Referendum trivelle: è molto più di un quesito

 

 

I media ,  in gran parte allineati al governo, tacciono sul referendum. Il PD fa campagna per l’astensionismo. Per questi motivi ho raccolto diversi materiali, interviste, documenti che fanno chiarezza sul vero pericolo che corrono alcune Regioni come Veneto, Emilia Romagna se dovesse persistere nel tempo l’estrazione di metano in aree vicine alla costa: la subsidenza che provocherebbe danni ambientali ed economici ben superiori al ricavo del metano estratto. I link rinviano ai testi completi dei documenti e degli articoli segnalati.

Articolo tratto dalla Agenzia Agensir 

Referendum trivelle: è molto più di un quesito
…………   Massimiliano Ferronato, professore di Analisi numerica, Sviluppo di modelli per la previsione delle subsidenze e dell’impatto geomeccanico dell’estrazione di idrocarburi all’università di Padova, di trivellazioni se ne intende.
“Geologicamente la pianura padana e la dorsale adriatica fino all’Abruzzo presentano diversi giacimenti promettenti, alcuni sfruttati dagli anni ’50. L’area adriatica è abbastanza ricca e in mare i giacimenti si trovano a una profondità tra i 1.000 e i 1.500 metri. Il gas è contenuto nei pori di una roccia molto dura che viene bucata e si succhia. L’effetto è quello di una spugna rigida: quindi, estraendo, la roccia si compatta e si realizza una deformazione che arriva alla superficie”.

Questo significa che il suolo si abbassa?
Sì, è la subsidenza il fenomeno principale che si deve affrontare. Non bisogna aver paura a priori di questo movimento, perché può essere studiato e previsto. In Adriatico abbiamo conoscenza di cosa può succedere grazie all’elaborazione di modelli matematici che si applicano con ottima affidabilità. Il fenomeno è insignificante se il suolo cala di 10 centimetri in mare aperto, perché produce un impatto minimo, ma se si verifica accanto alla costa il risultato è ben diverso: un abbassamento di 10 centimetri a Sottomarina significa perdere un chilometro e mezzo di spiaggia.

Quindi meglio non trivellare?
Si deve considerare la vulnerabilità del territorio per prevedere quale sarà l’impatto e dunque decidere quando e dove trivellare. Non dobbiamo però usare un approccio ideologico: sfruttare le risorse ha un impatto importante per l’economia, sia per quanto riguarda i posti di lavoro sia, soprattutto, rispetto alla bilancia dei pagamenti.

Che confine rappresentano le 12 miglia marine?
Le 12 miglia sono un confine più sicuro per la linea di costa che subisce una subsidenza minore. Ma in mare il fenomeno è solitamente poco significativo.

E sulla terraferma?
Per trivellare in terraferma è necessario studiare caso per caso e mettere in relazione la zona interessata con la vulnerabilità del territorio. In Lombardia in passato si è trivellato a un’altezza di 50 metri sul livello del mare e il calo è stato di qualche decina di centimetri. In Polesine questo non si può fare, sarebbe devastante.

È possibile che l’attività nel sottosuolo sia causa di terremoti?
Sì, gli studi hanno rilevato un collegamento e in genere si tratta di microsismi di 1- 1,5 gradi, ma se pensiamo al terremoto che nel 2012 ha colpito duramente l’Emilia, tutti gli studi condotti hanno detto no: non esiste alcun collegamento. La trivellazione raggiunge i mille, millecinquecento metri di profondità mentre il sisma ha avuto l’epicentro a 6 km di profondità e si sa che il sisma indotto dalle trivellazioni non si può propagare oltre i 300 metri.

fonte: leggi l’articolo completo
http://agensir.it/italia/2016/03/15/referendum-trivelle-e-molto-piu-di-un-quesito/

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Referendum trivelle: la mappa di Legambiente delle piattaforme in Emilia Romagna

Trivelle: la mappa di Legambiente delle piattaforme in Emilia Romagna
47 piattaforme collegate a 319 pozzi. Gli ambientalisti: “Coprono a malapena l’1,7% del fabbisogno di gas nazionale. Titoli già rilasciati entro le 12 miglia senza scadenza: una normativa che non vale per nessun’altra concessione e lascia la possibilità di appropriarsi di una risorsa pubblica a tempo indeterminato”

Referendum trivelle: la mappa di Legambiente delle piattaforme in Emilia Romagna
„ Si avvicina il referendum del 17 aprile per dire sì o no alle trivelle. Per la prima volta dai tempi della scelta sul nucleare, i cittadini italiani hanno la possibilità di incidere sulle decisioni strategiche del Paese in materia di energia.
Votando Sì al quesito proposto, si abrogherà infatti la possibilità che la scadenza delle concessioni in essere per l’estrazione e la ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia marine dalla costa, venga estesa.

