Fatti non foste a viver come bruti: la resistenza culturale di Sarajevo

 

 

 

La traduzione italiana del libro Sopravvivere a Sarajevo è finalmente acquistabile. Il 18 Ottobre la pubblicazione è stata presentata alla libreria Arcadia di Rovereto da Nicole Corritore e Marco Abram di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa (OBCT), e da Matteo Pioppi della casa editrice Bébert.

Questo libro raccoglie le testimonianze degli abitanti assediati di Sarajevo, dall’Aprile del 1992 per i successivi quattro anni. Si tratta di una collezione di idee originali per rispondere a bisogni primari, come mangiare e lavare i panni, fino alla realizzazione di concerti, installazioni artistiche e spettacoli teatrali, dando vita ad una vera e propria forma di resistenza culturale. Durante l’assedio, ad esempio, il Festival del Cinema di Sarajevo contò più di 20.000 visitatori, che uscivano di casa sotto le granate per raggiungere le sale cinematografiche.

“La guerra ha causato la morte di circa 11.500 persone a Sarajevo, tra cui più di 1.000 bambini. Nel libro si racconta quel che di “altro” è accaduto in questi anni in città” spiega Nicole Corritore, giornalista di OBCT. “In quegli anni, l’esercizio della creatività è stato estremamente importante”. “Importante quanto il pane, le medicine e l’acquaspiega Suada Kapić, autrice e curatrice di Sopravvivere a Sarajevo, nell’introduzione al libro. La Kapić è parte del collettivo di artisti bosniaci FAMA Collection, che nel 1994 divenne noto per aver realizzato la “Sarajevo Survival Guide”, una guida turistica per chi visitasse la città durante l’assedio, contenente informazioni al limite dell’assurdo, quali il costo di un taxi in centro dovendo correre sotto il tiro dei cecchini. Il materiale raccolto dal collettivo- foto, interviste audio, e molto altro- è stato riordinato nel 2012 in un museo virtuale visitabile online ed ora si concretizza in questo libro. “Sopravvivere a Sarajevo. Condizioni urbane estreme e resilienza: testimonianze di cittadini nella Sarajevo assediata (1992-1995)” è dunque l’ultimo anello di un percorso di raccolta di testimonianze lungo vent’anni.

A tal proposito, il think tank Osservatorio Balcani e Caucaso si occupa del progetto “Testimonianza- Verità o Politica”, che affronta il concetto di testimonianza nella commemorazione delle guerre jugoslave. Il progetto è coordinato dal “Centro di Decontaminazione Culturale” di Belgrado, baluardo della resistenza anti-Milosevic nato all’inizio degli anni ’90.

“Nel 2016-2017 si commemorano i 25 anni dalle guerre jugoslave: qual è il significato di quei conflitti nell’Europa di oggi?” si domanda Marco Abram, storico e ricercatore di OBCT. “Io direi che ricordarli è importante sia per noi, che per i paesi di quella regione: per noi, perché non vi è mai stata una grossa riflessione pubblica sugli avvenimenti degli anni ’90 nei Balcani. È stato il ritorno della guerra in Europa subito dopo la guerra fredda: ha travolto le speranze post-bipolarismo. Inoltre, si trattò di una guerra molto divisiva: è sempre stato difficile prendere posizione su chi avesse torto, e chi ragione. Ma il punto centrale, è che questi paesi non vengono considerati Europa”. “Quella guerra non era considerata affar nostro”, continua Abram, “ma ci ha coinvolto profondamente: maree di profughi sono arrivate qui e la società civile si è mobilitata: tra i 15 e i 20 mila italiani si sono impegnati nei Balcani tra il ’91 e il ’99. Si è trattato di un evento che ha portato alla politicizzazione di una generazione di vent’enni e trent’enni”.

Con riferimento alla resistenza culturale, cuore del libro in questione, viene ricordato Primo Levi, in Se questo è un uomo: Levi, nel campo di sterminio, cita i versi danteschi per cui “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Per un uomo ci sono altre esigenze oltre a mangiare e dormire, e gli artisti e gli intellettuali di Sarajevo lo capirono. Un “libro pieno di vita”, lo definisce l’editore Matteo Pioppi (Bébert): “quando non hai nulla, la vita diventa la cosa più importante. Devi “svoltare la giornata”, e da qui nascono la resilienza e la creatività, anche solo per reinventare il quotidiano. Mi hanno colpito alcune idee geniali, come l’uso delle scarpe di pelle per cuocere le zuppe”. “Un altro elemento chiave del libro è la ripetitività”, spiega Pioppi: “ogni persona diceva cose simili, ma non potevamo agire come si fa di solito nell’editoria, eliminando le ripetizioni. Qui, l’ossessività è parte del contesto”. Infine, Pioppi definisce questa pubblicazione un “archivio dal futuro”, un monito sulla pericolosità dei nazionalismi e dunque un documento storico estremamente importante.

La resistenza culturale ritorna anche nelle parole del libraio di Arcadia, Giorgio Gizzi, che racconta i suoi scambi con alcuni librai sarajevesi: “Mi hanno raccontato che in molti si riunivano la sera per leggere e confrontarsi sui libri della biblioteca centrale di Sarajevo, che fu distrutta. Ci si aspetterebbe che leggessero cose leggere, e invece i veri best-seller erano Platone ed Hegel! I libri di filosofia erano così ricercati che sembravano merce di contrabbando, mi disse il libraio. In Italia, oggi, l’ 1.5% dei libri acquistati sono di filosofia. A Sarajevo, durante la guerra, si raggiungeva il 43%”.

Per concludere, nei paesi della regione la memoria delle guerre jugoslave è spesso etnicizzata e divisiva: tutt’ora si ricordano solo le proprie vittime, esaltando l’eroismo dei connazionali. Invece, nella Sarajevo assediata ad esempio, rimasero e morirono anche croati e serbi, non solo bosniaci musulmani. “L’unico monumento senza connotazione etnica sono le rose di Sarajevo, dei buchi di granata colorati che punteggiano la città”, osserva Marco Abram. Per superare questo, ci si è chiesti quanto i linguaggi artistici possano aiutare a rielaborare la memoria, dando vita ad una mostra di arte contemporanea che affrontasse gli eventi degli anni ’90. Le opere di sedici artisti o formazioni artistiche della ex-Jugoslavia viaggeranno per l’Europa a partire dal 17 Novembre prossimo, iniziando dalla Galleria Boccanera di Trento e passando poi per Belgrado, Sarajevo e Vienna. 

Autrice Sofia Verza

Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Trento, ha studiato ad Istanbul presso le Università Bilgi e Yeditepe, specializzandosi nel campo del diritto penale e dell’informazione. Ad Istanbul, ha lavorato per la fondazione IKV (Economic Development Foundation), ricercando nel campo della libertà di espressione. E’ stata vice presidente dell’associazione MAIA Onlus di Trento, occupandosi di sensibilizzazione sulla questione israelo-palestinese e cooperazione culturale in Cisgiordania. Scrive per il Global Freedom of Expression Centre della Columbia University e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso.