Il pericoloso virus di autoritarismo e carrierismo nella giustizia che infligge calvari a persone innocenti di Lorenzo Diana

FONTE ARTICOLO21

Da una vita di lotta alla camorra ad indagato innocente, la storia di come un “semplice” indagine avviso di garanzia mi abbia cambiato la vita in un istante ed esposto a cinque anni e mezzo di gogna mediatica.

Solo pochi giorni fa il GIP Marco Giordano, su richiesta del pm Catello Maresca della procura di Napoli, ha archiviato l’ultima delle due indagini aperte sul mio conto.
Quella relativa ad un presunto abuso d’ufficio nella nomina di un avvocato, che, da presidente del CAAN, il Centro Agroalimentare di Napoli (il mercato), avevo dovuto nominare per la difesa nel giudizio contro la società Cesap, appartenente ad un noto camorrista tuttora detenuto.

Nell’altra indagine per un presunto concorso esterno in associazione camorristica mi veniva rivolta l’accusa di essere stato “facilitatore” del clan nella realizzazione della metanizzazione del mio territorio da parte della cooperativa CPL-Concordia,azienda leader del settore, nei primi anni 2000. Accusa quest’ultima più infamante per me, impegnato da una vita a combattere la camorra e scortato da oltre 20 anni per le minacce di morte del cosiddetto “clan dei casalesi”. Tale indagine, basata su fumose accuse, rivelatesi del tutto false, del capoclan casalese, Antonio Iovine, divenuto poi collaboratore, è stata archiviata ad agosto 2019,su richiesta dello stesso pubblico ministero. Nella stessa vicenda i dirigenti dell’impresa cooperativa CPL ,rinviati a giudizio,furono tutti assolti, perché il fatto non sussisteva,a luglio 2017. Già in tale sentenza,che riguardava altri imputati, il Tribunale di Napoli nord valutò l’impegno del senatore Diana per la realizzazione della rete del metano come una corretta azione del ruolo istituzionale per il miglioramento del territorio.

Due indagini, due avvisi di garanzia, notificatimi contemporaneamente dai carabinieri all’alba del 3 luglio 2015, con i quali mi furono imposti il divieto di dimora nella regione e l’interdizione annuale dai pubblici uffici. Entro la mezzanotte fui costretto a lasciare casa e spostarmi fuori regione, giusto il tempo di fare una valigia ed abbracciare i miei familiari.
Mandato via come un pericoloso criminale.
Quella mattina mi trovai di fronte a due facce dello Stato,da una parte quella rappresentata dai miei agenti di scorta,che mi tutelavano dalla camorra e dall’altra quella rappresentata da carabinieri, che invece mi cacciavano da casa come un bandito.

