Quando il nemico è la democrazia

fonte  comune-info

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di Marco Bersani*

Entro il 31 dicembre di quest’anno gli Stati che nel 2012 avevano sottoscritto il Fiscal Compact (deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche inferiore allo 0,5% del Pil, obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di un ventesimo ogni anno fino a portarlo al di sotto del 60%) dovrebbero decidere se incardinare l’accordo all’interno del diritto europeo, determinandone di fatto la prevalenza sulla legislazione nazionale.

Logica avrebbe voluto che tale decisione fosse presa da ogni Parlamento di ogni Stato che aveva a suo tempo approvato il Fiscal Compact. Così non sarà: non si prevede infatti nessuna discussione democratica all’interno delle istituzioni elettive, bensì l’inserimento della questione all’interno di una più ampia riforma dell’Eurozona che verrà inserita in una Direttiva del Consiglio Europeo da approvare entro la metà del 2019.

In un documento di 40 pagine, la Commissione Europea ha presentato in questi giorni le proprie proposte. Tre sono le novità previste.

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Turquie : 140 travailleurs réclament leurs salaires à Zara

 

FONTE  EQUALTIMES.ORG

Depuis l’été 2016, les rendez-vous au siège du syndicat Disk Tekstil à Merter, quartier populaire d’Istanbul, sont devenus fréquents.

Filiz Tutya est assise dans le bureau du président. La cinquantaine, elle travaillait à l’usine Bravo Tekstil depuis sa création il y a six ans. 70 % des articles qu’elle confectionnait étaient destinés à la marque Zara, dont la maison-mère est le groupe Inditex. Tout se passait très bien, jusqu’au 25 juillet 2016.

« La veille, des hommes sont entrés dans l’usine. Notre patron leur devait de l’argent. Nous pensions que la situation allait s’arranger mais lorsque nous sommes venus travailler le lendemain, le bâtiment était vide et notre patron s’était enfui », se souvient l’ouvrière.

En s’enfuyant, le patron laissait alors derrière lui 140 employés à la rue.

« Il y avait des problèmes économiques », admet Azem Atmaca. Ce grand bavard travaillait en tant que machiniste depuis quatre ans. Ouvrier depuis les années 1970, il n’a jamais connu une telle situation : « Les derniers mois nous n’étions pas payés à temps, ou seulement la moitié. Mais nous pensions vraiment que la société trouverait une solution ».

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Dicembre a Ventimiglia. Ovvero, il gelo – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte Effimera

Riprendiamo da Parole sul Confine questo report del 3 dicembre scorso.

Partiamo all’ora di pranzo. Non c’è molto tempo questa volta, ma abbiamo appena ricevuto una donazione di farmaci.

Soprattutto vogliamo andare a verificare se, con l’arrivo delle temperature invernali, ci sono persone abbandonate all’addiaccio e quante sono.

Purtroppo, la realtà supera ampiamente le nostre previsioni. Giunti in prossimità della ferrovia in via Tenda, osserviamo dall’alto un gran numero di persone in piccoli gruppi, alcuni vicini ad un fuoco, altri che entrano negli anfratti del ponte. Accanto a noi passa un ragazzo in maglietta e pantaloni corti. Sono le 16.30, il sole sta per tramontare e la temperatura si sta abbassando rapidamente.

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La sinistra, la comparsa e scomparsa di formazioni: a che limite si è arrivati?

di Sergio Caserta

fonte ilmanifestobologna

Il ritiro dalla scena elettorale di Pisapia di “campo progressista”, tentennante fino dall’insorgere del suo “movimento” con le sembianze dell’anti leader che nel nostro paese non ha molta fortuna da una paio di decenni e più, segue quella altrettanto clamorosa dei due “costituenti” Anna Falcone e Tomaso Montanari, promotori “civici” della bella assemblea del Brancaccio, poi naufragata dopo incerta navigazione nell’arcipelago rosso della frammentata sinistra, irto di scogli e secche che metterebbe in difficoltà ben più esperti navigatori della politica nostrana.

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DONAZIONI FORZATE

fonte NIGRIZIA

Il traffico di organi è legato strettamente al commercio di esseri umani, che forniscono “materia prima” gratuita e senza rischi. Un crimine estremamente lucroso che sembra essere in forte crescita e di cui finalmente si comincia a parlare.

di Bruna Sironi

 

Il traffico di organi, di cui a lungo si è vociferato con scetticismo ed incredulità, è ormai venuto allo scoperto come uno dei più odiosi crimini legati al traffico di essere umani. Un crimine che sembra essere in forte crescita anche grazie alla crisi migratoria degli ultimi anni, che ha esteso, rafforzato e rinsaldato le reti dei trafficanti e ha messo a disposizione molto “materiale” praticamente senza rischi.

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L’Italia: un paese sempre più povero in capitale umano e culturale

fonte Diariodellavoro

 

La ripresa economica, seppure debole e inferiore alla media europea, segna la fine  di un periodo di sofferenza. Restano le cicatrici della lunga depressione: il paese è impoverito dal punto di vista economico, ma è soprattutto immiserito dal punto di vista del capitale umano e culturale.

L’impoverimento in capitale economico a disposizione delle famiglie è ormai un dato ripetutamente certificato. Ultimo arrivato il 51° rapporto del Censis che fissa in oltre 1,6 milioni di famiglie (dato aggiornato al 2016) quelle in condizioni di povertà assoluta, con un boom del +96,7% rispetto al periodo pre-crisi.

Gli individui in povertà assoluta sono 4,7 milioni, con un incremento del 165% rispetto al 2007. Dinamiche incrementali che non risparmiano nessuna area geografica  e che si concentrano, come al solito  al Centro (+126%) e al Sud (+100%). Il boom della povertà assoluta rinvia a una molteplicità di ragioni, ma in primo luogo alle difficoltà occupazionali, visto che tra le persone in cerca di lavoro coloro che sono in povertà assoluta sono pari al 23,2%.

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Argentina, Roma: i diritti umani nel tempo di Macri

FONTE PRESSENZA.COM

06.12.2017 Redazione Italia

Argentina, Roma: i diritti umani nel tempo di Macri

I diritti umani nel tempo di Macri, il governo delle multinazionali: Benetton nelle terre dei Mapuche

Incontro-dibattito giovedì 7 dicembre 2017 alle ore 19:00 presso la Casa del Popolo

Via B. Bordoni, 50 – Torpignattara – Roma

Il 7 dicembre 2017 presso la Casa del Popolo di Torpignattara si terrà un incontro che affronterà il delicato tema dei diritti umani in Argentina sotto il governo di Mauricio Macri.

Al dibattito saranno presenti ospiti d’eccezione come Taty Almeida, scrittrice, attivista dei diritti umani e membro de Madres de Plaza de Mayo Linea Fundadora, Carlos Pisoni militante di HIJOS (Hijos e Hijas por la Identidad y la Justicia contra el Olvido y el Silencio) e Sergio Maldonado, fratello di Santiago, attivista argentino impegnato per la difesa dei diritti del popolo Mapuche dapprima sequestrato e poi ritrovato senza vita a distanza di mesi.

L’Argentina vive nuovamente un periodo storico critico e difficile in materia di diritti umani e ne sono altri esempi la detenzione illegale di Milagro Sala, dirigente dell’organizzazione Tupac Amaru, la criminalizzazione e la repressione della protesta sociale e quelle dei popoli originari. Sono alcune delle tematiche che si affronteranno durante il dibattito oltre alla recente sentenza della mega causa ESMA, il centro di detenzione illegale durante la dittatura civico-militare dal 1976 al 1983.

Nel corso della serata inoltre verrà consegnato ai familiari di Santiago Maldonado una targa in sua memoria insignito all’attivista dal Premio ISUPP (IoSonoUnaPersonaPerbene).

L’incontro è organizzato in collaborazione con HIJOS Capital da Argentinos en Italia por Memoria Verdad y Justicia, da Progetto Sur, dal Comitato per la liberazione di Milagro Sala e dall’agenzia stampa internazionale Pressenza

La contestation sociale réprimée en Amérique latine

Mounted police keeping guard on University students protesting against corruption in the education sector, in front of the National Congress in Asuncion (Paraguay).   (Santi Carneri)

fonte equaltime.org

Le 17 octobre, jour de commémoration annuel en Argentine de Juan Domingo Perón, fut repêché dans le fleuve Chubut le corps sans vie de Santiago Maldonado, un jeune artisan porté disparu 80 jours plus tôt et aperçu pour la dernière fois au cours d’un affrontement entre la communauté Mapuche et les forces de sécurité de l’État.

Ces faits s’inscrivaient dans le contexte d’un conflit territorial de longue durée qui oppose les Mapuche à la multinationale Benetton. La disparition de Maldonado avait tenu en haleine la société argentine tout entière pour laquelle le terme de « disparu » évoque les victimes de la dictature civile-militaire de 1976-1983 et incité des centaines de milliers de personnes à se concentrer dans la Plaza de Mayo de la capitale argentine, au même endroit où, 40 ans plus tôt, les Mères de la Plaza de Mayo avaient commencé à effectuer leurs rondes hebdomadaires pour interpeller les autorités sur le sort des membres de leur famille.

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Il Cavaliere dell’Apocalisse

di Alessandra Daniele

 

 

 

 

Nel 2018 cade il quarantennale dell’era Berlusconi, cominciata nel 1978 con l’acquisizione da parte di Fininvest e l’inaugurazione ufficiale di Tele Milano 58, che diventerà Canale 5 nel 1980, la prima pietra del piccolo impero mediatico-pubblicitario che frutterà al Canaro il titolo di Sua Emittenza.
Fra i personaggi di Tele Milano 58 fin dall’inizio Barbara d’Urso, Diego Abatantuono, Massimo Boldi, Claudio Cecchetto, e Mike Bongiorno.
I veri ministri di Berlusconi.
Nel 1978 Beppe Grillo partecipava come comico alla sua prima edizione di Sanremo su Raiuno.

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Elezioni in Cile: nuovi scenari istituzionali?

FONTE PRESSENZA.COM

04.12.2017 – Michela Giovannini Unimondo

Elezioni in Cile: nuovi scenari istituzionali?
(Foto di Elciudadano)

Domenica 19 novembre si è svolto in Cile il primo turno delle elezioni presidenziali, in concomitanza con le elezioni per il rinnovo del parlamento. Sebastián Piñera, l’ex presidente imprenditore milionario che aveva retto le sorti del paese dal 2010 al 2014, era dato come vincitore secondo i sondaggi. Alla fine è stato sì il candidato più votato, ma è riuscito a racimolare un magro 26,6% dei voti, quando i sondaggi gli davano almeno 18 punti percentuali in più. Il fatto dei sondaggi poco attendibili ha fatto scattare numerose polemiche, dirette principalmente verso il CEP, Centro di Studi Pubblici, think tank fondato in piena dittatura e tradizionalmente legato agli ambienti di destra.

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“Per cambiare l’ordine delle cose”: la società civile si mobilita su diritti e immigrazione

 

FONTE  PRESSENZA.COM

Quelle oltre 500 persone arrivate il 3 dicembre a Roma da 130 città italiane per discutere su come cambiare l’ordine delle cose (della narrazione, ma soprattutto delle politiche in tema d’immigrazione), probabilmente non le vedrete spesso in televisione. Sicuramente meno spesso di quanto non si vedano quattro persone che fanno un blocco stradale.

