Le spese militari in aumento anche nel 2021

Fonte Fondazione Sereno Regis che ringraziamo 
Anticipazione Mil€x: la spesa militare italiana sfiora i 25 miliardi nel 2021, +8,1% rispetto al 2020

La spesa militare italiana si attesta nel 2021 a poco meno di 25 miliardi di euro, secondo le stime anticipate oggi dall’Osservatorio Mil€x. Si tratta di valutazioni effettuate secondo la nuova metodologia elaborata dall’Osservatorio e ricavate dai dati definitivi dagli stati di Previsione finanziari dei Ministeri coinvolti e che evidenzia una crescita annua superiore all’8%.Il dato verrà ulteriormente precisato e definito nelle prossime settimane in occasione dell’uscita del nuovo Annuario  2021 di Mil€x che ingloberà ulteriori dati provenienti dalle documentazioni ufficiali attualmente ancora non disponibili (in particolare il Documento programmatico pluriennale DPP della Difesa e la ripartizione dei costi per le missioni militari all’estero). “A riguardo dei dati che diffondiamo oggi è doveroso sottolineare come non sia possibile una immediata comparazione con le precedenti stime di Mil€x – sottolinea Francesco Vignarca fondatore dell’Osservatorio – in quanto la nuova metodologia cambia radicalmente la considerazione di alcune voci. Abbiamo comunque realizzato un quadro con i riconteggi per gli ultimi tre anni, in modo da delineare le tendenze, in decisa crescita, decise con le ultime tre Leggi di Bilancio”. In particolare il totale complessivo si modifica in maniera rilevante con la nuova valutazione di costi per l’Arma dei Carabinieri: storicamente Mil€x – su indicazioni ufficiali della Difesa – includeva nella spesa militare la metà dei capitoli di bilancio ad essi assegnati, mentre attualmente viene estrapolata una quota (di molto inferiore) dalle indicazioni specifiche che il DPP rilascia sull’uso prettamente militare dei Carabinieri nelle missioni internazionali.Il totale per il 2021 così valutato è dunque pari a 24,97 miliardi di euro, provenienti in larga parte dal bilancio del Ministero della Difesa dedicato ad usi militari.

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José Mujica: “La civiltà digitale sta creando una vera malattia nella democrazia rappresentativa e non so quale sia la cura”

 

Fonte Equaltimes.org

Autore    Luis Curbelo

Traduzione automatica con Google Translator. Questa traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Equaltimes.org 

José Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, vive in completa isolamento nella sua casa di campagna a Rincón del Cerro (a 11 chilometri dal centro della città di Montevideo) dall’inizio della pandemia. A causa di una malattia immunologica a lungo termine, non può ricevere vaccinazioni e il suo unico modo per affrontare il coronavirus è esercitare estrema cura e precauzione.

Recentemente ha accettato di sedersi per una lunga chiacchierata con Equal Times che copriva molte aree di interesse internazionale. Ha condiviso con noi le sue opinioni sul fenomeno dei social network, i vantaggi e le insidie ​​della civiltà digitale e l’emergere di personaggi politici come Donald Trump negli Stati Uniti e Jair Bolsonaro in Brasile e le masse che li seguono.

Secondo Mujica, questa pandemia ha fatto emergere il lato peggiore dell’umanità accentuando l’egoismo dei paesi ricchi e mettendo a nudo la mancanza di solidarietà tra le persone. Dice che le classi medie, frustrate dalla concentrazione di ricchezza e potere e dalla loro incapacità di accedervi, si sono rivolte sempre più alla politica reazionaria. Sostiene che il vaccino contro il coronavirus è diventato incredibilmente politicizzato e incolpa il presidente russo Vladimir Putin per aver svolto un ruolo centrale in questo chiamando il vaccino prodotto nel suo paese Sputnik.

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Enrico Fierro e il caso Locri: “E’ stata un brutta operazione politica”

Autrice : Graziella Di Mambro

Fonte : Articolo 21.org

L’odiato Mimmo Lucano e gli odiatissimi giornalisti sono stati l’ossessione compulsiva che ha portato, con buona probabilità alle intercettazioni dell’inchiesta Xenia sul modello di integrazione di Riace e sul clamore che fece negli anni 2016-2017, quando, invece, certa vulgata nazional popolare indicava negli immigrati il più importante rischio per l’ordine pubblico e la sicurezza. Il giorno seguente lo scoop sulla seconda “colata” di intercettazioni quantomeno inutili a carico di 33 giornalisti, l’autore, Enrico Fierro, racconta l’accaduto col tono pacato del cronista che non si spaventa e non si illude e che ha seguito questa storia dall’inizio, nei dettagli, alla maniera di un certo giornalismo vecchio stile, ossia leggendo migliaia di documenti e ascoltando, paziente, ogni udienza per raccogliere ogni briciolo interessante di questa vicenda.

