Caccia alle fonti dei cronisti. Libertà di stampa in pericolo

FONTE MICROMEGA

La carica delle Procure: redazioni e case private perquisite, l’ultimo caso è Nicola Borzi del Sole24Ore: autore di un’inchiesta sui soldi dei Servizi segreti.

di Giorgio Meletti, da il Fatto quotidiano, 22 novembre 2017

Una serie di decisioni illegittime di diverse procure della Repubblica stanno di fatto abrogando il segreto professionale dei giornalisti. Basta il semplice sospetto di una minima violazione di segreto d’ufficio e scatta la perquisizione per scoprire le fonti del giornalista. È una pratica più volte censurata dalla Cassazione e ancor più energicamente condannata da norme e sentenze europee. Eppure accade sempre più spesso.

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni

FONTE PRESSENZA.COM

22.11.2017 Rodolfo Schmal

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni
(Foto di Agencia UNO)

I risultati delle elezioni presidenziali e parlamentari cilene sorprendono anche se non dovrebbero. Ormai da tempo i sondaggi non sono più strumenti affidabili, per via della crescente astensione, dell’alto numero di indecisi man mano che si avvicinano le elezioni e della loro manipolazione da parte dei poteri di fatto.

L’astensione e l’indecisione sono dovute essenzialmente alla depoliticizzazione che si sta vivendo, in cui pare che la vita dei cittadini segua un percorso diverso dalla politica. Come se la politica non influenzasse le nostre vite, la direzione presa dalla nazione, come se non avesse importanza chi sono le nostre autorità. Ormai un’elezione non si basa su ideali o un’immagine di futuro, ma su quanto sia conosciuta una  persona. Si spiega così l’esplosione di candidati provenienti dal mondo dello spettacolo, molti dei quali sono stati eletti.

E’ la banalizzazione della politica. Dopo il cibo e i film spazzatura, adesso c’è anche una politica spazzatura, con una grande quantità di politici tutti uguali.

Il rischio che corriamo, come diceva a suo tempo Platone, è che disinteressandoci della politica finiremo per essere governati dagli uomini peggiori.

D’altra parte i sondaggi si sono rivelati sbagliati. Davano per vincitore Piñera, molto al di sopra del 40% e assegnavano alla candidata del Frente Amplio, Beatriz Sánchez, una tendenza in calo che l’attestava più o meno intorno al 10%. A partire dai sondaggi e in collusione con i mezzi di comunicazione di massa, si è fabbricato uno scenario del secondo turno con Piñera contro Guillier, pensando a una distanza di oltre 20 punti tra di loro. Tuttavia i cittadini, o almeno molti di quelli che hanno votato, non si sono lasciati influenzare dai sondaggi e hanno smentito le previsioni.

In termini di aspettative, Piñera è stato sconfitto perché non ha ottenuto il risultato sperato e ora dovrà fare i salti mortali per arrivare al 50% e vincere al secondo turno. I voti di Kast non gli basteranno. Dovrà muoversi verso l’estrema destra e verso il centro, una specie di missione impossibile.

Dall’altra parte Guillier non può presentarsi come trionfatore, visto che è arrivato secondo, ma i risultati gli  permettono di vedere la luce alla fine del tunnel: la distanza da Piñera infatti non è grande come si pensava e c’è tutta una parte del Frente Amplio da conquistare, che non vuole Piñera presidente. Neanche per lui sarà facile, però. Non potrà avere intenzioni occulte.

Il 20% del Frente Amplio permette ai suoi dirigenti si collocarsi in una posizione alla pari con Guillier e i suoi. Queste conversazioni andranno fatte davanti al paese, riguardo a pochi temi specifici su cui si potrebbero stringere accordi chiari.

In ogni caso il nostro dramma è che abbiamo un paese diviso politicamente in due parti quasi uguali, con alcuni che vogliono mantenere il modello neoliberista individualista e competitivo in tutte le sue espressioni e altri che lo vogliono sostituire in modo radicale con un modello basato sulla solidarietà. Una metà lievemente superiore, corrispondente circa al 55% , aspira a quest’ultimo modello.

Finora si è tentato senza successo di rompere questa semi parità. Per farlo sarebbe necessario un grande accordo nazionale che abbia come punti centrali l’istruzione, la sanità e le pensioni, da considerare un bene pubblico e non privato. Questo comporterebbe un grande sforzo nazionale per assicurare educazione e cure sanitarie gratuite e di buon livello e farla finita con i fondi pensione come sono concepiti attualmente.