Doveva essere un evento celebrativo e conclusivo dell’insperato successo di un film – “L’ordine delle cose”, appunto, di Andrea Segre – ancora in sala dal 7 settembre e visto da decine di migliaia di persone.

E invece il forum “Per cambiare l’ordine delle cose” (organizzato da Amnesty International Italia, Banca Etica, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Naga Onlus, Jole Film e ZaLab), iniziato con un commosso ricordo di Alessandro Leogrande che avrebbe dovuto esserne uno degli animatori, potrebbe aver segnato l’inizio di una nuova stagione di impegno sui diritti, sull’accoglienza, sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

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The Hate Destroyer: a Kinodromo la donna che “cancella” i nazisti Lunedì 4 dicembre la proiezione del film di Vincenzo Caruso e l’incontro con regista e protagonista.

 Autore : Sandro Canella
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Irmela Mensah Schramm è un’anziana signora berlinese che da oltre trent’anni rimuove adesivi e manifesti e cancella dai muri simboli nazisti. Per la sua battaglia di civiltà è già stata minacciata di morte più volte. La sua storia viene raccontata da “The Hate Destroyer”, documentario di Vincenzo Caruso già vincitore di un premio al Biografilm Festival, che verrà proiettato lunedì a Loft Kinodromo.

Dal 1985, a Berlino, un’anziana signora cancella quotidianamente i simboli nazisti che appaiono nella città. Adesivi, manifesti e tag sui muri di svariate formazioni dell’estrema destra, vengono sistematicamente rimossi dalla determinata volontà di Irmela Mensah Schramm.
La sua storia viene raccontata dal documentario “The Hate Destroyer” di Vincenzo Caruso, che verrà proiettato lunedì 4 dicembre a Loft Kinodromo. A precedere la proiezione ci sarà un dibattito con la protagonista del documentario e il regista.

L’impegno civico di Irmela contro il nazismo e i suoi simboli le è già valsa numerose minacce di morte da parte di gruppi neonazisti. Le lettere minatorie, insieme a decine di migliaia di fotografie che documentano la sua opera di ripulitura, vengono catalogate in raccoglitori, che rappresentano una sorta di biografia e testamento della donna.
“Irmela non si rende nemmeno conto fino in fondo di quanto rischia – osserva ai nostri microfoni il regista – In Germania il neonazismo non è solo volantini: ci sono casi di violenza vera ed efferata”.

Il gesto all’apparenza semplice e simbolico di Irmela però, secondo Caruso, è importante perché rappresenta la volontà di dire no. “Oggi sappiamo indicare ciò che vogliamo, ma abbiamo smesso di lottare per ciò che non vogliamo – sottolinea il regista – Del documentario mi piacerebbe che passasse che non basta più prendere solo le distanze, ma bisogna trovare il proprio modo per intervenire“.
Un appello attraverso un documentario che, alla luce di quello che sta accadendo anche in Italia, con il moltiplicarsi delle iniziative neofasciste, è di un’attualità sconcertante.

ASCOLTA L’INTERVISTA A VINCENZO CARUSO:

Ira e non rancore rassegnato  nei cortei Cgil del lavoro

  FONTE STRISCIAROSSA.IT

2 DICEMBRE 2017

 

È questo il popolo del “rancore sociale” di cui parla il Censis? Lo abbiamo visto attraverso i collegamenti video di “Radio articolo 1” nelle piazze del 2 dicembre di Roma, Torino, Bari, Palermo, Cagliari. C’è però in quei cortei che hanno risposto all’appello della Cgil non un rancore quasi rassegnato, ma, semmai, una serena, meditata, fredda collera sociale. E’ già un miracolo che siano in tanti presenti. Perché non provengono più da grandi insediamenti industriali. Provengono da un mondo del lavoro frammentato. Dentro una società dove molti che stanno sugli spalti tifano come se fossero a una partita di calcio, per una lotta tra giovani e anziani, tra pensionati e donne e uomini che avranno pensioni da fame, tra esodati e posti fissi, tra tutele niente affatto crescenti e tutele ignorate, tra immigrati e nativi. Spesso vittime del miraggio di un Jobs Act che doveva assicurare un mondo nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

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VERTENZA CASTELFRIGO: DOMENICA 3 DICEMBRE SKETCH TRAGICOMICO “MACELLERIA SOCIALE CASTELFRIGO: COME TAGLIARE I LAVORATORI A COSTO ZERO”, DAVANTI AI CANCELLI DELL’AZIENDA

fonte cgilmodena

Cecile Kienge solidarietà lavoratori Castelfrigo, 1.12.17

Domenica 3 dicembre, in contemporanea con l’apertura dell’ultimo giorno della manifestazione castelnovese “Super Zampone 2017. La festa dello Zampone più Grande del Mondo”, i lavoratori degli appalti Castelfrigo inaugureranno la “Macelleria Sociale Castelfrigo 2017-Come tagliare lavoratori a costo zero”. L’evento, adatto a un pubblico adulto, si terrà nel piazzale antistante la Castelfrigo a Castelnuovo Rangone (MO) in via Allende n.6, dalle ore 10.30 e sino alle 11, con uno sketch tragicomico sullo sfruttamento dei lavoratori.

Non vogliamo rovinare la festa a nessuno, tuttavia per i lavoratori degli appalti Castelfrigo domenica non c’è nulla da festeggiare – dichiarano Marco Bottura della Flai/Cgil e Adriano Montorsi della Filt/Cgil. Vogliamo solo dire che il modo in cui si tagliano 127 posti di lavoro, senza ammortizzatori sociali conservativi, senza possibile equa distribuzione dell’orario di lavoro, senza alcun incentivo all’esodo, senza ragionevole possibilità di recuperare in tempi brevi il TFR, è da macelleria sociale.”

Il “Consorzio Job Service” e la Castelfrigo stanno utilizzando spregiudicatamente il meccanismo delle false cooperative “apri e chiudi”. Le attuali 5 società cooperative facenti parte del Consorzio (Ilia D.A., Work Service, Framas, Elios M.G., Planet) hanno accumulato circa 7 milioni di indebitamento costituito da tasse e contributi non versati. Questo meccanismo si sta replicando e consolidando in varie altre realtà produttive, ma chi paga i costi di questo sistema? La collettività stessa.

“Non trovare una soluzione ai licenziamenti che stanno avvenendo nel sito della Castelfrigo significa accettare questo sistema di produzione – dichiarano Marco Bottura della Flai/Cgil e Adriano Montorsi della Fai/Cisl – Stiamo importando illegalità nel nostro territorio. Ci stiamo rassegnando a continuare la corsa al ribasso non solo nei diritti dei lavoratori, ma anche nella legalità e nella qualità dei prodotti. Non è questa la strada per salvaguardare il distretto alimentare e le eccellenze che produce”.

Filt/Cgil e Flai/Cgil Modena

“Ikea disumana”, la rivolta dei clienti

Ikea disumana, la rivolta dei clienti

(Fotogramma)

“Le persone non sono componibili, vergogna”, “non acquisterò mai più né li né in nessun altro punto vendita dell’Ikea fino a che non sarà risolta la questione”, “da oggi vi boicotterò e come me molte altre persone, non siete umani“, “non si licenziano madri in difficoltà, non comprerò più nulla da voi”, “anche qui dipendenti e clienti sono solo numeri. Da oggi sicuramente un numero in meno”, “disumani. Leggete un manuale con cui assemblarvi la dignità piuttosto che dei mobili“. L’articolo segue alla fonte su ADNKRONOS

Milano. Presidio di solidarietà con Marica Ricutti, licenziata dall’Ikea

FONTE ARTICOLO21.ORG

Paolo Matteo Maggioni

 

Martedi sera, nel piazzale dell’IKEA di Corsico, c’è stato un presidio. Due ore di sciopero dei lavoratori dell’azienda svedese in solidarietà con Marica Ricutti, la collega licenziata pochi giorni prima perché non riusciva più a rispettare il suo turno di lavoro. Trentanove anni, una laurea, madre single di due figli, Marica ha avuto accesso alla legge 104, che consente di accudire il figlio più piccolo, disabile. Ma il nuovo turno di lavoro, con inizio alle 7 del mattino, è inconciliabile con le terapie del figlio e la vita di una mamma separata che abita a 40 km da Corsico. E cosi, dopo alcuni richiami -Marica è sempre andata a lavorare attenendosi al vecchio turno, che inizia alle 9-, è scattato il licenziamento, dopo 17 anni di servizio. L’abbiamo incontrata oggi. Da una settimana è a casa, in giornate che definisce “pesanti, difficili, inaspettate”.

L’azienda le contesta gravi e pubblici episodi di insubordinazione, autodeterminazione dei turni e meno di sette giorni al mese di lavoro negli ultimi otto mesi. Come risponde?
E’ scorretto valutare solo gli ultimi otto mesi a fronte di diciassette anni di servizio in azienda. Gli ultimi mesi per me sono stati difficili: ho subito un grave lutto famigliare a seguito della morte di mio padre dopo una malattia degenerativa, cosi ho usufruito -in questi ultimi mesi- di giorni di ferie e dei permessi legati alla 104, ho preso un periodo di aspettativa e ho avuto anche dei problemi di salute a seguito della situazione che ho avuto. Nella vita ci sono periodi più o meno fortunati, ma non ho fatto nulla di male e ribadisco: non ho mai chiesto alcun privilegio particolare, chiedo solo di lavorare e che vengano rispettati i miei diritti.
In questi mesi è riuscita ad incontrare l’ufficio personale di IKEA per raccontare il suo disagio di fronte ai nuovi turni?
No, ma erano a conoscenza delle problematiche del periodo che stavo attraversando. Quando mi hanno chiesto questo ennesimo cambio turno, ho immediatamente richiesto un colloquio con i responsabili del negozio e con l’ufficio del personale, in questo ero appogiata anche dal sindacato, ma non abbiamo mai ricevuto delle risposte e non abbiamo mai avuto un incontro.
L’ha colpita la solidarietà dei suoi colleghi? 
Mi ha fatto molto piacere. Siamo molto uniti. Sono la mia forza.
E’ stata solo colpa dell’algoritmo che determina i turni di lavoro dei dipendenti? 
In parte si, in parte c’è anche un meccanismo che tende a mettere da parte la dignità dell’uomo. Siamo considerati più dei numeri, che non delle persone.
Tornerebbe a lavorare in IKEA?
Io voglio lavorare. Ho sempre lavorato, in diciassette anni non mi sono mai sottratta a nulla: cambi di turno, cambi di reparto, e ritengo che questa sia una ingiustizia. Chiedo solo di lavorare.
Come ha raccontato ai suoi bambini questa storia? 
Con sincerità. Al figlio più grande ho spiegato tutta la situazione. Gli ho detto di stare tranquillo perché la mamma gli è vicino, e che intorno a noi ci sono tanti amici, parenti e colleghi. Gli ho anche promesso che sua mamma andrà avanti a fare sacrifici. Come ha sempre fatto.
Martedi 5 Dicembre ci sarà un nuovo presidio. Il sindacato chiederà ai clienti IKEA di firmare un appello per il reintegro di Marica.

Amazon, giù il velo della finta modernità

Per anni, anzi per decenni, ci hanno raccontato che eravamo entrati in un nuovo mondo: l’economia digitale, il lavoro agile, l’individualizzazione dei rapporti di lavoro, l’obsolescenza delle vecchie forme di conflitto e di rappresentanza collettiva.