Che ha inizio con l’indagine su Mimmo Lucano per poi dipanarsi attorno all’attenzione mediatica per quel sindaco, il quale ha voluto solo dare corpo ad un’idea di accoglienza e integrazione.
“Premetto subito che qui non si tratta di assicurare una disparità di trattamento ai giornalisti né di escluderli dalle intercettazioni nell’ambito di qualsivoglia indagine. Tuttavia ciò che è accaduto è che sono stati ascoltati dialoghi tra giornalisti e Lucano nei quali si parlava di rapporti personali, addirittura di familiari e sono stati trascritti, dunque resi pubblici, numeri di telefono, indirizzi, commenti sulla politica. Io ho fatto con Lucano delle considerazioni politiche, cosa c’entrano con l’inchiesta’”.

Cosa c’entrano?

“Nulla assolutamente. Lo posso dire con certezza e senza pregiudizio. Io mi sono letto le trascrizioni delle udienze e posso affermare che non una sola di quelle intercettazioni trascritte ha apportato alcunché all’accertamento delle contestate responsabilità penali in questa inchiesta né è stata utile eventualmente per altre”

Dunque qual era l’obiettivo? Cosa volevano da Mimmo Lucano?

“Io penso che ciò che è accaduto vada ben al di là di una violazione pur grave della libertà di informare e dell’esercizio della professione. Siamo davanti ad un’operazione politica. Questo è. Sono state utilizzate quelle intercettazioni per un’operazione politica”.

Il processo scaturito dalle indagini sta per arrivare a conclusione. Cosa è stato veramente?

“Io l’ho seguito passo passo e, ripeto, le intercettazioni ai giornalisti non hanno apportato un solo granello di utilità. Poi bisogna dire che questo processo non lo si è potuto seguire in aula. Io ho dovuto aspettare una settimana per leggere le trascrizioni d’aula di ogni udienza e capire. Ma questa è un’altra storia”.
Una storia che riguarda sempre più processi in Italia. Ora abbiamo l’alibi del covid ma in realtà, come ha dimostrato la battaglia per l’accesso al dibattimento di ” Rinascita Scott”, c’è una generale tentazione a sottrarre ai giornalisti la possibilità di seguire anche fasi che la procedura indica espressamente come tappe pubbliche. Per tornare alla vicenda Locri però è utile soffermarsi su un ulteriore passaggio sottolineato da Enrico Fierro. Questo: “E’ difficile credere che chi intercetta e poi trascrive non si renda conto che sta buttando nel calderone elementi ultronei e che, al contempo, sta facendo una violazione grave dei diritti più elementari della giustizia. nel caso dell’indagine della Procura di Locri sono stati resi noti i numeri telefono di persone che, forse, dico forse, non volevano renderli noti. E poi c’è il rispetto per la professione giornalistica. Con quelle intercettazioni è stato conosciuto il contenuto di articoli prima che gli stessi fossero pubblicati. Una roba assurda!”

A chi interessava o interessa in Italia costruire un archivio delle vite private dei giornalisti?

“Non lo so e spero che non si tratti di una schedatura. So invece che 33 giornalisti estranei all’inchiesta si sono trovati con le loro vite dentro al brogliaccio di questa inchiesta. I numeri di telefono di queste persone sono stati resi noti senza il loro consenso e senza alcun nesso con l’inchiesta. Vedo inoltre un evidente attacco ala segretezza delle fonti. anche qui: possibile che chi fa questo non si renda conto della gravità?”

Victoria non è morta, è stata uccisa dalla polizia

 

Fonte Americalatina 

Mérida, Yucatán, 31 marzo 2021.- Mentre l’intero stato di Quintana Roo attende l’inizio delle vacanze di Pasqua e le sue migliaia di turisti, lo scorso fine settimana ci sono stati omicidi di quattro donne, uno per mano di poliziotti.

Secondo le statistiche delle Nazioni Unite, in Messico vengono uccise più di 10 donne al giorno. Sabato, quattro di loro sono stati uccisi a Quintana Roo, un Gender Alert dal 2017 e dove lo scorso novembre la polizia di Cancun ha represso con proiettili la manifestazione che chiedeva giustizia per la morte di Alexis, un’altra vittima di femminicidio.