Il ricordo di dolore di quella giornata resta come una cicatrice che non si cancella.
Allontanato da casa, fui fatto decadere dalla carica di presidente del CAAN, dove ero stato chiamato dal sindaco di Napoli per salvare il mercato dal fallimento e dal licenziamento di 140 lavoratori, rientrati al lavoro grazie al mio impegno.
Da quel giorno un semplice avviso di garanzia sospese la mia vita privata, sociale, politica, istituzionale e niente potrà restituirmela, nemmeno il sopraggiunto provvedimento di archiviazione delle indagini.
In un istante passai da simbolo dell’antimafia a colluso e corrotto.
Venivo ridotto a complice della camorra, malgrado la mia vita di lotta contro il clan, che avevo condotto fin dalla gioventù quasi in solitudine, con moltissimi rischi e pochi compagni, fra cui Renato Natale ed un esiguo gruppo, quando lo Stato, la magistratura, giornalisti e scrittori erano del tutto assenti, per quasi un ventennio, dal nostro territorio, sempre più dominato dal clan.
Non riuscivo a crederci.
Io mi battevo da una vita contro la camorra e lo Stato mi accusava.
Era troppo forte il contrasto tra accuse false e vendicative di camorristi, da me sempre combattuti, denunciati e fatti arrestare, e la verità riscontrabile in mille modi, negli atti di procure, prefetture e comandi delle forze di polizia,nelle mie attività istituzionali.
Di tutte le mie attività di contrasto alla camorra diedi piena informazione ai pm con una corposa e dettagliata memoria, consegnata dal mio ottimo avvocato, Francesco Picca.
Del resto lo Stato sapeva tutto di me, disponendo anche del diario di bordo della scorta che da vent’anni mi accompagnava sempre, tranne le poche ore in cui dormivo.
Per quale ragione non sono state riscontrate, come si doveva, quelle assurde incriminazioni rivoltemi, tanto più perché lo Stato mi riteneva in pericolo ed esposto di fronte alla camorra?
Le accuse di connivenza, palesemente non verosimili agli occhi di chiunque avesse un po’ di competenza in materia, potevano decadere in poco tempo, se adeguatamente e presto riscontrate. Io stesso avevo chiesto di poter contribuire a far chiarezza, ma fui ascoltato, solo dopo tre anni, nonostante le mie svariate richieste. Nell’interrogatorio anche i pm convennero sulle dichiarazioni da me precedentemente rese, giungendo ad archiviare l’indagine nei mesi successivi.
Colpiva la grossolanità delle indagini.
Le attività investigative hanno fatto ricorso anche a documentazione fuorviante, prodotta da uomini delle forze di polizia, già allontanati per infedeltà. Ho dovuto segnalare ai pm un uso distorto e parziale di atti pubblici,che capovolgeva la verità. Veniva trasformata in compiacenza la mia ferma opposizione ai tentativi delle famiglie dei boss di riappropriarsi di beni confiscati. Ma il provvedimento di archiviazione dell’indagine,correggendo le indagini, ha dato atto al mio contrasto al clan su tale fronte.
Tutto il mio impegno di lotta alla camorra veniva ignorato insieme alla montagna di documentazione probatoria, che spazzava via le bugie dei camorristi. Sembrava scomparire tutto ciò che attestava la mia storia di nemico del clan.
Nella valutazione dei fatti venivano oscurati e non presi in considerazioni tanti aspetti:
1) una vita con gravissime intimidazioni del clan, che spinsero il prefetto ad impormi di essere collocato sotto scorta di secondo livello con due auto e cinque agenti, all’indomani dei 150 arresti dell’operazione Spartacus 1 del 5 dicembre 1995.
2) la storia della condanna a morte,decisa in un apposito summit dai capi del clan, fra cui Iovine, Schiavone e Zagaria, che avevano dato ordine ai propri uomini di mettere in atto un attentato dinamitardo contro l’auto della mia scorta, fortunatamente scoperto dalla polizia.
3) la storia di tanti atti intimidatori del clan, messi in atto contro me anche in una plateale sfida allo Stato, in presenza del procuratore Pierluigi Vigna e don Luigi Ciotti.
4) la storia della lettera intimidatoria scritta ed inviata dal capoclan Schiavone (detto Sandokan), da una cella di un carcere di massima sicurezza sotto regime di 41 bis, nell’agosto 1998, minacciando di “interessarsi” ai miei figli, se io non avessi smesso di combatterli.
5) una vita di trentennale collaborazione, gomito a gomito, con lo Stato e le sue massime rappresentanze istituzionali, da magistrati a procuratori, da capi della polizia a prefetti, per arrivare sino a capi di Stato.
In tale contesto di sinergie istituzionali significativo fu il forte segnale di sostegno dato dal presidente Ciampi con la sua presenza nel mio Comune natale, San Cipriano d’Aversa (noto ai più solo a seguito di Gomorra), il 9 dicembre 2003, nel giorno del suo compleanno.