Ci hanno detto che pretendere limiti ai contratti a termine e al potere di licenziamento erano cose del passato, retaggi di un vecchio mondo ormai tramontato. Ci hanno raccontato che la liberalizzazione del mercato del lavoro era il volano dello sviluppo, della crescita dell’occupazione, di un maggiore benessere per tutti.

Poi si scopre che migliaia di  lavoratori dello stabilimento di Piacenza di Amazon, la multinazionale dell’e.commerce emblema della postmodernità trionfante, hanno dichiarato sciopero proprio il giorno dei mega-sconti, del blackfriday importato dalle usanze nordamericane.

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Dasaparecidos e i ‘voli della morte’, ergastoli alla dittatura argentina

 fonte remocontro che ringraziamo

Argentina e desaparecidos, condannati all’ergastolo i piloti dei “voli della morte”. Storica sentenza contro 48 ufficiali della dittatura.
Processo alla famigerata Escuela mecanica della Marina trasformata in un centro di tortura. Tra i condannati per sequestri, torture e omicidi c’è Alfredo Astiz, soprannominato l’«angelo della Morte». Nel 1977 si infiltrò tra le Madres di plaza de Mayo, le donne in cerca dei figli desaparecidos. Tre fondatrici dell’associazione, tra cui Esther Ballestrino, amica di Papa Francesco, due monache francesi e altri 7 attivisti vennero rapiti e uccisi.

La storia ieri

Ventiquattro marzo 1976. Tutto finì all’una di notte, quando il generale José Rogelio Villareal disse a Isabel Martínez de Perón: «Signora, le Forze armante hanno preso il controllo politico del Paese. Lei è in arresto».

Il controllo del Paese fu assunto da una triade di comandanti: il tenente generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il generale di brigata Orlando Agosti.
Fu il maggior genocidio nella storia del Paese: 30 mila desaparecidos e 500 bambini rubati, secondo le madri di Plaza de Mayo, 7/8 mila morti ammazzati secondo lo stesso Videla, che già nel 1977 aveva dichiarato: «In ogni guerra ci sono persone che sopravvivono, altre che rimangono invalide, altre che muoiono e altre che spariscono. L’Argentina è in guerra e la sparizione di alcune persone è una conseguenza non desiderata di questa guerra».

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#NetNeutrality, in gioco c’è la libertà

fonte Qualcosadisinistra

Il problema della neutralità della rete è l’idea secondo cui esisterebbe il diritto ad avere una connessione internet. In realtà non esiste. Ci sono il diritto alla vita, alla libertà e alla felicità. Ti servono dei gigabit per giocare a un videogioco? Paghi il prezzo imposto dal mercato. E lo fai, perché il gioco è fichissimo.”

Con queste parole, l’esponente del Partito repubblicano statunitense Austin Petersen ha preso le parti del capo della Federal Communications Commition (FCC), Ajit Pai, nominato da Trump con un solo obiettivo: cancellare la net neutrality. Perché il tycoon intende abrogare l’ennesima legge targata Obama? E soprattutto che cos’è la net neutrality?

La net neutrality, in italiano neutralità della rete, è la politica che devono rispettare le aziende nell’offrire i propri pacchetti ai consumatori. Secondo questo principio, gli operatori devono garantire all’utenza un servizio equo e trasparente, basato su un trattamento rigorosamente identico per tutti i siti, senza favorire certi argomenti a discapito di altri. Negli Stati Uniti questa norma è stata introdotta nel 2015 da Barack Obama quasi alla fine del suo secondo mandato, malgrado la resistenza del Congresso, composto per la maggior parte da membri del Partito repubblicano.

Il dibattito negli USA riguardo la neutralità della rete è coinciso con la diffusione di internet alla fine degli anni Novanta e l’opinione pubblica, come spesso succede in America, si è divisa in due schieramenti profondamente polarizzati. Chi è a favore sostiene che sul web debba necessariamente esserci un’imparzialità di fondo, per scongiurare un pericolosissimo controllo dei contenuti che di fatto sfocerebbe in censura.

Nessuno meglio di Tim Berners-Lee, inventore del World Wide Web, potrebbe spiegare perché è doverosa la net neutrality: “Internet prospera di mancanza di regole. Ma alcuni valori fondamentali devono essere preservati. Per esempio, l’economia dipende dalla regola che non puoi fotocopiare il denaro. La democrazia dipende dalla libertà di parola. Libertà di connessione, in qualsiasi modo e in ogni luogo, è la base sociale fondamentale di internet e ciò su cui è fondata adesso la società.

Insomma, alla radice ci sarebbero questioni piuttosto serie come la libertà di espressione, ma questo non sembrerebbe interessare ai più scettici, che hanno individuato in Donald Trump, acerrimo nemico dei media tradizionali, la loro guida. La modifica che vorrebbero apportare i repubblicani prevede una rigida regolamentazione che avvantaggia i più ricchi e si configura come un blocco per qualunque nuova azienda: senza la net neutrality, il provider può permettersi di far pagare 5 dollari aggiuntivi per il pacchetto social (quindi un potenziale libero accesso a Facebook, Twitter, LinkedIN, Instagram e via dicendo) e altri 5 per un pacchetto media, per i bisogni di musica, film e serie TV. Qualora non si volesse sottoscrivere tali offerte, ci si potrebbe ritrovare a visitare tali siti con la connessione limitata ad una velocità preimpostata, effettivamente rallentandone l’utilizzo, oppure direttamente trovarsi con l’accesso totalmente bloccato. Questo significa che, a seconda del provider, si dovrebbe pagare per l’accesso a servizi che sono gratuiti nel resto del mondo.

Il prossimo 14 dicembre il nuovo progetto di riforma passerà al vaglio del Congresso e il rischio che lo sforzo fatto da Obama nei suoi 8 anni alla Casa Bianca venga vanificato è concreto.
Il partito di Trump infatti ha la maggioranza e potrebbe agilmente scavalcare l’opposizione dei democratici. In pochissimo tempo l’America potrebbe venire travolta da una inquietante deriva autoritaria che molti, un po’ per scherzo e un po’ per preoccupazione, prevedevano dopo l’elezione di Trump. Tuttavia, anche stavolta l’ultima parola toccherà alla Corte suprema, in cui ripongono fiducia tutti gli ISP (Internet Service Provider) e che ha già tentato inutilmente di smantellare il “Muslim Ban”.

In definitiva, la neutralità della rete è indispensabile perché oggi rappresenta uno dei pochi baluardi contro il dispotismo del terzo millennio. E non saranno le esigenze neoliberiste e lobbiste a permettere che scompaia. Non nella terra dei liberi e la patria dei coraggio

fonte Qualcosadisinistra.it

I pesticidi dentro di noi…

 

fonte Unimondo.org

Nessun’ altra Iniziativa di Cittadini Europei (Ice) ha mai ottenuto in pochi mesi 1,3 milioni di firme come è accaduto con quella per l’eliminazione del Glifosatodalla nostra dieta. Anche se il suo uso è stato nuovamente autorizzato dalla Commissione europea, “con una decisione politica che va contro i cittadini, che non ha tenuto conto dell’indirizzo del Parlamento e che antepone il profitto alla sostenibilità e alla salute dell’ambiente e delle persone”, come ha giustamente sostenuto il fondatore di Slow FoodCarlo Petrini, l’iniziativa è riuscita almeno ad aprire all’interno del Parlamento europeo un dibattito attorno a questo controverso principio attivo che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc)  ha classificato già nel 2015 come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, mentre nel marzo di quest’anno l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) ha catalogato come “non cancerogeno”.  Usato in agricoltura per le sue proprietà diseccanti sulle piante infestanti ed essiccante per i raccolti, che vanno stoccati con il minor tasso possibile di umidità per evitare che sviluppino micotossine molto pericolose per la salute, il glifosato entra nell’organismo umano non solo mediante pane, pasta, e altri prodotti a base di farina, ma anche attraverso carni e formaggi, visto che l’85% dei mangimi utilizzati negli allevamenti sono costituiti da mais, soia, e colza ogm, tutti brevettati per essere resistenti a questo erbicida. In aprile, un dossier realizzato dall’associazione A Sud con la rivista Il Salvagente, ne aveva trovato traccia nei campioni di urina di 14 donne incinte residenti a Roma: “tutti e 14 i campioni di urine raccolti mostrano la presenza di glifosato, con un range che va dagli 0,43 ai 3,48 nanogrammi/ml”.

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Piattaforme e lotta di classe: intervista con Hadrien, membro del Collettivo dei fattorini autonomi di Parigi (CLAP) – di Plateforme d’Enquêtes Militantes

 

 

Riprendiamo da EFFIMERA, che ringraziamo,  questa interessante intervista sulle condizioni di lavoro dei fattorini in bicicletta francesi che portano pasti  dai ristoranti alle case dei clienti. Sono grandi piattaforme di e-commerce  che prendono le ordinazioni e le distribuiscono ai fattorini tramite le app. Il fattorino viene monitorato con algoritmi che ne definiscono il rendimento e sulla base dei dati di profilazione che ciascun fattorino subisce, gli viene consegnato nuovo lavoro o viene licenziato, via app , naturalmente. In Francia ci sono state le prime lotte di cui si parla nell’intervista.

Pubblichiamo la traduzione italiana, a cura di Davide Gallo Lassere, Andrea Fumagalli e Alice Monticelli, di un’intervista apparsa l’11 novembre sul blog di Plateformes d’enquêtes militantes

PEM: Da qualche anno si parla sempre più di “capitalismo delle piattaforme”, ma che cosa s’intende con questa espressione?

Hadrien: La parola “piattaforme” è piuttosto generica e può concernere molte imprese di servizi diversi: delle aziende come Uber o delle piattaforme di pagamento online come Paypal o ancora delle strutture più o meno associative come, in Francia, La ruche qui dit Oui. Queste piattaforme sono tutte organizzate su dei modelli decisamente differenti e se è senz’altro vero che alcune di esse sono riuscite a stabilizzarsi, altre più recenti hanno un modello meno sicuro e funzionano grazie a degli investimenti rischiosi. In linea generale si può comunque individuare una struttura comune a queste piattaforme digitali, ossia proporre un modo d’organizzazione aperto, che gestisce, da un lato, molti “contributori” (dalla vendita di prodotti a quella di forza-lavoro) e, dall’altro, il mercato stesso tramite la messa in relazione tra consumatori, la gestione di una quantità importante di dati, ecc. Vi è effettivamente una rottura con il modello dell’impresa più “tradizionale”, quello dell’azienda, nel senso in cui tali piattaforme mettono in relazione dei clienti “partner” senza impegnarsi nei confronti della resa dello scambio, di cui si limitano a prelevare una percentuale. Ossia, tutto essendo a loro carico, i contributori devono assicurarsi individualmente di produrre a sufficienza o di realizzare delle vendite sufficienti in quanto il loro salario è a esse legato.