“All’infinito. Possibilità mai concessa prima, di cui il nostro Paese ha tutt’altro che bisogno”, così Legambiente, che ripercorre le tappe: “Il governo, infatti, con un emendamento alla legge di Stabilità 2016 (che modifica il decreto legislativo 152/2006) ha sì vietato tutte le nuove attività entro le 12 miglia marine, ma ha deciso che i titoli già rilasciati possano rimanere vigenti “fino a vita utile del giacimento”.

Gli ambientalisti sottolineano invece che “mettere una scadenza alle concessioni date a società private che svolgono la loro attività sfruttando beni appartenenti allo Stato, è una precisa regola comunitaria. Non si capisce quindi perché, in questo caso, le compagnie petrolifere debbano godere di una normativa del tutto speciale che non vale per nessun’altra concessione, perché azzera ogni scadenza temporale e lascia loro la possibilità di appropriarsi di una risorsa pubblica a tempo indeterminato”.

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LA SITUAZIONE IN EMILIA ROMAGNA.

Entro le 12 miglia, lungo le coste della nostra regione ci sono ad oggi 15 concessioni di estrazione di gas (nessuna di petrolio) per un totale di 47 piattaforme collegate a 319 pozzi di estrazione. E’ questa la mappa tracciata da Legambiente, che parla di un “numero enorme, pari quasi alla metà di tutte quelle presenti sul territorio nazionale, che però contribuisce in maniera insignificante al fabbisogno nazionale e nulla potrebbe in caso di crisi energetica”. (qui la mappa interattiva con i dati e la posizione delle piattaforme in regione).
Dati “inconfutabili – sottolineano gli ambientalisti – stimano che le riserve certe sotto i fondali italiani sarebbero sufficienti (nel caso dovessimo contare solo su di esse) a soddisfare il fabbisogno nazionale di petrolio per sole 7 settimane e quello di gas per appena 6 mesi”.

La produzione di Gas degli impianti attivi entro le 12 miglia in Emilia Romagna, nel 2015, è stata infatti di 1,15 miliardi di Smc. Se si confronta il dato la quantità di gas estratto a livello nazionale, pari a circa 62 miliardi di Smc nel 2014, si evince che l’incidenza della produzione delle piattaforme regionali ricadenti nel quesito referendario, è pari a poco più dell’1,8% dell’intera produzione nazionale di gas, e copre non più dell’ 1,7% dei consumi nazionali lordi.

“Oltre al loro contributo irrisorio – denuncia Legambiente – per l’indipendenza energetica del paese, le attività estrattive nella zona dell’Alto Adriatico sono però la principale causa antropica del fenomeno della subsidenza, l’abbassamento del suolo dovuta alla perdita di volume del sedimento nel sottosuolo. Gli effetti più rilevanti della subsidenza si registrano in particolare sulla fascia costiera dell’Emilia Romagna che negli ultimi 55 anni si è abbassata di 70 cm a Rimini e di oltre 100 cm da Cesenatico al Delta del Po”.
Alcuni studi -aggiungono gli Ambientalisti – “riportano come l’abbassamento di 1 centimetro all’anno comporta, nello stesso periodo, una perdita di 1 milione di metri cubi di sabbia su 100 km di costa, che significa spendere annualmente 13 milioni di euro per il ripascimento delle spiagge, contro i 7,5 milioni di euro all’anno ottenuti come Royalties dalle compagnie petrolifere. La subsidenza aumenta inoltre l’impatto delle mareggiate e delle piene fluviali, favorendo l’erosione costiera, con perdita di spiaggia ed effetto negativo sulle attività turistiche rivierasche. Non vi è quindi alcun dubbio che il costo per la collettività sia di gran lunga maggiore del vantaggio che ne potrebbe derivare. Senza considerare il fatto che i consumi di questa fonte fossile negli ultimi dieci anni sono diminuiti del 21,6%, passando dai 86 miliardi di metri cubi del 2005 ai 67,5 miliardi del 2015”.
Potrebbe interessarti: http://www.bolognatoday.it/cronaca/referendum-trivelle-piattaforme-emilia-romagna-legambiente.html
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Il passato 
Documento 1)

 

CALOI PIETRO Sui fenomeni di anormale abbassamento del suolo,con particolare riguardo al Delta Padano di Pietro Caloi
30 Maggio 1967

https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwjw5Om1ndDLAhVljnIKHckJAwkQFggvMAE&url=http%3A%2F%2Fwww.annalsofgeophysics.eu%2Findex.php%2Fannals%2Farticle%2Fdownload%2F4999%2F5072&usg=AFQjCNE_iiX3W8l8dK-ySSpA8MNTxepcmA

