolosa vocazione al comando. Se il governo costituisce infatti l’oggetto di una funzione – come tale, da esercitarsi nel rispetto dei limiti imposti ai depositari del potere politico contingente dalla presenza delle istituzioni di garanzia, della magistratura, dell’opinione pubblica – il comando, per sua natura, rappresenta la negazione del limite: chi comanda non tollera limiti; chi comanda rimuove i limiti. Della magistratura, dell’opinione pubblica, financo della stessa Storia.

Ecco, la vocazione al comando: il filo nero, tra le parole di Meloni e quelle di Mollicone.
E’ la vocazione al comando che legittima il più forte a riscrivere la Storia a suo appannaggio esclusivo, superando verità cristallizzate in sentenze ormai rivestite dello scudo del giudicato; è la vocazione al comando che teorizza un pubblico ministero sottoposto alla voluntas del potere politico, inevitabile portato della separazione delle carriere di gelliana memoria; è la vocazione al comando che consente di individuare nel Guardasigilli (e dunque nel Governo) il soggetto preposto a riscrivere le sentenze al di fuori di ogni meccanismo processuale, rilevando a suo imperscrutabile giudizio le eventuali violazioni delle garanzie di accusa e difesa.

Sì, esiste un filo nero tra le parole di Meloni e quelle di Mollicone. Un minimo comune denominatore, una assonanza nemmeno tanto recondita. È l’idea di una democrazia come potere senza limiti, basata sull’arbitraria sovrapposizione tra governare e comandare.

Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il Paese

13 dicembre 2022, Giulia Pompili e Maurizio Scarpari parlano del libro “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il Paese” di Giulia Pompili e Valerio Valentini (ed. Strade blu Mondadori). Coordina Amina Crisma.
Con lo scoppio della crisi di governo, iniziata l’11 luglio 2022, l’Italia è precipitata in una campagna elettorale per molti versi inedita….

I ministri di Meloni: la strampalata combriccola che ci governa

Fonte Strisciarossa.it che ringraziamo

 

Ormai una decina di anni fa, nel corso di una di quelle trasmissioni un po’ populistiche un po’ dissacratorie, bersaglio il sistema politico/partitico, venne trasmesso il reportage di una giovane cronista che, davanti a Montecitorio, fermava vari parlamentari chiedendo l’anno della rivoluzione francese. Se ne sentirono di tutti i colori, non uno che indovinasse quella data, fatidica per il mondo intero, mandata a memoria dai ragazzini delle medie, anche per la facilità della sequenza: 1 e poi 789. L’ignoranza dei nostri massimi rappresentanti non fece scandalo, mosse semplicemente qualche ironico sorriso. Ma l’ignoranza della storia potrebbe apparire poca cosa rispetto all’ignoranza dei codici: almeno una quarantina di parlamentari (una trentina dalla destra) risultano indagati o addirittura condannati per reati vari, per lo più connessi ai privilegi e ai poteri che le cariche possono consentire o prevedere. L’ignoranza di una cosa può ovviamente sommarsi e sovrapporsi all’ignoranza dell’altra e non è certo che cosa sia meglio agli occhi del pubblico: ignoranza o disonestà.

Umili o umiliati?

Non è bello comunque scoprire come un ministro, professore universitario, sicuramente onestissimo, uno che di questi tempi difficili si era fatto conoscere (poco) per un libro intitolato “L’impero romano distrutto dagli immigrati”, pochi giorni fa abbia scritto dal suo nuovo ufficio romano una lettera ai “suoi” studenti “contro il comunismo”, trascurando l’esistenza (anche sul suolo italiano)  del fascismo e come in un pubblico convegno abbia confuso l’umiliazione con l’umiltà: le parole, e spesso i silenzi, sono pietre, dovrebbero pesare pure in un mondo della comunicazione che digerisce e dimentica tutto in un batter di ciglia. Forse i nostri ministri fanno conto su questo, facendosene interpreti: la volatilità delle parole, la disarticolazione del pensiero ridotto a monosillabi. Proviamo a immaginare quanto possa restare della lettura di un tweet. Ad esempio quello di Guido Crosetto: “Le Ong strumento ideologico: sono centri sociali in acqua”. Senza vergogna di fronte ad una tragedia e ai morti.

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