Per ciò che ci riguarda, le piattaforme “footech” come Deliveroo, Foodora, UberEats o ancora Stuart (per citare le più importanti), sono arrivate piuttosto recentemente in Europa (a partire dal 2010). Il loro modello è abbastanza classico e simile per tutte: oltre alla gestione delle consegne, giustificano le loro attività tramite la messa in relazione dei consumatori con dei ristoranti, garantendo la fatturazione e soprattutto la pubblicità per i ristoranti partner. Il loro modo di finanziamento passa per una percentuale sulle ordinazioni (tra il 20 e il 30% della somma totale per Deliveroo per esempio), ma malgrado il loro basso costo (siccome hanno una debole massa salariale da gestire e pochissime infrastrutture) si tratta di un settore in cui vi sono molti fallimenti, a causa del poco valore aggiunto delle corse. Il modello economico implica infatti una posizione quasi-monopolistica per poter diventare profittevole, e per riuscirci ricorrono spesso a delle pratiche di marketing aggressivo: ossia dei costi per ogni corsa molto bassi al fine di attirare i clienti, un reclutamento massiccio di fattorini (che si traduce dunque per un abbassamento del salario), ma anche la dipendenza rispetto a degli investitori in capitale-rischio. Questa instabilità può essere veramente problematica, siccome i fallimenti sono frequenti e le conseguenze drammatiche per i fattorini: basti guardare ai fallimenti di Take Eat Easy, fino ad allora leader del mercato francese, nel luglio del 2016, o quello della piattaforma TokTokTok qualche mese dopo, la quale, oltre a lasciare sul lastrico i fattorini, ha pure fatto perdere loro un mese intero di salario.

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Anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani chiede la scarcerazione di Milagro Sala

fonte PRESSENZA.COM

 

28.11.2017 Redazione Italia

Quest’articolo è disponibile anche in: Tedesco

Anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani chiede la scarcerazione di Milagro Sala
(Foto di L’Impronta L’Aquila)

Dopo le numerose prese di posizione di organismi internazionali, associazioni, personalità ora anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani ha emesso una risoluzione in cui chiede che Milagro Sala esca dal carcere e sia assegnata, a casa sua e non altrove, agli arresti domiciliari.

La risoluzione è stata diffusa agli organi di stampa e alle autorità competenti nella giornata di ieri; chiede anche che lo Stato Argentino si preoccupi di assicurare assistenza medica e psicologica alla dirigente sociale; chiede al più tardi per il 15 dicembre un rapporto dettagliato sulla realizzazione degli arresti domiciliari e che vi sia un rapporto alla Corte ogni tre mesi; chiede infine ai rappresentanti legali di Milagro Sala di fare le opportune osservazioni sull’applicazione di queste risoluzioni.

Puidgemont o Ada Colau? Il feticcio dell’indipendentismo e l’alternativa possibile

 

FONTE MICROMEGA CHE RINGRAZIAMO

In tutta Europa, come reazione all’attuale crisi socioeconomica e democratica, si stanno diffondendo pulsioni indipendentiste: nuove mini statualità in opposizione allo strapotere finanziario di Bruxelles. Ma, come dimostra la Catalogna, sono illusioni più che vie percorribili per un reale cambiamento. Che passa invece attraverso la valorizzazione dei cittadini nel governo delle città, come dimostra Barcellona con Ada Colau.

di Steven Forti e Giacomo Russo Spena

Lo scorso 5 ottobre Mauro Pili, deputato sardo di Unidos e appartenente al gruppo Misto, ha presentato alla Camera una proposta di legge costituzionale per avviare un percorso “democratico per far scegliere ai cittadini se continuare a essere discriminati dallo Stato italiano o meno”. La sua non è una voce isolata: a quanto si apprende da un recente sondaggio, in Sardegna aumenta la percentuale del fronte indipendentista. I cittadini sardi si sentirebbero abbandonanti dallo Stato centrale, la disperazione per la crisi economica, la sfiducia nei confronti delle istituzioni, la burocrazia invincibile e impermeabile completerebbero il desolante quadro. Ma le pulsioni indipendentiste sono in crescita. Ovunque. Dal Nord al Sud Europa. Da Ovest ad Est. Non è un caso che una delegazione di indipendentisti sardi, così come di indipendentisti fiamminghi e veneti, senza contare la presenza del leghista Mario Borghezio, sia volata lo scorso 1 ottobre a Barcellona per vigilare sulle votazioni del referendum di autodeterminazione convocato unilateralmente dal governo catalano. Quella consultazione poi repressa dal governo centrale guidato da Mariano Rajoy.

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Noi disertiamo

fonte comune-info.net

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di Un ponte per ..

Un ponte per… ha deciso da tempo di non partecipare a bandi della cooperazione italiana per la Libia e condivide i contenuti della lettera aperta che chiede alle ONG di disertare il bando per “migliorare” i campi per migranti e rifugiati nel paese.

L’invio di ONG sarebbe un’operazione d’immagine, una risposta ipocrita alle denunce che sempre più numerose giungono dalla Libia, dove migliaia di persone sono private della loro libertà e dignità e sono alla mercé di angherie e sopraffazioni di milizie private e di eserciti spesso implicati nella tratta e riduzione in schiavitù. Tali campi non diventeranno più umani se alle ONG sarà permesso, sotto il controllo di queste milizie, di entrarvi. Abbiamo rifiutato di entrare nei campi profughi in Giordania quando erano prigioni a cielo aperto, e crediamo che il rifiuto delle ONG di lavorare in quelle condizioni sia necessario per produrne il cambiamento.

Noi chiediamo una forte pressione politica da parte della comunità internazionale sulla Libia per garantire effettiva protezione dell’umanità oggi vergognosamente reclusa solo perché scappa da guerre, miserie e devastazioni ambientali. L’intera giurisdizione della prima accoglienza deve passare all’UNHCR ed IOM con l’allontanamento delle milizie e il riconoscimento e implementazione da parte della autorità libiche delle convenzioni internazionali di protezione di rifugiati e migranti. Occorre inoltre un piano europeo più energico e coraggioso per i migranti, attraverso l’adozione di corridoi umanitari legali che consentano a chi ha diritto a forme di protezione di venire in Europa senza affrontare i viaggi della morte.

Occorre cioè rovesciare l’attuale logica che sta dietro gli accordi firmati dal ministro Minniti con le autorità Libiche, che hanno il solo obiettivo di respingere decine di migliaia di rifugiati e tenerli lontani, a qualsiasi costo  – anche con campi di concentramento – dalle frontiere dei Paesi europei. Auspichiamo che anche le altre ONG italiane disertino il bando sui campi in Libia, e non si prestino a coperture di vicende che con l’umanitario non hanno niente a che vedere.

Un ponte per ..

Droni-killer volanti, la distopia è più reale di quanto pensiamo

 

Esiste già la tecnologia per creare armi “intelligenti” in grado di riconoscere, seguire ed uccidere un bersagio. Un terrificante video dell’Università della California mostra un futuro non troppo lontano e lancia l’appello a fermare i robot assassini prima che sia troppo tardi

Lettura in corso:Droni-killer volanti, la distopia è più reale di quanto pensiamo

Droni volanti, equipaggiati con piccole quantità di esplosivo e in grado di riconoscere i volti delle persone, potrebbero essere usati per esecuzioni mirate e stragi di massa. La tecnologia esiste già, sia dal punto di vista civile (si pensi alla facial recognitiondel nuovo iPhone) che militare: la combinazione delle due potrebbe avere effetti catastrofici per il genere umano.

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Tripoli. Roma ferma in mare la nave Aquarius. Migranti riportati in Libia

fonte AVVENIRE.IT che ringraziamo  

Daniela Fassini e Nello Scavo sabato 25 novembre 2017
Sos Mediterranée: «Ricevute istruzioni dalla centrale operativa. Ci hanno impedito i soccorsi». Il giurista Vassallo: «Gli accordi con la Libia non possono derogare le Convenzioni internazionali»
Roma ferma in mare la nave Aquarius. Migranti riportati in Libia

Il mare come un muro per i migranti, anche quelli intercettati in acque internazionali, anche quelli più vicini alle navi Ong, le poche ormai rimaste in area Ricerca e soccorso (Sar). I profughi vengono “soccorsi” e portati a bordo dalla Guardia costiera libica e dalle navi della marina libica. È successo ieri pomeriggio ma non è la prima volta. Il tweet della organizzazione non governativa Sos Mediterranée, in mare con la nave Aquarius (che ha salvato oltre 300 persone negli ultimi due giorni) fotografa la situazione in quel tratto di mare, ieri, attorno alle 13 circa. «#Aquarius ha ricevuto istruzioni da #MRCC Roma (la centrale operativa della Guardia costiera italiana a Roma, ndr) di rimanere in standby mentre #GCL (Guardia costiera libica, ndr) e Marina libica coordinano intercettazione 3 gommoni in difficoltà in acque internazionali Aereo militare #UE monitora situazione. Rifugiati e migranti in fuga #Libia saranno riportati indietro».

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Una proposta di Silvio Berlusconi che segnala una grande debolezza del Centro Destra

La novità del giorno è la proposta di Berlusconi: l’ex generale dei Carabinieri, il Sig.Gallitelli, come candidato alla Presidenza del Consiglio. Certamente il Sig. Gallitelli è uomo integerrimo e di valore e degno del massimo rispetto.  E’ quanto meno sconfortante  comunque  per una qualsiasi forza politica, sia pure di centro destra,   proporre un ex generale già comandante di un Corpo separato dello Stato come candidato alla Presidenza del Consiglio. E’ penoso  in termini politici perché dimostra la debolezza della politica del centro destra che va a richiedere il soccorso ad un ex militare per  rappresentare il paese. Questa scelta assume il profilo amaro e triste, un pò latino americano, della resa della dirigenza politica di centro destra e della società civile che intende rappresentare  che non riesce a trovare al proprio interno una rappresentanza e va a richiedere il soccorso a militari, sia pure in congedo.

Questa proposta segna la debolezza dei gruppi dirigenti del centro destra alla ricerca di una leadership nelle caserme o nei loro dintorni  e non nella società “borghese”. Crediamo , in ogni caso, che l’Italia repubblicana e democratica abbia molte  risorse nella società e nella politica tali da non dovere scomodare un ex  Generale dell’Arma dei  Carabinieri.

Editor

Riferimento: Berlusconi: “Passato o futuro? Sono il presente”. E lancia candidato premier, il generale Gallitelli

 

 

Il più fascio del reame

 

 

di Alessandra Daniele

“Abbiamo fatto anche cose buone” – Alessia Morani, renziana del Pd

Il Movimento 5 Stelle ha vinto il ballottaggio col Polipo delle Libertà a Ostia, il Trono di Spada. Il Pd non s’era neanche qualificato. È logico che proprio quest’anno il ministro dello Sport, Luca Lotti, sia un renziano. Che il Pd si proponga come “argine” al fascismo è grottesco, almeno quanto l’autodifesa di Minniti dalle accuse (tardive) dell’ONU sui campi di concentramento libici.

Il Pd ha sistematicamente sbancato tutti gli argini al fascismo, e adesso è logico paghi almeno le conseguenze elettorali della marea nera alla quale ha consegnato il paese. Il 40% preso alle elezioni europee meno di 4 anni fa sembra ormai lontano un quarantennio. Viene da chiedersi se sia davvero accaduto, o sia soltanto un falso ricordo stile Blade Runner.

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Ventimiglia libera – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte effimera

Riprendiamo da Parole sul confine questo report sulla giornata dello scorso 11 novembre a Ventimiglia.

