Fonte Comune-info.net
In Italia il controllo politico sulle polizie è diventato limitato, del resto non c’è mai stata attenzione dei politici su come funzionano le polizie, tanto che i neo-ministri dell’interno se non vogliono scivolare in gaffe hanno interesse a seguire quanto consigliano loro i funzionari dell’apparato ministeriale. Intanto, mentre qualsiasi operatore di polizia oggi sa bene che l’andamento della criminalità mostra un netto calo di tutti i reati e in particolare di quelli più gravi, l’ultimo ministro approdato, come spiega Salvatore Palidda, continua a recitare “il ruolo di tribuno imitando un po’ il duce e un po’ Trump… In sostanza mister Salvini ripete il gioco della distrazione di massa…: agitare false insicurezze per nascondere le insicurezze che colpiscono la maggioranza della popolazione… La Pianura padana ad esempio è una delle due zone più inquinate d’Europa… E anche la zona la più alta diffusione di economie sommerse…”. Ecco perché è “più che mai importante sostenere i pochi operatori delle polizie che sono antifascisti, antirazzisti e antisessisti…”
di Salvatore Palidda*
Non è arbitrario dire che, a parte Mario Scelba, tutti i ministri dell’interno soprattutto dal 1994 ad oggi non sembra che abbiano segnato in qualche modo in maniera significativa la storia di questo ministero e in generale del governo della sicurezza interna in Italia. Nessuno di questi può essere comparato a quanto fece Scelba (nel “male” più che nel “bene” dal punto di vista di uno stato di diritto effettivamente democratico e quindi nel bene della res publica). Appare invece assai plausibile dire che nei fatti tutti i ministri sono sempre stati “subordinati” all’apparato ministeriale e in particolare al Viminale e ai comandi dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.
Certo, dal 1945 in Italia il potere politico domina le polizie perché è il governo che decide le nomine ai più alti livelli delle forze di polizia e anche dei prefetti e questori. Tant’è che le carriere si “giocano” sempre a condizione di avere un “santo in paradiso”, cioè una protezione politica che effettivamente conta. Ai tempi della Dc “partito-stato” bisognava saper destreggiarsi fra le correnti democristiane. Ma dopo, col compromesso storico e poi con i sindacati della polizia di stato e le rappresentanze del personale anche delle altre forze di polizia ancora a statuto militare, il gioco delle nomine dei vertici a livello nazionale e locale è approdato a una negoziazione articolata fra politici, vertici delle diverse forze di polizia, sindacati e rappresentanti del personale (sempre super corporativi). In altre parole, in Italia il controllo politico sulle polizie è diventato sempre più limitato. Lo scambio consisteva e consiste ancora nel garantire da parte delle polizie fedeltà al potere politico a condizione di avere autonomia di gestione da parte di ogni forza e concessioni continue di quasi tutte le rivendicazioni di ogni polizia (sempre in concorrenza fra loro, con momenti alquanto accesi come quando il governo D’Alema fece diventare i CC quarta forza armata e di fatto la forza di polizia con più peso rispetto alla PS nel cosiddetto “comparto sicurezza”).