I pesticidi dentro di noi…

 

fonte Unimondo.org

Nessun’ altra Iniziativa di Cittadini Europei (Ice) ha mai ottenuto in pochi mesi 1,3 milioni di firme come è accaduto con quella per l’eliminazione del Glifosatodalla nostra dieta. Anche se il suo uso è stato nuovamente autorizzato dalla Commissione europea, “con una decisione politica che va contro i cittadini, che non ha tenuto conto dell’indirizzo del Parlamento e che antepone il profitto alla sostenibilità e alla salute dell’ambiente e delle persone”, come ha giustamente sostenuto il fondatore di Slow FoodCarlo Petrini, l’iniziativa è riuscita almeno ad aprire all’interno del Parlamento europeo un dibattito attorno a questo controverso principio attivo che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc)  ha classificato già nel 2015 come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, mentre nel marzo di quest’anno l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) ha catalogato come “non cancerogeno”.  Usato in agricoltura per le sue proprietà diseccanti sulle piante infestanti ed essiccante per i raccolti, che vanno stoccati con il minor tasso possibile di umidità per evitare che sviluppino micotossine molto pericolose per la salute, il glifosato entra nell’organismo umano non solo mediante pane, pasta, e altri prodotti a base di farina, ma anche attraverso carni e formaggi, visto che l’85% dei mangimi utilizzati negli allevamenti sono costituiti da mais, soia, e colza ogm, tutti brevettati per essere resistenti a questo erbicida. In aprile, un dossier realizzato dall’associazione A Sud con la rivista Il Salvagente, ne aveva trovato traccia nei campioni di urina di 14 donne incinte residenti a Roma: “tutti e 14 i campioni di urine raccolti mostrano la presenza di glifosato, con un range che va dagli 0,43 ai 3,48 nanogrammi/ml”.

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Piattaforme e lotta di classe: intervista con Hadrien, membro del Collettivo dei fattorini autonomi di Parigi (CLAP) – di Plateforme d’Enquêtes Militantes

 

 

Riprendiamo da EFFIMERA, che ringraziamo,  questa interessante intervista sulle condizioni di lavoro dei fattorini in bicicletta francesi che portano pasti  dai ristoranti alle case dei clienti. Sono grandi piattaforme di e-commerce  che prendono le ordinazioni e le distribuiscono ai fattorini tramite le app. Il fattorino viene monitorato con algoritmi che ne definiscono il rendimento e sulla base dei dati di profilazione che ciascun fattorino subisce, gli viene consegnato nuovo lavoro o viene licenziato, via app , naturalmente. In Francia ci sono state le prime lotte di cui si parla nell’intervista.

Pubblichiamo la traduzione italiana, a cura di Davide Gallo Lassere, Andrea Fumagalli e Alice Monticelli, di un’intervista apparsa l’11 novembre sul blog di Plateformes d’enquêtes militantes

PEM: Da qualche anno si parla sempre più di “capitalismo delle piattaforme”, ma che cosa s’intende con questa espressione?

Hadrien: La parola “piattaforme” è piuttosto generica e può concernere molte imprese di servizi diversi: delle aziende come Uber o delle piattaforme di pagamento online come Paypal o ancora delle strutture più o meno associative come, in Francia, La ruche qui dit Oui. Queste piattaforme sono tutte organizzate su dei modelli decisamente differenti e se è senz’altro vero che alcune di esse sono riuscite a stabilizzarsi, altre più recenti hanno un modello meno sicuro e funzionano grazie a degli investimenti rischiosi. In linea generale si può comunque individuare una struttura comune a queste piattaforme digitali, ossia proporre un modo d’organizzazione aperto, che gestisce, da un lato, molti “contributori” (dalla vendita di prodotti a quella di forza-lavoro) e, dall’altro, il mercato stesso tramite la messa in relazione tra consumatori, la gestione di una quantità importante di dati, ecc. Vi è effettivamente una rottura con il modello dell’impresa più “tradizionale”, quello dell’azienda, nel senso in cui tali piattaforme mettono in relazione dei clienti “partner” senza impegnarsi nei confronti della resa dello scambio, di cui si limitano a prelevare una percentuale. Ossia, tutto essendo a loro carico, i contributori devono assicurarsi individualmente di produrre a sufficienza o di realizzare delle vendite sufficienti in quanto il loro salario è a esse legato.

Per ciò che ci riguarda, le piattaforme “footech” come Deliveroo, Foodora, UberEats o ancora Stuart (per citare le più importanti), sono arrivate piuttosto recentemente in Europa (a partire dal 2010). Il loro modello è abbastanza classico e simile per tutte: oltre alla gestione delle consegne, giustificano le loro attività tramite la messa in relazione dei consumatori con dei ristoranti, garantendo la fatturazione e soprattutto la pubblicità per i ristoranti partner. Il loro modo di finanziamento passa per una percentuale sulle ordinazioni (tra il 20 e il 30% della somma totale per Deliveroo per esempio), ma malgrado il loro basso costo (siccome hanno una debole massa salariale da gestire e pochissime infrastrutture) si tratta di un settore in cui vi sono molti fallimenti, a causa del poco valore aggiunto delle corse. Il modello economico implica infatti una posizione quasi-monopolistica per poter diventare profittevole, e per riuscirci ricorrono spesso a delle pratiche di marketing aggressivo: ossia dei costi per ogni corsa molto bassi al fine di attirare i clienti, un reclutamento massiccio di fattorini (che si traduce dunque per un abbassamento del salario), ma anche la dipendenza rispetto a degli investitori in capitale-rischio. Questa instabilità può essere veramente problematica, siccome i fallimenti sono frequenti e le conseguenze drammatiche per i fattorini: basti guardare ai fallimenti di Take Eat Easy, fino ad allora leader del mercato francese, nel luglio del 2016, o quello della piattaforma TokTokTok qualche mese dopo, la quale, oltre a lasciare sul lastrico i fattorini, ha pure fatto perdere loro un mese intero di salario.

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Anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani chiede la scarcerazione di Milagro Sala

fonte PRESSENZA.COM

 

28.11.2017 Redazione Italia

Quest’articolo è disponibile anche in: Tedesco

Anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani chiede la scarcerazione di Milagro Sala
(Foto di L’Impronta L’Aquila)

Dopo le numerose prese di posizione di organismi internazionali, associazioni, personalità ora anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani ha emesso una risoluzione in cui chiede che Milagro Sala esca dal carcere e sia assegnata, a casa sua e non altrove, agli arresti domiciliari.

La risoluzione è stata diffusa agli organi di stampa e alle autorità competenti nella giornata di ieri; chiede anche che lo Stato Argentino si preoccupi di assicurare assistenza medica e psicologica alla dirigente sociale; chiede al più tardi per il 15 dicembre un rapporto dettagliato sulla realizzazione degli arresti domiciliari e che vi sia un rapporto alla Corte ogni tre mesi; chiede infine ai rappresentanti legali di Milagro Sala di fare le opportune osservazioni sull’applicazione di queste risoluzioni.