“… Nel 1957—epoca alla quale si riferiscono, in genere, le varie pubblicazioni del C.I.M.—erano in funzione 1500 pozzi. Da ogni pozzo escono giornalmente, in media 500 m3 d’acqua ed altrettanti, per separazione spontanea, di gas metano. Pertanto, una estrazione annua di acqua pari a 275 milioni circa di m3 e altrettanti di gas metano.
… nella regione del delta padano i pozzi metaniferi si affondano tra i 200 ed i 650 m e le condizioni dei giacimenti non consentono l’estrazione del gas senza la fuoruscita di acque. Ed è appunto sulla sottrazione delle acque sotterranee, piuttosto che sul gas stesso, che è necessario soffermarsi. Infatti, il gas metano — nella zona — si trova generalmente emulsionato con acqua salmastra in strati sabbiosi.
– … orizzonti a profondità oltre i 600 m, benché mineralizzati a gas, normalmente non vengono sfruttati a causa della fine granulometria delle sabbie, che non sono trattenute dai filtri.
– … i pozzi vengono messi in produzione insufflando gas metano, mancando ormai, nella quasi totalità dei casi, salienza spontanea. L’iniezione di gas all’interno dei pozzi viene fatta ad una profondità che varia da 80 a 230 m, in modo da creare un alleggerimento della colonna d’acqua sovrastante e stabilire un flusso continuo della emulsione di acqua e gas. …
-… possiamo quindi constatare come l’acqua venga prelevata dal suolo in grandissima quantità, e come ciò agisca sulle velocità di abbassamento relative alle zone trivellate.
-… l’estrazione dal sottosuolo di queste grandi quantità d’acqua che, già intorno al 1957, era per la sola provincia di Rovigo di quasi 230 milioni di m3 — effettuata a mezzo di circa 1.400 pozzi attivi e, nella zona del Delta, di 170 milioni di m3 (900 pozzi attivi) — portava quindi ad un progressivo abbassamento del livello piezometrico (da 20 a 30 m sotto il piano di campagna) ed inoltre, il rapporto acqua/gas, soggetto a sensibili variazioni, si aggirava in media da 1,2 a 1,4.
-… imporre la chiusura dei pozzi di estrazione, a partire dal Marzo 1960 e con un opportuno programma di sospensione. Quanto questo, sia pur forzatamente tardivo provvedimento, fosse giusto, fu prontamente provato dai fatti …; a mano a mano che l’area di divieto di estrazione delle acque metanifere veniva estendendosi, immediatamente, nelle zone interessate, andava progressivamente diminuendo l’entità degli abbassamenti.
-… l’estrazione di quest’acqua, insieme all’estrazione di acqua dolce per usi domestici ed industriali negli anni della ricostruzione contribuì ad amplificare la subsidenza del Delta e molti terreni già bonificati tornarono ad allagarsi”

Corriere della Sera 14.03.2005:

“Un pozzo, un impianto di decantazione e alcune centinaia di metri di tubi per raggiungere la casa, il capannone, la serra o l’essiccatoio. È questa la tecnica «fai da te» utilizzata dagli agricoltori del Polesine per risparmiare sui costi dell’ energia. Magari è un po’ rischiosa ma funziona: il metano, così, è gratis. Tra Ferrara e Rovigo, nei paesini delle valli bonificate in epoca fascista, ai confini del Delta del Po c’è chi è andato avanti così per anni, anzi decenni. Famiglie, piccoli agricoltori ma anche intere aziende agricole, che non hanno mai pagato un soldo di bolletta né ad altri distributori autorizzati nè tantomeno tasse e royalties. Conti alla mano, c’ è chi ha evitato di sborsare dai 3 ai 10mila euro l’anno… Quanti siano questi pirati del metano, per ora, non si sa: la Guardia di Finanza di Ferrara, coordinata dal colonnello Claudio Pesole, ha scoperto il primo impianto abusivo un mese fa. Poi via via, setacciando le campagne, ne ha scovati altri. Per il momento gli impianti portati alla luce sono una decina ma gli inquirenti pensano che si tratti di una pratica ben più diffusa … si trovano nel sottosuolo, a poca profondità, falde di acque metanifere. Per trovare il gas basta scavare un pozzo profondo da poche decine fino a qualche centinaia di metri. Un sistema di scarico disperde le acque residue, tipicamente di colore giallo-rosso, nei canali di irrigazione mentre una rete di tubi porta il metano ai capannoni, alle serre, alle abitazioni o alle bombole di stoccaggio. Non si tratta di giacimenti di gas di dimensioni tali da interessare una grande compagnia petrolifera ma nel Dopoguerra erano sufficienti a sostenere l’economia di una regione depressa come il Polesine. Nessuno ha mai fatto stime ma negli anni ‘ 50 e ‘ 60 tra Ferrara, Rovigo e Ravenna furono estratti artigianalmente milioni e milioni di metri cubi di gas. Oltre al danno patrimoniale, tale da mandare in fallimento una piccola impresa, c’è poi il rischio concreto di saltare per aria con il proprio pozzo. Gli impianti sono privi di dispositivi di sicurezza e le fughe di gas sono all’ ordine del giorno. Nel 1962 le mappe del Corpo Minerario segnalavano la presenza di 6mila pozzi autorizzati. Ma gli addetti ai lavori stimavano l‘esistenza di almeno altri 4 mila perforazioni abusive. Per trivellare bastava chiedere la concessione per un pozzo d’irrigazione ma spesso lo scopo reale era l’estrazione di idrocarburi. Per chiudere tutti i pozzi ufficiali ci sono voluti vent’anni. Gli ultimi atti depositati all’ente minerario risalgono al 1985. «Ma guarda caso – commenta il colonnello Pesole – uno degli impianti che abbiamo trovato in funzione è proprio fra quelli risultavano ufficialmente chiusi da quella data»”

