Pagate 33 centesimi l’ora per lavorare nel call center

19 dicembre 2017 ore 18.08
È successo a Taranto dove alcune donne hanno ricevuto una busta paga da 92 euro per un mese di lavoro. Si sono rivolte alla Slc Cgil che ha denunciato il caso anche alla procura: “Chiederemo l’applicazione della legge sul caporalato”

 

Un bonifico di 92 euro per un mese di lavoro e tagli alla retribuzione in caso di assenza anche di soli tre minuti dalla postazione per andare alla toilette. Con la conseguenze che i compensi scendevano anche fino a 33 centesimi l’ora. A segnalare questo incredibile caso di sfruttamento sul lavoro è la Slc Cgil di Taranto, che ha scoperto e denunciato, anche alla Procura della Repubblica, un call center della stessa città pugliese.

In una conferenza stampa tre delle lavoratrici sfruttate hanno raccontato delle loro paghe irrisorie, con stipendi in nero e nessuna copia del contratto di lavoro ai dipendenti. “Stiamo valutando con i nostri avvocati la possibilità di applicare la legge anti-caporalato anche a questo contesto – ha spiegato Andrea Lumino, segretario generale della Slc Cgil Ionica – perché in termini di paga e trattamenti ci sono le stesse condizioni”. 

“Un annuncio su un sito web – ha spiegato il sindacalista – parlava di una azienda di Lecce con sede a Taranto, che offriva ben 12mila euro all’anno, ma la realtà non solo era differente, ma superava di gran lunga ogni possibile immaginazione. Dopo un periodo di lavoro iniziato a metà ottobre e terminato a dicembre, le lavoratrici hanno scelto di licenziarsi. In busta paga avevano ricevuto il primo allucinante bonifico di appena 92 euro per un intero mese di lavoro”. Alle loro rimostranze, “l’azienda ha risposto – ha aggiunto Lumino – che lasciando il posto per andare al bagno anche per un ritardo di tre minuti non poteva riconosceva la retribuzione oraria. Ho allora calcolato l’effettiva paga con la calcolatrice – ha concluso il segretario Slc – e il risultato è stato di 33 centesimi di euro l’ora”.

Per Lumino, “quello del call center è un settore malato: leggi sfavorevoli, aziende che andrebbero controllate addirittura dall’antimafia e dove i grandi committenti, come ad esempio Fastweb, pensano solo al massimo risparmio, disinteressandosi dell’ovvio e conseguente sfruttamento di chi lavora, l’anello più debole della catena. Noi continuiamo a stare al fianco di questi anelli deboli e se Fastweb non interverrà immediatamente lo riterremo corresponsabile di questa situazione: quello che hanno subito queste donne non deve essere considerato lavoro e questi call center vanno chiusi. Le istituzioni si schierino al nostro fianco – ha aggiunto il sindacalista – e firmino il protocollo sulla legalità per i call center che abbiamo proposto lo scorso mese: non è più in ballo solo il rispetto di un contratto, ma la dignità di esseri umani e di una intera comunità. Queste donne sono state trattate allo stesso modo in cui sono state trattate le lavoratrici sfruttate nei campi e quindi, come prima cosa, lotteremo perché la legge che punisce i caporali possa finalmente essere estesa anche al settore dei call center”.