Desaparecidos, catturato in Brasile uno degli ufficiali della Marina che partecipò al sequestro dello scrittore argentino Walsh

FONTE:  CONTROLACRISI.ORG

 

 

Uno degli ufficiali della Marina che partecipò nel 1977 al sequestro e all’uccisione dello scrittore e giornalista argentino Rodolfo Walsh, ricordato come un mito di resistenza alla dittatura (1976-1983), è stato catturato ieri in Brasile.
Si tratta di Gonzalo ‘Chispa’ Sánchez, che polizia brasiliana ha localizzato a Paraty, sul litorale di Rio de Janeiro, in esecuzione di un ordine di arresto internazionale firmato molti anni fa, nel 2009, dal giudice argentino Sergio Torres.
Autore di ‘Operación Masacre’, considerato come il primo romanzo di genere ‘No Fiction’, sorta di sintesi fra il romanzo tradizionale e la testimonianza storiografica, Walsh mostrò fin dall’adolescenza le sue propensioni letterarie.
Dopo una stagione vicina a movimenti di destra, viaggiò a Cuba, partecipando con Gabriel Garcia Marquez alla fondazione dell’agenzia di stampa Prensa latina, e segnalandosi come precursore di Wikileaks quandò intercettò e decifrò comunicazioni della Cia con agenti in Guatemala con cui era stata preparata la fallita invasione della Baia dei Porci a Cuba.
Negli anni ’70 aderì al movimento dei Montoneros e, dopo il golpe del generale Jorge Rafael Videla, creò l’agenzia di stampa Ancla, facendo circolare oltre 200 dispacci contro la dittatura.
In pericolo, Walsh rifiutò di esiliarsi come avevano fatto altri dirigenti dei Montoneros, e continuò l’attività clandestina. E il 24 marzo 1977, primo anniversario del colpo di Stato, pubblicò l’ultima sua opera, ‘La carta abierta de un escritor a la Junta militar’, in cui denunciò i tanti desaparecidos e criticò la politica neoliberalista governativa.
Il giorno dopo un ‘Grupo de tarea’ della Scuola di meccanica della marina (Esma), guidato dall”Angelo biondo’, Alfredo Astiz, e da Jorge ‘Tigre’ Acosta, e integrato dal ‘prefetto’ Sánchez arrestato ieri, gli tese una imboscata. Walsh morì in una sparatoria, ed il suo corpo non fu mai più ritrovato.

Brasile nel caos: Bolsonaro costringe alle dimissioni il ministro della salute. E’ il secondo in un mese…

FONTE RAWAIADUNA 

 

Nelson Teich, nominato ministro della salute in Brasile appena un mese fa, ha deciso di mollare. In meno di un mese è stato di fatto esautorato ogni giorno dal suo presidente della Repubblica, un Jair Bolsonaro oramai trasformatosi nel nemico numero uno al mondo di tutto ciò che è scienza e di ogni politica di serio contenimento dell’epidemia di coronavirus nel gigante sudamericano.

Gli ospedali sono al collasso, le cifre ufficiali, bugiarde visto il limitato numero di tamponi per scoprire gli infetti e il non censimento della povera gente morta a casa senza alcuna assistenza, fanno del Brasile il paese più infetto dell’area e tra poco del mondo intero. La risposta di Bolsonaro a questa immane tragedia è stata ed è di un cinismo senza limiti. Il coronavirus è una banale influenza, chiudersi in casa è da vigliacchi, usate la clorochina sempre, nonostante più ricerche abbiano attestato l’alta tossicità di questo medicinale che in ogni caso non è né cura né prevenzione.

Prima di Teich, era stato costretto alle dimissioni Luis Mandetta. Mentre l’allora ministro della salute e la gran parte dei governatori spingevano per misure di contenimento e lockdown, Bolsonaro convocava manifestazioni dei suoi sostenitori, bollava di “comunisti” chiunque volesse tenere la gente a casa, incitava i suoi “patrioti” a rivoltarsi contro le istituzioni “traditrici”. Praticamente li invitava al golpe.

Di fronte a questo caos sanitario, al collasso democratico in corso, molti paesi stanno richiamando il personale delle loro ambasciate. Nella comunità internazionale si parla oramai chiaramente di “rischio Bolsonaro”.

” Bolsonaro non vuole un medico ad aver cura della salute dei brasiliani. Vuole un fanatico, un ciarlatano. O un militare che obbedisca, senza pensare, ai suoi ordini. Due ministri della salute dimessi in piena pandemia non rappresentano solo un segnale di incompetenza. Siamo di fronte a un crimine, ad un tentativo di omicidio contro la nostra nazione”, dichiara un esponente politico di opposizione mentre tanti altri, quasi un coro, lanciano un disperato “si salvi chi può”.

Amarissime, a tal proposito, le parole di Luis Mandetta, ex ministro della salute: ” Non ci resta che sperare in Dio”.

silvestro montanaro

Rogo di Marghera, i lavoratori avevano segnalato che c’è qualcosa che non andava negli stoccaggi e avevano anche scioperato contro le condizioni di sfruttamento

FONTE CONTROLACRISI.ORG

Rifondazione Comunista denuncia in una nota che l’incendio a Marghera di un’azienda chimica che produce additivi e detersivi, la 3V Sigma Spa, non è un incidente “ma il prodotto di un contesto già ampiamente denunciato da lavoratori”. Dalle prime notizie il bilancio è per ora di due feriti gravissimi.
I lavoratori avevano scioperato proprio per denunciare le condizioni di sfruttamento degli operai, contro l’obbligo di fare straordinari con turni di otto ore che diventavano anche di dodici e più. “Questa situazione derivante dalla volontà dell’azienda di non fare nuove assunzioni non poteva che produrre la massima insicurezza in una fabbrica chimica a due passi da un quartiere di Marghera i cui abitanti ancora una volta sono costretti a chiudersi in casa al suono delle sirene di allarme”, continua il Prc. I sindacati avevano avanzato dei dubbi sulla regolarità degli stoccaggi e chiesto incontri chiarificatori che in realtà non sono mai arrivati. Sono due anni che denunciamo quanto stava avvenendo alla 3V Sigma, che ha 47 dipendenti. Cinque giorni fa abbiamo spedito all’azienda una richiesta urgente di incontro proprio sui temi della sicurezza. Ma due mesi fa siamo andati davanti al prefetto per spiegare che la situazione era insostenibile. Secondo le informazioni in possesso dei sindacati, in passato denunciati dalla ditta per un’intervista rilasciata a una testata giornalistica locale, l’azienda produce solventi e additivi per le plastiche, sostanze tossiche e nocive.

“Ancora una volta viene fuori che il vero problema del nostro paese – conclude il Prc – è l’irresponsabilità sociale di un padronato a cui i governi – destra o PD non fa molta differenza – hanno consentito da anni con “riforme” sciagurate di cancellare il potere contrattuale dei lavoratori. Ancora una volta si manifesta come sia pericolosa la presenza di produzioni chimiche nei pressi dei centri abitati. Da sempre diciamo che questo non è accettabile e che le produzioni vanno riconvertire per la salute delle cittadine/i per tutelare l’ambiente”.

Orban si prende i pieni poteri

FONTE ARTICOLO21

 

Sapevamo sarebbe accaduto, era prevedibile, Dopo aver incassato l’approvazione della legge che gli ha assegnato pieni poteri, il premier Viktor Orban ha usato le misure ‘antiallarmismo’ per far arrestare gli oppositori e tacitare l’opinione pubblica.
E l’Europa che fa? Cosa dice di fronte a questa spirale autoritaria? Per ora si accontenta dell’annuncio del primo ministro, arrivato in serata, di aspettarsi che il governo “possa restituire al Parlamento i poteri speciali ricevuti a causa della pandemia alla fine del mese di maggio”
Si vedrà, per ora  la svolta autoritaria ungherese appare irreversibile nel silenzio colpevole di un’Unione Europea intimorita da Orban.
In queste ore, i fatti confermano i nostri timori. La cosiddetta ‘legge antiallarmismo’ fatta approvare da Orban viene usata per intimidire l’opinione pubblica qualificata, i media, l’opposizione politica e dissuaderli dal criticare l’operato del governo sulla gestione della crisi sanitaria ed economica e più in generale l’azione di Orban tout court. Persino parlamentari vengono arrestati, interrogati con l’evidente scopo di tacitare il dissenso.
Un bavaglio che soffoca ogni vice libera e critica in Ungheria.

Edgar Morin: sull’epidemia

“Questa crisi dovrebbe aprire le nostre menti a lungo confinate sull’im­mediato”. Per il sociologo e filosofo francese, 99 anni, la corsa alla redditività e le carenze nel nostro modo di pensare sono responsabili di innumerevoli catastrofi umane causate dalla pandemia di Covid-19. Nato nel 1921, ex combattente della resistenza, sociologo e filosofo, pensatore interdisciplinare e indisciplinato, dottore honoris causa di 34 università in tutto il mondo, Edgar Morin dal 17 marzo è confinato nel suo appartamento a Montpellier con sua moglie, la sociologa Sabah Abouessalam. È da rue Jean-Jacques-Rousseau, dove risiede, che l’autore di La Voie (2011) e Terre-Patrie (1993), e che ha recentemente pubblicato Les Souvenirs viennent à ma rencontre (Fayard, 2019), un’opera di oltre 700 pagine in cui l’intellettuale ricorda in profondità le storie e gli incontri più forti della sua esistenza, ridefinisce un nuovo contratto sociale, si impegna in alcune confessioni e analizza una crisi globale che – dice – lo “stimola enormemente”.

 

A cura di Nicolas Truong

 

 

La pandemia, dovuta a questa forma di coronavirus, era prevedibile?

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Noam Chomsky e la crisi causata dal Covid-19: siamo di fronte a un altro errore colossale del capitalismo neoliberista

foto wikipedia

FONTE PRESSENZA.COM

Il filosofo e linguista statunitense ha criticato con toni molto duri la gestione della pandemia da parte di Donald Trump, asserendo che «ciò che ha fatto all’OMS è un vero crimine».

Per il filosofo e linguista Noam Chomsky, la prima grande lezione dell’attuale pandemia è che siamo di fronte a un «altro colossale errore del capitalismo neoliberista» che, nel caso degli Stati Uniti, è aggravato dall’indole dei «buffoni psicopatici che guidano il governo» capitanato da Donald Trump.

Dalla sua casa in Tucson (Arizona) e lontano dal suo ufficio nel Massachusetts Institute of Technology (MIT), in cui rivoluzionò per sempre il campo della linguistica, Chomsky esamina – in un’intervista con Efe – le conseguenze di un virus  che dimostra come i governi siano sempre stati «il problema e non la soluzione».

Quali lezioni positive possiamo ricavare dalla pandemia?

La prima lezione è che siamo di fronte a un altro errore colossale del capitalismo neoliberista. Se non capiamo questo, la prossima volta che ci succederà qualcosa di simile andrà ancora peggio. È ovvio dopo quello che successe in seguito all’epidemia della SARS nel 2003. Gli scienziati sapevano che sarebbero arrivate altre pandemie, forse del tipo del coronavirus. In quel momento sarebbe stato possibile prepararsi e trattarlo come si fa con l’influenza, ma non è stato fatto.

Le aziende farmaceutiche hanno le risorse e sono ricchissime, ma non lo fanno perché i mercati dicono che non ci sono benefici nel prepararsi a una catastrofe dietro l’angolo. Poi arriva la batosta neoliberista. I governi non possono fare nulla. Continuano a essere il problema e non la soluzione. Gli Stati Uniti sono una catastrofe per il gioco che portano avanti a Washington. Sanno come incolpare tutti eccetto se stessi, nonostante siano responsabili. Adesso siamo l’epicentro, in un paese talmente disfunzionale che non riesce nemmeno a fornire informazioni sul contagio all’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS).

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In ricordo di Luis Sepulveda

Riportiamo dal sito di Amnesty Italia l’addio  a Luis Sepulveda 

Il nostro addio a Luis Sepulveda è attraverso le sue parole. Quelle che ci ha donato scrivendo la prefazione di “Non sopportiamo la tortura“, libro di Amnesty International Italia edito da Rizzoli, Milano, nel 2000.

Venti anni fa, mi sono fermato davanti alla porta di una casa ad Amburgo. Lì viveva una persona di cui conoscevo appena il nome, Ute Klemmer e, nonostante avessi ricevuto da lei una dozzina di lettere, nel risponderle non mi era mai capitato di chiederle l’età o se avesse una famiglia. Stavo per conoscerla e per questo non dovevo fare altro che suonare il campanello, però una forza poderosa mi impediva di alzare la mano. Era una forza che mi obbligava a rivedere I dettagli della mia vita che mi avevano portato fino a lì.

Nessuno è capace di precisare quale sia la cosa peggiore del carcere, dell’essere prigioniero di una dittatura, di qualunque dittatura, e nemmeno io posso indicare se il peggio di tutto ciò che ho dovuto sopportare sia stata la tortura, I lunghi mesi di isolamento in una fossa che mi appestava, il non sapere se fosse giorno oppure notte, l’ignorare da quanto tempo stessi nelle mani degli sbirri di Pinochet, I simulacri di fucilazione, I compagni morti o la denigrazione costante e sistematica. Tutto è peggio in carcere, e ricordo specialmente un momento in cui I militari quasi ottennero ciò che volevano: che accettassi volontariamente di essere annichilito e condannato all’atroce solitudine degli sconfitti.

Al termine di un processo sommario del tribunale militare in tempo di guerra, tenuto a Temuco nel febbraio 1975 e nel quale fui accusato di tradimento della patria, cospirazione sovversiva e appartenenza a gruppi armati, insieme ad altri delitti, il mio difensore d’ufficio (un tenente dell’esercito cileno) uscì dalla sala dove si celebrava il processo senza la presenza di noi accusati – che aspettavamo in una stanza vicina – e con gesti euforici mi informò che era andato tutto bene per me: ero riuscito a liberarmi della pena di morte e in cambio mi si condannava solamente a ventotto anni di prigione.

Allora io ero un uomo giovane, avevo venticinque anni e non seppi come reagire quando, dopo un calcolo elementare, scoprii che avrei recuperato la libertà a cinquantatré anni.

È anche certo che allora ero un ottimista a oltranza – ancora lo sono – e mi ripetevo che la dittatura non sarebbe durata tanto, ma alle volte, soprattutto durante le lunghe notti, la ragione si imponeva e cominciai ad accettare che forse la dittatura sarebbe stata lunga, molto lunga, e che avrei perso I migliori anni della mia vita tra i muri del carcere.

I compagni, le lettere della famiglia e di alcuni amici mi davano coraggio, anche se non smettevano di ripetermi che per disgrazia non potevano fare più niente per aiutarmi e che l’unica cosa importante era che io fossi vivo. Si. Ero vivo, però la vita cominciò ad avere un terribile sapore di solitudine di fronte all’ingiustizia fino a che, una mattina, un soldato mi consegnò una lettera. La aprii e dopo averla letta seppi che, a migliaia di chilometri di distanza, ad Amburgo, c’era una persona, Ute Klemmer, che era disposta ad aiutarmi fino a tirarmi fuori dalla prigione.

Così iniziò uno scambio epistolare che rese meno brutali I giorni della segregazione. Nelle sue lettere, Ute mi parlava degli sforzi della sezione amburghese di Amnesty International per aiutare I numerosi cileni che si trovavano in condizioni simili alla mia, e le descrizioni della sua città e delle centinaia di atti di solidarietà ai quali assisteva, portavano brezze di libertà fino al carcere di Temuco.

Un giorno nel 1977, grazie al lavoro, alla costanza dei membri di Amnesty International, ottenni che I militari cileni rivedessero il mio caso e alla fine mi cambiarono I venticinque anni di prigione con otto di esilio, che in realtà e a dimostrazione del rispetto dei militari cileni per la giustizia, si prolungarono a sedici lunghi anni senza poter calpestare la terra cilena.

Per questo, detto in maniera più semplice, devo la mia libertà ad Amnesty International, alle sigle di AI, a Ute Klemmer e a tutte e tutti coloro che in tanti paesi lavorano instancabilmente in difesa dei diritti umani, in difesa dei perseguitati in tutti gli angoli del pianeta.

Quella mattina, ad Amburgo, quando ho avuto finalmente la forza, ho alzato la mano e suonato il campanello. Dopo pochi secondi, si è aperta la porta e mi sono trovato di fronte una ragazza dall’aspetto molto fragile.

– Vive qui Ute Klemmer? –, ho chiesto.
– Si. Sono io –.

Quindi ho preso le sue mani e le ho detto “GRAZIE”.

Grazie per la mia libertà e per la libertà di tanti. Grazie per quella forza, per quella coerenza, per quella determinazione nella lotta, per quella generosità che esalta l’essere umano. E oggi, come faccio da vent’anni, ripeto quel “Grazie” nell’unico modo possibile: partecipando a tutte le azioni di Amnesty International e invitando I miei lettori e amici ad appoggiare gli sforzi di Amnesty International, l’unica istituzione che vegli per la dignità umana, per il diritto fondamentale alla giustizia e per il dovere di coscienza di opporsi alle tirannie.

Ad Amnesty International tutta la mia gratitudine, la mia ammirazione e la sempre presente disposizione a collaborare in tutto quanto sia necessario.

Un abbraccio fraterno alla sezione italiana di Amnesty International.
Luis Sepulveda

I fascisti e l’estrema destra vedono un’opportunità nella pandemia

Il neo-nazista americano Timothy Wilson iniziò a costruire una bomba a metà marzo. Pianificò di attaccare un ospedale del Missouri per curare i pazienti COVID-19 per accelerare la diffusione della malattia e invitare il caos sociale, che pensava potesse essere sfruttato per inaugurare un nuovo ordine mondiale di etno-stati fascisti.

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LIBERTÀ DI STAMPA O LIBERTÀ DI MENZOGNA?

Fonte Angelodorsi

Il Coronavirus sta ottundendo le facoltà cerebrali, prima ancora che attaccare i polmoni. Navighiamo in un oceano di follia. Ho scritto più volte che la prima “emergenza” in Italia è la cosiddetta informazione, che è controllata in gran parte da due gruppi finanziari, ed è assolutamente omologata culturalmente, oltre che politicamente a senso unico, e povera, spesso poverissima sul piano della mera capacità giornalistica, non di rado anche nella padronanza della lingua italiana.

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Milagro Sala passa il suo quinto compleanno consecutivo in prigione

Fonte Pressenza.com

La leader sociale Milagro Sala ha compiuto 56 anni giovedì. Attualmente è agli arresti domiciliari nella sua casa di San Salvador de Jujuy. È stata arrestata nel contesto di una manifestazione all’inizio del 2015. Da allora non ha mai riavuto la libertà.

Il 16 gennaio, la referente dell’organizzazione di quartiere Tupac Amaru ha celebrato quattro anni di detenzione, prima nel carcere “Alto Comedero” e dal 2018 nella sua casa nel quartiere di Cuyaya, a San Salvador de Jujuy, dove condivide le sue giornate con il suo partner Raúl Noro e con i visitatori che provengono da diverse parti del paese – e anche da altri paesi – per incoraggiarla e sostenerla.

Di recente in un’intervista pubblicata dal quotidiano Página 12, Sala ha affermato che «farei di nuovo ciò che ho fatto, perché sono convinto che il bisogno dell’altro debba essere soddisfatto. Le persone si aspettano che i leader risolvano i loro problemi. Sfortunatamente, ci sono molti leader che non risolvono i problemi per l’altro, ma per sé stessi. Quello che mi manca di più, ora che sono rinchiusa in casa mia – e quello che mi è mancato di più in prigione – è la militanza”.

In quell’intervista, Milagro Sala ha contestato duramente al governatore Gerardo Morales di essere “perseguitata in modo permanente” dal presidente. L’obiettivo dell’organizzazione, ha affermato, “non è mai stato quello di competere con lo Stato. Tutto è stato sempre fatto in base ai bisogni delle persone, siano esse case, scuole, fabbriche o piscine. ”

“Morales prova un odio viscerale nei miei confronti; un odio che non capisco perché si comporta come se gli avessi preso qualcosa e non credo che sia neanche per rivalità politica”, ha spiegato Milagro Sala nell’intervista, aggiungendo: “Non gli ho mai preso nulla, neanche la ribalta politica. Mi ha reso virale ciò che mi ha fatto lui. E sembra non avere limiti.”

Per quanto riguarda la possibilità di ritornare in libertà, la leader di Tupac Amaru ha sottolineato di avere “molta speranza” e ha aggiunto: “Vorrei che quest’agonia finisse, la mia come anche quella dei miei compagni. Siamo ostaggi della politica di opposizione”.

Alla fine, la leader jujeña ha detto: “La cosa peggiore di questi quattro anni è che mi hanno trattato come un oggetto. E sapere che accadono cosa al di fuori che non puoi risolvere stando dentro. Chi ti ama non vuole che tu le sappia, ma tu le cose le vieni a sapere lo stesso”.

Milagro Sala è stato condannata a 13 anni di carcere per il crimine di “associazione illecita”, secondo la sentenza del Tribunale Penale n. 3 di Jujuy nel quadro del caso chiamato “Pibes Villeros”. Questa sentenza è stata impugnata dinanzi alla Corte Suprema di Giustizia e se ne sta attendendo la revisione.

Vespa. Doppio esposto. Al Comitato per il Codice etico della Rai e al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio

 

FONTE ARTICOLO21.ORG

È stato presentato dal Consigliere di Amministrazione della Rai eletto dai dipendenti, Riccardo Laganà, e dal Segretario dell’Usigrai, Vittorio di Trapani, nei confronti di Bruno Vespa. La richiesta è quella di valutare – ciascuno per le proprie competenze – profili disciplinari e deontologici rispetto alle accuse rivolte da Vespa nei confronti di una ong, seccamente smentite dai diretti interessati. Questo fatto ha esposto la Rai a rischi di immagine da parte di un proprio collaboratore. Inoltre, nei giorni precedenti, Vespa ha rivolto gravi accuse nei confronti del proprio datore di lavoro, accusandolo di aver sospeso la trasmissione ‘Porta a Porta’ “senza un motivo ragionevole” ipotizzando una decisione dal “sapore politico”.

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Categorie ONG

Rivolta in Cile: la vita contro il capitale Pierina Ferretti e Mia Dragnic 13 febbraio 2020

FONTE : VIEWPOINTMAG.COM CHE RINGRAZIAMO

“Non sono 30 pesos, sono 30 anni”

All’inizio di ottobre 2019, un aumento di $ 0,04 della tariffa della metropolitana è entrato in vigore nella città di Santiago. Pochi giorni dopo, gli studenti delle scuole superiori hanno iniziato a organizzare giorni di azione diretta, invitando le persone a sfuggire al pagamento del biglietto in segno di protesta contro le misure imposte dal governo. L’atto di saltare sui tornelli nelle stazioni della metropolitana si è diffuso rapidamente e le organizzazioni studentesche hanno richiesto un giorno di grande evasione venerdì 18 ottobre, con lo slogan “Evadi, non pagare, un’altra forma di lotta”. La popolazione ha risposto massicciamente alla chiamata e le proteste hanno avuto luogo nelle principali stazioni della metropolitana della città, che hanno incontrato una brutale repressione da parte dei Carabineros del Cile (una forza di polizia armata sotto il Ministero degli Interni) e la sospensione dei trasporti pubblici in diversi punti centrali della Santiago. Questa situazione ha portato al caos nelle ore di punta, mentre milioni di residenti stavano tornando a casa dal lavoro. Al calar della notte, la popolazione, indignata per l’azione della polizia e la reazione del governo, si riversò per le strade, sbattendo pentole e padelle. Le barricate salirono in tutta la città e nel giro di poche ore era iniziata la più grande rivolta sociale del paese, passando da una reazione all’aumento della tariffa a una sfida generale alle condizioni di vita imposte in più di quarant’anni di neoliberismo ortodosso .

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Detenzione di Milagro Sala: uno scandalo che cresce e coinvolge i poteri di Jujuy 07.02.2020 – Osvaldo Bocero

FONTE PRESSENZA.COM 

 

Le registrazioni audio recentemente diffuse in cui il presidente della Corte Suprema di giustizia di Jujuy – Pablo Baca – riconosce che Milagro Sala è detenuta per decisione del governatore Gerardo Morales, hanno provocato uno scandalo tra i diversi poteri della provincia.

Queste prove sono la base per un processo politico contro Baca, promosso dal blocco di deputati del Partito Peronista, con l’accordo di un settore degli ufficialisti. Il caso ha acquistato risonanza nella provincia e ha scatenato una serie di dichiarazioni incrociate in cui viene messa in discussione l’indipendenza della magistratura dall’esecutivo.

Il blocco si sta anche concentrando sul ruolo del procuratore Sergio Lello Sanchez, capo della Procura della Repubblica. Sulla base delle audizioni tra Baca e la sua amica, Lello Sanchez è coinvolto nell’estorsione di giudici e pubblici ministeri. Inoltre, insieme al figlio del governatore, ha redatto un testo di legge fatta su misura per potere esecutivo.

Dopo che sono state diffuse le registrazioni, Pablo Baca ha ammesso che la voce era sua ma che i file audio erano stati manipolati, modificati e mal interpretati. “El Cohete a la luna”, che ha reso pubbliche le registrazioni, ha risposto che solo la voce dell’interlocutore è stata modificata, per proteggere la sua identità.

Lunedì scorso, visto lo scandalo causato dalle sue dichiarazioni, Baca ha chiesto una sospensione dalle sue funzioni, ma ha dichiarato che non si sarebbe dimesso perché ciò equivarrebbe ad ammettere la sua colpa, dichiarandosi in modo inconsistente vittima di “un’imboscata”.

Un ripasso sulla vicenda

Gerardo Morales è entrato in carica come governatore il 10 dicembre 2015. Nella prima settimana del suo mandato ha modificato la struttura del Ramo giudiziario. Solo 5 giorni dopo l’assunzione dell’incarico ha proposto l’aumento del numero di membri della Corte Suprema di Giustizia da 5 a 9. Quel voto favorevole al progetto, ha fatto sì che due deputati radicali (che hanno votato a favore), siano stati nominati giudici del Tribunale il giorno dopo. Uno di loro era Pablo Baca. Gli altri due nuovi giudici erano ex deputati radicali. Ciò ha garantito una maggioranza automatica di cinque voti con l’allora presidente Clara Langhe de Falcone, anch’essa radicale ed ex avvocato di Morales. Quest’ultima è ricordata per aver dichiarato pubblicamente che Milagro Sala è in carcere perché è la gente a volerlo.

Due giorni dopo l’ampliamento del Tribunale, il Legislatore ha deliberato la creazione della Pubblico Ministero dell’Accusa, che è stato affidato a Lello Sanchez, amico del figlio del governatore, che, secondo Baca, ha messo in piedi il piano di persecuzione.

Ricordiamo che il 14 dicembre di quell’anno Milagro Sala e la sua organizzazione Tupac Amaru, hanno iniziato un presidio in Plaza Belgrano davanti all’ufficio del governatore per chiedere impegni produttivi per le cooperative, in vista della chiara decisione di Morales di non includere l’organizzazione in quei progetti.

Un mese dopo per questa protesta Milagro Sala è stato arrestata, con l’accusa di disturbo dell’ordine pubblico. Trattandosi di una lieve violazione, il fermo non sarebbe potuto durare più di 48 ore. Questo è il tempo che è stato sufficiente a Morales e al sistema giudiziario sotto il suo comando per presentare denunce e intentare cause contro la leader sociale. Sono passati più di 4 anni e Milagro è ancora detenuta (oggi agli arresti domiciliari) così come altri membri della Tupac, in quello che rappresenta il caso più immorale di persecuzione politica in una democrazia.

Con grande tempismo, questa settimana a Jujuy la radicale Josefa Herrera, consigliera di Gerardo Morales al Senato, ha preso in mano l’Ufficio anticorruzione. Interrogata sulla sua vicinanza al governatore, Herrera ha fatto una dichiarazione che rimarrà nella memoria di questo periodo a Jujuy: “Sarò indipendente perché queste sono le istruzioni del Signor Governatore”.

ECO-DEMOCRAZIA. PER UNA FONDAZIONE ECOLOGICA DEL DIRITTO E DELLA POLITICA

FONTE LEPAROLEELECOSE

di Sergio Messina

 

[Pubblichiamo un estratto dal volume di Sergio Messina, Eco-democrazia. Per una fondazione ecologica del diritto e della politica, uscito di recente per i tipi di Orthotes].

 

L’improbabile necessità di una eco-democrazia cosmopolita

 

Una forma alternativa di democrazia ecologica “radicale” – non identificabile con la Global Enviromental Governance “sistemica” – è descritta dai teorici dei commons (e dei natural commons in particolare) senza che però vi sia stata una simile elaborazione teorica nel campo “globale” […]. Situazione dovuta essenzialmente al fatto che il diritto internazionale dell’ambiente mostra ancora (come evidenziato dai giuristi della Earth jurisprudence e del rule of law for nature) un’incoerenza di fondo poiché riflette uno scollamento dell’economia dal sapere ecologico[1], [una] mancanza di coordinazione tra obiettivi di carattere economico e ambientale [ed è] caratterizzato da forme di co-decisione demandate principalmente al multilateralismo degli esecutivi.[2]

>>> L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE  LEPAROLEELECOSE

A Davos la paura fa novanta

FONTE  PRESSENZA.COM

 

28.01.2020 – Marco Bersani – Comune-info

Al congresso sono tanti, dotti, medici e sapienti, per parlare, giudicare, valutare e provvedere”. Non serve scomodare Edoardo Bennato per percepire come a Davos,  tra sorrisi rassicuranti e sguardi cortesi, la paura dei potenti abbia assunto, per la prima volta, le vesti della padrona di casa. Il fatto è che sono giunti contemporaneamente al pettine due nodi potenzialmente devastanti per il destino del capitalismo, tanto caro ai partecipanti, accorsi da tutto il pianeta.

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Bruno Giorgini: I nazipopulisti sconfitti alle elezioni dell’Emilia

 

FONTE INCHIESTAONLINE

I nazional populisti (d’ora in poi sincopati in nazipopulisti) guidati dalla Lega tracotante di Salvini, percorsi da brividi di febbre fascista, hanno tentato l’invasione dell’Emilia “rossa” per occuparla. Ma sono rimasti scornati, perdendo le elezioni 51 a 43. Così la racconta Fausto Anderlini: “La scudisciata della Via Emilia, grande madre regionale, splendida metropoli civica, lascia il segno sulle chiappe dei balordi calati dalle plaghe irredente del lombardo – veneto.”

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Analisti della Counter Terrorism Policing inglese pasticcioni e ignoranti ….

 

In un documento della Counter Terrorism Policing, una guida  ad uso degli agenti di polizia sui movimenti terroristi,  nella quale sono indicati movimenti eco nazisti e suprematisti,  sono stati inseriti anche Green Peace e movimenti animalisti innocui. Da questo evento denunciato dal Guardian sono nate proteste e denunce .  Il fatto dimostra la superficialità e l’incompetenza degli analisti del CTP i cui dirigenti sono stati costretti a riconoscere gli errori e la necessità di modificare la guida….
Per saperne di più vai alla fonte Infosurhoy

Bruno Giorgini: Contro l’invasione leghista dell’Emilia rossa

Autore : Bruno Giorgini 

Fonte : Inchiestaonline

 

Istituiremo il 26 gennaio dopo il 25 aprile come data della liberazione dai comunisti, ha detto Calderoli senatore leghista. Facendo rivoltare nella tomba i fratelli Cervi sterminati dai nazifascisti, e tutti gli altri partigiani armati e disarmati morti durante la Resistenza, molti con la stella rossa sul berretto. Quella Resistenza che ha prodotto la nostra Costituzione.

Calderoli farebbe bene a non dimenticarlo. La lega nazipopulista (sincope di nazionalpopulista) anche deve fare molta attenzione a scatenare l’odio e a minacciare nelle libere orgogliose terre d’Emilia e Romagna.

Salvini batte la pianura palmo a palmo. Come un cacciatore vuole stanare e abbattere l’Emilia rossa. Anzi, come ha proclamato uno dei suoi luogotenenti: sradicare l’Emilia rossa. Questo strano animale cui concorrono la conservazione stalinista e il riformismo socialcomunista, inestricabilmente intrecciati. Animale che è sopravvisuto fino a oggi, a dispetto del crollo dell’Unione Sovietica e della caduta del muro di Berlino.

Si tratta di una battaglia per la libertà, e per la vita proclama il capo leghista.Bisogna abbattere il giogo comunista, egli fa intendere a ogni piè sospinto. Spera il Truce nelle cittadine della bassa e nei paesi dell’Appenino, così come negli abitanti del contado, quelli che si sentono trascurati (egli pensa), marginali e periferici rispetto alle dinamiche urbane e cosmopolite che animano il tessuto sociale attorno la via Emilia, nella megalopoli che da Piacenza corre fino a Rimini, coniugando i distretti metalmeccanici, delle ceramiche, della maglieria con l’industria del turismo. Epperò Piacenza e Ferrara, sono già governate da sindaci di centrodestra (a vario titolo), Parma da Pizzarotti, sindaco indipendente prima cinque stelle, oggi progressista. Un sindaco di destra governa financo Forlì, che fu terra di repubblicani mazziniani carbonari e terroristi, di camicie rosse insorgenti, la famosa trafila garibaldina, di partigiani che unici assieme alle truppe alleate, salirono fino in alta Italia a caccia di fascisti.

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Per la libertà di Milagro Sala, quattro anni dopo il suo arresto

FONTE PRESSENZA.COM

Il Comitato formatosi per lottare per il suo rilascio sta organizzando un accampamento all’Obelisco nella città di Buenos Aires e oggi compie un atto contro “l’ingiusta e arbitraria detenzione” perpetrata il 16 gennaio 2016. “Speriamo che il cambiamento di contesto contribuisca ad assicurare che sia fatta giustizia e che Milagro sia rimessa in libertà”, ha detto il membro del comitato Ivan Wrobel.

Quattro anni dopo “l’ingiusta e arbitraria detenzione” di Milagro Sala, il Comitato per la liberazione della leader sociale e dei prigionieri politici di Jujuy, insieme alle organizzazioni sociali, politiche, di difesa dei diritti umani e sindacali, si sono accampati all’Obelisco da ieri, e oggi parteciperanno a un evento alle 11:00 per “chiedere che le nostre sorelle e i nostri fratelli siano rimessi in libertà”.

Ivan Wrobel, membro del comitato, ha detto a Va Con Firme che “fin dal primo momento abbiamo detto che Milagro era una prigioniera politica” del governatore della provincia Gerardo “Morales, che c’era un accordo tra l’esecutivo e la magistratura di Jujuy per perseguitare le organizzazioni sociali e popolari con lo scopo di impedire l’accesso ai diritti, per costruire una società e una provincia per pochi, e anche con l’obiettivo di creare un laboratorio o un processo repressivo che poi ha finito per diffondersi in tutto il Paese, che è stata la persecuzione, per mezzo della giustizia, dei compagni militanti”.

L’attivista, che si occupa di Diritti Umani per l’ATE-Capitale ed è Segretario per i Diritti Umani del CTA Autonomo, ha spiegato che al di là del fatto che i casi contro Sala hanno “una sentenza ferma, di prima istanza o di riesame del caso, non c’è mai stata un giudizio indipendente o una vera e propria indagine”.

“Non stiamo dicendo che c’è stato un procedimento legale corretto, in cui si indaga se una certa persona ha commesso o meno un crimine e per questo c’è un’indagine, vengono presentate prove, ci sono testimoni imparziali”. Egli ha invece sostenuto che “quello che è successo è che la giustizia sapeva già quale sarebbe stata la sentenza e il processo era solo una procedura per una condanna scritta in precedenza”.

“Innumerevoli irregolarità”

Wrobel ha descritto che tra le “innumerevoli irregolarità” nei processi contro Milagro c’era, per esempio, “un giudice che non aveva nemmeno superato l’esame per accedere alla sua posizione”. Ci sono stati anche casi di “testimoni che hanno testimoniato contro” la referente della Tupac Amaru e “poi hanno ricevuto denaro nelle loro cooperative o venivano assunti nel governo della provincia”, e anche atti di “persecuzione e minacce” come “quando il giudice ha portato un imputato nel suo ufficio” e lì “lo ha minacciato e gli ha detto che se non avesse indicato Milagro come colpevole, avrebbe passato il resto della sua vita in prigione”.

Sala è stata imprigionata il 16 gennaio 2016 dopo aver partecipato a un accampamento davanti alla casa del governo nella provincia di Jujuy. Secondo quanto riportato dal CELS (Centro di Studi Legali e Sociali), da lì “c’è stata una rete di accuse consecutive, cioè un dispiegamento di casi giudiziari e un contesto di violazione dell’indipendenza giudiziaria, volto a sostenere la privazione della libertà di Sala a tempo indeterminato, come definito dal Gruppo delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, nell’ottobre 2016”.

Il Comitato per la libertà ha dichiarato in un comunicato che “in tutto questo tempo, diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno osservato che la persecuzione di Milagro Sala e del resto dei compagni del Tupac Amaru è stata una persecuzione basata su motivi politici”.

Ha aggiunto che “tuttavia, il governatore Gerardo Morales ha deciso di ignorare queste disposizioni e ha continuato con le vessazioni della magistratura”. In questo senso, il suddetto comitato invita all’evento di oggi alle 11:00 sotto lo slogan “con i prigionieri politici non c’è democrazia”.

Con il Presidente Fernandez

Questa settimana il presidente Alberto Fernández ha ricevuto alla Casa Rosada le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Madri e Nonne di Plaza de Mayo, e tra i tanti argomenti trattati, è stato discusso anche quello di Milagro Sala e della sua prigionia.

Per Wrobel, “il presidente si è preoccupato più volte della situazione dei nostri compagni di prigionia, fin dal primo momento in cui è stato in contatto con Milagro”. Ricorda a questo proposito che “il primo Natale passato in prigione, le ha fatto visita in carcere e più volte le ha espresso la sua solidarietà”.

Fernandez “ha detto innumerevoli volte di essere a favore di una giustizia giusta e imparziale, che la giustizia sia indipendente, e sappiamo che crede che nulla di tutto questo stia accadendo”, ha detto l’attivista. “Quindi lo vediamo positivamente e speriamo che il cambiamento di contesto aiuti a fare finalmente giustizia e che Milagro sia finalmente liberata”.

Intervista a Extinction Rebellion: «Salviamo il pianeta dall’ecofascismo»

«Di questi tempi abbiamo bisogno di solidarietà e modi migliori di lavorare insieme – dice al manifesto – Serve allertare le persone, ma anche prepararsi a resistere»

«Abbiamo solo avuto un piccolo assaggio di ciò che le comunità musulmane e altri gruppi di attivisti hanno ricevuto per anni», ha scritto su Facebook Gail Bradbrook commentando la rimozione del movimento ecologista dal programma dell’antiterrorismo britannico Prevent. Bradbrook, 47 anni, figlia di un minatore di South Kirkby, è studiosa di biofisica molecolare e co-fondatrice di Extinction rebellion (Xr).

Qual è il bilancio del primo anno di Xr?

Esistono 500 gruppi locali in 72 Paesi e altri 200 solo in Uk. Qui la crisi ecologica era poco presente nel dibattito, adesso ha un posto enorme. Il 54% dei cittadini afferma che il tema condiziona il loro voto. Chiaramente questo non ha a che fare solo con Xr, ma anche con i Fridays for future e con film e report pubblicati di recente. Rispetto alle nostre rivendicazioni, invece: alcuni «consigli unitari», cioè corpi di governo locale, stanno dichiarando l’emergenza climatica ed ecologica e anche il parlamento lo ha fatto; Theresa May, quando era ancora primo ministro, ha fissato al 2050 il limite per il processo di decarbonizzazione e chiesto un’assemblea di cittadini con un ruolo consultivo. Non sono esattamente le cose che vogliamo, ma una loro versione annacquata. Comunque segnalano che stiamo lavorando bene.

Uno dei concetti chiave di Xr è la cultura rigenerativa. Cos’è?

La cultura in cui lavoriamo è importante quanto le nostre rivendicazioni, o forse di più. Potremmo anche non ottenere ciò che chiediamo, ma se impariamo a lavorare bene insieme ci stiamo preparando a resistere all’ecofascismo, uno dei rischi più grandi della nostra epoca. La cultura rigenerativa ha quattro parti. La prima è prendersi cura di se stessi. La seconda riguarda le modalità inclusive di lavoro in gruppo. La terza è prendersi cura uno dell’altra prima, durante e dopo le azioni. La quarta è la connessione con la natura, un aspetto fondativo del nostro movimento.

Il concetto di ecofascismo è poco discusso in Italia. Cosa indica?

Il libro di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella lo ha presentato a tanti, anche se non sempre è associato ad esso. In generale ci sono vari indicatori di fascismo che misurano i livelli di misoginia, xenofobia, militarismo, etc. Oggi sono tutti in aumento. Il fascismo cresce quando le persone sono spaventate, circolano meno soldi e si approvano rigide politiche patriarcali. Se le persone capiscono che c’è un’emergenza, il rischio è che vadano nel panico, vogliano meno democrazia e chiedano modelli di comportamento più rigidi. In Xr, invece, sosteniamo che serve più democrazia. Per questo chiediamo assemblee di cittadini che decidano come affrontare la catastrofe climatica. Abbiamo bisogno di una democrazia migliore, non di meno democrazia.

Le élites politiche ed economiche saranno d’accordo?

Douglas Rushkoff è un professore di tecnologia di New York. Ha un blog sulle élites che parlano del cosiddetto «evento», cioè il punto di collasso ecologico e sociale del sistema. Rushkoff ha ricevuto la metà del suo salario da docente universitario per un incontro con cinque top manager di fondi di investimento che volevano sapere in quali zone del mondo la catastrofe arriverà più tardi o come proteggere i loro beni dopo il crack. Ad esempio, se è meglio avere delle guardie con collari elettronici o ricattarle attraverso riserve di cibo tenute sotto codice. Questo tipo di pensiero viene dalla disperazione e dalla separazione, che rendono l’ecofascismo un rischio reale. In questi tempi abbiamo bisogno di solidarietà e modi migliori di lavorare collettivamente. Xr non sta solo lanciando l’allarme, sta anche stabilendo nuove forme di cooperazione prefigurative di come si può resistere alla tendenza all’ecofascismo. Prima o poi ci saranno carenze alimentari, picchi dei prezzi del cibo e accadranno cose che destabilizzano la società. Su questi temi non c’è abbastanza ricerca, ma la Anglia Ruskin University (Uk) sostiene che entro il 2040 il cibo scarseggerà. L’Istituto Goddard per gli studi spaziali, che fa parte della Nasa, ritiene che fenomeni simili accadranno prima. Con questo rischio in gioco, il pericolo dell’ecofascismo può solo crescere. C’è bisogno di allertare le persone, ma anche di prepararsi a resistere.

Ha menzionato varie volte il patriarcato. Le donne o il pensiero femminista hanno un ruolo particolare in Xr?

Nel movimento ci sono un sacco di donne fantastiche. In Uk la direzione del team artistico è di Clare Farrell, di estrazione proletaria. Esther Stanford-Xosei si occupa di come condividere risorse attraverso l’International Solidarity Network. Skeena Rathor, donna musulmana, è a capo del «vision team». C’è poi un ragionamento sui 10 principi di base, creati con un’idea di liberazione che tenga in considerazione le esperienze che ognuno vive in un sistema patriarcale. Uno di questi è not blaming and shaming, cioè evitare di biasimare e incolpare. Non sta a noi creare una cultura del dito puntato o della caccia alle streghe o far vergognare le persone mentre cerchiamo di affrontare il modo in cui la cultura patriarcale si manifesta nei movimenti. Quando la sinistra forma un plotone d’esecuzione è come se stesse in piedi in cerchio: attacca se stessa. La nostra ombra è colpirci l’un l’altro. Abbiamo bisogno di fare dei passi in avanti, verso una nuova cultura di rigenerazione.

Sindaci tedeschi ostaggi della destra: “Vicini ai migranti”

Servizio da Berlino di Tonia Mastrobuoni su Repubblica del 12 gennaio 2020

Crescono minacce e aggressioni ai primi cittadini che danno assistenza ai rifugiati: molti costretti alle dimissioni per paura

 

BERLINO – Andreas Hollstein è sindaco di Altena, piccolo borgo medievale cullato dalle campagne del Nordreno-Westfalia. Quando arrivò l’emergenza profughi, li accolse a braccia aperte. E quando gli arrivarono le prime minacce razziste, non si preoccupò. Ma un giorno, mentre stava ordinando un kebab, si ritrovò un coltello alla gola. È vivo per miracolo: due uomini ebbero una reazione fulminea e buttarono a terra l’aggressore. Un caso isolato? Neanche per sogno.

Da tempo si accumulano in Germania le dimissioni di sindaci che finiscono nel mirino dei neonazisti, il più delle volte perché si sono mostrati solidali o semplicemente non ostili con i migranti. E purtroppo, conquistano le prime pagine soltanto quando gettano la spugna. O quando dalle minacce si passa alle aggressioni fisiche, come nel caso più famoso, quello di Henriette Reker, la sindaca di Colonia che fu accoltellata cinque anni fa da un estremista di destra, durante un comizio. Di recente, quando è stata di nuovo minacciata da un gruppo di nostalgici del Reich che si firmano “Staatsreichorchester”, “Orchestra del colpo di Stato”, la notizia è scivolata tra le brevi. Così come è stato notato appena che il candidato della Cdu alle elezioni regionali della Turingia, Mike Mohring, ha ricevuto dallo stesso gruppo una mail in cui lo invitavano a ritirarsi dalla corsa o altrimenti lo avrebbero fatto saltare con un autobomba. Firmato “Sieg Heil”.

Non tutti alzano bandiera bianca. Nel caso di Christoph Landscheidt, primo cittadino di Kamp-Lintfort, molti politici si sono detti scandalizzati perché ha deciso di reagire. E sta facendo una battaglia per procurarsi un porto d’armi. Discutibile, ovvio, e lui stesso ha detto di non voler andare in giro come uno sceriffo texano ma di voler proteggere se stesso e la sua famiglia dalle continue minacce di morte. Ma in qualche caso, come ricorda il tragico caso di Walter Luebcke, il presidente del distretto di Kassel ucciso a giugno con un colpo di pistola sul suo terrazzo di casa da un neonazista, la protezione dello Stato è arrivata tardi.

Volker Bouffier ha definito Luebcke “un costruttore di ponti”, ed è ciò che accomuna questi sindaci di una resistenza diffusa ma irregolare, nascosta spesso nelle zone rurali, lontane dai riflettori. Dove i neonazisti stanno sistematicamente costruendo colonie hitleriane e terrorizzando chi vi si oppone.

Per aver condannato il brutale pestaggio di un profugo iracheno da parte di quattro uomini, la sindaca di Arnsdorf Martina Angermann è stata subissata per mesi di insulti e minacce di morte. C’è un video che non lascia dubbi sulla violenza dell’azione contro il rifugiato, eppure gli aggressori si sono autobattezzati “difensori dei cittadini” e hanno persino sporto denuncia contro la sindaca. Che dopo essersi data malata per mesi, ha registrato un video in cui piange a dirotto spiegando i motivi della sua resa.   >>>

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Regionali, interviene la Chiesa: “Scelta europeista, No a sovranismi e populismi in Emilia-Romagna”

 

I vescovi della regione si schierano con un documento ufficiale: i politici difendano la Costituzione, basta offese e falsità.

BOLOGNA – In Emilia-Romagna “non possiamo tollerare” che si ceda il passo a “sovranismi e populismi”. E’ questo il monito lanciato in vista delle prossime elezioni regionali dalla Chiesa dell’Emilia-Romagna, attraverso l’Osservatorio regionale sulle tematiche politico-sociali intitolato a Giovanni Bersani, nato nei mesi scorsi per volontà dei vescovi della conferenza episcopale regionale.

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Movimenti neonazisti e suprematisti negli USA. Il Centro SPLC ne fa il monitoraggio e li combatte

Il Southern Poverty Law Center monitora gruppi di odio e altri estremisti negli Stati Uniti ed espone le loro attività alle forze dell’ordine, ai media e al pubblico.

I movimenti organizzati suprematisti e neo nazi negli USA sono numerosi e pericolosi. La documentazione su questi movimenti è ampia. Tra le fonti disponibili segnaliamo il sito del Centro ” THE SOUTHERN POVERTY LAW CENTER .
L’SPLC è dedicato alla lotta contro l’odio e il bigottismo e alla ricerca della giustizia per i membri più vulnerabili della nostra società. Usando contenzioso, educazione e altre forme di patrocinio, l’SPLC lavora verso il giorno in cui gli ideali di pari giustizia e pari opportunità saranno una realtà.
Il Centro svolge azione di monitoraggio e di contrasto legale ai gruppi di odio suprematisti, neo nazisti.Attualmente gli operatori del SPLC stanno monitorando più di 1.600 gruppi estremisti che operano in tutto il paese. Pubblicano rapporti investigativi, formano le forze dell’ordine e condividono le informazioni chiave e offrono analisi di esperti ai media e al pubblico.L’elenco dei movimenti monitorati negli USA è impressionante.

THE SOUTHERN POVERTY LAW CENTER

Rete prepper apocalittica neo-nazista tedesca “ordinò sacche per il corpo, redasse liste uccisioni”

Riportiamo come segnalazione il  link  ad un articolo apparso su DW.COM. Il pericolo eversivo neo nazi non è una fantasia espressa da qualche “buonista sprovveduto”. Il problema esiste, l’ideologia nazi si è appropriata anche del tema ecologia. Esiste una corrente neo nazi survivalista (preppers ) . Preppers è un termine usato per descrivere coloro che si preparano per il collasso sociale o il disastro naturale accumulando cibo e forniture di emergenza. Per combattere questi fenomeni emergenti eversivi occorre conoscerli ….  L’articolo è apparso sul sito DW.COM il 29/06/2019.

 

German neo-Nazi doomsday prepper network ‘ordered body bags, made kill lists’

Presentazione articolo

L’agenzia di intelligence interna tedesca afferma che un gruppo di neonazisti compilò un elenco di oppositori politici e ordinò 200 sacche per il corpo e calce viva in preparazione per un potenziale crollo dell’ordine statale, chiamato “Giorno X”.

La maggior parte degli oltre 30 prepper, che si chiamavano Nordkreuz (Croce del Nord), erano associati alla polizia e ai militari della Germania, tra cui diversi ex e un membro attivo dell’unità delle forze d’élite della polizia di stato del Meclemburgo-Pomerania occidentale.

Preppers è un termine usato per descrivere coloro che si preparano per il collasso sociale o il disastro naturale accumulando cibo e forniture di emergenza. Parlando al quotidiano locale Märkische Allgemeine nel 2017, i membri di Nordkreuz si sono descritti come persone con un “sano atteggiamento conservatore” che hanno semplicemente raccolto forniture per un grave disastro.

L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE D.W.

 

Il furore di sfruttare e di accumulare – di Gianni Giovannelli e Turi Palidda

FONTE EFFIMERA che ringraziamo

Il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini Karl Kraus

Solo chi è prigioniero dell’ideologia dominante può accettare con felice soddisfazione l’odierna struttura dell’economia e dei rapporti sociali. Il sistema di comunicazione costruito dal liberismo contemporaneo ha trasformato la rappresentazione in realtà e il mondo sembra, nonostante tutto (come sussurrano prudentemente i più critici), un porto felice, o, quanto meno, l’unica vita possibile nel terzo millennio. La servitù volontaria, nata per contrastare il timore dell’esclusione e della miseria, rende ciechi, impedisce di vedere gli effetti di una quotidiana violenta prevaricazione che caratterizza il meccanismo di estrazione del valore. L’esame, nudo e crudo, dell’esistenza di gran parte delle persone che ci circondano dovrebbe invece rendere palese la verità: quella di un oggettivo accanimento, di uno sfruttamento crudele e senza freni inibitori, a volte perfino inspiegabile nella sua sostanziale irragionevolezza. Non a caso viene evocato il concetto di neoschiavitù per descrivere le insostenibili condizioni in cui si trovano i soggetti soggiogati dai funzionari del capitalismo ultraliberista.

Era prevedibile questo scenario, a ben pensarci. La concezione liberista della società tende ad esasperare ogni cosa, perfino le modalità dello sviluppo e l’idea del cosidetto progresso. L’esasperazione travolge davvero tutto: il libero arbitrio dell’imprenditore, del padrone e del sotto padrone, del caporale, e ancora omologa i comportamenti dei gendarmi, dei lobbisti, dei politici e delle banche. Tutto si tiene ancor più di prima. L’abuso e la violenza sono tornati ad essere, come spesso accade nel tempo delle transizioni, lo strumento istituzionale, percepito come necessario e non evitabile, richiesto ai funzionari delle polizie e ai tutori dell’ordine pubblico. Il popolo degli illegalismi esprime uno stato che li garantisce e approva sia le grandi opere devastatrici come la TAV sia l’accanimento dello sfruttamento. Un ordine che pubblico non è di certo e che coincide invece con la rimozione di qualsiasi ostacolo si frapponga alle esigenze dello sfruttamento; dunque è sua logica conseguenza la crescente predilezione per l’intolleranza (tolleranza zero), per la punizione esemplare, per l’esclusione, per il carcere per chi cerca di resistere anche se è una 73enne come Nicoletta Dosio. Sempre più spesso i soldati del sistema liberista si abbandonano ad esporre le loro prede come un trofeo, utilizzando perfino lo strumento del media mentre l’impunità per i loro illeciti garantisce la legittimità dell’agire per il supersfruttamento.

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Santiago del Cile: una fotografia della città all’inizio di una nuova decade

 

FONTE PRESSENZA.COM 

08.01.2020 – Santiago de Chile – Redacción Chile

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Santiago del Cile: una fotografia della città all’inizio di una nuova decade
(Foto di La Agenda del Diablo)

Da Helodie Fazzalari

Ad oggi Santiago è come una bambina che da un giorno all’altro si è resa conto di essere diventata adulta”. Sono queste le parole che Pìa Figueroa, Co-Direttrice di Presenza, utilizza durante un nostro incontro, per descrivere ciò che è avvenuto in Cile negli ultimi mesi. Lo scorso 18 ottobre 2019, un rialzo di 30 pesos del prezzo del biglietto dei trasporti pubblici, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma dietro questa motivazione, apparentemente superficiale, si nascondono decenni si abusi di potere, disuguaglianze e ingiustizie sociali. Una dittatura in democrazia”, si legge in diversi striscioni affissi dai manifestanti sui muri della città. Oggi Santiago appare così, distrutta ed in ginocchio ma paradossalmente più forte degli anni in cui i cileni hanno dovuto forzatamente abbassare la testa. Questa bambina da un giorno all’altro, in maniera del tutto irrazionale si è resa conto di essere diventata adulta. Ha gettato uno ad uno tutti i giocattoli che non le servivano più, ed ha preso consapevolezza di quello che stava diventando e del fatto che aveva la possibilità di scegliere chi essere nel suo futuro.

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LA PERSISTENZA DELLA CULTURA FASCISTA SI MANIFESTA NEL COMPORTAMENTO DELLA POLIZIA

FONTE : THEVISION .COM CHE RINGRAZIAMO 

 

Umberto Eco, in un piccolo saggio intitolato Il fascismo eternodedicato alla cultura che al fascismo sopravvive sotto “abiti civili” e “spoglie innocenti”, scriveva: “Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’. Ahimé, la vita non è così facile”.

Parlare di “ritorno del fascismo”, infatti, resta tuttora un’arma spuntata, un’idea esagerata se col termine “fascismo” ci si limita al regime terminato nel 1943. Ma il fascismo non fu solo un regime storicamente definito. Il fascismo è anche e soprattutto un’ideologia – che evidentemente non è morta – e come tale si è costruita su un certo tipo di cultura. Ultimamente si è parlato spesso di fascismo. La retorica demagogica del populismo, il suo infarcirsi di un’idea di italianità astratta e usata come feticcio contro le “invasioni”, la crescita esponenziale di episodi di razzismo, se non di dichiarato neofascismo, le cene di partito dedicate alla Marcia su Roma con tanto di mascellare Mussolini stampato sul menù, le minacce a Segre perché ebrea: anche agli occhi dei più scettici, senza dover smascherare chissà quale arcano, tutto questo dovrebbe mettere in luce i contorni che la crisi della democrazia rappresentativa sta assumendo in Italia.

Fin dalla nascita dei moderni stati-nazione europei, l’Italia – uno stato nazionale nato tardi e faticosamente, con grandi divisioni interne – ereditò fin da subito un modello di polizia autoritario, volto al mantenimento dell’ordine inteso non tanto come difesa della cittadinanza, ma del sovrano da eventuali moti di ribellione. La prima legge di pubblica sicurezza dello Stato unitario risale al 1865, anno a cui possiamo far risalire anche due aspetti che si rivelarono cruciali nella storia delle nostre forze dell’ordine: da un lato, il largo margine di interpretabilità della nozione di “ordine pubblico” secondo il diritto di polizia; dall’altro, la sua pericolosità alla luce della dipendenza politica dei corpi di polizia, diretti dal ministero dell’Interno. Nonostante la più liberale legge crispina del 1889 puntasse a ridurre questo margine, la nozione di “ordine pubblico” restava poco definita e basata, fin dall’inizio, su norme di decoro e diligenza derivate dalla stessa mentalità borghese su cui il fascismo costruì, qualche decennio dopo, il suo consenso. A richiedere particolare sorveglianza erano figure poco conformi alla “norma” come gli “oziosi”, i “vagabondi”, i “ciceroni”, i “saltimbanchi”, i “ciarlatani”, i “cantanti”, gli “ubriachi” e le “prostitute”, come si legge nel testo di legge sulla polizia a piedi del 1880.

Fu Mussolini a definire per primo, e con estrema precisione, il concetto di “ordine pubblico” in Italia. “L’era delle rappresaglie, delle devastazioni e della violenza è finita”, sbraitava inaugurando il suo principale strumento di repressione. Nel Tulps – il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, del 1931 – la nozione di “ordine pubblico”, prima sporadica e vagamente definita, era ovunque e forniva al Paese, per la prima volta, una dettagliatissima legislazione. È superfluo descrivere a cosa la nozione di “ordine” corrispondesse nel pieno del regime fascista. Si trattava di un concetto interpretato in senso assoluto e “ideale”, alla luce del quale ogni espressione di dissenso poteva esser letta come l’avvisaglia di una guerra civile.

Nonostante la fine del fascismo e nonostante la Liberazione, la riforma della polizia arrivò solo nel 1981. Una pietra d’inciampo molto grossa – forse la più significativa, data l’importanza cruciale del legame tra forze dell’ordine e democrazia – nella transizione italiana dal fascismo alla Repubblica. Soprattutto alla luce della cultura giuridica liberale espressa dalla nostra Costituzione. Una cultura in cui il cittadino è portatore di diritti inviolabili che a lui competono come uomo prima che come cittadino, e che vengono a lui riconosciuti piuttosto che concessi. La Costituzione forniva ampi spunti per una riforma della polizia e di un concetto di “ordine” inteso in senso “materiale” e minimo, unicamente volto all’incolumità e sicurezza dei cittadini. Nonostante questo, però, la legge di polizia restò “fascista” fino al 1981. Benché riformato, il Tulps resta a oggi il nostro testo di legge per la pubblica sicurezza: norme vessatorie introdotte durante il Ventennio sono tutt’oggi in vigore, quella per i numeri identificativi della polizia è una battaglia ancora in corso, e nel 2004 la legge numero 226 inseriva l’aver prestato servizio militare volontario tra i requisiti per l’ingresso in polizia, rimilitarizzando, di fatto, un corpo a ordinamento civile.

Le conseguenze di tutto ciò sono emerse chiaramente nel 2001 coi fatti del G8. La morte di Giuliani, gli slogan fascisti e nazisti nelle caserme di Bolzaneto, la sistematica violazione della legge da parte dei poliziotti, la violenza indiscriminata e ingiustificata sui manifestanti, per tacere della catena di omertà, falsità, manipolazione e distruzione di prove, e ostracismo alle indagini della magistratura. Una descrizione dettagliata di quello che accadde a Genova, completa di sentenze giudiziarie, è consultabile nel libro di Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci intitolato L’eclisse della democrazia e pubblicato nel 2011. Per capire che in quella occasione si andò oltre basti pensare alle parole del funzionario di polizia che, la sera della Diaz, chiese ai propri vertici un intervento a fronte della sua incapacità di gestire i poliziotti: “Io i miei uomini non li tengo più”.

Certo bisogna farne di strada / da una ginnastica d’obbedienza / fino ad un gesto molto più umano / che ti dia il senso della violenza”, cantava De Andrè.

Cultura e diritto vanno infatti di pari passo, influenzandosi a vicenda. Decenni di militarizzazione e autoritarismo hanno creato una vera e propria “cultura” nella polizia italiana. Quello della police culture è un aspetto che la ricerca storica e sociologica ha messo a fuoco in diversi Paesi, ed è da qui che bisogna partire per una riforma radicale – e finalmente liberale – della polizia. L’attuale concezione di “ordine” e “sicurezza” resta asfissiante e direttamente mediata da quella stessa mentalità su cui il fascismo costruì il suo consenso, e che sul “disobbediente” costruì un addobbo di stereotipi. Giovane, maschio, comunista, “agitatore sociale”, “mela marcia” da rieducare, il disobbediente è chi devia, per stile di vita o stile di comportamento, da norme di diligenza e decoro che assumono una connotazione morale. È questo che hanno in comune i morti per mano dello Stato degli ultimi vent’anni.

Dopo Carlo Giuliani “lo spaccavetrine”, Federico Aldrovandi “l’invasato violento” che tornava dalla discoteca assuefatto da qualche pasticca, morto sull’asfalto in una pozza di sangue come Giuliani. E poi Riccardo Rasman “il matto”, morto nello stesso identico modo, per finire con la catena di “drogati” che la polizia ha ritenuto giusto educare “a forza di botte”: Aldo Bianzino, arrestato per possesso di cannabis e morto meno di 48 ore dopo in carcere. Giuseppe Uva, che faceva troppo rumore per strada, spingendo i residenti infastiditi – magari anche scandalizzati – a chiamare la polizia. E Stefano Cucchi, naturalmente. Quello che – stando alle parole di Giovanardi prima e Salvini poi – in qualche modo se l’è cercata, perché la droga fa male (peccato che la droga non c’entri nulla con la sua morte). Ma non solo. Una morte all’anno, come mosche, nelle mani delle forze dell’ordine. Ribelli, psichiatrici, deboli, problematici prima che individui portatori di un diritto inalienabile alla vita, mele marce cui raddrizzare la schiena, come voleva Mussolini, che alla pena dava un valore morale, coerentemente con l’idea che il popolo fosse “un minore da educare”, come ha sottolineato lo storico Antonio Gibelli in un saggio del 2005 intitolato Il popolo bambino. Capiamo così tutto il significato dell’epiteto “ragazzo” con cui Giuliani è ricordato, così come i versi del cantautore romano Mannarino dedicati a Cucchi in Scendi giù, canzone premiata nel 2015 da Amnesty International. Cogliamo, infine, la potente citazione nel film del 2018 di Alessio Cremonini, Sulla mia pelle, dedicato alla storia di Stefano Cucchi, in cui la sua morte è modellata su quella di Ettore in Mamma Roma, il famoso film del 1962 di Pier Paolo Pasolini, forse il critico più lucido del fascismo come “fenomeno culturale” prima ancora che politico, e della sua sopravvivenza nella mentalità borghese.

La sinistra istituzionale, di fronte a tutto ciò, continua a tacere. Quello della “polizia fascista”, a oggi, resta solo uno slogan da “spaccavetrine”, e il clima politico attuale sembra fomentare in ogni modo una cultura securitaria e repressiva. Come scrisse Calvino, bisogna “saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. E forse non si tratta di stare da una parte o dall’altra della barricata, quanto di capire quali siano i valori che ci guidano come società civile. Vale allora la pena concludere con le parole di un poliziotto, raccolte in un volume a cura di Franco Fedeli accompagnato da una prefazione di Leonardo Sciascia, comprendente una serie di lettere scritte da agenti della polizia tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta.

Scriveva Armando Fontana da Imperia nel 1980, ai suoi superiori, a proposito dell’uccisione di un giovane ladro: “Le sembra giusto che queste indiscriminate ed incivili esecuzioni, possano verificarsi continuamente in un Paese che vanta di avere la più democratica delle Costituzioni, di ospitare il Papa e di essere al 90 per cento cattolico, quando le forze politiche mostrano la più assoluta indifferenza e totale cinismo […]? I miei colleghi hanno la pistola facile […], sono convinto che basterebbe che […] i nostri superiori dessero, invece delle solite minchionerie sui capelli troppo lunghi, delle camicie sbottonate, delle scarpe poco lucide e del berretto messo male, qualche nozione sull’uso delle armi, su come e quando devono essere impiegate; che sprecassero qualche parola sull’importanza della vita umana, sulle finalità del nostro compito che è quello di tutelare la vita e l’incolumità dei cittadini e di sottoporre questi, se commettono reati, al giudizio dello Stato”.

 ALESSANDRA PELLEGRINI DE LUCA

3/1/2020 thevision.com

Eco-fascismo: prospera online l’ideologia  che sposa ambientalismo e supremazia bianca 

 

La questione ambientale è divenuta una priorità nell’agenda di molti governi per la ricerca di soluzioni, di nuovi modelli di organizzazione sociale che rappresentino la possibilità di vita per tutti sul pianeta terra.

L’approccio democratico alla questione ambientale si fonda sul principio che la continuazione della vita sul pianeta riguardi tutti gli umani di qualsiasi etnia, religione , convinzioni politiche, orientamento sessuale …

Non possiamo ignorare tuttavia che esiste da tempo un movimento sotterraneo eco nazista che tenta di coniugare la questione ambientale con una visione che ha come obiettivo la selezione di chi, nel futuro, dovrà sopravvivere sul pianeta: gli uomini e le donne di razza bianca.
Questo movimento presente in diversi paesi europei, ma non solo, è in crescita e diffonde il suo credo fanatico in rete, in forum riservati cui si accede solo su invito e su presentazione di adepti già convalidati. Si stanno formando comunità on line econazi, suprematisti bianchi, ossessionati dalla natura, antisemiti, che sostengono che la purezza razziale è l’unico modo per salvare il pianeta. Gli ecofascisti credono che vivere nelle regioni d’origine ed evitare il multiculturalismo sia l’unico modo per salvare il pianeta a cui danno la priorità sopra ogni altra cosa.

Come si afferma nell’articolo del Newstatesman di cui riportiamo il link, l’eco-fascismo si può manifestare in modi diversi: sotto l’ombrello della cultura eco fascista trovano ospitalità credenze come veganismo, anti-multiculturalismo, nazionalismo bianco, plastica anti-monouso, antisemitismo e, quasi sempre, un interesse appassionato per la mitologia norrena ( nord europea ) . La maggior parte dei profili Twitter di eco-fascisti auto-definiti sono un cocktail su misura di meme di estrema destra, immagini di foreste, odio verso gli ebrei e insulti ai “buonisti” . Tra richieste di purezza razziale e divieti di plastica monouso la maggior parte degli account ha tweet o retweet in onore di Thor, che celebra Tyr Day o glorifica Sunna, la dea del sole norrena.
Il legame con la mitologia norrena rappresenta “l’estetica” condivisa tra ecofascisti bianchi ed eroi norreni bianchi e che le immagini della natura e l’adorazione degli antenati della mitologia norrena si adattano agli ideali degli ecofascisti, che si vedono come combattenti per la terra , così come la supremazia bianca.

Naturalmente, la stragrande maggioranza degli ambientalisti contemporanei – quelli impegnati nella nobile e disperata lotta per salvare il pianeta dalle conseguenze della sconsideratezza umana – sono progressisti politici e persino di sinistra radicale. Non sono responsabili della cooptazione del pensiero ambientale da parte dell’estrema destra, né dovremmo confondere la loro posizione con quella dei nazionalisti bianchi.

ll fenomeno econazi è assai complesso, quello che cercheremo di fare da questo piccolo sito è quello di richiamare l’attenzione e la conoscenza sul fenomeno con la segnalazione di link ad articoli e documenti su questo tema. Purtroppo nei media italiani, eccetto alcuni articoli della corrispondente di Repubblica Tonia Mastrobuoni da Berlino sul fenomeno degli econazi “protettori della zolla” che stanno occupando villaggi come comunità integraliste chiuse, non si registrano particolari attenzioni al fenomeno.

DOCUMENTAZIONE

Eco-fascism: The ideology marrying environmentalism and white supremacy thriving online (Newstatesman 21/09/2018)

Viaggio in Germania nel paradiso degli econazisti articolo di Tonia Mastrobuoni (Repubblica 13/10/2016) 

Eco-fascism is undergoing a revival in the fetid culture of the extreme right  (20/03/2019) ( Guardian – Autore : Jason Wilson)

Nazi “Ecology” ( Columbia.edu)

Grazie Arturo Scotto per aver difeso Anna Frank dall’oltraggio fascista – Andrea Malpassi

Riproduciamo questo articolo già pubblicato su fortebraccionews che condividiamo  pienamente come condividiamo la piena solidarietà ad Arturo Scotto. Gino Rubini , Editor di Onde Corte

Anna Frank nel 1940 ( fonte foto: Wikipedia )

 

La squadraccia fascista che ha aggredito Arturo Scotto e sua moglie Elsa Bertholet inneggiava a Benito Mussolini e insultava Anna Frank. Perché i fascisti sono sempre fascisti, anche nel 2020. Ignoranti, violenti, vigliacchi: nell’anno nuovo proprio come in tutti gli anni vecchi. In otto contro uno, a volto coperto, gridando gli slogan più turpi e vergognosi che possano essere concepiti. Innamorati, ogni volta, di un leader che si scelgono accuratamente tra quanto di peggio – e anche onestamente di più ridicolo- passi in quel momento.

C’è sempre un’intima e radicata natura razzista, nei fascisti. Per questo continuano ad insultare Anna Frank nei loro canti, usano il suo volto come “offesa” nelle curve degli stadi dove spadroneggiano, ne irridono la memoria e la tragedia nei cori delle loro adunate. Perché Anna Frank è ebrea, innanzitutto. Nascosti da anni dietro le più ignobili “teorie negazioniste” sull’olocausto, i fascisti (nostrani e di tutto il mondo) continuano a coltivare il proprio feroce antisemitismo e ad ostentarlo come un gagliardetto.

E la insultano perché ne hanno paura. Sono terrorizzati da quella dolcissima ragazzina che ha subito il Male che l’uomo può fare nelle sue forme peggiori: costretta ad abbandonare la sua vita, rintanata come un topo in gabbia col costante terrore di essere scoperta, tradita dai propri vicini, deportata dai nazisti, uccisa in un campo di sterminio. Ne sono terrorizzati, i fascisti, perché Anna Frank è la vittima simbolica di tutto ciò che il fascismo è, di tutto ciò che il fascismo significa. Ed è il simbolo forte e vivo, al tempo stesso, di tutto il bello che l’essere umano può essere: della fiducia, della speranza, della tenacia di chi continua “a credere nell’intima bontà dell’uomo”… E’ il simbolo, in parole povere, di tutto ciò che è l’opposto del fascismo.

I fascisti sono sempre gli stessi, anche nel 2020. Ma se c’è stata negli ultimi anni una destra italiana che ne ha sdoganato i rigurgiti per provare a cavalcarli, è arrivato ora il momento di non minimizzare, non accettare chi li blandisce come “folklore”, respingere ed inchiodare alle proprie colpe sia quei dirigenti politici nazionali, sia quegli otto vigliacchi di Venezia che -nella notte di capodanno- hanno deciso di rappresentare la vergogna del Mondo.

Ad Elsa e ad Arturo, dunque, che si sono ribellati e per questo sono stati aggrediti, non va solo la nostra solidarietà: deve andare anche il nostro ringraziamento. Così come il nostro ringraziamento deve andare al giovane intervenuto coraggiosamente in soccorso di Scotto. Perché il fascismo cresce nell’indifferenza e nell’impunità e bene hanno fatto non solo a reagire, ma anche a denunciare: del resto il fascismo, diceva Sandro Pertini, non è un’opinione qualsiasi ma è un crimine.

Andrea Malpassi

 

Il costo ecologico dell’economia di piattaforma. Ovvero, l’inquinamento connesso alle nuove tecnologie – di Giorgio Pirina

Autore: Giorgio Pirina .
Fonte Effimera che ringraziamo

Il periodo storico in cui viviamo è stato definito con due accezioni, fortemente collegate tra loro: società post-industriale e società dell’informazione. Queste definizioni indicano un fenomeno preciso, ovvero il maggior rilievo assunto nei paesi a economia avanzata dal settore terziario (servizi e informazione) rispetto al settore secondario. Parimenti, questa fase è stata accompagnata dalla retorica dell’immaterialità della produzione e del consumo (e dunque dell’impatto ambientale) posizionandosi gioco forza in una prospettiva eurocentrica. Al contrario, se analizziamo il sistema socio-economico come un’unità organica, ci accorgiamo che la supposta dematerializzazione nel Nord globale (contraddetta a sua volta dalla persistenza di forme di lavoro vivo profondamente degradate), si poggia sulla produzione e sul consumo delle risorse umane e ambientali del Sud globale. Il caso dei cosiddetti ‘minerali insanguinati’ è illuminante da questo punto di vista: essi indicano l’insieme di quelle risorse naturali provenienti da zone di guerra o nelle quali si fa ricorso al lavoro forzato. Tra questi i più conosciuti fino agli albori del XXI secolo erano l’oro e i diamanti, le cui filiere sono state regolamentate dal Protocollo di Kimberley. Tuttavia, con le innovazioni tecnologiche nel campo dell’informatica, della cibernetica, dell’elettronica e dell’automobile, altri minerali sono diventati risorse cruciali per le industrie di riferimento; per esempio il coltan (una combinazione di niobio e tantalio), il cobalto e, ancor più recentemente, il litio. Queste risorse sono centrali, in quanto base da cui realizzare le infrastrutture socio-materiali dell’attuale modello di accumulazione del capitale. Numerosi articoli hanno portato alla ribalta la questione delle condizioni di vita estremamente degradanti nel processo lavorativo di estrazione dei minerali insanguinati, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo (RDC): l’ultimo caso riguarda una class action mossa da un gruppo di cittadini congolesi contro i giganti dell’Hi-Tech per sfruttamento di lavoro minorile[1]. Oppure la questione del lavoro forzato nell’estrazione del cobalto, un minerale fondamentale per le batterie agli ioni di litio[2] (altro metallo ormai al centro dell’attenzione, in quanto centrale per la durata delle batterie delle macchine elettriche e dei nostri smartphone). Ma, prima ancora, si parlava di “corsa al coltan” (coltan rush)[3], in riferimento all’intensificazione dell’estrazione della columbite-tantalite (appunto coltan) nelle miniere artigianali del Kivu, nella regione orientale della RDC.

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Sconvolgente e violentissimo razzismo su VKontakte, socialnetwork russo.

 

Segnaliamo questo articolo apparso su Patria Indipendente, Rivista dell’Anpi   che denuncia la  nascita e la crescita di piccoli gruppi di nazifascisti italiani che utilizzano il socialnetwork russo VKontakte  per diffondere propaganda razzista  e anti ebraica.

 

Gruppo di lavoro Patria su neofascismo e web

Sul socialnetwork russo i deliri criminali di organizzazioni naziste anche italiane come Ordine Ario Romano, i cui membri sono indagati nel nostro Paese. Un florilegio delle mostruose immagini pubblicate su VKontakte

In questo articolo vengono proposte, a scopo illustrativo, testi ed immagini della propaganda nazista e fascista, italiana ed internazionale. Nonostante abbiamo escluso tutto il materiale a carattere sessuale o con immagini di cadaveri o rappresentazioni di efferatezze, quelli che seguono rimangono contenuti non adatti a tutte le sensibilità.

Leggi l’articolo su Patria Indipendente Rivista dell’ANPI

Torino, rider in fin di vita. Continua la mobilitazione per Zohaib

Giovedì scorso nel quartiere San Donato Zohaib, 31 anni, è stato investito mentre faceva le consegne. È in fin di vita. Dopo un primo corteo selvaggio di colleghi e amici, la mobilitazione prosegue oggi

Giovedì scorso un rider è stato investito nel quartiere San Donato a Torino. È stato travolto, trascinato per diversi metri e lasciato sull’asfalto assieme alla sua bici. La persona alla guida è poi scappata, abbandonandolo lì. Le condizioni di Zohaib, 31 anni, sono state critiche fin dall’inizio: trasportato subito in ospedale in codice rosso, è tuttora in coma in rianimazione, lottando tra la vita e la morte.

Fin da subito colleghe, colleghi e persone della comunità pakistana sono accorse in ospedale dove hanno trovato, a favore di telecamere, l’Head of Operation Manager di Glovo che, a colloquio coi medici, affermava: «In realtà non dovremmo neanche essere qui, perché lui non è nostro dipendente ma solo un collaboratore».

Il giorno successivo, venerdì, esplode la rabbia rider: un presidio sotto la pioggia diventa rapidamente un corteo solidale che blocca due volte una delle piazze principali di Torino, attraversando il quartiere e soffermandosi a lungo davanti al luogo dell’incidente di Zohaib, proseguendo poi verso il centro città.

Strade affollate per lo shopping natalizio dell’ultimo momento, tante e tanti curiosi affacciati ai balconi a osservare lo scorrere del corteo punteggiato dagli zaini giallo Glovo e azzurro Deliveroo, in molti a chiedere perché chi di solito gli consegna la pizza stesse invece bloccando le strade. Rider che lungo il percorso si fermano, smettono di correre per un attimo, annuiscono. C’è chi già sa, chi ascolta, chi si unisce al corteo. Sono presenti componenti della comunità pakistana a Torino, rider in bici o in sella ai loro motorini, solidali e amici che ricordano come Zohaib lavorasse per aiutare la propria famiglia rimasta in Pakistan.

Zohaib in quel momento lavorava per Glovo, multinazionale del food delivery che vive un momento di forte affermazione in Italia, dove nel 2018 ha acquisito Foodora e dove per il prossimo anno punta a triplicare le città in cui è presente, mentre a livello globale ha appena superato il miliardo di quotazione in borsa. Glovo rastrella quindi capitali da ogni angolo del Pianeta, ma per il momento precisa di volersi concentrare sul vecchio continente, dove assumerà diverse centinaia di persone tra sviluppatori, ingegneri informatici, store manager e addetti a imballaggi e logistica, che lavoreranno nei “dark store” – piccoli magazzini nei quali raccogliere le merci più richiesta per velocizzarne lo consegna – e che si andranno ad aggiungere ai già 1500 dipendenti e ai 50mila rider che effettuano consegne di beni di ogni genere, dal cibo ai farmaci, per oltre 5 milioni di utenti attivi.

Zohaib, come migliaia di suoi colleghi rider, è assunto da Glovo con un contratto di collaborazione occasionale, per quella che collaborazione occasionale non è, ed è pagato a cottimo, senza un’assicurazione e senza che gli vengano forniti i necessari dispositivi di sicurezza, né un mezzo con cui lavorare o la possibilità di manutenerlo. Zohaib deve lavorare con qualsiasi clima, gelo o neve o pioggia che siano, 7 giorni su 7, 18 ore su 24. Se rifiuta un ordine, se non ne prende abbastanza, se si ammala, perde punti e quindi ordini e guadagna meno. Ma di che cifre stiamo parlando? Per cosa rischia la vita Zohaib?

Ogni ordine viene pagato 1,60 euro, più 40 centesimi al km di consegna. Questo vuol dire che, se tutto va bene, correndo come matti per la città, si riescono a portare a casa 5-6 euro l’ora, sperando di non farsi male o non avere un incidente. Zohaib deve correre sempre e sempre di più. Se non corri, se non ti prendi dei rischi, se non rischi la vita, non guadagni. Se ti fai male lavorando sono affari tuoi, non c’è assicurazione, non verrai pagato e ti scenderà il punteggio.

L’ARTICOLO PROSEGUE SU DINAMOPRESS.IT

«In Argentina viene violato il diritto umano al cibo»

FONTE : LA VACA.ORG  CHE RINGRAZIAMO 

Marcos Filardi è un avvocato specializzato in diritti umani e sovranità alimentare e fa crollare un mito tra molti: «Non produciamo cibo per 400 milioni di persone». Un discorso emozionante su ciò che sta accadendo nel paese con fame e malnutrizione. Le malattie che sono una conseguenza di ciò che mangiamo. Il modello estrattivo che commercializza cibo mentre i territori e la salute pubblica sono sempre più contaminati e distrutti. Il ruolo delle nuove generazioni contro la crisi climatica. E uno sguardo alla nuova gestione e alle ipotesi sulla presunta salvezza della Patria in Vaca Muerta. Dati per tenere conto di ciò che ci fanno deglutire. (Ascolta il programma completo)

https://soundcloud.com/lavacamu/filardi-bloque-1-deci-mu

 

https://soundcloud.com/lavacamu/filardi-bloque-2-deci-mu

Cile, «tolleranza zero» e soda caustica contro i manifestanti

 

Pubblicato da Il Manifesto.it  il 24 dicembre 2019. Ringraziamo Il Manifesto

Autrice   Claudia Fanti

La rivolta contro Piñera. Virale il video del giovane schiacciato tra due blindati. «Mostro dell’Interno» sotto accusa. E al Congresso passa la trappola del «processo costituente» a misura di destra

La scena, ripresa in un video che ha fatto subito il giro del web, è tra le più brutali viste in oltre due mesi di proteste: un mezzo blindato che insegue un giovane e lo schiaccia, provocandogli una frattura al bacino, contro un altro blindato, prima di allontanarsi inseguito da migliaia di manifestanti inferociti.

È L’EFFETTO della «tolleranza zero» promessa dall’intendente della regione metropolitana Felipe Guevara nel caso di manifestazioni non autorizzate, come quella che si è svolta venerdì in Plaza de la Dignidad, come è stata ribattezzata Plaza Italia, il cuore della rivolta contro il governo Piñera. «Mio figlio Oscar – ha scritto su Twitter la madre, Marta Cortez – è stato brutalmente, intenzionalmente investito e schiacciato da due veicoli anti-sommossa. È vivo per miracolo. Questa barbarie avallata dal “mostro dell’Interno” e dallo Stato cileno deve finire».

Una barbarie di cui è emerso nei giorni scorsi un nuovo inquietante dettaglio: nell’acqua lanciata dagli idranti dei carabineros durante le proteste è stata rintracciata, secondo uno studio diffuso dal Movimiento Salud en Resistencia, la presenza di gas urticante e di soda caustica. E mentre nella piazza militarizzata alcune migliaia di manifestanti subivano la repressione di sempre, il Congresso, dando il via libera al «processo costituente», faceva nuove, e inutili, concessioni in vista del plebiscito del 26 aprile, quando il popolo cileno dovrà non solo esprimersi a favore o contro l’elaborazione di una nuova Carta costituzionale, ma anche scegliere l’organismo incaricato di redigerla: una Convenzione mista costituzionale (composta al 50% da rappresentanti eletti e per l’altra metà dagli attuali parlamentari) o una Convenzione costituzionale (interamente votata dal popolo).

COSÌ, NELLO SFORZO DI RENDERE più credibile quella che resta una colossale trappola – il criterio della maggioranza dei due terzi per l’approvazione di ogni singolo articolo della nuova Costituzione assicura alla destra un solido potere di veto -, i parlamentari hanno infine introdotto la parità di genere e le quote per i popoli originari e per i candidati indipendenti (eccessivamente penalizzati dall’attuale sistema elettorale) che erano state inizialmente escluse. Ma se l’obiettivo è quello ben noto di mantenere lo status quo e di porre fine alle proteste, il tentativo di gettare briciole alle forze scese in piazza pare stia dando già qualche frutto: per quanto lo scontento resti inalterato, con la tregua di fatto decisa dalla Mesa de Unidad Social le mobilitazioni sono venute man mano perdendo forza.

GRANDE È STATA invece l’affluenza alla consultazione non vincolante organizzata da 226 (su 345) municipi del paese sul tema della Costituzione: il 91% dei due milioni di cittadini che hanno partecipato alla votazione si è pronunciato a favore di una nuova Carta, di cui il 78% ha optato per la Convenzione costituzionale interamente votata dal popolo. Tra le principali priorità sociali indicate dagli elettori, l’aumento delle pensioni (con il conseguente innalzamento delle condizioni di vita degli anziani) è risultato al primo posto, seguito dal miglioramento della qualità della salute pubblica, dall’accesso a una buona educazione, dalla riduzione della disuguaglianza del reddito e dalla lotta all’impunità.

Una donna come Tina, voi, voi piccoli uomini, non ce la fate a infangarla

 

Riproduciamo da articolo21.org che ringraziamo

Tina Costa aveva solo 7 anni quando reagì per la prima volta al fascismo. Solo 7 anni. A scuola, si rifiutò di indossare la divisa di figlia della lupa. Il risultato fu il subire ulteriori angherie da parte della maestra fascista. Ma non quello di abbandonare quell’antifascismo che già sbocciava in lei. Negli anni successi, durante la Guerra, Tina divenne infatti una partigiana. Una staffetta, per la precisione. Portava viveri e informazioni agli altri partigiani su e giù per la Linea Gotica. E nel tempo divenne un simbolo per la sua forza, il suo coraggio, la sua determinazione. Tanto da averle dedicato, neanche venti giorni fa, una targa in un parco di Roma.

Oggi quella targa è stata vandalizzata. Con questo simbolo. Un simbolo di odio, di rancore. Viscerale, inumano. Cupo. Un simbolo che ha significato la morte per milioni di uomini, donne e bambini. E che è stato posto da qualcuno sopra il nome di questa grande donna con un obiettivo ben preciso: seppellirla sotto quel simbolo. Farla “divorare” da esso. Lei e tutto ciò che ha rappresentato.

Per quel qualcuno, abbiamo però un messaggio: avete sprecato tempo e risorse. Perché una donna come Tina, voi, voi piccoli uomini, non ce la fate a infangarla. E l’unica cosa che ottenete con questi gesti non è cancellare la memoria della Resistenza. Ma rafforzarla facendoci stringere ancora di più attorno ai suoi valori. E convincendoci sempre di più che, dall’altro lato, il vostro lato, non ci sono uomini e idee, ma solo e soltanto una cosa: la viltà.

Il motivo per cui i media indipendenti sono così importanti

 

FONTE PRESSENZA.COM

#FreeAssange! Questa richiesta dovrebbe essere letta su tutti i giornali, sentita in tutte le radio e vista in tutte le televisioni, ma la maggior parte dei media mainstream non ne parla e se lo fa, di solito lo trasforma in un “denunciante”, negandogli lo status di giornalista.

Qui in Germania o in Europa, quasi nessuno saprebbe nulla di Julian Assange e del suo percorso verso l’isolamento se non fosse per i media indipendenti, che però non hanno la forza di confrontarsi con i media mainstream.

Viviamo in un’epoca di contraddizioni e sconvolgimenti. È sempre più chiaro che la politica e i media ufficiali non svolgono più i compiti loro assegnati. La politica trascura sempre più i cittadini e rappresenta sempre più apertamente gli interessi di pochi.

Il racconto prestabilito

I media mainstream- il “quarto potere” tanto spesso citato – non mettono più in discussione e non controllano più le azioni dei politici. In larga misura sono diventati una macchina di distribuzione di notizie politiche a sé stante, il cui contenuto non è quasi più informativo. Esiste un giornalismo “copia e incolla”, che utilizza sempre più spesso le stesse fonti di informazione e quindi impedisce alle persone di formarsi una loro opinione.

In generale, i media indipendenti sono indicati come “media alternativi”, ma questo termine può essere fuorviante, perché può suggerire ad alcune persone che sarebbero una sorta di controparte dei media consolidati o dominanti. Ma a mio parere non è così, perché la rete in teoria dà a tutti la possibilità di fare giornalismo, quindi anche a chi segue la narrazione predeterminata.

Liberi da vincoli, con diversi punti di vista

In generale vedo più i “media alternativi” come media indipendenti. Non appartengono a un particolare gruppo mediatico di proprietà di una famiglia o di una società. Non si finanziano con la pubblicità, né sono soggetti ai vincoli delle aziende, dove il tempo e i modi di pensare prestabiliti sono le direttive principali.

Non che essi agiscano come “guardiani della verità”. Viviamo in un mondo estremamente complesso e sfaccettato. Ciò che la maggior parte di loro fa è descrivere le cose da prospettive diverse, mostrare punti di vista diversi. Si sforzano di portare alla luce gli elementi lasciati nell’oscurità dagli altri. La pretesa della maggior parte di loro è quella di essere il più oggettivi e credibili possibile.

Posso e voglio spiegare perché attribuisco tanta importanza ai media liberi e indipendenti solo dal mio punto di vista personale. È il risultato del fatto che ogni persona ha la propria percezione del mondo.

“Noi siamo i buoni!”

Come ho detto all’inizio, la maggior parte dei media mainstream segue una certa narrazione politica. A mio parere, questo rende quasi impossibile all’individuo avere una migliore visione d’insieme. È quindi condannato a pensare e a giudicare in base a percorsi obbligati e questo ha molto poco a che fare con la maturità e l’indipendenza.

“Noi siamo i buoni” è un detto quasi inflazionato nel cabaret politico dei paesi di lingua tedesca, ma è il risultato di un giornalismo che per decenni, giorno dopo giorno, ha cercato di convincere la gente di essere l’unico giusto. Il risultato è un modo di pensare uniforme che fa ormai parte del subconscio e non riflette in alcun modo ciò che il mondo è realmente e le condizioni in esso prevalenti. Questo vale per tutti i settori della vita.

Cosa bisogna fare?

Il problema con i media indipendenti è che ognuno lavora per conto suo e raggiunge un pubblico limitato. In questo modo non si arriva alle masse, ma si vive in una nicchia. Parecchi di loro hanno certamente molte aspirazioni, ma alla fine conducono un’esistenza di nicchia.

Ciò di cui hanno urgente bisogno sono diverse cose: il sostegno dei loro lettori, ascoltatori e spettatori e soprattutto la capacità e la disponibilità a collaborare e a mettere in secondo piano le sensibilità personali e politiche. Non per raggiungere l’uniformità, no, ma per diffondere una notizia, un evento, in modo più efficace di prima, per farne un argomento di ampio dibattito, per metterlo sulla bocca di tutti e quindi per generare pressione.

Una pressione di cui Julian Assange, ad esempio, ha un disperato bisogno, per non finire a consumarsi e magari a morire nell’indegno isolamento dei “buoni”.

Piena solidarietà a Julian Assange e ai media indipendenti!

Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo

Un Salvini della Madonna

 

FONTE GAS

Di 

Quando pensate di avere visto e sentito tutto, quando pensate di avere raccolto le ultime bassezze che la politica sia in grado di servire su vassoi d’argento, quando pensate che oltre quel limite non si va, dovete ricredervi.

Non siamo nella repubblica iraniana o in un territorio controllato dai talebani, ma a Porta a Porta di Bruno Vespa, con ospite l’immancabile Salvini. Quello che nonostante l’uscita dal governo è sempre ben presente in salotti compiacenti. Nella sua ultima boutade, Salvini fa una cosa grave, supera quello che è il ridicolo, almeno per noi, gente laica e ragionevole, per parlare alla parte del popolo misera, quella che si inginocchia di fronte a i santi e chiede la grazia a San Gennaro.

Conte sta mentendo, ha detto Matteo Salvini, e lui lo sa perché a suo dire ha ricevuto una sorta di messaggio dalla Madonna di Medjugorje. Se noi ridiamo, di sicuro ci sono legioni di creduloni che se non credono in dialoghi diretti con la Madre Celeste, di sicuro pensano che il loro “capitano” abbia una specie di investitura divina.

Che lo stesso pontefice abbia espresso dubbi nei confronti del culto della cittadina bosniaca è un dato di fatto, ma ormai Bergoglio, che ha posizioni cattoliche legate alla genuinità religiosa francescana, è un nemico. Questo lo mette all’indice tra le orde salviniane, e di conseguenza non è più l’autorevole capo della Chiesa cattolica ma, come addirittura è arrivato a scrivere Antonio Socci, giornalista e conduttore televisivo, una pedina del PD.

Ricapitoliamo. Salvini, campione della fede parla con la Madonna. Papa Bergoglio, massima autorità della Chiesa, sarebbe asservito al PD. Perché? Beh, perché ha criticato la strumentalizzazione mariana da parte del ducetto leghista, cosa anche abbastanza ovvia.

Apriti o cielo. Torniamo a Socci, che nel suo delirio scrive:

“…Ma al di la di questo, il popolo cattolico (quello di destra e sovranista NdR) è rimasto sconcertato. Si chiede: perché si bastona con questa veemenza chi affida il Paese alla Madonna e non si è fatta nessuna opposizione alle leggi laiciste dei governi PD, anzi, si è fatto votare quel partito?”

Se domani Salvini uscisse di casa a cavallo di un destriero immacolato con la corazza lucente e uno stendardo con scritto “in hoc signo vinces” non ci stupiremmo più di tanto. Giovanna d’Arco in fondo, nel nome di Gesu liberò la Francia dagli inglesi.

Ah…pensavate fosse roba da medioevo? Sbagliato, il medioevo è qui e forse non se n’è mai andato.

Una guida ragionata al fascismo polacco. Conversazione con Przemysław Witkowski

Fonte : Dinamopress

«Il mondo della destra politica polacca è una nebulosa davvero complicata, in cui si mischiano definizioni, portali, proclami, etc. e in cui è forse difficile identificare chi è chi. Ad ogni modo, è possibile sintetizzare gli schieramenti attuali attraverso quattro blocchi e raggruppamenti che sono anche abbastanza semplici e a loro modo ovvi.

 

ULTRA-CONSERVATORI E CRISTIANO-CONSERVATORI

In Italia avete Fratelli d’Italia, qua abbiamo Prawo i Sprawiedliwość (Pis) che è un partito molto simile, fatta eccezione per il diverso peso politico attuale. Cercano di presentarsi come una via di mezzo fra forza anti-establishement e partito di governo, posizionandosi molto ben dentro le istituzioni europee e beneficiando anche di fondi europei. Se si dovesse chiedere al loro leader Kaczyński, risponderebbe: «Meno coinvolgimento nelle politiche identitarie propugnate dall’Ue, ma sì un esercito europeo e ad altre forme di collaborazione e unione fra gli stati membri». Ma ancora, sono come delle piovre: tentano anche di compiacere il più possibile gli Stati Uniti, lasciando loro intendere che possono stabilire in Polonia delle loro basi, e il tutto secondo una visione strategica basata sulla previsione (totalmente fuori dalla realtà) per cui la Germania (il leader europeo, cioè) starebbe per collassare a causa dell’immigrazione e a causa di politiche progressiste. Quindi esprimono almeno 3-4 posizione contraddittorie allo stesso tempo.

C’è inoltre una corrente interna al Pis che è chiamata United Right Wing (non viene quasi mai usato questo nome nel discorso pubblico, ma tecnicamente si tratta di un gruppo parte del Pis). La loro posizione dal fatto che uno dei loro leader viene da un’altra area politica e da lui ereditano una posizione di ultra-liberismo nel mercato, che va in contraddizione con l’assetto generale del PiS ma, ad ogni modo, sono ultra-conservatori in materia di costruzione identitaria.

Poi c’è Solidarna Polska, che è alla destra del blocco governativo. Molto religiosi e ultra-conservatori al limite del nazionalismo. Si tratta di una corrente che è nei fatti dentro all’alleanza di governo ma che ha anche intensi contatti con il blocco di Konfederacja, che sta invece più a destra. In qualche modo funge da “cancello d’entrata” per i politici di destra estrema che vogliono entrare a far parte dell’establishment senza dover “perdere la propria verginità” con il Pis ma accoppiandosi a qualcuno di più piccolo, meno visibile e un filo più rispondente alle loro convinzioni.

Altri due gruppi di questo campo sono Europa Christi e Prawica Rzeczypospolitej.

Europa Christi è legato alla figura di Tadeusz Rydzyk, che è un sacerdote-oligarca a capo di una televisione, una radio e un’università. Un personaggio dunque molto influente, che riesce a spostare una quota di elettorato corrispondente più o meno a un 7% dei votanti. Rydzyk è molto intelligente: siccome non vuole appoggiarsi solo a Kaczyński, si è creato il suo piccolo partito, mettendogli a capo una persona fidata ma senza promuoverlo più di tanto. In pratica, se lo sta tenendo come “forza politica di riserva”: se dovessero affievolirsi i rapporti fra lui e il leader del Pis, ecco che inizierebbe a promuoverlo di più. È un “partito-gremlin” che per il momento viene tenuto fuori dall’acqua.

Prawica Rzeczypospolitej si trova più o meno nella stessa situazione. Orbita attorno al Pis ed è fortemente legato alla Chiesa. È composto da ultra-cattolici fondamentalisti, ma non così di estrema destra al punto da sostenere che è necessario abbattere la democrazia per instaurare uno stato autoritario.

L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE DINAMOPRESS

 

Si alza il velo sul disastro economico di Gedi. Il peso morto di Cir

 

FONTE IL TIMES

Autore: Giorgio Levi

Un paio di settimane fa ho comprato un’auto nuova. Il prezzo mi sembrava un po’ alto (ed effettivamente lo è), poi il venditore, che non è un pirla, siccome siamo a fine anno, e lui deve fatturare, ha cominciato ad elencare tutta una serie di sconti e omaggi e presunte agevolazioni, che alla fine sembrava mi stesse facendo un regalo. E io, che sono molto sensibile a chi fa bene il proprio mestiere, ho acquistato l’auto.