Puidgemont o Ada Colau? Il feticcio dell’indipendentismo e l’alternativa possibile

 

FONTE MICROMEGA CHE RINGRAZIAMO

In tutta Europa, come reazione all’attuale crisi socioeconomica e democratica, si stanno diffondendo pulsioni indipendentiste: nuove mini statualità in opposizione allo strapotere finanziario di Bruxelles. Ma, come dimostra la Catalogna, sono illusioni più che vie percorribili per un reale cambiamento. Che passa invece attraverso la valorizzazione dei cittadini nel governo delle città, come dimostra Barcellona con Ada Colau.

di Steven Forti e Giacomo Russo Spena

Lo scorso 5 ottobre Mauro Pili, deputato sardo di Unidos e appartenente al gruppo Misto, ha presentato alla Camera una proposta di legge costituzionale per avviare un percorso “democratico per far scegliere ai cittadini se continuare a essere discriminati dallo Stato italiano o meno”. La sua non è una voce isolata: a quanto si apprende da un recente sondaggio, in Sardegna aumenta la percentuale del fronte indipendentista. I cittadini sardi si sentirebbero abbandonanti dallo Stato centrale, la disperazione per la crisi economica, la sfiducia nei confronti delle istituzioni, la burocrazia invincibile e impermeabile completerebbero il desolante quadro. Ma le pulsioni indipendentiste sono in crescita. Ovunque. Dal Nord al Sud Europa. Da Ovest ad Est. Non è un caso che una delegazione di indipendentisti sardi, così come di indipendentisti fiamminghi e veneti, senza contare la presenza del leghista Mario Borghezio, sia volata lo scorso 1 ottobre a Barcellona per vigilare sulle votazioni del referendum di autodeterminazione convocato unilateralmente dal governo catalano. Quella consultazione poi repressa dal governo centrale guidato da Mariano Rajoy.

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Noi disertiamo

fonte comune-info.net

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di Un ponte per ..

Un ponte per… ha deciso da tempo di non partecipare a bandi della cooperazione italiana per la Libia e condivide i contenuti della lettera aperta che chiede alle ONG di disertare il bando per “migliorare” i campi per migranti e rifugiati nel paese.

L’invio di ONG sarebbe un’operazione d’immagine, una risposta ipocrita alle denunce che sempre più numerose giungono dalla Libia, dove migliaia di persone sono private della loro libertà e dignità e sono alla mercé di angherie e sopraffazioni di milizie private e di eserciti spesso implicati nella tratta e riduzione in schiavitù. Tali campi non diventeranno più umani se alle ONG sarà permesso, sotto il controllo di queste milizie, di entrarvi. Abbiamo rifiutato di entrare nei campi profughi in Giordania quando erano prigioni a cielo aperto, e crediamo che il rifiuto delle ONG di lavorare in quelle condizioni sia necessario per produrne il cambiamento.

Noi chiediamo una forte pressione politica da parte della comunità internazionale sulla Libia per garantire effettiva protezione dell’umanità oggi vergognosamente reclusa solo perché scappa da guerre, miserie e devastazioni ambientali. L’intera giurisdizione della prima accoglienza deve passare all’UNHCR ed IOM con l’allontanamento delle milizie e il riconoscimento e implementazione da parte della autorità libiche delle convenzioni internazionali di protezione di rifugiati e migranti. Occorre inoltre un piano europeo più energico e coraggioso per i migranti, attraverso l’adozione di corridoi umanitari legali che consentano a chi ha diritto a forme di protezione di venire in Europa senza affrontare i viaggi della morte.

Occorre cioè rovesciare l’attuale logica che sta dietro gli accordi firmati dal ministro Minniti con le autorità Libiche, che hanno il solo obiettivo di respingere decine di migliaia di rifugiati e tenerli lontani, a qualsiasi costo  – anche con campi di concentramento – dalle frontiere dei Paesi europei. Auspichiamo che anche le altre ONG italiane disertino il bando sui campi in Libia, e non si prestino a coperture di vicende che con l’umanitario non hanno niente a che vedere.

Un ponte per ..

Droni-killer volanti, la distopia è più reale di quanto pensiamo

 

Esiste già la tecnologia per creare armi “intelligenti” in grado di riconoscere, seguire ed uccidere un bersagio. Un terrificante video dell’Università della California mostra un futuro non troppo lontano e lancia l’appello a fermare i robot assassini prima che sia troppo tardi

Lettura in corso:Droni-killer volanti, la distopia è più reale di quanto pensiamo

Droni volanti, equipaggiati con piccole quantità di esplosivo e in grado di riconoscere i volti delle persone, potrebbero essere usati per esecuzioni mirate e stragi di massa. La tecnologia esiste già, sia dal punto di vista civile (si pensi alla facial recognitiondel nuovo iPhone) che militare: la combinazione delle due potrebbe avere effetti catastrofici per il genere umano.

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Tripoli. Roma ferma in mare la nave Aquarius. Migranti riportati in Libia

fonte AVVENIRE.IT che ringraziamo  

Daniela Fassini e Nello Scavo sabato 25 novembre 2017
Sos Mediterranée: «Ricevute istruzioni dalla centrale operativa. Ci hanno impedito i soccorsi». Il giurista Vassallo: «Gli accordi con la Libia non possono derogare le Convenzioni internazionali»
Roma ferma in mare la nave Aquarius. Migranti riportati in Libia

Il mare come un muro per i migranti, anche quelli intercettati in acque internazionali, anche quelli più vicini alle navi Ong, le poche ormai rimaste in area Ricerca e soccorso (Sar). I profughi vengono “soccorsi” e portati a bordo dalla Guardia costiera libica e dalle navi della marina libica. È successo ieri pomeriggio ma non è la prima volta. Il tweet della organizzazione non governativa Sos Mediterranée, in mare con la nave Aquarius (che ha salvato oltre 300 persone negli ultimi due giorni) fotografa la situazione in quel tratto di mare, ieri, attorno alle 13 circa. «#Aquarius ha ricevuto istruzioni da #MRCC Roma (la centrale operativa della Guardia costiera italiana a Roma, ndr) di rimanere in standby mentre #GCL (Guardia costiera libica, ndr) e Marina libica coordinano intercettazione 3 gommoni in difficoltà in acque internazionali Aereo militare #UE monitora situazione. Rifugiati e migranti in fuga #Libia saranno riportati indietro».