 

Partiamo al mattino da Genova per Ventimiglia, portiamo con noi una confezione da 1 kg di anti-scabbia galenico fornitoci gratuitamente da una farmacia di Genova.
Dopo un breve ma caldo incontro con Delia nel suo locale, ci rechiamo in bici presso l’info-point Eufemia, in via Tenda. Vogliamo incontrare i volontari presenti per parlare dei criteri di somministrazione del farmaco. La procedura prevede, oltre alla distribuzione adeguata, il mantenimento della pomata per 12 ore e soprattutto il cambio totale degli indumenti e delle coperte. La scabbia è, non ci stancheremo mai di ripeterlo, assolutamente non grave e facilmente guaribile in condizioni igienico sanitarie normali. Diventa più grave, degenerando in sovra-infezioni batteriche, nelle situazioni di disagio come quella vissuta dai migranti che hanno trovato rifugio sotto al ponte. Per tenere sotto controllo la malattia occorre avere una buona organizzazione ed una presenza costante sul territorio, che i volontari di Eufemia possono fornire.
Mentre ci accordiamo con loro per eventuali consulti a distanza, rumori e voci dall’esterno dell’info-point ci informano che una manifestazione anti migranti sta percorrendo la via su cui si affaccia.

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Caccia alle fonti dei cronisti. Libertà di stampa in pericolo

FONTE MICROMEGA

La carica delle Procure: redazioni e case private perquisite, l’ultimo caso è Nicola Borzi del Sole24Ore: autore di un’inchiesta sui soldi dei Servizi segreti.

di Giorgio Meletti, da il Fatto quotidiano, 22 novembre 2017

Una serie di decisioni illegittime di diverse procure della Repubblica stanno di fatto abrogando il segreto professionale dei giornalisti. Basta il semplice sospetto di una minima violazione di segreto d’ufficio e scatta la perquisizione per scoprire le fonti del giornalista. È una pratica più volte censurata dalla Cassazione e ancor più energicamente condannata da norme e sentenze europee. Eppure accade sempre più spesso.

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni

FONTE PRESSENZA.COM

22.11.2017 Rodolfo Schmal

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni
(Foto di Agencia UNO)

I risultati delle elezioni presidenziali e parlamentari cilene sorprendono anche se non dovrebbero. Ormai da tempo i sondaggi non sono più strumenti affidabili, per via della crescente astensione, dell’alto numero di indecisi man mano che si avvicinano le elezioni e della loro manipolazione da parte dei poteri di fatto.

L’astensione e l’indecisione sono dovute essenzialmente alla depoliticizzazione che si sta vivendo, in cui pare che la vita dei cittadini segua un percorso diverso dalla politica. Come se la politica non influenzasse le nostre vite, la direzione presa dalla nazione, come se non avesse importanza chi sono le nostre autorità. Ormai un’elezione non si basa su ideali o un’immagine di futuro, ma su quanto sia conosciuta una  persona. Si spiega così l’esplosione di candidati provenienti dal mondo dello spettacolo, molti dei quali sono stati eletti.

E’ la banalizzazione della politica. Dopo il cibo e i film spazzatura, adesso c’è anche una politica spazzatura, con una grande quantità di politici tutti uguali.

Il rischio che corriamo, come diceva a suo tempo Platone, è che disinteressandoci della politica finiremo per essere governati dagli uomini peggiori.

D’altra parte i sondaggi si sono rivelati sbagliati. Davano per vincitore Piñera, molto al di sopra del 40% e assegnavano alla candidata del Frente Amplio, Beatriz Sánchez, una tendenza in calo che l’attestava più o meno intorno al 10%. A partire dai sondaggi e in collusione con i mezzi di comunicazione di massa, si è fabbricato uno scenario del secondo turno con Piñera contro Guillier, pensando a una distanza di oltre 20 punti tra di loro. Tuttavia i cittadini, o almeno molti di quelli che hanno votato, non si sono lasciati influenzare dai sondaggi e hanno smentito le previsioni.

In termini di aspettative, Piñera è stato sconfitto perché non ha ottenuto il risultato sperato e ora dovrà fare i salti mortali per arrivare al 50% e vincere al secondo turno. I voti di Kast non gli basteranno. Dovrà muoversi verso l’estrema destra e verso il centro, una specie di missione impossibile.

Dall’altra parte Guillier non può presentarsi come trionfatore, visto che è arrivato secondo, ma i risultati gli  permettono di vedere la luce alla fine del tunnel: la distanza da Piñera infatti non è grande come si pensava e c’è tutta una parte del Frente Amplio da conquistare, che non vuole Piñera presidente. Neanche per lui sarà facile, però. Non potrà avere intenzioni occulte.

Il 20% del Frente Amplio permette ai suoi dirigenti si collocarsi in una posizione alla pari con Guillier e i suoi. Queste conversazioni andranno fatte davanti al paese, riguardo a pochi temi specifici su cui si potrebbero stringere accordi chiari.

In ogni caso il nostro dramma è che abbiamo un paese diviso politicamente in due parti quasi uguali, con alcuni che vogliono mantenere il modello neoliberista individualista e competitivo in tutte le sue espressioni e altri che lo vogliono sostituire in modo radicale con un modello basato sulla solidarietà. Una metà lievemente superiore, corrispondente circa al 55% , aspira a quest’ultimo modello.

Finora si è tentato senza successo di rompere questa semi parità. Per farlo sarebbe necessario un grande accordo nazionale che abbia come punti centrali l’istruzione, la sanità e le pensioni, da considerare un bene pubblico e non privato. Questo comporterebbe un grande sforzo nazionale per assicurare educazione e cure sanitarie gratuite e di buon livello e farla finita con i fondi pensione come sono concepiti attualmente.

 

Rossana Rossanda: L’inchiesta di Loris Campetti su chi perde il lavoro a 50 anni

FONTE INCHIESTAONLINE

Non ho l’età di Loris Campetti (editore Manni, 2015) è un’inchiesta diretta su un aspetto di solito non indagato della disoccupazione in Italia: si tratta questa volta non degli spazi chiusi ai giovani, ingabbiati in generale nel precariato, ma di quel che accade a chi perde il lavoro in età avanzata, dopo anni di mestiere con una professionalità compiuta. Sono figure meno pittoresche dei ragazzi, non portano con sé nuove culture, ma non suscitano minore emozione.

È un’inchiesta di questi anni, a crisi ormai settennale se se ne calcola l’inizio a partire da quella dei subprimes nel 2008. In quella tempesta sono scomparsi secolari opifici, antiche ditte, sostituite in genere da imprese nuove e più deboli, rilevate da qualche tardivo acquirente. Insomma la crisi investe la struttura produttiva, “i padroni”, che alla fine cercano di vivere o sopravvivere. Ma nell’uragano volano soprattutto gli stracci, che raramente sono rappresentati dal proprietario delle aziende via via ammalate e a un certo punto chiuse. È la prima conseguenza e se l’imprenditore è un furbastro magari se la cava, mentre non se la cavano mai i dipendenti che, sbattuti da una proprietà all’altra, alla fine non hanno neppure la forza di galleggiare. Sono generalmente ignoti (chi conosce i proletari?) che la ricerca di Loris Campetti fa emergere per il tempo di questo libro.

Emergono in genere poco volentieri. Quel che li caratterizza, salvo qualche indomito o indomita combattente, è la paura. Hanno già perduto un posto, e non per colpa loro ma perché è svanita o delocalizzata la ditta, potrebbero perdere anche quelli cui si rivolgono speranzosamente offrendosi come forza di lavoro. Sembra quasi scritto che prima o dopo tutti perderanno anche queste nuove possibilità, che al primo licenziamento parevano a portata di mano. Ma poi via via precipitando da un’interruzione di lavoro all’altra, gli stracci volano più che mai.

La paura nel disoccupato si accresce fino a rifiutare di discorrere con il giornalista che gli chiede di parlare di sé: no, assolutamente, grazie. O, al massimo, se lo fa, rimanendo nell’anonimato. Sono uomini e donne che, perduto il primo loro impiego, via via che il tempo passa nell’attesa di qualche impiego successivo, temono di essere in qualche misura riconosciuti, se non schedati, e di perdere quindi anche quello.

La disperazione non solleva, se non in rari casi, la ribellione. Dalla paura passano a una rassegnazione infelice; e questo sia gli uomini che le donne, le prime queste ad essere colpite quando si tratta di tagliare gli impieghi. E tuttavia nell’inchiesta di Campetti è proprio una donna, una single indiana che ha diretto una volta la lotta di quasi duecento connazionali, e quindi è una tosta, a raccontare lungamente di sé, a far nomi, a nulla nascondere: la ultracinquantenne Goghi. La cui vicenda le comprende quasi tutte, come quella di chi ha cominciato – se non sbaglio – in una fungaia, poi licenziata per chiusura dell’azienda e avanti così per altri due licenziamenti da una fabbrica chimica e da una metalmeccanica; o di chi si è presa un diploma di grafica e da allora è saltata da una unità di produzione all’altra, fino a rinunciare alla propria qualifica e offrirsi come tata di un bambinetto – la sola occupazione della quale c’è sempre abbondanza, ed è pagata assai poco.

Chi è da temere? La paura è vaga. Responsabile della tempesta è la famosa crisi, ma in generale i suoi manovratori sono lontani. Più semplice individuare la responsabilità in qualche eletto dalle istituzioni locali o dallo Stato; il personaggio più detestato essendo non il ministro Poletti o il team del governo promotore del Jobs act, ma la malvagia Elsa Fornero, che prima dell’attuale compagine era ministro del lavoro per Mario Monti, e sembra la figura delegata a raccogliere risentimenti e perfino odio. Non è più presente nella scena politica ma ha lasciato una impronta indelebile peggiorando tempi e modi della pensione: e si può capire che chi si trova a non poter raccogliere nulla da una vita di lavoro per una scadenza non potuta rispettare, magari per soli ventotto giorni, lo trovi inaccettabile e si infuri se appena ha il temperamento per farlo. Ma rare sono le Goghi con un’esperienza di lotta, molti di più i maschi reticenti. Alla paura di segnalarsi come un agitatore e quindi precludersi ogni sbocco lavorativo, nei più si sostituisce il senso di colpa: “Forse avrei dovuto farcela e non ce l’ho fatta, forse dovevo impuntarmi. Dovevo essere io a provvedere ai miei figli mentre non sono stato capace neppure di provvedere a me stesso”.

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Myanmar: ong accusa l’esercito di stupri e omicidi contro i Rohingya

Un rapporto di Human Rights Watch punta il dito contro le forse di sicurezza birmane

Myanmar: ong accusa l'esercito di stupri e omicidi contro i Rohingya

 

Lo stupro di donne e bambine come parte integrante di una campagna di pulizia etnica ai danni della minoranza musulmana dei Rohingya. In un rapporto presentato questo giovedì l’organizzazione non governativa Human Rights Watch punta il dito contro le forze di sicurezza del Myanmar.

“A partire dal 25 agosto i militari birmani hanno messo in atto una campagna di pulizia etnica contro i Rohingya nello stato di Rakhine, nel nord del paese – ha detto una ricercatrice della Ong -. Il risultato è una crisi umanitaria sempre più grave”.

Le accuse di Human Rights Watch arrivano a pochi giorni da quelle di Pramila Patten, inviato speciale delle Nazioni Unite, che ha parlato di molteplici casi di violenza sessuale.

“Tra le mie vicine c’era una ragazza molto bella – è il racconto di una rifugiata birmana nel campo profughi di Kutupalong, in Bangladesh -. Tre uomini dell’esercito l’hanno vista nascondersi, sono andati a prenderla, l’hanno portata fuori e uno di loro l’ha costretta a sdraiarsi. Le hanno strappato i vestiti di dosso e due di loro l’hanno stuprata. Dopo che hanno finito uno dei militari le ha sparato, uccidendola. L’ho visto con i miei occhi”.

Da quando è cominciata la crisi umanitaria, circa tre mesi fa, sono più di 600mila i rohingya che hanno attraversato il confine tra Myanmar e Bangladesh.

