Una guida ragionata al fascismo polacco. Conversazione con Przemysław Witkowski

Fonte : Dinamopress

«Il mondo della destra politica polacca è una nebulosa davvero complicata, in cui si mischiano definizioni, portali, proclami, etc. e in cui è forse difficile identificare chi è chi. Ad ogni modo, è possibile sintetizzare gli schieramenti attuali attraverso quattro blocchi e raggruppamenti che sono anche abbastanza semplici e a loro modo ovvi.

 

ULTRA-CONSERVATORI E CRISTIANO-CONSERVATORI

In Italia avete Fratelli d’Italia, qua abbiamo Prawo i Sprawiedliwość (Pis) che è un partito molto simile, fatta eccezione per il diverso peso politico attuale. Cercano di presentarsi come una via di mezzo fra forza anti-establishement e partito di governo, posizionandosi molto ben dentro le istituzioni europee e beneficiando anche di fondi europei. Se si dovesse chiedere al loro leader Kaczyński, risponderebbe: «Meno coinvolgimento nelle politiche identitarie propugnate dall’Ue, ma sì un esercito europeo e ad altre forme di collaborazione e unione fra gli stati membri». Ma ancora, sono come delle piovre: tentano anche di compiacere il più possibile gli Stati Uniti, lasciando loro intendere che possono stabilire in Polonia delle loro basi, e il tutto secondo una visione strategica basata sulla previsione (totalmente fuori dalla realtà) per cui la Germania (il leader europeo, cioè) starebbe per collassare a causa dell’immigrazione e a causa di politiche progressiste. Quindi esprimono almeno 3-4 posizione contraddittorie allo stesso tempo.

C’è inoltre una corrente interna al Pis che è chiamata United Right Wing (non viene quasi mai usato questo nome nel discorso pubblico, ma tecnicamente si tratta di un gruppo parte del Pis). La loro posizione dal fatto che uno dei loro leader viene da un’altra area politica e da lui ereditano una posizione di ultra-liberismo nel mercato, che va in contraddizione con l’assetto generale del PiS ma, ad ogni modo, sono ultra-conservatori in materia di costruzione identitaria.

Poi c’è Solidarna Polska, che è alla destra del blocco governativo. Molto religiosi e ultra-conservatori al limite del nazionalismo. Si tratta di una corrente che è nei fatti dentro all’alleanza di governo ma che ha anche intensi contatti con il blocco di Konfederacja, che sta invece più a destra. In qualche modo funge da “cancello d’entrata” per i politici di destra estrema che vogliono entrare a far parte dell’establishment senza dover “perdere la propria verginità” con il Pis ma accoppiandosi a qualcuno di più piccolo, meno visibile e un filo più rispondente alle loro convinzioni.

Altri due gruppi di questo campo sono Europa Christi e Prawica Rzeczypospolitej.

Europa Christi è legato alla figura di Tadeusz Rydzyk, che è un sacerdote-oligarca a capo di una televisione, una radio e un’università. Un personaggio dunque molto influente, che riesce a spostare una quota di elettorato corrispondente più o meno a un 7% dei votanti. Rydzyk è molto intelligente: siccome non vuole appoggiarsi solo a Kaczyński, si è creato il suo piccolo partito, mettendogli a capo una persona fidata ma senza promuoverlo più di tanto. In pratica, se lo sta tenendo come “forza politica di riserva”: se dovessero affievolirsi i rapporti fra lui e il leader del Pis, ecco che inizierebbe a promuoverlo di più. È un “partito-gremlin” che per il momento viene tenuto fuori dall’acqua.

Prawica Rzeczypospolitej si trova più o meno nella stessa situazione. Orbita attorno al Pis ed è fortemente legato alla Chiesa. È composto da ultra-cattolici fondamentalisti, ma non così di estrema destra al punto da sostenere che è necessario abbattere la democrazia per instaurare uno stato autoritario.

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Si alza il velo sul disastro economico di Gedi. Il peso morto di Cir

 

FONTE IL TIMES

Autore: Giorgio Levi

Un paio di settimane fa ho comprato un’auto nuova. Il prezzo mi sembrava un po’ alto (ed effettivamente lo è), poi il venditore, che non è un pirla, siccome siamo a fine anno, e lui deve fatturare, ha cominciato ad elencare tutta una serie di sconti e omaggi e presunte agevolazioni, che alla fine sembrava mi stesse facendo un regalo. E io, che sono molto sensibile a chi fa bene il proprio mestiere, ho acquistato l’auto.

John Elkann, quando si è affacciato alla concessionaria De Benedetti, deve avere avuto la stessa sensazione. A differenza mia però stava per acquistare una macchina usata e quasi sull’orlo della rottamazione. Ma siccome, anche lui, come il mio venditore, non è un pirla di acquirente ha approfittato dell’occasione e si è portato a casuccia sua il primo gruppo editoriale italiano di quotidiani. Abbastanza malandato, ma la ciccia c’è e il prezzo d’acquisto è stato più che ragionevole.

Ha pagato 0,46 centesimi per azione per 102,4 milioni di euro e per assicurarsi il 43,78% del capitale. Appena 2 anni fa Gedi quotava 0,80 centesimi. In due anni il mondo di Gedi si è capovolto. Il valore di mercato oggi era calcolato intorno ai 150 milioni di euro. Secondo alcuni osservatori la cifra giusta avrebbe dovuto essere sui 130 milioni. Dunque, John ha fatto di meglio.

Stupisce la frase che Marco De Benedetti avrebbe detto prima dell’accordo annunciato ieri sera: “Elkann ha fatto un’offerta che non si può rifiutare”. Allora,  il gruppo non era alla frutta, ma al digestivo dozzinale che ti blocca lo stomaco. Gedi era ad un passo dal crollo, che avrebbe trascinato non solo La Stampa e decine di quotidiani locali ma anche La Repubblica, considerata una corazzata.

D’altra parte, si era capito da tempo Gedi era una palla al piede di Cir. Kos e Sogefi (due altre attività della holding), producono utili operativi per 50 milioni la prima e per 37 milioni la seconda, l’editoria di Gedi ha raccolto appena 7 milioni. Secondo quanto pubblicato da Affaritaliani l’editoria faceva ricavi per 648 milioni con utile operativo negativo per 11 milioni. Mentre Kos con ricavi per 544 milioni produceva utili operativi positivi per 66 milioni e Sogefi con 1,6 miliardi di fatturato ha un utile operativo di 62 milioni. E’ evidente che il management di Gedi ha fatto la scuola dell’obbligo e si è fermato lì.

Un disastro, Elkann si è infilato nella concessionaria, spendendo meno della metà di quello che Exor ha appena investito (300 milioni di euro) per rimpolpare le casse della Juventus.

Se sarà un affare lo dirà il tempo. Quello che è certo è che peggio di così non poteva andare. Ora che si alza il velo sui conti e sul valore della società a Piazza Affari si capiscono molto più cose, compresi i tagli dei poligrafici, le restrizioni economiche ai giornalisti e il fatto che in quasi 3 anni l’editore non abbia mai presentato un piano industriale e uno editoriale.

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