A Isla Holbox, Karla M., 29 anni, originaria di Progreso, Yucatán, tassista e madre di un bambino, è stata assassinata in modo estremamente violento. L’hanno trovata legata, con il seno tagliato, all’interno del suo golf cart, un veicolo che era in mare, tra Punta Coco e Punta Ciricote. È il primo femminicidio registrato nella storia dell’isola.

A Cancun, una donna è stata portata in un luogo disabitato vicino alla suddivisione di Kusamil, dove è stata trovata morta da un colpo di pistola alla testa e due al petto. Inoltre, una giovane donna è stata uccisa dandole fuoco, sebbene la famiglia non volesse fornire ulteriori informazioni su questo caso.
A Tulum, nel pomeriggio di sabato 27, Victoria Salazar, una donna di 36 anni di origine salvadoregna, madre single di due figlie e con un permesso di soggiorno umanitario nel paese, si trovava in Faisán Avenue quando è stata arrestata e uccisa dalla polizia municipale

Alcuni testimoni affermano che chiamava un taxi e fermava tutte le macchine per portarla via e che in ogni momento guardava indietro, come se la inseguissero. In questa è arrivata la pattuglia 9276 della Polizia Municipale, da dove sono scesi gli agenti Veronica Valdivia Cabrera, di Mérida; Juan Chan Uc, di Kantunilkín; Miguel Canché Castillo e Raul López Chan di Valladolid. L’hanno afferrata, ammanettata e sottoposta a terra, come si può vedere nel video che circola sui social, mettendole un ginocchio sul collo, atto che le ha fratturato la base del cranio (tra la prima e la seconda vertebra) e ha causato la morte, anche se in un primo momento si è parlato di soffocamento senza specificarne i motivi.

La Commissione nazionale per la prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne ha rilasciato una dichiarazione chiedendo che i responsabili siano puniti e la Commissione per i diritti umani di Quintana Roo ha riferito di aver aperto una denuncia d’ufficio contro agenti di pubblica sicurezza municipali a Tulum a causa della privazione della vita.

Le preoccupazioni del difensore civico Marco Antonio Toh Euán sono più che giustificate, visto che finora quest’anno ci sono state 335 denunce contro la polizia municipale, la maggior parte per detenzioni arbitrarie e trattamenti inumani.

A livello federale, secondo il Rapporto 2021 di Human Rights Watch, è normale che le vittime di crimini violenti e violazioni dei diritti umani non ottengano giustizia nel sistema criminale messicano. Da parte sua, l’organizzazione non governativa Impunidad Cero indica che solo l’1,3% dei crimini commessi in Messico è stato risolto. Ciò è dovuto a vari motivi, tra cui corruzione, mancanza di formazione e risorse sufficienti e complicità di agenti del Ministero pubblico e difensori pubblici con criminali e altri funzionari violenti.

Forse cercando di migliorare questa percentuale vergognosa, il procuratore generale dello Stato di Quintan Roo (FGE) ha dichiarato che sarà prepotente nel suo portafoglio, e di fatto la tempestività con cui hanno licenziato Nesguer Ignacio Vicencio Méndez, responsabile dell’unico comando a Tulum. In precedenza, i tre uomini e una poliziotta che hanno ucciso Victoria sono stati separati dalle loro accuse e che sono stati ammessi lunedì nel centro di detenzione di Playa del Carmen con l’accusa di omicidio e femminicidio aggravato.

Sicuramente la pressione del governo salvadoregno e le parole di López Obrador che, lunedì mattina, ha affermato che questo crimine “ci riempie di dolore, dolore e vergogna” che ha influenzato la tempestività della Procura, insieme alla rinnovata sensibilità al quale in tempi recenti i casi di violenza di genere vengono affrontati dai media nazionali e internazionali.

Inoltre, le reazioni dei cittadini che non si sono fatte attendere, a cominciare da Tulum. A poche ore dall’omicidio, centinaia di persone piene di indignazione, rabbia e coraggio sono scese in piazza chiedendo giustizia. Le manifestazioni sono iniziate in quel comune e successivamente si sono diffuse nelle principali città e paesi all’interno e all’esterno dello stato (una è prevista per venerdì 2 alle 18:30 in Plaza Grande de Mérida) con striscioni e slogan come “Polizia femminicida! “,” Non uno più ucciso! ” “Non è stata uccisa!” e “La polizia non si prende cura di me, i miei amici si prendono cura di me!” Sono gli stessi slogan con cui negli ultimi anni migliaia e migliaia di donne sono scese in piazza in Messico e nel mondo.

Perché le donne non si sentono curate dagli agenti? ma al contrario, molti tremano ogni volta che vedono una donna in uniforme.

