4 dicembre: finanza e multinazionali votano sì. NOI NO!

Non una revisione, una sostituzione. Dalla semplice lettura del titolo: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione” ci rendiamo conto che la riforma che il popolo italiano sarà chiamato ad approvare o a rifiutare con il referendum prossimo venturo non è una semplice legge di revisione della Costituzione. Si tratta di un intervento che modifica o sostituisce ben 47 articoli, realizzando in questo modo la sostituzione dell’ordinamento democratico previsto dalla Costituzione del 48 con un altro ordinamento, ispirato a principi e ragioni affatto differenti da quelle che avevano guidato i padri costituenti.

4 dicembre: finanza e multinazionali votano sì. NOI NO!

 

NO

Siamo ormai a cinque settimane dal voto del 4 dicembre sulla controriforma costituzionale del governo Renzi.

 Ed in queste cinque settimane ogni strumento sarà impiegato per “convincere” a votare sì: mance e promesse, spettri e paure, carote e bastoni.  Tutto l’armamentario manipolatorio sarà messo in campo, tutta la possibilità di disporre di spazi e risorse comunque superiori a quelli del No, dall’uso della comunicazione “istituzionale” per forzare le regole, agli strumenti che ha sempre in mano chi abita le stanze del potere. I sondaggi vanno presi con le molle, ma certo i tantissimi indecisi, ed i tantissimi che dichiarano di non conoscere o conoscere poco quello di cui si sta discutendo, offrono ampio margine al tentativo di far leva sulla spoliticizzazione diffusa, creando un “rumore di fondo” che porti infine ad un voto favorevole.

Del resto è palese come lo slittamento del referendum alle porte di Natale sia stato voluto da Renzi proprio per avere più tempo: settimane e giorni essenziali per recuperare sondaggi sfavorevoli ma con sufficienti margini di manovra.

Per questo motivo le prossime settimane devono davvero essere usate al meglio.

E’ stata molto importante la manifestazione di sabato scorso, riuscita oltre le aspettative, e saranno importanti le iniziative future già programmate. Sono due le necessità.  La prima è quella di concentrare il messaggio fondamentale, facendo vivere i contenuti del NO SOCIALE, oltre la manifestazione.   La seconda è quella di fare un salto di qualità nella capacità di mettere in campo un’iniziativa capillare, riuscendo a parlare con le persone una per una: in ogni territorio, paese, luogo di lavoro, caseggiato.

L’impegno in ogni ambito,  dai comitati per il NO, che rappresentano un patrimonio importantissimo di ricostruzione di relazioni concrete tra le persone, ad Altra Europa, alle iniziative che faremo autonomamente come partito, dovrebbe essere tutto indirizzato in questo senso.

Per questo è necessario programmare con cura volantinaggi diffusi, iniziative esterne nelle piazze, striscioni, presidi e tutta la creatività che serve per parlare fuori di noi, avendo come obiettivo non solo la parte della popolazione in contatto con la politica, quella che più facilmente viene alle iniziative, ma anche quella che non lo è, quella grande quantità di indecisi che può orientarsi all’ultimo minuto.

Per questo è utile riepilogare gli argomenti principali e “semplici” da usare per far capire qual è la posta in gioco, utilizzando tutte le conoscenze specifiche, i saperi più “tecnici” al servizio della comprensione dei nodi di fondo. Ed evitando invece i “tecnicismi” incomprensibili per i più.

Non si tratta di contrapporre un populismo buono ad uno cattivo, piuttosto di cercare di compiere quello stesso esercizio che fa la nostra Costituzione, scritta in modo che anche le questioni più complesse possano essere comprese da tutti, esempio concreto di “rimozione degli ostacoli” che impediscono l’uguaglianza delle persone. Proviamo a metterli in fila.

1. Questa “riforma” è stata dettata dalle elitès della finanza e dell’economia: banche e multinazionali. Va fatta conoscere il più possibile la dichiarazione contenuta nel famoso documento di J.P. Morgan, documento noto a chi è più consapevole, ma non alla maggior parte delle persone. Che la seconda più grande banche d’affari del mondo, la prima nel settore dei derivati cioè nella finanza speculativa, condannata per 13 miliardi per lo scandalo dei mutui sub-prime, abbia messo nero su bianco che andavano rottamate le Costituzioni dei paesi del Sud Europa perché prevedono “la tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori.. il diritto di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo.. esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni” è cosa che può parlare ad un’ampia parte della società. Raccoglie la giusta indignazione contro le elitès, esplicita il carattere inaccettabilmente autoritario di quel disegno, esplicita il legame tra l’attacco ai diritti sociali e l’attacco alla democrazia. J.P.Morgan è l’emblema di quello che vogliono oggi le grandi multinazionali dell’economia e della finanza: concentrare il potere nelle mani di pochi per fare gli interessi di pochi. Ed è chiarissimo quel messaggio quando dice che “il test chiave sarà in Italia.”