Frequenze: fermiamo il colpo di mano dell’articolo 89

 

fonte ilmanifestobologna.it

Nel disegno di legge sul bilancio (n. 2960), uno degli ultimi atti della legislatura, c’è un vero e proprio colpo di mano. L’articolo n. 89, infatti, si butta sul complicato tema delle frequenze radiotelevisive e di telecomunicazione in assenza di una seria riforma del sistema. Si utilizza il veicolo sicuro della legge finanziaria -la cui approvazione è sempre certa- per riorganizzare un sistema colpevolmente sconquassato negli ultimi trent’anni e tuttora privo di un ordine democratico.

Passi per la delega all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a pianificare il percorso della tecnologia 5G previsto dalla Commissione europea. Se mai, si potrebbe obiettare che una simile enfasi tecnologica è figlia di un determinismo un po’ fuori tempo massimo nell’attuale stagione del capitalismo cognitivo che ci interpella se mai su contenuti e paradigmi, piuttosto che su ulteriori “gadget”, per di più gravosi per l’inquinamento elettromagnetico. E così è comprensibile che il passaggio della prelibata banda 700 MHz dalla televisione alla banda larga (rinviato peraltro al 2022 rispetto al 2020 indicato da Bruxelles) sia normato. E mettiamoci pure i proventi delle gare prevista per l’attribuzione degli spazi alle telecomunicazioni.

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Solidarietà a Nermin Al-Sharif leader del Sindacato dei portuali e dei marinai della Libia.

Pubblichiamo l’appello di Eric Lee coordinatore della rete internazionale  Labourstart per Nermin Al Sharif  leader del Sindacato libico dei portuali e dei marinai . Nermin Al Sharif è vittima di persecuzioni da parte delle autorità libiche per la sua attività sindacale. E’ possibile sottoscrivere l’appello di solidarietà a Nermin Al  Sharif cliccando il link “Click Here”.
Click here to support Nermin.

 

 

 

 

L’appello di Eric Lee

I met Nermin Al-Sharif, the leader of the Dockers’ and Seafarers’ Union of Libya, last year in Norway.  I knew of her because in the past, following an assassination attempt, LabourStart was asked to run a campaign in her defence.

Meeting her face to face, I could see why some powerful forces might fear this woman, as she is a very strong, determined, and fearless leader of workers.

Nermin is well known for her tireless work in support of human, workers’ and women’s rights in Libya, in the Arab region, and globally. 

Because of this work, she has been subject to ongoing attacks on her freedom and personal safety including several attempts on her life. 

In the latest incident Nermin was detained for a number of days and has had her passport confiscated subject to “an investigation”. 

The International Transport Workers Federation (ITF) is calling upon the UN representative in Libya to help end this campaign of intimidation and violence against Nermin.

Please join us by signing up to the campaign here — it will just take a moment:

CLICK HERE

In addition, the European Transport Workers Federation has asked us to share their new online petition defending the right to strike for air traffic controllers in Europe – a right which is now under threat.  Read more and sign up here.

And please share this message with your friends, family and fellow union members.

Thank you!

Eric Lee

 

Barcellona nello sgretolarsi d’Europa

Franco Berardi Bifo

L’Unione europea è un blocco granitico se la guardiamo da un lato, mentre si sgretola come un castello di sabbia se la guardiamo dall’altro.

La governance finanziaria è di granito sia pure immateriale: implacabile essa persevera nel saccheggio delle risorse sociali, incurante delle conseguenze.

Le conseguenze sono lo sgretolarsi sociale, politico e psichico dell’Unione medesima.

La crisi catalana, come la Brexit, non hanno vie d’uscite ragionevoli, e sono solo i casi più evidenti di uno sgretolarsi d’Europa che coesiste con l’irrigidirsi della gabbia. Può la gabbia ingabbiare lo sgretolarsi?

Cos’è successo in Catalogna, e come andrà a finire?

La discussione si è finora concentrata sulla legalità o illegalità della secessione indipendentista, ma la legalità si giudica dal punto di vista della legittimità storica, e lo Stato Spagnolo non ha più alcuna legittimità agli occhi della maggioranza dei catalani. Né ha legittimità la monarchia borbonica, né il partito franchista di Rajoy.

Nè ha senso la questione se la Catalogna sia o no una nazione. Le nazioni non esistono, sono soltanto la proiezione dai nazionalisti, i quali creano le nazioni sulla base dell’illusione di un fondamento reale, ontologico, storico, se non addirittura spirituale della nazione, poi prendono lucciole per lanterne, e scambiano la loro proiezione per realtà. Quindi la nazione catalana esiste dal momento che i nazionalisti catalani la costruiscono nella loro immaginazione, e l’hanno formata attraverso politiche centrate soprattutto sulla lingua.

Ma queste sono questioni di lana caprina. Legalità non vuol dire niente quando una nuova soggettività emerge fuori e contro la legalità esistente. E fondare una nuova legalità sulla nazione non significa niente dal momento che la nazione non è che la proiezione di una legiferazione nazionalista.

Interessante invece è la genesi sociale e le prospettive che l’indipendentismo può produrre.

Gran Bretagna e Spagna, gli stati nazionali più antichi (insieme alla Francia) si destrutturano. Perché?

La spaccatura verticale del corpo elettorale britannico non è un evento che si risolverà nell’ambito dell’unità nazionale. Il 51% che ha votato exit e il 49% che ha votato remain non si conciliano in un futuro comune. Non si tratta più della vecchia opposizione di destra contro sinistra, fattore dinamico seppur conflittuale negli stati nazionali democratici. Si tratta di una divisione profonda tra ceti metropolitani bene o male integrati nel ciclo globale e ceti emarginati e impoveriti dalla globalizzazione.

La spaccatura che si è determinata in Spagna contrappone in modo irreversibile una parte (più della metà degli elettori catalani) allo stato nazionale. Il potere madrileno potrà anche sconfiggere gli indipendentisti, vincendo improbabilmente le elezioni del 21 dicembre, ma i catalani ora percepiscono la Spagna come una potenza occupante, così come metà dell’elettorato britannico considera l’Europa una potenza nemica.

Gli stati nazionali più antichi del continente si sfasciano, l’ordine europeo uscito dalla seconda guerra mondiale si sfascia. Perché?

Come si è potuti arrivare a questo punto?

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L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu

Fonte Pressenza.com

21.11.2017 – Redazione Italia

L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu
(Foto di Medici senza Frontiere)

“Cos’è oggi la Libia si sapeva già…”. O, ancora: “Sono cose terribili, ma in fondo già note”. E via di questo tono. E’ con dichiarazioni di questo genere che vari esponenti del Governo e del Parlamento italiano hanno reagito alla dura presa di posizione di Zeid Raad Al Hussein, il commissario Onu per i diritti umani il quale, evidenziando l’orrore dei lager libici, ha contestato la politica migratoria dell’Unione Europea, condannando in particolare l’accordo tra Roma e Tripoli per fermare gli sbarchi. “E’ disumana – ha detto testualmente Zeid Raad – la scelta Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. La conferma di questo inferno è arrivata, in quelle stesse ore,  da un reportage della Cnn che ha documentato la vendita all’asta di alcuni profughi come schiavi, esattamente nei modi che diversi richiedenti asilo sbarcati in Italia hanno raccontato negli ultimi mesi a varie Ong e operatori umanitari. Ma la reazione alle immagini sconvolgenti della Cnn da parte della politica italiana è stata sostanzialmente la stessa: “Già si sapeva…”. Ovvero, nessuna presa di distanza ma, anzi, quasi una auto-assoluzione e un ulteriore supporto alla Libia. Non a caso i principali giornali libici – ad esempio il Libya Herald o il Libyan Express – hanno titolato: “L’Italia difende la Libia contro l’Onu dall’accusa di accordo inumano sui migranti”.

Allora, “si sapeva”. Certo che si sapeva. A parte tutti i dossier e le denunce alla stampa che si susseguono da anni ad opera di Ong come Medici Senza Frontiere, Amnesty, Medici per i Diritti Umani, Human Rights Watch, sono numerosi i rapporti fatti anche da istituzioni internazionali. Qualche esempio, solo negli ultimi 12 mesi.

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Seule face à la justice après avoir été violée

par Françoise De Smedt

Victime d’un viol, Norine raconte son parcourt pour nous permettre de comprendre les barrières à surmonter pour les victimes. Un témoignage qui montre aussi que la justice dans notre pays n’est pas au service des victimes.

Norine a porté plainte au mois de décembre 2016 pour viol. Elle s’est rendue au commissariat de police à Liège où elle a été très bien accueillie.

« On m’a demandé si je voulais que ce soit un homme ou une femme qui prenne ma déposition. Donc j’ai eu une femme et elle a pris 4h30 pour faire ma déposition. Pour avoir les détails et tout ce qui était nécessaire à avoir comme informations s’il devait y avoir un procès. »

Là, on lui a aussi donné les infos pour le service d’aide aux victimes, le suivi psychologique puisque c’est aussi dans la loi. Ainsi que le numéro d’une assistante sociale de la police qui lui a dit qu’elle serait recontactée. Elle s’est rendue également au service d’aide aux victimes de Liège. « Jusque-là tout se passait plutôt bien. »

Un mois plus tard Norine n’avait toujours pas de nouvelles. « J’ai appelé une assistante sociale du parquet. Cette assistante m’a dit : “On n’a toujours pas de nouvelles, je vous resonnerai dans un mois.” Donc deux mois et demi après les faits. Le problème c’est qu’entre temps, je croisais régulièrement le garçon qui m’a violé, ici, à Liège. Ça laisse un grand flou émotionnellement et psychologiquement. Et une peur aussi, on se demande ce que va être la réaction de la personne quand elle va être au courant de la plainte. Ca a duré jusqu’au mois de juin. »

Norine apprend que l’auteur n’a toujours pas été entendu. « Un gros coup de massue… Cela faisait 7 mois et toujours pas de nouvelles. La personne n’est toujours pas entendue. Moi, je stresse en me disant elle était au courant alors qu’elle ne l’est pas. C’était insupportable. »

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À Londres, la compagnie américaine Uber en fin de course

FONTE SOLIDAIRE 
Les mobilisations anti-Uber ne datent pas d’aujourd’hui. Ici, une manifestation des taxis londoniens contre Uber le 11 juin 2014.
 

Cresce il numero di Governi che utilizzano armi digitali per manipolare l’opinione pubblica. La ricerca di Freedom House: 30 i Paesi più a rischio; Cina e Russia pioniere nell’uso di commentatori assoldati e bot politici

fonte primaonline

Nell’ultimo anno i governi di 30 nazioni hanno usato armi digitali per fare propaganda sui social network, silenziare il dissenso, orientare l’opinione pubblica e interferire nelle elezioni del proprio Paese, ma anche di Stati stranieri. L’accusa arriva dalla Ong ‘Freedom House‘, che ha evidenziato come il numero di paesi interessati dal fenomeno sia cresciuto rispetto ai 23 in cui era stato certificato nel 2016.

A spiccare nella graduatoria, tra i Paesi più colpiti, ci sono Cina e Russia, affiancate da nazioni attraversate da forti tensioni sociali e politiche, come Turchia, Venezuela e Filippine, Messico e Sudan. Commentatori prezzolati, troll, bot (cioè account automatici che inviano messaggi spacciandosi per utenti in carne e ossa), falsi siti di notizie e vari veicoli di propaganda, sono alcune dell armi utilizzate per diffondere le “fake news di Stato”.