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Una proposta di Silvio Berlusconi che segnala una grande debolezza del Centro Destra

La novità del giorno è la proposta di Berlusconi: l’ex generale dei Carabinieri, il Sig.Gallitelli, come candidato alla Presidenza del Consiglio. Certamente il Sig. Gallitelli è uomo integerrimo e di valore e degno del massimo rispetto.  E’ quanto meno sconfortante  comunque  per una qualsiasi forza politica, sia pure di centro destra,   proporre un ex generale già comandante di un Corpo separato dello Stato come candidato alla Presidenza del Consiglio. E’ penoso  in termini politici perché dimostra la debolezza della politica del centro destra che va a richiedere il soccorso ad un ex militare per  rappresentare il paese. Questa scelta assume il profilo amaro e triste, un pò latino americano, della resa della dirigenza politica di centro destra e della società civile che intende rappresentare  che non riesce a trovare al proprio interno una rappresentanza e va a richiedere il soccorso a militari, sia pure in congedo.

Questa proposta segna la debolezza dei gruppi dirigenti del centro destra alla ricerca di una leadership nelle caserme o nei loro dintorni  e non nella società “borghese”. Crediamo , in ogni caso, che l’Italia repubblicana e democratica abbia molte  risorse nella società e nella politica tali da non dovere scomodare un ex  Generale dell’Arma dei  Carabinieri.

Editor

Riferimento: Berlusconi: “Passato o futuro? Sono il presente”. E lancia candidato premier, il generale Gallitelli

 

 

Il più fascio del reame

 

 

di Alessandra Daniele

“Abbiamo fatto anche cose buone” – Alessia Morani, renziana del Pd

Il Movimento 5 Stelle ha vinto il ballottaggio col Polipo delle Libertà a Ostia, il Trono di Spada. Il Pd non s’era neanche qualificato. È logico che proprio quest’anno il ministro dello Sport, Luca Lotti, sia un renziano. Che il Pd si proponga come “argine” al fascismo è grottesco, almeno quanto l’autodifesa di Minniti dalle accuse (tardive) dell’ONU sui campi di concentramento libici.

Il Pd ha sistematicamente sbancato tutti gli argini al fascismo, e adesso è logico paghi almeno le conseguenze elettorali della marea nera alla quale ha consegnato il paese. Il 40% preso alle elezioni europee meno di 4 anni fa sembra ormai lontano un quarantennio. Viene da chiedersi se sia davvero accaduto, o sia soltanto un falso ricordo stile Blade Runner.

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Ventimiglia libera – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte effimera

Riprendiamo da Parole sul confine questo report sulla giornata dello scorso 11 novembre a Ventimiglia.

 

Partiamo al mattino da Genova per Ventimiglia, portiamo con noi una confezione da 1 kg di anti-scabbia galenico fornitoci gratuitamente da una farmacia di Genova.
Dopo un breve ma caldo incontro con Delia nel suo locale, ci rechiamo in bici presso l’info-point Eufemia, in via Tenda. Vogliamo incontrare i volontari presenti per parlare dei criteri di somministrazione del farmaco. La procedura prevede, oltre alla distribuzione adeguata, il mantenimento della pomata per 12 ore e soprattutto il cambio totale degli indumenti e delle coperte. La scabbia è, non ci stancheremo mai di ripeterlo, assolutamente non grave e facilmente guaribile in condizioni igienico sanitarie normali. Diventa più grave, degenerando in sovra-infezioni batteriche, nelle situazioni di disagio come quella vissuta dai migranti che hanno trovato rifugio sotto al ponte. Per tenere sotto controllo la malattia occorre avere una buona organizzazione ed una presenza costante sul territorio, che i volontari di Eufemia possono fornire.
Mentre ci accordiamo con loro per eventuali consulti a distanza, rumori e voci dall’esterno dell’info-point ci informano che una manifestazione anti migranti sta percorrendo la via su cui si affaccia.

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Caccia alle fonti dei cronisti. Libertà di stampa in pericolo

FONTE MICROMEGA

La carica delle Procure: redazioni e case private perquisite, l’ultimo caso è Nicola Borzi del Sole24Ore: autore di un’inchiesta sui soldi dei Servizi segreti.

di Giorgio Meletti, da il Fatto quotidiano, 22 novembre 2017

Una serie di decisioni illegittime di diverse procure della Repubblica stanno di fatto abrogando il segreto professionale dei giornalisti. Basta il semplice sospetto di una minima violazione di segreto d’ufficio e scatta la perquisizione per scoprire le fonti del giornalista. È una pratica più volte censurata dalla Cassazione e ancor più energicamente condannata da norme e sentenze europee. Eppure accade sempre più spesso.

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni

FONTE PRESSENZA.COM

22.11.2017 Rodolfo Schmal

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Cile: quello che è rimasto dalle elezioni
(Foto di Agencia UNO)

I risultati delle elezioni presidenziali e parlamentari cilene sorprendono anche se non dovrebbero. Ormai da tempo i sondaggi non sono più strumenti affidabili, per via della crescente astensione, dell’alto numero di indecisi man mano che si avvicinano le elezioni e della loro manipolazione da parte dei poteri di fatto.

L’astensione e l’indecisione sono dovute essenzialmente alla depoliticizzazione che si sta vivendo, in cui pare che la vita dei cittadini segua un percorso diverso dalla politica. Come se la politica non influenzasse le nostre vite, la direzione presa dalla nazione, come se non avesse importanza chi sono le nostre autorità. Ormai un’elezione non si basa su ideali o un’immagine di futuro, ma su quanto sia conosciuta una  persona. Si spiega così l’esplosione di candidati provenienti dal mondo dello spettacolo, molti dei quali sono stati eletti.

E’ la banalizzazione della politica. Dopo il cibo e i film spazzatura, adesso c’è anche una politica spazzatura, con una grande quantità di politici tutti uguali.

Il rischio che corriamo, come diceva a suo tempo Platone, è che disinteressandoci della politica finiremo per essere governati dagli uomini peggiori.

D’altra parte i sondaggi si sono rivelati sbagliati. Davano per vincitore Piñera, molto al di sopra del 40% e assegnavano alla candidata del Frente Amplio, Beatriz Sánchez, una tendenza in calo che l’attestava più o meno intorno al 10%. A partire dai sondaggi e in collusione con i mezzi di comunicazione di massa, si è fabbricato uno scenario del secondo turno con Piñera contro Guillier, pensando a una distanza di oltre 20 punti tra di loro. Tuttavia i cittadini, o almeno molti di quelli che hanno votato, non si sono lasciati influenzare dai sondaggi e hanno smentito le previsioni.

In termini di aspettative, Piñera è stato sconfitto perché non ha ottenuto il risultato sperato e ora dovrà fare i salti mortali per arrivare al 50% e vincere al secondo turno. I voti di Kast non gli basteranno. Dovrà muoversi verso l’estrema destra e verso il centro, una specie di missione impossibile.

Dall’altra parte Guillier non può presentarsi come trionfatore, visto che è arrivato secondo, ma i risultati gli  permettono di vedere la luce alla fine del tunnel: la distanza da Piñera infatti non è grande come si pensava e c’è tutta una parte del Frente Amplio da conquistare, che non vuole Piñera presidente. Neanche per lui sarà facile, però. Non potrà avere intenzioni occulte.