John Elkann, quando si è affacciato alla concessionaria De Benedetti, deve avere avuto la stessa sensazione. A differenza mia però stava per acquistare una macchina usata e quasi sull’orlo della rottamazione. Ma siccome, anche lui, come il mio venditore, non è un pirla di acquirente ha approfittato dell’occasione e si è portato a casuccia sua il primo gruppo editoriale italiano di quotidiani. Abbastanza malandato, ma la ciccia c’è e il prezzo d’acquisto è stato più che ragionevole.

Ha pagato 0,46 centesimi per azione per 102,4 milioni di euro e per assicurarsi il 43,78% del capitale. Appena 2 anni fa Gedi quotava 0,80 centesimi. In due anni il mondo di Gedi si è capovolto. Il valore di mercato oggi era calcolato intorno ai 150 milioni di euro. Secondo alcuni osservatori la cifra giusta avrebbe dovuto essere sui 130 milioni. Dunque, John ha fatto di meglio.

Stupisce la frase che Marco De Benedetti avrebbe detto prima dell’accordo annunciato ieri sera: “Elkann ha fatto un’offerta che non si può rifiutare”. Allora,  il gruppo non era alla frutta, ma al digestivo dozzinale che ti blocca lo stomaco. Gedi era ad un passo dal crollo, che avrebbe trascinato non solo La Stampa e decine di quotidiani locali ma anche La Repubblica, considerata una corazzata.

D’altra parte, si era capito da tempo Gedi era una palla al piede di Cir. Kos e Sogefi (due altre attività della holding), producono utili operativi per 50 milioni la prima e per 37 milioni la seconda, l’editoria di Gedi ha raccolto appena 7 milioni. Secondo quanto pubblicato da Affaritaliani l’editoria faceva ricavi per 648 milioni con utile operativo negativo per 11 milioni. Mentre Kos con ricavi per 544 milioni produceva utili operativi positivi per 66 milioni e Sogefi con 1,6 miliardi di fatturato ha un utile operativo di 62 milioni. E’ evidente che il management di Gedi ha fatto la scuola dell’obbligo e si è fermato lì.

Un disastro, Elkann si è infilato nella concessionaria, spendendo meno della metà di quello che Exor ha appena investito (300 milioni di euro) per rimpolpare le casse della Juventus.

Se sarà un affare lo dirà il tempo. Quello che è certo è che peggio di così non poteva andare. Ora che si alza il velo sui conti e sul valore della società a Piazza Affari si capiscono molto più cose, compresi i tagli dei poligrafici, le restrizioni economiche ai giornalisti e il fatto che in quasi 3 anni l’editore non abbia mai presentato un piano industriale e uno editoriale.

(La riproduzione di questo articolo è libera, secondo quanto previsto dall’attribuzione di Creative Commons, all’unica  e inderogabile condizione che nel riprodurlo sia citato il nome di questo blog IL TIMES e che attraverso il link sia permesso al lettore di raggiungerlo)

 

Troppo buoni

 

FONTE CARMILLAONLINE

di Alessandra Daniele

 

In piazza contro Salvini ci sono le Sardine.
Ma dove sono i pastori sardi ai quali aveva promesso il latte a 1€ al litro?
Dove sono i lavoratori ai quali aveva assicurato l’abolizione totale della legge Fornero, e delle accise, al primo consiglio dei ministri dell’ormai defunto governo Grilloverde?
Perché gli elettori di Salvini ai comizi non gli chiedono conto delle cazzate che spara, invece di chiedergli un selfie?
E perché gli elettori grillini non riempiono le piazze per chiedere conto al Movimento 5 Stelle di tutti i continui voltafaccia, tradimenti, svendite, e sputtanamenti?
Com’è possibile che Matteo Renzi possa ancora mostrare in giro il suo faccione gommoso, senza che glielo spianino come la pasta della pizza?
Perché Zingaretti non viene spernacchiato a vista, quando proclama che la missione del PD è il titolo dell’ultimo pezzo sanremese di Elio e le Storie Tese, cioè “Vincere L’Odio”?
Il problema degli italiani non è la rabbia.
È la pazienza.
La rassegnazione.
I cileni, i francesi, i cinesi, i libanesi, gli iracheni, i boliviani, i catalani, gli iraniani s’incazzano.
Gli italiani sopportano.
Si sfogano sui social.
Ogni autunno, l’Italia frana. S’allaga, e si spappola nel fango.
Oggi è crollato un altro ponte.
E siamo solo a novembre.
In Italia ci sono ormai centinaia di crisi aziendali.
Le ditte licenziano, e se ne vanno.
Decine di migliaia di lavoratori aspettano che cali la scure.
Chi di loro protesta, lo fa in maniera completamente civile e pacifica.
Quando ogni tanto qualche manifestante davvero s’incazza, magari perché il padre è morto di Eternit, rovescia un cassonetto, o incrina una vetrina.
Il giorno dopo tutti i media gridano alla “devastazione”. E poi invocano lo Scudo Penale Totale Globale per le acciaierie che trasformano Taranto in un pianeta inabitabile per la specie umana.
Il simbolo delle Sardine ricorda il Pesce dei proto-cristiani.
Dalla Bestia social di Salvini hanno risposto con la foto d’un gatto che mastica un pesciolino. Si credono leoni del Colosseo. Ma sono solo leoni da tastiera.
In piazza ci sono le Sardine.
Però non basteranno, se nessun altro perderà la pazienza, vincerà la rassegnazione.
Diceva il vecchio slogan d’una marca di biscotti: il destino dei troppo buoni è finire mangiati.

Milagro Sala: confermata l’assoluzione nella causa “Balacera de Azopardo”

FONTE PRESSENZA.COM

Il caso conosciuto dai media come “La balacera de Azopardo” (sparatoria di Azopardo”) si è occupato di cosa è successo il 27 ottobre 2007. In questo episodio Alberto “Beto” Cardozo, leader sociale dell’organizzazione Tekure e membro della Rete delle Organizzazioni Sociali, è stato inseguito da Fabián Ávila, l’unico condannato in questo caso, e da Jorge Rafael Páes, che è stato assolto. Secondo i testimoni, entrambi hanno sparato a Cardozo; un ragazzo di 11 anni è rimasto gravemente ferito.

Il giudice Pablo Pullen Llermanos ha usato questo caso per arrestare arbitrariamente Milagro Sala e Alberto Cardozo, che era stato vittima degli eventi oggetto di indagine. Tuttavia, il giudice lo ha illegalmente privato della libertà per estorcergli una testimonianza contro la leader sociale. Questa settimana la Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione sia di Sala che di Cardozo, come deciso dalla Corte n. 1 nel dicembre 2018.

L’accusa contro la leader sociale è stata fatta dal giudice Pullen Llermanos sulla base della testimonianza di Jorge Rafael Paés, coinvolto nei crimini oggetto di indagine. Latitante per due anni, fu assolto dopo aver testimoniato contro l’allora deputata del Parlasur. È necessario sottolineare il ruolo degli avvocati difensori della leader sociale Elizabeth Gómez Alcorta, Paula Álvarez Carrera e Luis Paz.

Il Comitato per la liberazione di Milagro Sala e dei prigionieri politici di Jujuy ha accolto con soddisfazione la conferma dell’assoluzione e hanno assicurato che si tratta di un primo passo verso la completa riabilitazione di Milagro Sala.

Barca: “Basta con la sinistra moderata, serve radicalità per battere Salvini”

 

FONTE : MICROMEGA

Applaudito alla kermesse del Pd, l’ex ministro e portavoce del Forum disuguaglianze e diversità auspica che Zingaretti inauguri una nuova stagione: “Si è aperta una lunga strada che prova a riportare – in una sinistra da anni egemonizzata dal neoliberismo – una cultura che vede la giustizia ambientale e sociale come i veicoli dello sviluppo. Certo, sarà una battaglia”. E poi aggiunge: “Bisogna porsi il problema di rappresentare i subalterni, solo così si sconfigge la destra”.

intervista a Fabrizio Barca di Giacomo Russo Spena
 
“Non è il tempo di essere moderati: bisogna affermare una radicalità positiva in contrapposizione alla radicalità della peggior destra. E per radicale non intendo la redistribuzione dei fondi ma di poteri, qui è la sfida”. Fabrizio Barca, da mesi, sta lavorando con il suo Forum disuguaglianze e diversità per strutturarsi sui territori e costruire ponti tra culture differenti che si ritrovano nell’articolo 3 della Costituzione: “Dietro il nostro progetto c’è una certa trasversalità dell’agire politico, siamo mettendo insieme le conoscenze dei mondi della ricerca e della cittadinanza attiva”. Da ActionAid alla Caritas, da Legambiente a varie fondazioni passando per l’associazionismo diffuso, si stanno sviluppando campagne per contrastare le enormi diseguaglianze presenti nel Paese. Un grande lavoro di accumulazione sociale che stride con la crisi, a sinistra, della rappresentanza. Su questo Barca non ha dubbi: “Chi non si pone il problema della rappresentanza dei subalterni, è il vero irresponsabile perché non fa altro che continuare a regalare consensi a Salvini”.
L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE : MICROMEGA

Con Emergency a Milano lungo le vie della povertà. Pubblicato da FIOMNOTIZIE il 20 NOVEMBRE 2019

Ringraziamo Fiom e Tiziana Parisi per questa testimonianza. Editor

Fonte Fiom Notizie

Mi chiamo Tiziana Parisi, lavoro in Automobili Lamborghini come impiegata commerciale da circa 16 anni e sono al primo mandato come delegata sindacale Fiom all’interno della mia azienda.

Uno dei progetti che subito mi ha visto entusiasta quando sono entrata in Fiom è stato l’accordo che Automobili Lamborghini insieme alla RSU aziendale e le Organizzazioni sindacali esterne hanno fatto con Emergency.

Certo è difficile associare due realtà completamente diverse. Un’azienda che produce automobili di lusso ed una Onlus che si occupa di offrire cure medico-chirurgiche gratuite alle vittime delle guerre e della povertà. Ma tutto ciò è diventato reale grazie all’impegno dei delegati sindacali che prima di me hanno siglato questo progetto e che l’hanno fortemente voluto, all’azienda che si è messa in gioco e ad Emergency che si è attivata per far sì che tutto funzionasse al meglio.
Secondo criteri precisi (tra l’altro tale esperienza è considerata come una trasferta formativa con la durata di circa una settimana), è stata offerta l’opportunità a tutti i dipendenti di prendere parte a questo progetto, chiamato “Progetto Italia” all’interno di un Politruck a Milano che svolge attività di supporto ai volontari della clinica mobile.
Questo truck (una specie di camion attrezzato di tutto punto) attraversa i quartieri meno fashion per fornire attività di medicina generale, pediatrica, mediazione culturale e orientamento socio sanitario.
La mia avventura con Emergency inizia un lunedì di pioggia su un treno in direzione Milano.
Guardo fuori dallo specchietto e mi chiedo cosa aspettarmi e che senso abbia una struttura del genere in Italia , perché è vero che da noi ci sono i poveri ma è altrettanto vero che l’art 32 della Costituzione parla chiaro : “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto all’individuo ed interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”

Tutti i cittadini extracomunitari o comunitari hanno diritto a ricevere le cure necessarie anche se privi di regolare documento di soggiorno.

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Quando arrivo in via Odazio, scorgo da lontano un camion lungo circa 12 metri, ed un uomo intento ad allacciare la corrente ad un generatore, incurante della pioggia insistente che lo stava bagnando. Arrivo e mi accoglie con un grande sorriso. Dopo neanche 10 minuti tutto lo staff (dottore, infermieri, mediatori) mi fanno sentire parte integrante del team.
Li ho travolti con mille domande, con tanti dubbi e sul perché della loro presenza nel territorio di Milano ma è bastato poco per comprendere.
In quei giorni ho visto decine e decine di persone: italiani, comunitari, extracomunitari salire su quel camion rosso, perché non è vero che in Italia siamo tutti uguali, perché se sei povero, non parli la nostra lingua o semplicemente non sai orientarti nel sistema sanitario, ti senti solo ed inerme.
Perché ho capito, in quei giorni, che aldilà delle cure, le persone che salgono sul quel truck, vogliono essere accolte, ed i ragazzi di Emergency lo fanno con professionalità e gentilezza.
Chi sceglie di andare lì, lo fa anche per sentirsi almeno per pochi attimi accudito e non emarginato, in poche parole meno solo.
Chi va lì non è considerato povero, extracomunitario, malato, chi va lì viene solo visto come un essere umano.
Questa esperienza mi ha messo in contatto con la parte più intima di me, mi ha colpito nella mia fragilità.
Mi sono resa conto di come io fossi inconsapevolmente una privilegiata solo per essere nata in un posto che nonostante le sue difficoltà, mi ha garantito di studiare, di lavorare, di crearmi un futuro.
Che quelle persone invece le mie stesse opportunità, nel loro paese non le hanno avute.
Ci sono esperienze che lasciano inevitabilmente un segno nel cuore. Questa esperienza con Emergency ha avuto il potere di farlo.
Molto spesso quando leggiamo articoli di giornale o semplicemente guardiamo le notizie in un TG, quello che viviamo è una storia che comunque è lontana dalla nostra realtà.
Quando invece ti metti in prima linea e ti spogli dei tuoi pregiudizi, ogni persona che incontri, ogni povero, ogni emarginato, per magia non è più una storia che non ti interessa, ma invece ti appartiene, perché ha un nome, un volto, un odore.

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Ecco questo non potrò mai dimenticare della mia settimana di volontariato a Milano: Gli occhi delle persone, a tratti tristi, arrabbiati, vuoti, ma anche speranzosi, fiduciosi .
Occhi che hanno attraversato i miei ed hanno toccato la mia anima
Dovremmo vivere tutti con la consapevolezza di essere uguali e che dietro ogni disagio esiste una mancata opportunità, dietro ogni discriminazione si nasconde l’ignorare la storia di un individuo, del suo viaggio in questo mondo, a volte fatto di difficoltà e carenza.
La mia avventura è finita il venerdì sera, a Milano non pioveva anzi c’era un timido sole.
Ho ripreso il treno verso Bologna e mentre scorrevo le foto scattate in quei giorni mi è rimbalzato agli occhi questa scritta sul dorso del Politruck:
“Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”
Preambolo dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – 10 Dicembre 1948.

Tiziana Parisi delegata Fiom Automobili Lamborghini

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Cile. Le cifre dopo 31 giorni di mobilitazione

Il 18 ottobre, dopo aver saltato per alcuni giorni i tornelli della metropolitana per evitare di pagare la tariffa, gli studenti delle scuole superiori hanno raggiunto una speciale sintonia con la popolazione che ha scatenato continue proteste in tutto il paese, un fenomeno che è stato chiamato “Cile si è svegliato” o “la marcia della dignità”.

Ecco le cifre per l’anniversario di un mese, probabilmente il più intenso della nostra storia:

23 morti – 2.365 feriti curati negli ospedali (42 da proiettili, 45 da armi a pallini, 400 da armi da fuoco non identificate, 774 da pallettoni, 1.104 da colpi, gas e altro) – 258 persone ferite agli occhi.

22.957 Carabineros nelle caserme – 15.911 Carabineros sul campo – 28.908 membri in uniforme delle Forze Armate nelle strade – 51.000 membri delle Forze Armate nelle caserme.

4.317.076 manifestanti in tutto il paese, di cui 2.314.356 nella regione metropolitana*.

Il servizio fotografico è di Laura Feldguer, Riccardo Marinai e Claudia Aranda:

*fonte: papeldigital.latercera.com

Bolivia: la presidente golpista dà all’esercito licenza di uccidere

 

FONTE RAIAWADUNIA

La battaglia campale di Sacaba (dipartimento andino di Cochabamba), che ha visto affrontarsi  “cocaleros” seguaci di Evo Morales e militari dal grilletto facile, ha fatto innalzare ulteriormente  il numero totale di vittime del golpe in atto in Bolivia.

“Ci sono almeno 23 persone uccise e 215 ferite dall’inizio della crisi istituzionale e politica (un mese fa)”, ha confermato la Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR) questa domenica, che ha anche avvisato il mondo dei pericoli del decreto del governo che esonera i militari da ogni responsabilità  “in caso di legittima difesa”.

“Il  decreto stimola la repressione violenta”, ha avvertito lo IACHR.

I “cocaleros” hanno tenuto una riunione  sabato sera vicino al luogo in cui i corpi dei loro compagni uccisi erano depositati. La maggioranza ha optato per un ultimatum di 48 ore al presidente provvisorio Jeanine Áñez: o si dimette o loro bloccheranno il Paese.