2. Va demistificata la propaganda sulla “velocità”. Forse che leggi come la controriforma Fornero delle pensioni, il Jobs Act, la “buona scuola” avrebbero dovuto essere approvate più rapidamente, eliminando persino la possibilità di costruire un’opposizione? I 70 giorni di tempo previsti dalla controriforma per approvare quelle leggi che il governo definirà  prioritarie, servono a impedire che le persone possano organizzarsi e lottare contro le leggi inique. Servono a rendere le istituzioni ancora più impermeabili al conflitto sociale. Servono esattamente per imporre “l’agenda delle riforme” neoliberiste, e per bloccare “il diritto di protestare”… ancora JPMorgan.

3. Si produce una centralizzazione delle decisioni politiche fortissima nel rapporto tra centro e territori. Si portano sotto la competenza esclusiva dello Stato materie come “produzione, trasporto, distribuzione dell’energia.. infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e navigazione.. promozione (e non più solo tutela) della concorrenza..porti e aereoporti.. beni paesaggistici.. governo del territorio…”. Viene introdotta la clausola di supremazia statale per consentire al governo di imporre politiche e progetti che contrastano con le comunità chiamate poi a subirne le conseguenze: sull’ambiente, la salute, l’assetto del territorio. Si prova a far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta, quando il deposito dei referendum sulle trivelle da parte di alcune regioni e di numerose associazioni ambientaliste, ha costretto il governo a modificare lo “Sblocca Italia” e rispetto alla dichiarazione di incostituzionalità dell’esclusione delle regioni dai processi decisionali in materia energetica ed infrastrutturale. E’ evidente la volontà di trovare corsie preferenziali per gli interessi forti contro gli interessi diffusi, per le lobbies energetiche e delle grandi opere e per i loro intrecci con la politica: chi non si ricorda delle dimissioni della ministra Guidi avrà presente l’arresto dei tangentisti di questi giorni! Sono gli stessi interessi che hanno indirizzato risorse ingentissime su progetti dannosi e inutili a scapito di ciò che sarebbe urgentissimo, a partire dalla messa in sicurezza del territorio dal rischio sismico e idrogeologico

4. Non si abolisce il Senato, ma il diritto dei cittadini di eleggerlo. Al posto del voto popolare, i futuri membri saranno tutti nominati: 95 dai consigli regionali, tra cui 21 sindaci e 5 dal Presidente della Repubblica. Dato il carattere non elettivo e “part-time” dei membri del Senato, non ci sarà nessuna rappresentanza reale delle regioni ma solo di alcuni territori, presumibilmente i più forti. Allo stesso tempo i compiti dei senatori sono tanto confusi, quanto gravosi: impossibile da svolgere per chi contemporaneamente fa il sindaco di una grande città.

5. La “riforma” Renzi della Costituzione insieme all’Italicum produce una svolta autoritaria senza precedenti. Le disponibilità ora manifestate da Renzi a modificare l’Italicum sono promesse che non valgono nulla, perché tutto sarà comunque deciso dopo il referendum.

Mentre il Senato sarà composto di nominati, la Camera con il premio di maggioranza abnorme dell’Italicum vedrà attribuire ad un partito con il 25% dei voti  o anche meno, il 54% dei seggi alla Camera cioè 340 seggi. Il premio di maggioranza potrà più che raddoppiare i seggi ottenuti se vigesse un principio di rispondenza proporzionale. 

Un solo partito potrà formare il governo anche se espressione di una esigua minoranza e ottenere la fiducia alla Camera. Un solo partito potrà deliberare lo stato di guerra ed eleggere il Presidente della Repubblica. 

6. Se anche tutto questo facesse risparmiare quanto dice Renzi, andrebbe rispedito al mittente. Ma neppure la storia dei “risparmi” è vera. La Ragioneria Generale dello Stato ha quantificato i “risparmi” in 49 milioni (non 500 come dice ora  Renzi, né tantomeno 1 miliardo come diceva qualche tempo fa). Significano meno di un caffè all’anno per ogni abitante. Nulla rispetto a quanto si potrebbe risparmiare colpendo privilegi ingiustificati dei parlamentari, meno di nulla rispetto a quanto si potrebbe recuperare con politiche fiscali che colpiscano quell’1% più ricco della popolazione che da solo possiede il triplo della ricchezza del 40% meno abbiente.

Ma questo Renzi non lo farà,  perché è esattamente l’interesse e il potere di quell’1%, all’origine della controriforma della Costituzione.

Mettiamocela davvero tutta. La vittoria del NO significherebbe battere la volontà di dominio della finanza e delle multinazionali sulla nostra società, emblema del tempo del capitalismo barbarico,  e significherebbe riaprire una possibilità vera di un nuovo ciclo di lotte, diritti, democrazia. Una nuova possibilità per la promessa di una società giusta, libera, solidale, incarnata nella Costituzione.

Roberta Fantozzi

fonte Blog Lavoro&Salute