Da “Consorzio Metano Italiano, CMI”, risulta che fra gli anni 1938 e il 1956 nella sola provincia di Rovigo sono stati estratti circa 1.700.000.000 (un miliardo settecentomilioni) di m3 di gas, più di 5 volte la produzione complessiva nella provincia di Ferrara e 3 volte la produzione complessiva nella provincia di Venezia negli stessi anni. Come risulta da quanto esposto, la quasi totalità di tale produzione è ascrivibile alle acque metanifere, produzioni accompagnate da volumi simili di acqua prodotta: come minimo sono stati emunti dal sottosuolo di Rovigo fra gli anni 1938 e 1956 circa 1.200.000 (un miliardo duecento milioni) di m3 di acqua, equivalenti ad un depauperamento della risorsa idrica medio giornaliero di 3.260.000 di m3 di acqua.

Documento 2)

Una relazione del Consorzio di Bonifica Delta Po Adige fornisce alcuni dati per comprendere la portata dell’intervento dell’uomo su un territorio che per la sua natura alluvionale è soggetto a fenomeni di subsidenza naturali.[1] Dagli anni ’30 e soprattutto negli anni ’40 e ’50, fino alla sospensione decisa dal Governo nel 1961, furono estratti nel territorio del Delta del Po miliardi di m³ di metano e gas naturali. L’estrazione avveniva da centinaia di pozzi (una trentina nel Delta) che non raggiungevano i 1000 metri di profondità. Tramite dei manufatti in calcestruzzo[non chiaro], in parte ancora visibili su territorio, il gas veniva inviato alle centrali di compressione, mentre l’acqua salata prodotta (1 m³ di acqua per ogni m³ di gas estratto) veniva scaricata nei fossi e negli scoli.

Dal 1954 al 1958 furono estratti 230 milioni di m³ di gas per anno; nel 1959 si salì a 300 milioni.
Dal 1951 al 1960 furono misurati abbassamenti medi del suolo di un metro con punte di due metri; nonostante la sospensione delle estrazioni del 1961 il territorio continuò a calare nei 15 anni successivi; dall’inizio degli anni ’50 a metà degli anni ’70 il territorio si è abbassato mediamente di oltre 2 metri sino a punte di 3,5 metri. Rilievi recenti dell’Istituto di Topografia della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova hanno stabilito che i territori deltizi dell’Isola di Ariano e dell’Isola della Donzella si sono ulteriormente abbassati di 0,5 metri che vanno ad aggiungersi ai 2 – 3 metri sotto il livello del mare del territorio.

Documenti 3 e 4
http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia/archivio_pdf/costa/Strategie_strumenti_gestione_costa_ER_Coastance.pdf/at_download/file/Strategie_strumenti_gestione_costa_ER_Coastance.pdf

http://www.lidodidanteravenna.com/archivio/news/73/All%201_Pubblicazioni%20subsidenza.pdf

http://www.piunotizie.it/news/pagina1039878.html

Mi fermo qui per dare modo di leggere con calma questi materiali, Ho molte altre documentazioni che potrei postare da qui al 17 marzo .
Dato che il Comitato per il NO ha deciso di fare stare a casa i suoi fans posso postarli anche dopo il 17 🙂

Le piccole e un pò squallide furberie della maggioranza del PD  che punta all’astensione per fare fallire il referendum del 17 aprile danno la dimensione della modestia intellettuale e politica di un gruppo dirigente che invece di affrontare il merito delle strategie energetiche invita “i cittadini ad andare al mare”.  Umiliare le Regioni che hanno promosso il referendum e le Associazioni ambientaliste senza confrontarsi nel merito avrà come risultato la perdita della residuale credibilità istituzionale di questo governo….

 Per questo il 17 aprile bisogna votare e votare SI  al quesito referendario.

Gino Rubini 20 marzo 2016