 

Rossana Rossanda: L’inchiesta di Loris Campetti su chi perde il lavoro a 50 anni

FONTE INCHIESTAONLINE

Non ho l’età di Loris Campetti (editore Manni, 2015) è un’inchiesta diretta su un aspetto di solito non indagato della disoccupazione in Italia: si tratta questa volta non degli spazi chiusi ai giovani, ingabbiati in generale nel precariato, ma di quel che accade a chi perde il lavoro in età avanzata, dopo anni di mestiere con una professionalità compiuta. Sono figure meno pittoresche dei ragazzi, non portano con sé nuove culture, ma non suscitano minore emozione.

È un’inchiesta di questi anni, a crisi ormai settennale se se ne calcola l’inizio a partire da quella dei subprimes nel 2008. In quella tempesta sono scomparsi secolari opifici, antiche ditte, sostituite in genere da imprese nuove e più deboli, rilevate da qualche tardivo acquirente. Insomma la crisi investe la struttura produttiva, “i padroni”, che alla fine cercano di vivere o sopravvivere. Ma nell’uragano volano soprattutto gli stracci, che raramente sono rappresentati dal proprietario delle aziende via via ammalate e a un certo punto chiuse. È la prima conseguenza e se l’imprenditore è un furbastro magari se la cava, mentre non se la cavano mai i dipendenti che, sbattuti da una proprietà all’altra, alla fine non hanno neppure la forza di galleggiare. Sono generalmente ignoti (chi conosce i proletari?) che la ricerca di Loris Campetti fa emergere per il tempo di questo libro.

Emergono in genere poco volentieri. Quel che li caratterizza, salvo qualche indomito o indomita combattente, è la paura. Hanno già perduto un posto, e non per colpa loro ma perché è svanita o delocalizzata la ditta, potrebbero perdere anche quelli cui si rivolgono speranzosamente offrendosi come forza di lavoro. Sembra quasi scritto che prima o dopo tutti perderanno anche queste nuove possibilità, che al primo licenziamento parevano a portata di mano. Ma poi via via precipitando da un’interruzione di lavoro all’altra, gli stracci volano più che mai.

La paura nel disoccupato si accresce fino a rifiutare di discorrere con il giornalista che gli chiede di parlare di sé: no, assolutamente, grazie. O, al massimo, se lo fa, rimanendo nell’anonimato. Sono uomini e donne che, perduto il primo loro impiego, via via che il tempo passa nell’attesa di qualche impiego successivo, temono di essere in qualche misura riconosciuti, se non schedati, e di perdere quindi anche quello.

La disperazione non solleva, se non in rari casi, la ribellione. Dalla paura passano a una rassegnazione infelice; e questo sia gli uomini che le donne, le prime queste ad essere colpite quando si tratta di tagliare gli impieghi. E tuttavia nell’inchiesta di Campetti è proprio una donna, una single indiana che ha diretto una volta la lotta di quasi duecento connazionali, e quindi è una tosta, a raccontare lungamente di sé, a far nomi, a nulla nascondere: la ultracinquantenne Goghi. La cui vicenda le comprende quasi tutte, come quella di chi ha cominciato – se non sbaglio – in una fungaia, poi licenziata per chiusura dell’azienda e avanti così per altri due licenziamenti da una fabbrica chimica e da una metalmeccanica; o di chi si è presa un diploma di grafica e da allora è saltata da una unità di produzione all’altra, fino a rinunciare alla propria qualifica e offrirsi come tata di un bambinetto – la sola occupazione della quale c’è sempre abbondanza, ed è pagata assai poco.

Chi è da temere? La paura è vaga. Responsabile della tempesta è la famosa crisi, ma in generale i suoi manovratori sono lontani. Più semplice individuare la responsabilità in qualche eletto dalle istituzioni locali o dallo Stato; il personaggio più detestato essendo non il ministro Poletti o il team del governo promotore del Jobs act, ma la malvagia Elsa Fornero, che prima dell’attuale compagine era ministro del lavoro per Mario Monti, e sembra la figura delegata a raccogliere risentimenti e perfino odio. Non è più presente nella scena politica ma ha lasciato una impronta indelebile peggiorando tempi e modi della pensione: e si può capire che chi si trova a non poter raccogliere nulla da una vita di lavoro per una scadenza non potuta rispettare, magari per soli ventotto giorni, lo trovi inaccettabile e si infuri se appena ha il temperamento per farlo. Ma rare sono le Goghi con un’esperienza di lotta, molti di più i maschi reticenti. Alla paura di segnalarsi come un agitatore e quindi precludersi ogni sbocco lavorativo, nei più si sostituisce il senso di colpa: “Forse avrei dovuto farcela e non ce l’ho fatta, forse dovevo impuntarmi. Dovevo essere io a provvedere ai miei figli mentre non sono stato capace neppure di provvedere a me stesso”.

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