Il 20% del Frente Amplio permette ai suoi dirigenti si collocarsi in una posizione alla pari con Guillier e i suoi. Queste conversazioni andranno fatte davanti al paese, riguardo a pochi temi specifici su cui si potrebbero stringere accordi chiari.

In ogni caso il nostro dramma è che abbiamo un paese diviso politicamente in due parti quasi uguali, con alcuni che vogliono mantenere il modello neoliberista individualista e competitivo in tutte le sue espressioni e altri che lo vogliono sostituire in modo radicale con un modello basato sulla solidarietà. Una metà lievemente superiore, corrispondente circa al 55% , aspira a quest’ultimo modello.

Finora si è tentato senza successo di rompere questa semi parità. Per farlo sarebbe necessario un grande accordo nazionale che abbia come punti centrali l’istruzione, la sanità e le pensioni, da considerare un bene pubblico e non privato. Questo comporterebbe un grande sforzo nazionale per assicurare educazione e cure sanitarie gratuite e di buon livello e farla finita con i fondi pensione come sono concepiti attualmente.

 

Rossana Rossanda: L’inchiesta di Loris Campetti su chi perde il lavoro a 50 anni

FONTE INCHIESTAONLINE

Non ho l’età di Loris Campetti (editore Manni, 2015) è un’inchiesta diretta su un aspetto di solito non indagato della disoccupazione in Italia: si tratta questa volta non degli spazi chiusi ai giovani, ingabbiati in generale nel precariato, ma di quel che accade a chi perde il lavoro in età avanzata, dopo anni di mestiere con una professionalità compiuta. Sono figure meno pittoresche dei ragazzi, non portano con sé nuove culture, ma non suscitano minore emozione.

È un’inchiesta di questi anni, a crisi ormai settennale se se ne calcola l’inizio a partire da quella dei subprimes nel 2008. In quella tempesta sono scomparsi secolari opifici, antiche ditte, sostituite in genere da imprese nuove e più deboli, rilevate da qualche tardivo acquirente. Insomma la crisi investe la struttura produttiva, “i padroni”, che alla fine cercano di vivere o sopravvivere. Ma nell’uragano volano soprattutto gli stracci, che raramente sono rappresentati dal proprietario delle aziende via via ammalate e a un certo punto chiuse. È la prima conseguenza e se l’imprenditore è un furbastro magari se la cava, mentre non se la cavano mai i dipendenti che, sbattuti da una proprietà all’altra, alla fine non hanno neppure la forza di galleggiare. Sono generalmente ignoti (chi conosce i proletari?) che la ricerca di Loris Campetti fa emergere per il tempo di questo libro.

Emergono in genere poco volentieri. Quel che li caratterizza, salvo qualche indomito o indomita combattente, è la paura. Hanno già perduto un posto, e non per colpa loro ma perché è svanita o delocalizzata la ditta, potrebbero perdere anche quelli cui si rivolgono speranzosamente offrendosi come forza di lavoro. Sembra quasi scritto che prima o dopo tutti perderanno anche queste nuove possibilità, che al primo licenziamento parevano a portata di mano. Ma poi via via precipitando da un’interruzione di lavoro all’altra, gli stracci volano più che mai.

La paura nel disoccupato si accresce fino a rifiutare di discorrere con il giornalista che gli chiede di parlare di sé: no, assolutamente, grazie. O, al massimo, se lo fa, rimanendo nell’anonimato. Sono uomini e donne che, perduto il primo loro impiego, via via che il tempo passa nell’attesa di qualche impiego successivo, temono di essere in qualche misura riconosciuti, se non schedati, e di perdere quindi anche quello.

La disperazione non solleva, se non in rari casi, la ribellione. Dalla paura passano a una rassegnazione infelice; e questo sia gli uomini che le donne, le prime queste ad essere colpite quando si tratta di tagliare gli impieghi. E tuttavia nell’inchiesta di Campetti è proprio una donna, una single indiana che ha diretto una volta la lotta di quasi duecento connazionali, e quindi è una tosta, a raccontare lungamente di sé, a far nomi, a nulla nascondere: la ultracinquantenne Goghi. La cui vicenda le comprende quasi tutte, come quella di chi ha cominciato – se non sbaglio – in una fungaia, poi licenziata per chiusura dell’azienda e avanti così per altri due licenziamenti da una fabbrica chimica e da una metalmeccanica; o di chi si è presa un diploma di grafica e da allora è saltata da una unità di produzione all’altra, fino a rinunciare alla propria qualifica e offrirsi come tata di un bambinetto – la sola occupazione della quale c’è sempre abbondanza, ed è pagata assai poco.

Chi è da temere? La paura è vaga. Responsabile della tempesta è la famosa crisi, ma in generale i suoi manovratori sono lontani. Più semplice individuare la responsabilità in qualche eletto dalle istituzioni locali o dallo Stato; il personaggio più detestato essendo non il ministro Poletti o il team del governo promotore del Jobs act, ma la malvagia Elsa Fornero, che prima dell’attuale compagine era ministro del lavoro per Mario Monti, e sembra la figura delegata a raccogliere risentimenti e perfino odio. Non è più presente nella scena politica ma ha lasciato una impronta indelebile peggiorando tempi e modi della pensione: e si può capire che chi si trova a non poter raccogliere nulla da una vita di lavoro per una scadenza non potuta rispettare, magari per soli ventotto giorni, lo trovi inaccettabile e si infuri se appena ha il temperamento per farlo. Ma rare sono le Goghi con un’esperienza di lotta, molti di più i maschi reticenti. Alla paura di segnalarsi come un agitatore e quindi precludersi ogni sbocco lavorativo, nei più si sostituisce il senso di colpa: “Forse avrei dovuto farcela e non ce l’ho fatta, forse dovevo impuntarmi. Dovevo essere io a provvedere ai miei figli mentre non sono stato capace neppure di provvedere a me stesso”.

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Myanmar: ong accusa l’esercito di stupri e omicidi contro i Rohingya

Un rapporto di Human Rights Watch punta il dito contro le forse di sicurezza birmane

Myanmar: ong accusa l'esercito di stupri e omicidi contro i Rohingya

 

Lo stupro di donne e bambine come parte integrante di una campagna di pulizia etnica ai danni della minoranza musulmana dei Rohingya. In un rapporto presentato questo giovedì l’organizzazione non governativa Human Rights Watch punta il dito contro le forze di sicurezza del Myanmar.

“A partire dal 25 agosto i militari birmani hanno messo in atto una campagna di pulizia etnica contro i Rohingya nello stato di Rakhine, nel nord del paese – ha detto una ricercatrice della Ong -. Il risultato è una crisi umanitaria sempre più grave”.

Le accuse di Human Rights Watch arrivano a pochi giorni da quelle di Pramila Patten, inviato speciale delle Nazioni Unite, che ha parlato di molteplici casi di violenza sessuale.