“L’uso di commentatori assoldati e bot politici per diffondere la propaganda governativa ha avuto la Cina e la Russia come pionieri, ma ora è diventato globale”, ha osservato il presidente di Freedom House, Michael J. Abramowitz.

I governi stanno “aumentando marcatamente gli sforzi per manipolare l’informazione sui social, minando la democrazia”, si legge nel rapporto, secondo cui la disinformazione ha avuto un ruolo importante nelle elezioni in almeno 18 Paesi nell’ultimo anno, tra cui gli Usa, “danneggiando la capacità dei cittadini di scegliere i propri leader sulla base di notizie vere”. La Internet Research Agency di San Pietroburgo è al centro del Russiagate per interferenze nelle presidenziali Usa; nelle Filippine “l’esercito della tastiera” ha arruolato persone a 10 dollari al giorno per sostenere il presidente Duerte; in Turchia 6mila troll hanno fatto propaganda per il governo; in Sudan la fabbrica di bufale è direttamente all’interno dell’intelligence.

Nel periodo considerato, tra giugno 2016 e il maggio scorso, la manipolazione delle news ha interessato diverse nazioni, anche quelle non chiamate alle urne. In Europa occidentale il report segnala la presenza di fake news elettorali nei 4 Paesi esaminati: Italia, Francia, Germania e Regno Unito.

 

Tomás Hirsch: “Il cambiamento non si può costruire da soli”

fonte : Pressenza.com

18.11.2017 – Redacción Chile

Quest’articolo è disponibile anche in: IngleseSpagnoloGreco

Tomás Hirsch: “Il cambiamento non si può costruire da soli”
(Foto di Domenico Musella)

Tomás Hirsch, candidato a deputato per il Partito Umanista cileno all’interno del Frente Ámplio, spiega in questa intervista – il cui video appare più sotto – come sia possibile e necessario lavorare con altri per andare costruendo una società degna dell’essere umano, senza che questo significhi perdere un profilo umanista.

Tomás, siamo arrivati all’ultimo giorno di una lunga campagna. Il Partito Umanista ha presentato molti candidati – e speriamo che tu arrivi in Parlamento – all’interno di una realtà più amplia, che si chiama appunto Frente Amplio. Vorremmo sapere come fa il Partito Umanista cileno a lavorare sempre con altre forze politiche senza perdere il suo profilo e le sue proposte.

Qui in Cile noi umanisti siamo convinti di tre cose. La prima è che abbiamo una buona proposta, che l’Umanesimo è buono e che è importante che si sviluppi, perché abbiamo un grande contributo da dare. La seconda, molto in sintesi, è che non possiamo fare quello che vogliamo da soli, ma dobbiamo farlo con altri. Altri che hanno le stesse convinzioni e gli stessi ideali, anche se provengono da correnti diverse: dal socialismo, dal marxismo, dall’ambientalismo, dall’ecologismo, dal femminismo, dai movimenti indigeni… insomma, da molti ambiti differenti, dove c’è la gente necessaria per questa costruzione. Nessuno può farcela da solo. Non c’è via d’uscita restando da soli. Per noi questo è un tema molto profondo. E la terza cosa, simile alla seconda, è che c’è gente buona da molte parti.

Con queste tre convinzioni, da quando siamo nati come partito politico abbiamo sempre cercato di lavorare con altri. Non saremmo riusciti a uscire dalla dittatura da soli. Poi abbiamo partecipato alla Concertación e ce ne siamo andati quando ha preso un’altra direzione. Siamo stati tra i fondatori di Juntos Podemos e oggi stiamo nel Frente Amplio, che abbiamo contribuito a formare. Come si fa a non perdere profilo? Buona domanda. E’ un po’ come chiedere al millepiedi come cammina…

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La violenza di CasaPound a Ostia

di Internazionale.it

“Zecca de merda, frocio”, gli urlano quelli di CasaPound quando lo incontrano fuori da qualche locale o sull’autobus. Si muovono sempre in gruppo, sono ragazzi del quartiere militanti di estrema destra e prendono di mira quelli impegnati nei collettivi scolastici di sinistra o nelle associazioni, soprattutto i ragazzi che si occupano di senza fissa dimora o migranti.

Raffaele Biondo è alto e magro, capelli ricci, maglione a collo alto: ha 19 anni ed è stato per lungo tempo il rappresentante degli studenti del liceo scientifico Antonio Labriola di Ostia. “C’era un periodo in cui ricevevo minacce quotidianamente per la mia attività politica a scuola”, racconta. Poi il 24 maggio 2016 ha subìto un’aggressione.

“Il coordinamento degli studenti del decimo municipio aveva organizzato una manifestazione contro la mafia e contro il fascismo, la giornata della cultura, a cui avevamo invitato tutte le scuole”, racconta Biondo. Durante l’evento il Blocco studentesco, la formazione giovanile del partito di estrema destra CasaPound, si è presentata e ha protestato perché non era stata invitata.

Una lunga lista

Il giorno successivo, Biondo è stato aggredito da un ragazzo di Blocco studentesco accompagnato da altri otto militanti all’uscita da un locale di Casal Palocco. “Sono uscito verso le otto dal bistrot Ciaocore dove stavo studiando con un mio amico”, racconta. “Nel parcheggio ho incontrato otto ragazzi di Blocco studentesco e abbiamo cominciato a discutere della giornata della cultura che si era svolta il giorno prima in piazza Anco Marzio in maniera abbastanza tranquilla”.

All’improvviso uno degli studenti di Blocco studentesco “ha chiesto se ero antifascista”. Quando Biondo ha detto di sì è arrivata la replica: “Allora sei un uomo di merda”, insieme a una testata sulla bocca. “Ho cominciato a vedere tanto sangue e piegato dal dolore non ho reagito”, racconta il ragazzo, mentre l’aggressore e gli altri sono scappati. Biondo è andato al pronto soccorso dove gli hanno dato sette giorni di prognosi. Se l’è cavata con un dente rotto che ha dovuto farsi ricostruire. Ha presentato un esposto alla polizia, ma continua a ricevere minacce e insulti.

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Palestine : 50 ans d’occupation, 50 ans de lutte ouvrière

FONTE : EQUALTIME

Palestine : 50 ans d'occupation, 50 ans de lutte ouvrière

A Palestinian worker on a construction site in the city of Bethlehem, in the southern occupied West Bank, on 27 September 2017.

(Chloé Benoist)

Malgré 30 ans de sa vie passés à travailler comme menuisier en Israël, et les 17 dernières années comme agriculteur dans la partie sud de la Cisjordanie occupée, Mohammad Issa Salah, âgé de 70 ans, a toujours du mal à joindre les deux bouts.

« Ici, le coût de la vie est comme en Europe, mais les salaires sont comme en Afrique, » déclare le vieux Palestinien du village d’Al-Khader à Equal Times, s’exprimant dans le peu d’anglais dont il se souvient de l’école.

La situation de ce vieillard est loin d’être une exception : avec un quart des Palestiniens vivant sous le seuil de pauvreté et un taux de chômage comparable, les Palestiniens luttent depuis des décennies pour assurer leur subsistance et faire valoir leurs droits dans le monde du travail.

Au cours des 50 dernières années, l’occupation israélienne de la Cisjordanie, de Jérusalem-Est et de la bande de Gaza a eu un impact incontestable sur les conditions de travail des Palestiniens. Dans le même temps, les syndicats peinent à dépasser les clivages politiques pour faire avancer concrètement la protection des droits des travailleurs palestiniens.

« La terre n’est pas la seule chose qui est occupée ; c’est aussi le cas de l’économie palestinienne, » déclare Matthew Vickery, auteur d’« Employing the Enemy: The Story of Palestinian Labourers on Israeli Settlements ».

Les centaines de milliers de Palestiniens qui se sont retrouvés sous le contrôle de l’armée israélienne en 1967 sont rapidement devenus une source de main-d’œuvre ouvrière pour l’économie israélienne, accomplissant des tâches que peu d’Israéliens étaient disposés à faire, pour un coût beaucoup moins élevé et avec beaucoup moins de protections juridiques.

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MIGLIAIA DI ARMI “PERSE” DAI PEACEKEEPERS

RAPPORTO SMALL ARMS SURVEY

Fucili, pistole, mortai, mitragliatrici e lanciagranate. Sono migliaia le armi “perdute” negli ultimi 24 anni dalle tante missioni di pace che hanno operato nel continente. Lo rivela un rapporto, secondo il quale le perdite reali potrebbero essere anche molto maggiori.

di Bruna Sironi

 

La scioccante notizia emerge da una ricerca dell’organizzazione internazionale Small Arms Survey, che si occupa del monitoraggio della diffusione delle armi leggere, ed è pubblicata nel rapporto “Making a Tough Job More Difficult” (Rendere un lavoro duro ancora più difficile). Infatti le armi “perse” finiscono poi per essere usate contro i legittimi possessori e contro i civili che dovrebbero proteggere.

La ricerca si è occupata delle missioni di pace a partire dal 1993 ad oggi, dopo la fine della guerra fredda che ha di fatto determinato il proliferare dei conflitti locali e perciò delle missioni di peacekeeping, condotte dall’Onu, da altre coalizioni o organizzazioni – come l’Unione africana che opera in Somalia con l’operazione Amisom -, o miste Onu e Unione africana – come l’Unamid che lavora in Darfur -, e ancora l’Ecowas che nei paesi dell’Africa Occidentale ha agito in Sierra Leone.

I ricercatori hanno trovato che in almeno una ventina di queste operazioni si sono verificate perdite di armi. E non solo armi leggere, come fucili e pistole, ma anche armi pesanti come mortai, mitragliatrici e lanciagranate, che possono cambiare l’esito di una battaglia. Il direttore della ricerca, Eric Berman, ha dichiarato in un’intervista ad Al Jazeera che sono andate perse “migliaia di armi e milioni di cartuccere”.

La maggior parte si è verificata in missioni che hanno operato, o ancora operano, nell’Africa sub-sahariana e in particolare in Congo, Somalia, Sudan, Burundi, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Mali e nella Repubblica Centrafricana. Talvolta le perdite non erano evitabili, perché i peacekeeper sono caduti in imboscate o sono stati sopraffatti in altri modi, ma molto più spesso hanno consegnato le armi piuttosto che difendersi e rischiare di rimanere vittime in uno scontro armato.

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“Oggi l’ignoranza è chic, non conoscere Capitali e Paesi e non usare i congiuntivi pare sinonimo di originalità”. L’ironica denuncia di Emma Bonino: “l’unico scudo contro le fake news è la conoscenza”

Fonte PrimaComunicazione che ringraziamo 

 

“Pare che oggi non conoscere le Capitali europee e del mondo, confondere i Paesi, non conoscere i congiuntivi, sia considerato chic, sinonimo di originalità. Mentre usare un linguaggio minimamente corretto profuma di antico”. Esordisce così Emma Bonino, oggi a Milano dal palco della Conferenza mondiale ‘Science for Peace’, dedicata quest’anno al tema delle post-verità.

Emma Bonino

Emma Bonino

Per Bonino l’unico scudo contro le fake news è la conoscenza. “Siamo tutti chiamati a tornare a difendere un principio basilare del sistema democratico che oggi è messo in discussione: quello del conoscere per deliberare – spiega – Se conosci solo bufale, le deliberazioni non saranno brillanti o adeguate. Oggi vediamo che si crea un corto circuito dove le bufale che circolano in Rete si rinforzano, vengono rilanciate dalla carta stampata, ed entrano nel senso comune e nella politica. Ma non la politica del buon senso, piuttosto quella del senso comune che segue soluzioni semplicistiche”.