Ancora oggi non trovo spiegazioni al fatto che negli atti delle indagini siano state inserite le più svariate accuse contro la mia persona, poi tutte decadute, ma non il dirimente interrogatorio del braccio destro del capo Michele Zagaria, il quale dichiarava al pm Giordano che il nemico politico numero uno del clan era Lorenzo Diana, perché inavvicinabile e sempre in “guerra antimafia”. Lo stesso boss Antonio Iovine, incalzato dal presidente Francesco Chiaromonte nell’udienza del 1.4.2016, dovette rinnegarsi riconoscendo che “tutti,capi, aggregati ed affiliati del clan ” ritenevano Lorenzo Diana il nemico che li faceva arrestare”.
Più volte mi sono posto interrogativi su aspetti ed uomini delle indagini sul mio conto, sull’uso di elementi che facevano a pugni con la verità, sui verbali di false accuse di camorristi e delinquenti, arrestati con mie denunce, che dopo qualche giorno apparivano integralmente sulla stampa come verità infamanti della mia persona, senza alcun riscontro.
Quanti interrogativi sorti sulle attività investigative della polizia giudiziaria, svolte da uomini del NOE,il nucleo operativo di cui alcuni suoi dirigenti sono stati rinviati a giudizio per depistaggio,dal maggiore Scafarto,fino a poco fa assessore in una giunta di centrodestra, al colonnello Sessa, arrestato mesi fa con accuse gravi. Ulteriori interrogativi pone il racconto del procuratore generale di Modena al CSM sulla visita del colonnello De Caprio e del maggiore Scafarto, intervenuti in strano modo per l’inchiesta CPL.

Mi colpiva anche la durezza dell’atto giudiziario, la ferocia delle parole utilizzate negli avvisi di garanzia per descrivermi: ” solo formalmente incensurato”, ”personalità doppiamente trasgressiva”, “senza remore a commettere reati”. Mi si descriveva come un delinquente, falso paladino della legalità.
Più volte mi sono chiesto cosa autorizzasse alcuni magistrati ad utilizzare queste parole , che fanno a pugni con un linguaggio giuridico. A loro spetta accertare reati e non certo assegnare giudizi e pagelle morali agli indagati.
Da tempo si manifesta qualche tendenza strisciante a considerarsi tribunale morale, autorità superiore rispetto ad una società corrotta ed ancor più nei confronti delle istituzioni e della politica,considerata tutta criminogena, da colpire e punire comunque.
In una tale visione tutti i cittadini possono essere ritenuti colpevoli, a prescindere dalla certezza delle prove, e possono essere sottoposti,appena indagati, ad un anticipato giudizio mediatico, tanto hanno sempre una colpa di peccato originale da espiare.

Sembra che siano proprio alcuni pubblici ministeri a non credere essi stessi al processo giudiziario e ad affidarsi invece all’immediato processo mediatico, che diventa la pena inflitta subito all’indagato, anche se innocente.
In una tale cultura si affievolisce l’onere della prova e si annienta lo Stato di diritto.
Ci ritroviamo di fronte agli effetti devastanti di una deriva culturale,quanto mai velleitaria perché nessun organismo può ritenersi “autorità morale superiore,nemmeno la magistratura,come ha ancor più svelato la vicenda Palamara,in cui compare anche un pm che ha dato avvio alle indagini sul mio conto.
Se nemmeno i cardinali hanno mostrato di poter essere estranei alle dinamiche umane ed alle logiche dei poteri,figurarsi se possa esserne esente la magistratura.
Una determinata tendenza si configura come un pericoloso virus di autoritarismo,presente in pezzi di polizia giudiziaria e magistratura, che si sentono essi stessi la legge,essi stessi lo Stato e pertanto autorizzati ad agire anche al di sopra della legge. Da tale deriva nasce anche una tendenza di magistrati a sostituirsi ai politici,come se fossero legittimati dall’appartenenza alla funzione inquirente .
Un virus di autoritarismo che trova ancor più facile attecchimento nel protagonismo mediatico e nel carrierismo, denunciato anche all’interno della stessa associazione nazionale magistrati.

Mi sono state scagliate addosso vergognose accuse false ed ho scelto di difendermi a testa alta, sempre nel pieno rispetto delle funzioni della magistratura e del principio che tutti- io compreso- possano essere sottoposti ad indagine.
Non ho mai contestato il principio di sottomissione a controllo di legge ed indagini, ma ho contestato e contesto l’insopportabile ed ingiustificata lunghezza, l’uso abnorme ed ingiustificato di misure cautelari e l’alimentazione di un terrificante un processo mediatico.
Si poteva indagare bene e presto, senza misure cautelari, platealmente annunciate sui media, ma revocate poco dopo dal GIP e dal tribunale del riesame.
In questi anni sono stato condannato ad un’ orribile gogna mediatica, sbattuto come un delinquente su giornali e televisioni, senza che nemmeno fossero completate le indagini.
Una gogna del tutto gratuita ed infondata,come poi hanno riconosciuto anche i pm.
Allora perché infliggere a persona innocente una tale pena ?

La mia è una vicenda emblematica,che purtroppo riguarda tantissimi altri italiani.
So di non essere l’unica vittima di simili barbarie, indegne di uno Stato di diritto.
Troppo spesso il processo mediatico si sostituisce a quello giudiziario e la si smetta di parlare di fuorvianti fughe di notizie.
Chi potrà restituire la dignità calpestata dalla gogna mediatica, ad una persona, che gli stessi pubblici ministeri ritengono innocente?
Si può ulteriormente tollerare in un paese moderno che una persona incolpevole possa pagare,senza alcun motivo,la sospensione dei propri diritti ,il peso di una gogna mediatica e di misure cautelari, che stravolgono la vita?
Possono un mero avviso di garanzia ed ipotesi di accuse infondate trasformarsi in una condanna inappellabile di distruzione dell’immagine della persona?

Mi dispiace che talvolta sia parte della stessa magistratura a fare un cattivo servizio alla stessa giustizia ed a gettare sfiducia e discredito verso la stessa.
Tutta la mia vicenda giudiziaria ha anche indebolito il già fragile fronte di società schierata con la legalità nel regno del clan casalese, perché se lo Stato trasmette il messaggio, immotivato e falso, che sono conniventi anche i nemici del clan, si fa un regalo alla criminalità.
Sarebbe come dire tutti camorristi, nessuno camorrista, dando ulteriore brodo alla cultura che fa da principale humus all’illegalità diffusa.
Durante questi anni più persone mi hanno chiesto se ne fosse valsa la pena di lottare contro la camorra per poi finire sotto indagine,essere delegittimato dalla magistratura e pericolosamente esposto contro un clan che mi considera nemico.
A loro ho risposto: “RIFAREI TUTTO.LA LOTTA ALLA CAMORRA È UN’IRRINUNCIABILE BATTAGLIA DI LIBERTA’ E DI CIVILTA’ ”
Nella mia vita ho sempre lottato sapendo di dover rimuovere grandi difficoltà e contraddizioni nelle istituzioni.”
Oggi sono ancor più convinto che bisogna impegnarsi a riformare la giustizia, che così assolutamente non va: non punisce efficacemente i colpevoli ed arreca problemi e sofferenze anche agli innocenti.Oggi è un ostacolo alla modernizzazione del nostro paese. Per tale ragione aderirò ad associazioni per la riforma della giustizia per dare anche il mio contributo,mentre accoglierò anche l’invito dell’associazionismo antimafia a riprendere il mio impegno,sospeso dopo l’avviso di garanzia.
Nulla potrà più restituirmi i cinque anni e mezzo di vita sospesa, ma vorrei che nessun altro cittadino innocente debba subire ancora indagini lunghissime, pene preventive e gogne mediatiche, non più recuperabili nemmeno in caso di proscioglimento o assoluzione.
La giustizia va assolutamente riformata per non scivolare sempre più verso la barbarie.
Il Parlamento, il CSM e la stampa non possono ulteriormente sottrarsi a tale responsabilità.