“Tra le mie vicine c’era una ragazza molto bella – è il racconto di una rifugiata birmana nel campo profughi di Kutupalong, in Bangladesh -. Tre uomini dell’esercito l’hanno vista nascondersi, sono andati a prenderla, l’hanno portata fuori e uno di loro l’ha costretta a sdraiarsi. Le hanno strappato i vestiti di dosso e due di loro l’hanno stuprata. Dopo che hanno finito uno dei militari le ha sparato, uccidendola. L’ho visto con i miei occhi”.

Da quando è cominciata la crisi umanitaria, circa tre mesi fa, sono più di 600mila i rohingya che hanno attraversato il confine tra Myanmar e Bangladesh.

Frequenze: fermiamo il colpo di mano dell’articolo 89

 

fonte ilmanifestobologna.it

Nel disegno di legge sul bilancio (n. 2960), uno degli ultimi atti della legislatura, c’è un vero e proprio colpo di mano. L’articolo n. 89, infatti, si butta sul complicato tema delle frequenze radiotelevisive e di telecomunicazione in assenza di una seria riforma del sistema. Si utilizza il veicolo sicuro della legge finanziaria -la cui approvazione è sempre certa- per riorganizzare un sistema colpevolmente sconquassato negli ultimi trent’anni e tuttora privo di un ordine democratico.

Passi per la delega all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a pianificare il percorso della tecnologia 5G previsto dalla Commissione europea. Se mai, si potrebbe obiettare che una simile enfasi tecnologica è figlia di un determinismo un po’ fuori tempo massimo nell’attuale stagione del capitalismo cognitivo che ci interpella se mai su contenuti e paradigmi, piuttosto che su ulteriori “gadget”, per di più gravosi per l’inquinamento elettromagnetico. E così è comprensibile che il passaggio della prelibata banda 700 MHz dalla televisione alla banda larga (rinviato peraltro al 2022 rispetto al 2020 indicato da Bruxelles) sia normato. E mettiamoci pure i proventi delle gare prevista per l’attribuzione degli spazi alle telecomunicazioni.

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Solidarietà a Nermin Al-Sharif leader del Sindacato dei portuali e dei marinai della Libia.

Pubblichiamo l’appello di Eric Lee coordinatore della rete internazionale  Labourstart per Nermin Al Sharif  leader del Sindacato libico dei portuali e dei marinai . Nermin Al Sharif è vittima di persecuzioni da parte delle autorità libiche per la sua attività sindacale. E’ possibile sottoscrivere l’appello di solidarietà a Nermin Al  Sharif cliccando il link “Click Here”.
Click here to support Nermin.

 

 

 

 

L’appello di Eric Lee

I met Nermin Al-Sharif, the leader of the Dockers’ and Seafarers’ Union of Libya, last year in Norway.  I knew of her because in the past, following an assassination attempt, LabourStart was asked to run a campaign in her defence.

Meeting her face to face, I could see why some powerful forces might fear this woman, as she is a very strong, determined, and fearless leader of workers.

Nermin is well known for her tireless work in support of human, workers’ and women’s rights in Libya, in the Arab region, and globally. 

Because of this work, she has been subject to ongoing attacks on her freedom and personal safety including several attempts on her life. 

In the latest incident Nermin was detained for a number of days and has had her passport confiscated subject to “an investigation”. 

The International Transport Workers Federation (ITF) is calling upon the UN representative in Libya to help end this campaign of intimidation and violence against Nermin.

Please join us by signing up to the campaign here — it will just take a moment:

CLICK HERE

In addition, the European Transport Workers Federation has asked us to share their new online petition defending the right to strike for air traffic controllers in Europe – a right which is now under threat.  Read more and sign up here.

And please share this message with your friends, family and fellow union members.

Thank you!

Eric Lee

 

Barcellona nello sgretolarsi d’Europa

Franco Berardi Bifo

L’Unione europea è un blocco granitico se la guardiamo da un lato, mentre si sgretola come un castello di sabbia se la guardiamo dall’altro.

La governance finanziaria è di granito sia pure immateriale: implacabile essa persevera nel saccheggio delle risorse sociali, incurante delle conseguenze.

Le conseguenze sono lo sgretolarsi sociale, politico e psichico dell’Unione medesima.

La crisi catalana, come la Brexit, non hanno vie d’uscite ragionevoli, e sono solo i casi più evidenti di uno sgretolarsi d’Europa che coesiste con l’irrigidirsi della gabbia. Può la gabbia ingabbiare lo sgretolarsi?

Cos’è successo in Catalogna, e come andrà a finire?

La discussione si è finora concentrata sulla legalità o illegalità della secessione indipendentista, ma la legalità si giudica dal punto di vista della legittimità storica, e lo Stato Spagnolo non ha più alcuna legittimità agli occhi della maggioranza dei catalani. Né ha legittimità la monarchia borbonica, né il partito franchista di Rajoy.

Nè ha senso la questione se la Catalogna sia o no una nazione. Le nazioni non esistono, sono soltanto la proiezione dai nazionalisti, i quali creano le nazioni sulla base dell’illusione di un fondamento reale, ontologico, storico, se non addirittura spirituale della nazione, poi prendono lucciole per lanterne, e scambiano la loro proiezione per realtà. Quindi la nazione catalana esiste dal momento che i nazionalisti catalani la costruiscono nella loro immaginazione, e l’hanno formata attraverso politiche centrate soprattutto sulla lingua.

Ma queste sono questioni di lana caprina. Legalità non vuol dire niente quando una nuova soggettività emerge fuori e contro la legalità esistente. E fondare una nuova legalità sulla nazione non significa niente dal momento che la nazione non è che la proiezione di una legiferazione nazionalista.

Interessante invece è la genesi sociale e le prospettive che l’indipendentismo può produrre.

Gran Bretagna e Spagna, gli stati nazionali più antichi (insieme alla Francia) si destrutturano. Perché?

La spaccatura verticale del corpo elettorale britannico non è un evento che si risolverà nell’ambito dell’unità nazionale. Il 51% che ha votato exit e il 49% che ha votato remain non si conciliano in un futuro comune. Non si tratta più della vecchia opposizione di destra contro sinistra, fattore dinamico seppur conflittuale negli stati nazionali democratici. Si tratta di una divisione profonda tra ceti metropolitani bene o male integrati nel ciclo globale e ceti emarginati e impoveriti dalla globalizzazione.

La spaccatura che si è determinata in Spagna contrappone in modo irreversibile una parte (più della metà degli elettori catalani) allo stato nazionale. Il potere madrileno potrà anche sconfiggere gli indipendentisti, vincendo improbabilmente le elezioni del 21 dicembre, ma i catalani ora percepiscono la Spagna come una potenza occupante, così come metà dell’elettorato britannico considera l’Europa una potenza nemica.

Gli stati nazionali più antichi del continente si sfasciano, l’ordine europeo uscito dalla seconda guerra mondiale si sfascia. Perché?