Ed ecco perché Bonino si rivolge direttamente ai ragazzi con un invito: “Fate il vostro mestiere, studiate. E sarete più resistenti alle bufale e agli imbonitori che sfruttano la paura, uno strumento di
campagna elettorale che va fortissimo”. Quella contro le post-verità è”una battaglia civile che possiamo e dobbiamo vincere. Ciascuno di noi può essere strumento. Possiamo smettere di passare il tempo su Internet fra like e post” e leggere “un buon libro, recuperare il piacere di scrivere a mano. Se studiate, voi ragazzi sarete attori protagonisti e responsabili”. (AdnKronos)

Lettera di Milagro Sala ai giudici

FONTE PRESSENZA.COM

16.11.2017 – San Salvador de Jujuy Redacción Argentina

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Lettera di Milagro Sala ai giudici

 

Ai giudici e pubblici ministeri di Jujuy:

Oggi voglio scrivere quello che già tutti voi sapete, ma che credo sia necessario dire .

Voi sapete che sono una perseguitata politica. Anche se dite pubblicamente il contrario, sapete che sono una perseguitata politica.

Sapete che il mio arresto e la successiva detenzione sono state decise dal governatore Gerardo Morales.

Sapete che le cause intentate contro di me sono state decise nel palazzo del governatore. Sapete anche che voi avete obbedito e siete stati, e siete, strumenti di persecuzione politica.

Sapete che il giudice Pullen Llermanos ha proposto più volte ai detenuti di scambiare la loro libertà per una dichiarazione contro di me. Lo sapete e sapete che Pullen Llermanos rispetta i patti. Chi testimonia contro Milagro Sala ha libertà e assoluzione, chi non accetta può aspettarsi una pena detentiva indefinita.

Sapete ogni passo giudiziario che ha luogo nelle cause viene consultato e deciso nel palazzo del governatore.

Voi, giudici e pubblici ministeri, siete quelli che chiedono e obbediscono, lasciando da parte i principi del diritto che avete studiato all’università e che avete giurato di difendere.

Sapete che la persecuzione non è solo contro di me, ma contro la mia famiglia e i compagni e le compagne della Tupac che non hanno tradito la verità né le loro convinzioni.

Sapete che la persecuzione è anche contro i miei avvocati, che sono stati puniti più volte.

Non tentate solo di metterci in galera per molti anni, volete anche distruggerci come persone e cercare di sotterrare tutto il lavoro sociale e popolare che la Tupac Amaru ha fatto.

Voi sapete, e lo so anch’io, che verrò condannata, poiché questa è la decisione di Morales e voi gli obbedite.

Sappiate anche che la storia non si ferma e che un giorno dovrete dar conto, con tutte le garanzie legali che vi spettano, di queste persecuzioni.

Sappiate, inoltre, che le differenze politiche non si risolvono con la reclusione degli avversari. Quelli che lo fanno finiscono per essere mercenari del potere politico autoritario.

Con le mie convinzioni intatte.

Milagro Sala
Prigioniera Politica.

Le peripezie del Comune – di Marco Fama

 FONTE EFFIMERA

Il tema del comune come modo di produzione è oramai entrato nel dibattito teorico neo-operaista. Il prossimo week-end a Napoli si svolgerà una tre giorni di discussione sui beni comuni al tempo della crisi tra mutualismo e autoproduzione culturale, del rapporto tra la loro gestione e l’economia della rendita e dell’austerity, diritto alla città e pratiche di autodeterminazione. Non si parlerà solo di beni comuni ma anche di “comune” in quanto ambito conflittuale di valorizzazione contemporanea. Come contributo a questo dibattito, pubblichiamo la recensione di Marco Fama al volume di  Carlo Vercellone, Francesco Brancaccio, Alfonso Giuliani e Pierluigi Vattimo: “Il comune come modo di produzione”, Ombre Corte, Verona, 2017. 

 

Per pensare a nuove forme di organizzazione della vita sociale – non rispondenti alle logiche competitive del mercato, né a quelle “mostruosamente gelide” della burocrazia statale – occorre fare ricorso alla memoria, prima ancora che all’immaginazione. Bisogna calarsi nella materialità della storia e riportare alla mente tutte le sopraffazioni su cui la nostra modernità ha edificato il proprio avvenire, sia per riuscire ad attingere dalla potenza creativa che sempre scaturisce dall’indignazione, che per iniziare a smontare l’impianto discorsivo attraverso cui l’ordine vigente continua a nutrire il tarlo della propria legittimità.

Da questo fondamentale atto di rimemorazione si dipana “Il comune come modo di produzione” (ombre corte, pp. 230), un nuovo prezioso volume – scritto a più mani da Carlo Vercellone, Francesco Brancaccio, Alfonso Giuliani e Pierluigi Vattimo – che interviene in maniera originale all’interno del dibattito sul tema dei commons.

La “tragedia dei beni comuni” viene svelata per quello che effettivamente è: una storia davvero triste, non certo per le fallaci ragioni addotte da Garrett Hardin[1], ma poiché narra della sistematica disintegrazione delle risorse, delle consuetudini e delle forme di cooperazione su cui si è a lungo retta la riproduzione delle classi subalterne.

Accantonando una volta per tutte la visione astorica e naturalistica dei commonspropugnata dall’economia neoclassica, da cui neppure la critica ostromiana[2] ha saputo smarcarsi completamente, gli autori volgono lo sguardo in direzione dei processi storici, dei rapporti di forza, delle strutture da cui, in ultima istanza, dipende la concreta possibilità di costruire forme altre di organizzazione sociale.

Da ciò, l’invito a parlare di Comune al singolare, e non già di beni comuni, emancipandoci dalle catalogazioni oziose che spesso ricorrono nella letteratura economica. Come chiarito dagli autori, “nessun bene è infatti destinato, per le sue qualità intrinseche, a diventare, ipso facto, oggetto di un modo di gestione in particolare”[3]. Ed anzi, mentre, da un lato, “nessun valore d’uso sfugge in quanto tale alla sfera della produzione mercantile e del profitto”[4], dall’altro, non vi è bene, sia esso scarso o meno, la cui gestione non possa per natura essere improntata a dei criteri, magari frutto di specifici processi di partecipazione e di condivisione, differenti da quelli imposti dalle logiche dell’angusto binomio pubblico-privato.

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Il mondo in marcia per salvare la terra

FONTE COMUNE.INFO

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di Alberto Zoratti*

C’è una conseguenza imprevista dell’Accordo di Parigi che nelle immediate vicinanze della sua approvazione non era percepibile. Al di là della sua contraddizione interna (per tenere tutti a bordo, o quasi, rimane vincolante la struttura dell’Accordo, ma i suoi contenuti non prevedono sanzioni per gli inadempienti), la nascita delle National Determined Contributions (NDCs) che inducono i Governi a proporre una propria strategia climatica da inserire nella cornice globale condivisa dalla Convenzione quadro, apre ampi spazi di azione per i movimenti e per le comunità locali. Il Governo nazionale diventa uno dei principali interlocutori in vista delle COP. Ma c’è di più, Parigi apre le porte a tutto il mondo dei cosiddetti “Non State Actors” creando le condizioni per dei processi che fino a un po’ di anni fa sarebbero stati di nicchia.

Nasce la piattaforma dei popoli indigeni e delle comunità locali, che unirà politiche di adattamento e mitigazione con le conoscenze tradizionali e le alternative che nascono sui territori. Oggi è uno spazio formale ma domani, alla Cop24 di Katowice nel 2018, potrà avere gambe istituzionali per poter incidere in modo sostanziale.

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Abbiamo fatto fuori questo Varoufakis – Toni Ferigo

fonte WORKINGCLASS.IT

Il professore è uno scrittore prolifico. Oltre a testi e saggi di economia ,analisi politiche, pubblica anche riflessioni personali : “ pensieri di un marxista immaginario”, “ l’economia insegnata a mia figlia”. L’ultima in ordine di tempo è un diario sulla sua esperienza di ministro nel confronto con le istituzioni della “troika”, EU, IMF, Banca Europea in riunioni incontri, pour parler, dichiarazioni, etc.. Incontrò anche Matteo Renzi che pensò bene, dopo le sue dimissioni,di aprire un consiglio dei ministri italiano con un poco educato, “abbiamo fatto fuori questo Varoufakis”.

Yanis Varoufakis, professore d’economia alla università del Texas ,è stato il ministro delle finanze del governo greco nella trattativa sul debito con l’UE. Sei mesi drammatici. La conclusione è nota. La UE impose alla Grecia l’accettazione delle sue condizioni riassumibili in “ più austerità “. Varufakis , messo in minoranza nella direzione del Partito Siriza si dimise. Oggi è tra i promotori di un movimento europeo DEM25.

La memoria è titolata “adulti nella stanza”. Un titolo un po’ criptico. Chi sono gli adulti e quale la stanza ? La risposta è semplice. In una sua critica a eterodossi oppositori del piano prestito greco Martine Lagarde, presidente del FMI parlò di “ ragazzini nella stanza”. Era parte dell’attacco mediatico a Varufakis e i suoi collaboratori e sostenitori. Rafforzava un immagine fatta di incompetenza, superficialità ed esibizionismo.

Con l’augurio che sia presto tradotto e pubblicato in italiano il diario politico di Varufakis si presta da subito a considerazioni che vanno al di là della cronaca dei fatti. Va collocato entro l’intera storia , lo scenario di fondo su cui si svolse la rappresentazione. Ne tentiamo una sintesi anche con l’aiuto di altre fonti. Le parti in corsivo son tratte dal libro.

Quando Varufakis divenne ministro nel Gennaio 2015 l’economia greca era in condizioni disastrose. E’ bene precisare che l’economista accademico, non era nuovo alla politica, come è stato spesso raffigurato, sino a descriverlo come un apprendista politico, intellettualoide, narcisista benestante. Era membro del parlamento greco. La sua attività in passato non era stata solo accademica ma anche politica. Nel 2010 scrisse in collaborazione con Stuard Holland , figura storica della sinistra inglese, un libretto dal titolo significativo, “modesta proposta per risolvere il problema del debito europeo”. Una impostazione ,allora considerata keynesiana , per questo discutibile dagli ortodossi del tempo. Oggi sarebbe criticata come non realistica , troppo radicale. E’ stato anche consigliere economico del primo ministro Papandreu. Ruolo da cui si dimise dopo due anni di inascoltati consigli.

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E’ uscito il numero 101 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui: 
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n101-s.pdf

In questo numero:

La verità sul sindacato e sulle tessere
di Mimmo Carrieri

Besostri: “Anche il Rosatellum è incostituzionale. Il voto non è libero, uguale e personale””
di Silvio Buzzanca

Rosatellum bis: la nuova legge elettorale. Ecco come funziona (la scheda)
di Alessio Sgherza

Intervista a Lee Carter. Il socialismo in America con Bernie Sanders
di Sara Ligutti

Buona lettura e diffondete!

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Sul SITO di PUNTO ROSSO
puoi scaricare il dibattito “Dove va il Brasile? E la sinistra brasiliana?”
con Armando Boito (Università di San Paolo) che si è svolto l’11 ottobre 2017
http://www.puntorosso.it/dibattiti.html