L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE SU RAIAWADUNIA

BOLSONARO TAGLIA. LE UNIVERSITÀ RESISTONO

 

Autore : Angelo D’Orsi

FONTE : IL BLOG DI ANGELO D’ORSI

Uno scorcio di Campinas, terza città del BrasileUno scorcio di Campinas, terza città dello Stgato di San Paolo in Brasile

Campinas è la terza città in ordine di importanza dello Stato di San Paolo. L’area metropolitana si avvicina ai tre milioni di abitanti. Si tratta in verità di una piccola San Paolo, senza il fascino tremendo della megalopoli brasiliana.

Il campus di Unicamp a Campinas

Anche Campinas ha però grattacieli, una economia postindustriale abbastanza fiorente, e una rinomata università «estadual», ossia dello Stato di San Paolo, mentre altre università sono «federais», cioè nazionali, essendo il Brasile una Repubblica Federale. Poi naturalmente vi sono le università private, che si dividono in quelle religiose (cattoliche e evangeliche, nelle diverse sette) e quelle legate a industrie, banche e centri finanziari. Infine, le università straniere, sostanzialmente statunintensi. UniCamp ha un’ottima reputazione, e resiste all’azione violenta di Bozo, volta a cancellare i fondi, a ridurre l’autonomia, a sottoporre a pressione politica tutti gli atenei pubblici, sia quelli federali (di solito i meno ricchi finanziariamente), sia quelli statali (che godono sovente di finanziamenti anche privati in aggiunta a quelli pubblici).

ENTRANDO NEL CAMPUS – in Brasile tutte le università sono collocate in campus, di regole esterni alla cinta cittadina – la prima cosa che si nota sono i manifesti che ricordano Marielle Franco, la sociologa e attivista uccisa nel marzo 2018, ormai divenuta una icona della resistenza antibozonarista.

Capannelli di studenti chiacchierano dei programmi di studio, ma anche di politica. Mi raccontano che l’elezione del capitano dell’esercito alla presidenza della Repubblica, ha rappresentato un fattore di divisione nella società, e persino all’interno delle famiglie. Una studentessa scherzosamente ma non troppo parla di divorzi provocati dalla contrapposizione tra coniugi, di rotture di relazioni tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle. Alcuni, sento, hanno sostenuto Bolsonaro accogliendo, più o meno in buona fede, il messaggio anticorruzione e di modernizzazione che gli spin doctors americani prepararono per la campagna elettorale vincente del truce Bozo.

A questi sudenti e ai loro professori, e professoresse, numerosissime, vado a parlare di fascismo, in chiave storica e politologica: un confronto, che mi viene quasi imposto a viva forza, tra il fascismo classico e le forme odierne che ad esso possano essere avvicinate…

LA DOMANDA CHE PERCORRE docenti e discenti, è se il Brasile di Bozo sia paragonabile al paese che diede i natali ai Fasci di Combattimento, e se la linea politica bolsonarista sia simile o addirittura uguale nella sostanza a quella fascista. Ma quando, dopo la conferenza, mi ritrovo con un gruppo ristretto, a mangiare una pizza, e bere una birra, provo a chiedere a ciascuno dei presenti le ragioni della vittoria di Bozo, immediatamente le opinioni si dividono, entrano in contrasto, anche assai vivace.

LE FAKE NEWS DIFFUSE dallo staff di Bolsonaro sono considerate da tutti la sua arma vincente, ma v’è chi insiste sulla debolezza e la divisione del campo avverso, quello «progressista». E alla fine, emerge una delle spiegazioni più interessanti, che mi riportano con la mente in Italia: Bolsonaro ha vinto perché il PT, il Partido dos Trabalhadores, il partito di Lula, era ormai da tempo afflitto dalla corruzione, e Bolsonaro ha insistito su questo elemento, aiutato dalla campagna «Lava Jato» (letteralmente «Autolavaggio») di cui fu animatore il giudice Sérgio Moro, poi finito nei guai, a sua volta.

COME DIRE, LA SINISTRA viene sconfitta quando diventa «come gli altri», o se si vuole, quando rinuncia a fare la sua parte, sulla base di discriminanti verso la destra, e si trasforma in una costola della destra…
C’è voglia di discutere, bisogno di capire, e mi rendo conto che questa fetta di popolazione che è la futura classe dirigente o una sua parte importante, è smarrita, quasi incredula: coloro a cui pongo la domanda: come è potuto accadere ciò che è accaduto negli ultimi anni in Brasile? L’inchiesta giudiziaria, il fango su Dilma Rousseff, e il golpe (qui dicono proprio così: «Il golpe del 2016»), che detronizzò Dilma e mandò in prigione Lula come due malfattori, hanno rappresentato un vero tsunami sulla società brasiliana, e la borghesia progressista, il «ceto medio riflessivo», non solo non si sono ripresi, ma ancor cercano vie per capire e per reagire.

LO STESSO ADDAD, il competitor sfortunato di Bozo, su cui sento solo giudizi positivi, ha tuttavia la colpa di essere del PT, e di venir percepito come parte del «sistema», contro cui si è scagliato Bolsonaro, presentandosi, al solito, come quello che è fuori della casta, ma che ne fa parte pienamente da sempre.
Un messaggio che evidentemente paga. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. Un senso di smarrimento mi colpisce a mia volta, quando vuotati i bicchieri, ci alziamo dai tavoli dove studenti e colleghi si sono assiepati bisognosi non soltanto di ascoltare lo studioso straniero, ma anche e soprattutto di esternargli la propria angoscia, quasi a cercare rifugio nell’analisi teorica davanti al fallimento dell’azione politica.

II Puntata del reportage brasiliano (“il Manifesto”, 21 settembre 2019)

 

Marwa Mahmoud, la giovane Presidente che non piace alla Lega di Reggio Emilia

FONTE ARTICOLO21 CHE RINGRAZIAMO 

Lei si chiama Marwa Mahmoud ed stata nominata presidente della Commissione “Diritti Umani” del Comune di Reggio Emilia ma ancora prima che l’organismo consiliare cominciasse i lavori è partita un’insolita nota di censura firmata da tutti i gruppi di opposizione e in cui il primo firmatario è il capogruppo della Lega, Matteo Melato. Cosa è accaduto di così grave da portare alla censura formale? Sostengono le opposizioni che la Presidente ha avviato incontri istituzionali senza passare prima dalla Commissione e che abbia votato una mozione del Pd (passata a maggioranza) su percorsi di pace in Bosnia mentre ha espresso voto contrario ad un’altra mozione, delle minoranze, sulla cancellazione di una strada intitolata a Tito. Ciò, secondo la richiesta di censura depositata dalla Lega, inficia l’indipendenza e l’imparzialità che devono, invece, caratterizzare il ruolo dei Presidenti delle Commissioni e in specie di questa Commissione che si occupa di temi delicati afferenti, appunto, i diritti umani.

Ma stanno davvero così le cose, oppure siamo davanti all’ennesima azione di razzismo più o meno strisciante, posto che la Mahmoud è egiziana, seppur cresciuta a Massenzatico? E’ inevitabile in un momento come quello che si sta vivendo in Italia porsi questo tipo di domande, tanto più che si sta parlando di una giovane donna impegnata sul fronte dei diritti civili degli immigrati e sull’integrazione culturale della seconda generazione di stranieri presenti in Italia. E poi è una donna, che lavora nel mondo della comunicazione. Non sarà questo, per caso, il suo vero “difetto”? Marwa Mahmoud è stata anche responsabile progetti di educazione interculturale del Centro Culturale Mondoinsieme di Reggio Emilia. Nata ad Alessandria d’Egitto, è arrivata in Italia da bambina insieme ai genitori, è laureata in Lingue e Letterature Straniere, collabora con il Centro Culturale Mondinsieme dal 2004, inizialmente come educatrice e redattrice di progetti giornalistici.

Fa inoltre parte del direttivo del Coordinamento Nazionale delle Nuove Generazioni Italiane e del consiglio nazionale dell’Istituto Cervi di Gattico. Scrive su Piattaforma Infanzia e ha lavorato per la Gazzetta di Reggio. Un curriculum che era sembrato più che sufficiente per affidarle la delicata commissione sui diritti umani. Invece è bastato un voto espresso liberamente, come spetta a qualunque esponente politico, per mettere in discussione proprio lei, la giovane Presidente sgradita alla Lega.

Santiago Arde

Dall’Agenzia cilena lavaca.org riprendiamo questo articolo: 

 

 

 

 

Come è stata vissuta e cosa ha detto ieri la massiccia mobilitazione a La Moneda, a Santiago, in Cile, dove il clima si riscalda sempre di più. Un uomo morto in Concepción, ferito da pallini che indicano gli occhi, insegnanti e operatori sanitari repressi ma ancora avanzando. Cronaca urgente dalle strade in cui è scritto il futuro latinoamericano.

Di Maxi Goldschmidt di Santiago per lavaca.org

Master fioriere represse. Così inizia martedì nelle strade di Santiago, dove si è svolta un’altra marcia massiccia, questa volta a La Moneda.

L’odore del bruciore si sente forte su La Alameda Avenue: le manifestazioni di lunedì si sono concluse con più incendi commerciali rispetto ad altri giorni e in alcuni casi si sono persino diffuse negli edifici che dovevano essere evacuati. Il tempo per le strade si riscalda di più, mentre le risposte ufficiali sembrano solo aggiungere più combustibile al fuoco.

-Vai, capre, non indietreggiare: devi arrivare a La Moneda.

Il motto di martedì era quello di manifestare in quel luogo storico, ma spostarsi attraverso le strade circostanti non era facile: gli agenti di polizia hanno difeso l’edificio con benzina e spari. Più tardi, il direttore generale dei Carabineros, Mario Rozas, dirà che la sua forza non ha commesso errori in questi giorni e che è “molto contento del lavoro svolto”.

Ieri, tra le nuove decine di feriti c’era un funzionario del National Institute of Human Rights (NHRI), che ha ricevuto sette pallottole nel suo corpo. Secondo quell’agenzia statale, fino a ieri sera c’erano 1233 feriti che venivano curati negli ospedali. Di questi, almeno 140 soffrono di danni agli occhi.

“I primi giorni in cui i pacos hanno sparato alle gambe, ora indicano la testa e gli occhi”, è la testimonianza ripetuta da medici e infermieri nelle postazioni sanitarie autogestite che continuano a spuntare in tutta la città. Uno striscione mostra un paio di occhi infranti. Si chiede: “Quanti altri per  aprire i tuoi ?”

La salute del modello

E come, come e come è il weá? I pazienti muoiono e nessuno fa nulla.

La canzone viene ascoltata attraverso il centro di Santiago, nel mezzo di una processione di cinque blocchi afflitta da entrambi i dottori di tutti i colori. Scendono in Mac Giver Street, dal Ministero della Salute a La Alameda.

“È la prima volta che tutti i settori sanitari sono uniti: medici, infermieri, studenti”, afferma Leonor Palma, entrambi fioriti, 42 anni, 15 infermieri di emergenza. Porta un cartello: “Per i miei pazienti ricoverati in ospedale nei corridoi”.

– Sono venuto per loro, che trascorrono fino a cinque o sei giorni in attesa di un letto. Le persone che muoiono senza essere curate, e questo non è detto, perché è vietato filmare, fare foto o diffondere ciò che accade negli ospedali pubblici.

Fischi e un suono di percussioni diverso: oltre alle pentole, vengono aggiunti vassoi d’argento che di solito contengono bisturi e altri strumenti chirurgici. Un gruppo di dentisti li colpisce con tazze in acciaio inossidabile e secchi di metallo per fare impronte dentali.

-Se ricevo un prematuro e non ho spazio in ospedale, ho l’obbligo di indirizzarti a una clinica privata. E lo Stato preferisce pagare i premi piuttosto che guadagnare più posti letto o investire nella sanità pubblica. Gran parte della risorsa va al servizio privato.

Irene è una neonatologa, lavora 39 anni fa in un ospedale pubblico e fornisce un esempio pratico di ciò che, a pochi metri dietro la lunga roulotte, ha appena spiegato Sebastian Wendt. “Lo Stato sovvenziona le aziende anziché le persone. E quello che vale, paga dieci. Ciò si ottiene grazie della porta girevole.  Gli uomini d’affari diventano legislatori, votano le leggi e poi divengono direttori di società sanitarie private finanziate da accordi con lo Stato. Ecco come viene gestito il neoliberismo ”, afferma Sebastian, uno psicologo, 40 anni, con un grembiule bianco e un megafono in mano.

“Violento è chiamare un paziente per la chemio due mesi dopo la sua morte”, dice un altro dei manifesti il ​​cui slogan, con diversi esempi, si ripete lungo la marcia che avanza lungo una delle corsie di La Alameda verso Piazza italia.

Nell’altra corsia, a passo lento e curvo su un medico di 77 anni, grembiule bianco, mezzo secolo di lavoro in un ospedale pubblico. Si chiama Andrés, è tossicologo e dice: «Per la prima volta nella mia vita vedo che è possibile un profondo cambiamento nel sistema sanitario. Dobbiamo cogliere questo momento, perché ora può essere raggiunto ».

Daniela Miranda è una sociologa, 34 anni. Tutto intorno c’è fumo nero, odore di gas, camion dei pompieri che passano a tutta velocità. Sirene, urla. Salutate e lasciate fluttuare un’altra frase che come “assassini” e “Cile si sono svegliati”, è una delle più sentite in strada: «Le persone non sono disposte a tornare indietro nelle loro richieste. C’è paura, ovviamente, ma la paura più grande è un’altra. La paura di molti è che questo sia finito e che nulla cambi.

Oggi c’è uno sciopero nazionale e fin dall’inizio nuove manifestazioni, che si replicano in altre città. Una carovana è partita ieri sera da Valparaiso e intende raggiungere La Moneda oggi alle 20.

Il governo e i media, nel frattempo, insistono nel concentrarsi sulla violenza dei manifestanti.

Daniela è una di queste, armata di padella e cucchiaio di legno. E dice:

-Se non ora, quando ?


Cos’è l’Agenzia lavaca.org ?

lavaca.org  è la casa virtuale della nostra cooperativa. Abbiamo abitato la rete dall’aprile 2002, ma la nostra nascita è avvenuta il 19 e 20 dicembre 2001, per strada e gridando “Lasciateli andare tutti”. È nata la nostra prima nota, che distribuiamo per posta tra i nostri contatti e con il motto “anticopyright”. Oggi fa parte del libro  Grandi cronache giornalistiche , curato dal Fondo de Cultura Económica, insieme a testi di José Martí, John Reed, Elena Poniatowska, tra gli altri classici.

Da allora fino ad oggi,  Lavaca  intende generare strumenti, informazioni, collegamenti e conoscenze che migliorano l’autonomia delle persone e delle loro organizzazioni sociali.

Comprendiamo per autonomia:

  • Autogestione di progetti di vita personali e collettivi.
  • Il libero flusso di nuovi modi di pensare e di agire.
  • L’esercizio della libertà, inteso come una forma di potere sociale.

PROSEGUE SU LAVACA.ORG

 

 

Facebook ha oscurato una pagina che documenta la repressione in Cile

 

FONTE DINAMOPRESS

In queste ore i giornalisti della cooperativa argentina La Vaca – Mu sono in Cile per documentare la rivolta contro il presidente Piñera e la repressione dei militari

I giornalisti della cooperativa di Buenos Aires Lavaca – Mu, che conosciamo e con cui abbiamo condiviso la copertura degli incendi in Amazzonia, sono in queste ore in Cile per documentare la rivolta della popolazione e la durissima repressione dei militari.

Proprio adesso ci è arrivata la notizia che la loro pagina Facebook è stata oscurata. Traduciamo e rilanciamo il loro comunicato.

#MUINCILE: LA COPERTURA CHE FACEBOOK CENSURA

Facebook ha censurato la nostra pagina il giorno che coprivamo dal vivo la protesta di massa e pacifica contro le politiche del governo di Sebastián Piñera repressa dai carabinieri nelle strade di Santiago.

Pensiamo si tratti di un attentato in più alla libertà di espressione e di accesso all’informazione. Inoltre, è un attacco alla nostra possibilità di lavorare e di informare, a due giorni dal processo elettorale [in Argentina si terranno nel fine settimana le elezioni politiche, ndt].

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Alcuni materiali di Lavaca – Mu dal Cile:

LA PRIMAVERA CHILENA: CRÓNICA URGENTE DESDE LA CRISIS DEL NEOLIBERALISMO

#MUEnChile: Volar hacia la revuelta