Come si è potuti arrivare a questo punto?

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L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu

Fonte Pressenza.com

21.11.2017 – Redazione Italia

L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu
(Foto di Medici senza Frontiere)

“Cos’è oggi la Libia si sapeva già…”. O, ancora: “Sono cose terribili, ma in fondo già note”. E via di questo tono. E’ con dichiarazioni di questo genere che vari esponenti del Governo e del Parlamento italiano hanno reagito alla dura presa di posizione di Zeid Raad Al Hussein, il commissario Onu per i diritti umani il quale, evidenziando l’orrore dei lager libici, ha contestato la politica migratoria dell’Unione Europea, condannando in particolare l’accordo tra Roma e Tripoli per fermare gli sbarchi. “E’ disumana – ha detto testualmente Zeid Raad – la scelta Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. La conferma di questo inferno è arrivata, in quelle stesse ore,  da un reportage della Cnn che ha documentato la vendita all’asta di alcuni profughi come schiavi, esattamente nei modi che diversi richiedenti asilo sbarcati in Italia hanno raccontato negli ultimi mesi a varie Ong e operatori umanitari. Ma la reazione alle immagini sconvolgenti della Cnn da parte della politica italiana è stata sostanzialmente la stessa: “Già si sapeva…”. Ovvero, nessuna presa di distanza ma, anzi, quasi una auto-assoluzione e un ulteriore supporto alla Libia. Non a caso i principali giornali libici – ad esempio il Libya Herald o il Libyan Express – hanno titolato: “L’Italia difende la Libia contro l’Onu dall’accusa di accordo inumano sui migranti”.

Allora, “si sapeva”. Certo che si sapeva. A parte tutti i dossier e le denunce alla stampa che si susseguono da anni ad opera di Ong come Medici Senza Frontiere, Amnesty, Medici per i Diritti Umani, Human Rights Watch, sono numerosi i rapporti fatti anche da istituzioni internazionali. Qualche esempio, solo negli ultimi 12 mesi.

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Seule face à la justice après avoir été violée

par Françoise De Smedt

Victime d’un viol, Norine raconte son parcourt pour nous permettre de comprendre les barrières à surmonter pour les victimes. Un témoignage qui montre aussi que la justice dans notre pays n’est pas au service des victimes.

Norine a porté plainte au mois de décembre 2016 pour viol. Elle s’est rendue au commissariat de police à Liège où elle a été très bien accueillie.

« On m’a demandé si je voulais que ce soit un homme ou une femme qui prenne ma déposition. Donc j’ai eu une femme et elle a pris 4h30 pour faire ma déposition. Pour avoir les détails et tout ce qui était nécessaire à avoir comme informations s’il devait y avoir un procès. »

Là, on lui a aussi donné les infos pour le service d’aide aux victimes, le suivi psychologique puisque c’est aussi dans la loi. Ainsi que le numéro d’une assistante sociale de la police qui lui a dit qu’elle serait recontactée. Elle s’est rendue également au service d’aide aux victimes de Liège. « Jusque-là tout se passait plutôt bien. »

Un mois plus tard Norine n’avait toujours pas de nouvelles. « J’ai appelé une assistante sociale du parquet. Cette assistante m’a dit : “On n’a toujours pas de nouvelles, je vous resonnerai dans un mois.” Donc deux mois et demi après les faits. Le problème c’est qu’entre temps, je croisais régulièrement le garçon qui m’a violé, ici, à Liège. Ça laisse un grand flou émotionnellement et psychologiquement. Et une peur aussi, on se demande ce que va être la réaction de la personne quand elle va être au courant de la plainte. Ca a duré jusqu’au mois de juin. »

Norine apprend que l’auteur n’a toujours pas été entendu. « Un gros coup de massue… Cela faisait 7 mois et toujours pas de nouvelles. La personne n’est toujours pas entendue. Moi, je stresse en me disant elle était au courant alors qu’elle ne l’est pas. C’était insupportable. »

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À Londres, la compagnie américaine Uber en fin de course

FONTE SOLIDAIRE 
Les mobilisations anti-Uber ne datent pas d’aujourd’hui. Ici, une manifestation des taxis londoniens contre Uber le 11 juin 2014.
 

Cresce il numero di Governi che utilizzano armi digitali per manipolare l’opinione pubblica. La ricerca di Freedom House: 30 i Paesi più a rischio; Cina e Russia pioniere nell’uso di commentatori assoldati e bot politici

fonte primaonline

Nell’ultimo anno i governi di 30 nazioni hanno usato armi digitali per fare propaganda sui social network, silenziare il dissenso, orientare l’opinione pubblica e interferire nelle elezioni del proprio Paese, ma anche di Stati stranieri. L’accusa arriva dalla Ong ‘Freedom House‘, che ha evidenziato come il numero di paesi interessati dal fenomeno sia cresciuto rispetto ai 23 in cui era stato certificato nel 2016.

A spiccare nella graduatoria, tra i Paesi più colpiti, ci sono Cina e Russia, affiancate da nazioni attraversate da forti tensioni sociali e politiche, come Turchia, Venezuela e Filippine, Messico e Sudan. Commentatori prezzolati, troll, bot (cioè account automatici che inviano messaggi spacciandosi per utenti in carne e ossa), falsi siti di notizie e vari veicoli di propaganda, sono alcune dell armi utilizzate per diffondere le “fake news di Stato”.

“L’uso di commentatori assoldati e bot politici per diffondere la propaganda governativa ha avuto la Cina e la Russia come pionieri, ma ora è diventato globale”, ha osservato il presidente di Freedom House, Michael J. Abramowitz.

I governi stanno “aumentando marcatamente gli sforzi per manipolare l’informazione sui social, minando la democrazia”, si legge nel rapporto, secondo cui la disinformazione ha avuto un ruolo importante nelle elezioni in almeno 18 Paesi nell’ultimo anno, tra cui gli Usa, “danneggiando la capacità dei cittadini di scegliere i propri leader sulla base di notizie vere”. La Internet Research Agency di San Pietroburgo è al centro del Russiagate per interferenze nelle presidenziali Usa; nelle Filippine “l’esercito della tastiera” ha arruolato persone a 10 dollari al giorno per sostenere il presidente Duerte; in Turchia 6mila troll hanno fatto propaganda per il governo; in Sudan la fabbrica di bufale è direttamente all’interno dell’intelligence.

Nel periodo considerato, tra giugno 2016 e il maggio scorso, la manipolazione delle news ha interessato diverse nazioni, anche quelle non chiamate alle urne. In Europa occidentale il report segnala la presenza di fake news elettorali nei 4 Paesi esaminati: Italia, Francia, Germania e Regno Unito.