L’incapacità, l’abuso e la violenza fisica, verbale o psicologica degli agenti di polizia messicani non sono una novità per nessuno di noi che ha avuto l’opportunità di trovare un agente per strada. Per coloro che non lo fanno, daremo alcune informazioni.

I primi provengono da Amnesty International, che ha appena pubblicato il rapporto intitolato “Messico: l’era delle donne. Stigma e violenza contro le donne che protestano ”in cui si legge che le autorità rispondono alle proteste delle donne e contro la violenza di genere con un uso eccessivo e non necessario della forza, con detenzioni illegali e arbitrarie, con abusi verbali e fisici basati sul genere contro le donne e con la violenza sessuale. E l’uso non necessario, eccessivo e sproporzionato della forza è costante come un modo per inibire il diritto di riunione pacifica, attraverso “detenzioni o assicurazioni preventive” per arrestare arbitrariamente coloro che desiderano partecipare a manifestazioni o per “sospetti” di voler trasportare un crimine “.

In questi giorni, il procuratore generale dello Stato ha affermato che “la manovra di sottomissione utilizzata è stata effettuata in maniera sproporzionata, smodata e con un alto rischio di vita”. E con lui, diversi rappresentanti del governo e dei media parlano di un “uso non necessario, eccessivo e sproporzionato” della forza e alcuni addirittura dicono semplicemente che “sono sfuggiti di mano”. Ma i dati ci parlano di una realtà diversa.

Quella manovra di sottomissione era la stessa tecnica che gli agenti di polizia americani di Minneapolis hanno usato per arrestare George Floyd e che ha causato la sua morte, così come le sue famose ultime parole che non riesco a respirare che hanno acceso la rabbia della popolazione afroamericana e del movimento BlackLiveMatters. Diverse forze di polizia hanno già posto il veto a questa manovra a causa dei suoi alti rischi per la vita del soggetto o l’hanno limitata a casi di estrema minaccia per gli agenti, situazione in cui la polizia ovviamente non si è trovata né nel caso di Floyd né nel caso di Victoria.
Eccesso di violenza quindi, come descritto dalla necropia tra le cause della morte di Victoria. Violenze inutili e immotivate, forse per l’incapacità di valutare il rischio secondo le direttive del Manuale per l’uso della Forza di SEGOB e CNS, a causa della scarsa o nulla formazione delle forze di polizia sui diritti umani, come dichiarato da un ex agente di polizia municipale di Tulum e conferma i dati.
In Quintana Roo, il 20 per cento degli agenti di polizia non ha la certificazione unica di polizia (CUP), che approva la preparazione e il profilo di ogni agente per coprire i propri compiti; anche peggio a Tulum, dove il 54 per cento non ha quel requisito obbligatorio a livello nazionale. Si parla di errori e persino di morte ingiusta, come se l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia fosse un errore, un fallimento di alcune mele marce, ma ancora una volta i dati ci danno un quadro diverso della realtà.

Perché così tante persone (il 70% della popolazione messicana secondo i dati INEGI) non si fidano della polizia? I rapporti internazionali e le cronache nazionali abbondano di casi di violenza perpetrata dalla polizia e dall’esercito. Disegnano un paese in cui la violenza è usata regolarmente e sistematicamente dallo Stato, che, secondo il sociologo Max Weber, detiene il monopolio della violenza che dovrebbe essere usata all’interno dei quadri costituzionali.
Secondo i dati del Rapporto 2021 di Human Rights Watch, la tortura è ampiamente praticata in Messico per estrarre prove o confessioni nonostante il fatto che una legge del 2017 impedisca l’uso di tali prove in tribunale. Secondo il CNDH, le indagini sui casi di tortura condotte dallo Stato erano solo 13 nel 2006 per passare a oltre 7.000 nel 2019. Il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha espresso la sua preoccupazione che pochissimi di questi casi si traducono in procedimenti giudiziari o arresti, dato che dei 3.214 registrati nel 2016 solo otto hanno portato all’arresto e ai relativi procedimenti penali.

L’uso della violenza è comune anche durante l’arresto: secondo INEGI, il 64% della popolazione carceraria ha subito violenze, come percosse, scosse elettriche e altre forme di tortura al momento del loro arresto.
Sperando che l’omicidio della polizia di Victoria venga completamente chiarito, voglio porre ai lettori due domande: cosa sarebbe successo se la donna fosse stata di pelle chiara o di un paese europeo? Cosa sarebbe successo se negli ultimi anni le donne non fossero scese in piazza esprimendo quella giusta rabbia che sta mettendo al bastone chi governa, costringendoli a cercare di dare risposte rapide ed efficaci alla violenza di genere? (Illustrazione tratta dai social network)