“Un nuovo patto su lavoro, salario, investimenti”. Intervista di Maurizio Landini, segretario della Cgil, al Sole 24 ore di domenica 3 marzo 2019

FONTE  CONTROLACRISI.ORG

“E‟ interesse di lavoratori e imprese mettere al centro l’aumento degli investimenti e dei salari oltre a una nuova fiscalità seriamente orientata a ridurre gli squilibri e le diseguaglianze, uno dei fenomeni più gravi del nostro tempo, e non a premiare chi ha di più e a punire chi ha di meno come accade con la tassa piatta». Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, è reduce dal corteo «People. Prima le persone» dove a Milano hanno sfilato in 200 mila.

Perché ha portato la confederazione in quella piazza?
“Per sostenere un’idea di giustizia sociale e di modello di Paese fondato su accoglienza e integrazione e sui valori profondi della Costituzione”.

Una manifestazione in continuità con alcuni degli slogan dell’altra manifestazione del 9 febbraio a San Giovanni, dove con i sindacati partecipavano anche alcune rappresentanze delle imprese del si-tav. Si sta creando un clima nuovo tra imprese e sindacati? Dove vede le maggiori convergenze?
“Non so se si tratta di vere e proprie convergenze. So che insieme possiamo mettere al centro il tema del lavoro, il lavoro di qualità e non quello precario che nel frattempo è aumentato. E so che per fare questo bisogna prima dare attuazione al Patto della fabbrica con cui abbiamo già concordato nuove regole perla rappresentanza e per tracciare nuovi perimetri dei contratti (anche per ridurli di numero). Bisogna che sindacati e imprese chiedano con forza al ministero di applicare le convenzioni che, tramite Inps, possano certificare la reale rappresentanza di chi firma gli accordi. Oggi ci sono ancora troppi contratti pirata firmati da non si sa chi e per conto di chi e servono solo a creare un mercato selvaggio della contrattazione in dumping”.

Lei parla anche di investimenti. Che sono la priorità anche delle imprese.
“Gli investimenti sono la via principale per creare il lavoro, quello vero. Servono investimenti pubblici in dosi massicce e anche investimenti privati. Che non sono stati sufficienti nonostante le imprese abbiano avuto incentivi in quantità mai vista prima. Incentivi che non sempre ho visto tornare anche nelle tasche dei lavoratori”.

Se il Pil non è sprofondato è per l’aumento del valore aggiunto dell’industria che in questi anni con le agevolazioni per Industria 4.0 ha investito massicciamente in innovazione, fino a cambiare del tutto il paradigma tecnologico di riferimento. Ciò che manca è la spesa pubblica.
“Mancano gli investimenti pubblici che si sono bloccati. Ma anche le imprese private hanno avuto atteggiamenti diversi: quelle maggiormente orientate hanno investito in innovazione e sono quelle più dinamiche, mentre gran parte delle altre non hanno fatto lo stesso e sono oggi in posizione arretrata e a rischio. È anche vero che il sistema degli incentivi messi in campo da Industria 4.0 non ha aiutato la crescita e lo svipuppo della piccola e media impresa. Non è affatto diminuita la differenza tra Nord e Sud e spesso ci sono forme di squilibrio e diseguaglianza anche all’interno delle stesse regioni. In questi annidi forti incentivi non tutto è tornato agli investimenti, alcune imprese hanno preferito la speculazione finanziaria o le scelte immobiliari. E il lavoro si è impoverito e si è allargata anche l’area del lavoro precario e pocoremunerato”.

Resta il fatto che bisogna affrontare il tema della produttività da cui dipende anche quello dei salari. E su questo le parti sociali possono fare molto.
“Bisogna però intendersi su cosa sia la produttività. Quella del lavoro è già alta. Non c’è più spazio per organizzare la competitività con la riduzione continua dei costi e dei diritti. Manca l’investimento in innovazione, nel miglioramento del processo di produzione, dell’organizzazione. Mancano spesso nuove sfide produttive che guardino alla sostenibilità e alle tecnologie digitali”.

Anche in questo caso non si può generalizzare. Manca anche la produttività che deriva dall’efficienza complessiva del Paese. Dal suo livello di istruzione, di infrastrutture, di qualità del captale umano. Conta anche la politica fiscale. E il rilancio dei salari e degli investimenti passa anche dalla riduzione del famigerato cuneo fiscale.
“Non ho problemi a discutere su come abbattere il cuneo fiscale a patto che non si tratti di ridurre i contributi per le pensioni o per la sanità. Bisogna comunque trovare un sistema che ne garantisca il finanziamento. Per me l’importante è abbassare l’Irpef del lavoro dipendente e ridisegnare una riforma fiscale nel segno dell’equità e della progressività, come prevede la Costituzione. È evidente che da noi c’è una questione di diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. È sotto gli occhi di tutti che chi era più ricco è diventato ancora più ricco e chi era più povero si è impoverito ancora di più. La risposta non è la flat tax che fa aumentare questi squilibri”.

È la patrimoniale?
“Non mi voglio impiccare alle definizioni. Penso che vada affrontato il tema dell’evasione fiscale e della tassazione non solo dei redditi. Ci sono moltissimi esempi di altri paesi europei e non solo. L’importante è il risultato e credo abbia anche senso parlare anche di tassa di successione. La riforma fiscale è una delle richieste di Cgil, Cisl e Uil e, tornando all’Irpef, per me bisogna aumentare le detrazioni per il lavoro dipendente e per le pensioni: la priorità è questa”.

II Governo che segnali vi ha dato?
“Sembrano continuare in una sorta di autoreferenzialità. Del resto non si consultano con nessuno, nemmeno con il Parlamento che è stato del tutto bypassato in occasione della legge di stabilità. Che resta una legge sbagliata e del tutto inadatta a far cambiare verso alla crescita economica II governo pensa alla disintermediazione sociale come hanno fatto anche altri governi che non mi pare abbiano lasciato un grande ricordo. Discutere e trattare con il sindacato è utile perché la complessità dei temi è tale che occorrono interlocutori in grado di comprendere i problemi, le conseguenze delle scelte sulla vita vera”.

E allora cosa farete per farvi ascoltare?
“La manifestazione del 9 febbraio ha avuto una partecipazione che ci ha stupito nella sua inimmaginabile ampiezza C’è grande voglia di partecipare e di dire che bisogna cambiare strada. Noi insistiamo. Il 15 marzo è previsto uno sciopero degli edili. È un settore bloccato in una stasi drammatica Tutti i cantieri sono fermi per colpa delle incertezze del governo sulle infrastrutture. Non c’è un indirizzo strategico”.

E quando c’è, come con la Tav, si torna indietro (e anche lei non è mal stato favorevole).
“La Tav è sicuramente un problema. Ma la cosa principale è che conosciamo una molteplicità di analisi di costi benefici e di report di segni opposti ma non sappiamo ancora che vuole fare davvero il Governo. Che ha il compito istituzionale di decidere e non lo fa È questa la cosa più grave. Ma ciò che è più drammatico è che questa incertezza ha bloccato tutti i cantieri e paralizzato un intero settore”.