 

Tomás Hirsch: “Il cambiamento non si può costruire da soli”

fonte : Pressenza.com

18.11.2017 – Redacción Chile

Quest’articolo è disponibile anche in: IngleseSpagnoloGreco

Tomás Hirsch: “Il cambiamento non si può costruire da soli”
(Foto di Domenico Musella)

Tomás Hirsch, candidato a deputato per il Partito Umanista cileno all’interno del Frente Ámplio, spiega in questa intervista – il cui video appare più sotto – come sia possibile e necessario lavorare con altri per andare costruendo una società degna dell’essere umano, senza che questo significhi perdere un profilo umanista.

Tomás, siamo arrivati all’ultimo giorno di una lunga campagna. Il Partito Umanista ha presentato molti candidati – e speriamo che tu arrivi in Parlamento – all’interno di una realtà più amplia, che si chiama appunto Frente Amplio. Vorremmo sapere come fa il Partito Umanista cileno a lavorare sempre con altre forze politiche senza perdere il suo profilo e le sue proposte.

Qui in Cile noi umanisti siamo convinti di tre cose. La prima è che abbiamo una buona proposta, che l’Umanesimo è buono e che è importante che si sviluppi, perché abbiamo un grande contributo da dare. La seconda, molto in sintesi, è che non possiamo fare quello che vogliamo da soli, ma dobbiamo farlo con altri. Altri che hanno le stesse convinzioni e gli stessi ideali, anche se provengono da correnti diverse: dal socialismo, dal marxismo, dall’ambientalismo, dall’ecologismo, dal femminismo, dai movimenti indigeni… insomma, da molti ambiti differenti, dove c’è la gente necessaria per questa costruzione. Nessuno può farcela da solo. Non c’è via d’uscita restando da soli. Per noi questo è un tema molto profondo. E la terza cosa, simile alla seconda, è che c’è gente buona da molte parti.

Con queste tre convinzioni, da quando siamo nati come partito politico abbiamo sempre cercato di lavorare con altri. Non saremmo riusciti a uscire dalla dittatura da soli. Poi abbiamo partecipato alla Concertación e ce ne siamo andati quando ha preso un’altra direzione. Siamo stati tra i fondatori di Juntos Podemos e oggi stiamo nel Frente Amplio, che abbiamo contribuito a formare. Come si fa a non perdere profilo? Buona domanda. E’ un po’ come chiedere al millepiedi come cammina…

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La violenza di CasaPound a Ostia

di Internazionale.it

“Zecca de merda, frocio”, gli urlano quelli di CasaPound quando lo incontrano fuori da qualche locale o sull’autobus. Si muovono sempre in gruppo, sono ragazzi del quartiere militanti di estrema destra e prendono di mira quelli impegnati nei collettivi scolastici di sinistra o nelle associazioni, soprattutto i ragazzi che si occupano di senza fissa dimora o migranti.

Raffaele Biondo è alto e magro, capelli ricci, maglione a collo alto: ha 19 anni ed è stato per lungo tempo il rappresentante degli studenti del liceo scientifico Antonio Labriola di Ostia. “C’era un periodo in cui ricevevo minacce quotidianamente per la mia attività politica a scuola”, racconta. Poi il 24 maggio 2016 ha subìto un’aggressione.

“Il coordinamento degli studenti del decimo municipio aveva organizzato una manifestazione contro la mafia e contro il fascismo, la giornata della cultura, a cui avevamo invitato tutte le scuole”, racconta Biondo. Durante l’evento il Blocco studentesco, la formazione giovanile del partito di estrema destra CasaPound, si è presentata e ha protestato perché non era stata invitata.

Una lunga lista

Il giorno successivo, Biondo è stato aggredito da un ragazzo di Blocco studentesco accompagnato da altri otto militanti all’uscita da un locale di Casal Palocco. “Sono uscito verso le otto dal bistrot Ciaocore dove stavo studiando con un mio amico”, racconta. “Nel parcheggio ho incontrato otto ragazzi di Blocco studentesco e abbiamo cominciato a discutere della giornata della cultura che si era svolta il giorno prima in piazza Anco Marzio in maniera abbastanza tranquilla”.

All’improvviso uno degli studenti di Blocco studentesco “ha chiesto se ero antifascista”. Quando Biondo ha detto di sì è arrivata la replica: “Allora sei un uomo di merda”, insieme a una testata sulla bocca. “Ho cominciato a vedere tanto sangue e piegato dal dolore non ho reagito”, racconta il ragazzo, mentre l’aggressore e gli altri sono scappati. Biondo è andato al pronto soccorso dove gli hanno dato sette giorni di prognosi. Se l’è cavata con un dente rotto che ha dovuto farsi ricostruire. Ha presentato un esposto alla polizia, ma continua a ricevere minacce e insulti.

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Palestine : 50 ans d’occupation, 50 ans de lutte ouvrière

FONTE : EQUALTIME

Palestine : 50 ans d'occupation, 50 ans de lutte ouvrière

A Palestinian worker on a construction site in the city of Bethlehem, in the southern occupied West Bank, on 27 September 2017.

(Chloé Benoist)

Malgré 30 ans de sa vie passés à travailler comme menuisier en Israël, et les 17 dernières années comme agriculteur dans la partie sud de la Cisjordanie occupée, Mohammad Issa Salah, âgé de 70 ans, a toujours du mal à joindre les deux bouts.

« Ici, le coût de la vie est comme en Europe, mais les salaires sont comme en Afrique, » déclare le vieux Palestinien du village d’Al-Khader à Equal Times, s’exprimant dans le peu d’anglais dont il se souvient de l’école.

La situation de ce vieillard est loin d’être une exception : avec un quart des Palestiniens vivant sous le seuil de pauvreté et un taux de chômage comparable, les Palestiniens luttent depuis des décennies pour assurer leur subsistance et faire valoir leurs droits dans le monde du travail.

Au cours des 50 dernières années, l’occupation israélienne de la Cisjordanie, de Jérusalem-Est et de la bande de Gaza a eu un impact incontestable sur les conditions de travail des Palestiniens. Dans le même temps, les syndicats peinent à dépasser les clivages politiques pour faire avancer concrètement la protection des droits des travailleurs palestiniens.

« La terre n’est pas la seule chose qui est occupée ; c’est aussi le cas de l’économie palestinienne, » déclare Matthew Vickery, auteur d’« Employing the Enemy: The Story of Palestinian Labourers on Israeli Settlements ».

Les centaines de milliers de Palestiniens qui se sont retrouvés sous le contrôle de l’armée israélienne en 1967 sont rapidement devenus une source de main-d’œuvre ouvrière pour l’économie israélienne, accomplissant des tâches que peu d’Israéliens étaient disposés à faire, pour un coût beaucoup moins élevé et avec beaucoup moins de protections juridiques.

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MIGLIAIA DI ARMI “PERSE” DAI PEACEKEEPERS

RAPPORTO SMALL ARMS SURVEY

Fucili, pistole, mortai, mitragliatrici e lanciagranate. Sono migliaia le armi “perdute” negli ultimi 24 anni dalle tante missioni di pace che hanno operato nel continente. Lo rivela un rapporto, secondo il quale le perdite reali potrebbero essere anche molto maggiori.

di Bruna Sironi

 

La scioccante notizia emerge da una ricerca dell’organizzazione internazionale Small Arms Survey, che si occupa del monitoraggio della diffusione delle armi leggere, ed è pubblicata nel rapporto “Making a Tough Job More Difficult” (Rendere un lavoro duro ancora più difficile). Infatti le armi “perse” finiscono poi per essere usate contro i legittimi possessori e contro i civili che dovrebbero proteggere.

La ricerca si è occupata delle missioni di pace a partire dal 1993 ad oggi, dopo la fine della guerra fredda che ha di fatto determinato il proliferare dei conflitti locali e perciò delle missioni di peacekeeping, condotte dall’Onu, da altre coalizioni o organizzazioni – come l’Unione africana che opera in Somalia con l’operazione Amisom -, o miste Onu e Unione africana – come l’Unamid che lavora in Darfur -, e ancora l’Ecowas che nei paesi dell’Africa Occidentale ha agito in Sierra Leone.

I ricercatori hanno trovato che in almeno una ventina di queste operazioni si sono verificate perdite di armi. E non solo armi leggere, come fucili e pistole, ma anche armi pesanti come mortai, mitragliatrici e lanciagranate, che possono cambiare l’esito di una battaglia. Il direttore della ricerca, Eric Berman, ha dichiarato in un’intervista ad Al Jazeera che sono andate perse “migliaia di armi e milioni di cartuccere”.

La maggior parte si è verificata in missioni che hanno operato, o ancora operano, nell’Africa sub-sahariana e in particolare in Congo, Somalia, Sudan, Burundi, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Mali e nella Repubblica Centrafricana. Talvolta le perdite non erano evitabili, perché i peacekeeper sono caduti in imboscate o sono stati sopraffatti in altri modi, ma molto più spesso hanno consegnato le armi piuttosto che difendersi e rischiare di rimanere vittime in uno scontro armato.

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“Oggi l’ignoranza è chic, non conoscere Capitali e Paesi e non usare i congiuntivi pare sinonimo di originalità”. L’ironica denuncia di Emma Bonino: “l’unico scudo contro le fake news è la conoscenza”

Fonte PrimaComunicazione che ringraziamo 

 

“Pare che oggi non conoscere le Capitali europee e del mondo, confondere i Paesi, non conoscere i congiuntivi, sia considerato chic, sinonimo di originalità. Mentre usare un linguaggio minimamente corretto profuma di antico”. Esordisce così Emma Bonino, oggi a Milano dal palco della Conferenza mondiale ‘Science for Peace’, dedicata quest’anno al tema delle post-verità.

Emma Bonino

Emma Bonino

Per Bonino l’unico scudo contro le fake news è la conoscenza. “Siamo tutti chiamati a tornare a difendere un principio basilare del sistema democratico che oggi è messo in discussione: quello del conoscere per deliberare – spiega – Se conosci solo bufale, le deliberazioni non saranno brillanti o adeguate. Oggi vediamo che si crea un corto circuito dove le bufale che circolano in Rete si rinforzano, vengono rilanciate dalla carta stampata, ed entrano nel senso comune e nella politica. Ma non la politica del buon senso, piuttosto quella del senso comune che segue soluzioni semplicistiche”.

Ed ecco perché Bonino si rivolge direttamente ai ragazzi con un invito: “Fate il vostro mestiere, studiate. E sarete più resistenti alle bufale e agli imbonitori che sfruttano la paura, uno strumento di
campagna elettorale che va fortissimo”. Quella contro le post-verità è”una battaglia civile che possiamo e dobbiamo vincere. Ciascuno di noi può essere strumento. Possiamo smettere di passare il tempo su Internet fra like e post” e leggere “un buon libro, recuperare il piacere di scrivere a mano. Se studiate, voi ragazzi sarete attori protagonisti e responsabili”. (AdnKronos)

Lettera di Milagro Sala ai giudici

FONTE PRESSENZA.COM

16.11.2017 – San Salvador de Jujuy Redacción Argentina

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Lettera di Milagro Sala ai giudici

 

Ai giudici e pubblici ministeri di Jujuy:

Oggi voglio scrivere quello che già tutti voi sapete, ma che credo sia necessario dire .

Voi sapete che sono una perseguitata politica. Anche se dite pubblicamente il contrario, sapete che sono una perseguitata politica.

Sapete che il mio arresto e la successiva detenzione sono state decise dal governatore Gerardo Morales.

Sapete che le cause intentate contro di me sono state decise nel palazzo del governatore. Sapete anche che voi avete obbedito e siete stati, e siete, strumenti di persecuzione politica.

Sapete che il giudice Pullen Llermanos ha proposto più volte ai detenuti di scambiare la loro libertà per una dichiarazione contro di me. Lo sapete e sapete che Pullen Llermanos rispetta i patti. Chi testimonia contro Milagro Sala ha libertà e assoluzione, chi non accetta può aspettarsi una pena detentiva indefinita.

Sapete ogni passo giudiziario che ha luogo nelle cause viene consultato e deciso nel palazzo del governatore.

Voi, giudici e pubblici ministeri, siete quelli che chiedono e obbediscono, lasciando da parte i principi del diritto che avete studiato all’università e che avete giurato di difendere.

Sapete che la persecuzione non è solo contro di me, ma contro la mia famiglia e i compagni e le compagne della Tupac che non hanno tradito la verità né le loro convinzioni.

Sapete che la persecuzione è anche contro i miei avvocati, che sono stati puniti più volte.

Non tentate solo di metterci in galera per molti anni, volete anche distruggerci come persone e cercare di sotterrare tutto il lavoro sociale e popolare che la Tupac Amaru ha fatto.

Voi sapete, e lo so anch’io, che verrò condannata, poiché questa è la decisione di Morales e voi gli obbedite.

Sappiate anche che la storia non si ferma e che un giorno dovrete dar conto, con tutte le garanzie legali che vi spettano, di queste persecuzioni.

Sappiate, inoltre, che le differenze politiche non si risolvono con la reclusione degli avversari. Quelli che lo fanno finiscono per essere mercenari del potere politico autoritario.

Con le mie convinzioni intatte.

Milagro Sala
Prigioniera Politica.

Le peripezie del Comune – di Marco Fama

 FONTE EFFIMERA

Il tema del comune come modo di produzione è oramai entrato nel dibattito teorico neo-operaista. Il prossimo week-end a Napoli si svolgerà una tre giorni di discussione sui beni comuni al tempo della crisi tra mutualismo e autoproduzione culturale, del rapporto tra la loro gestione e l’economia della rendita e dell’austerity, diritto alla città e pratiche di autodeterminazione. Non si parlerà solo di beni comuni ma anche di “comune” in quanto ambito conflittuale di valorizzazione contemporanea. Come contributo a questo dibattito, pubblichiamo la recensione di Marco Fama al volume di  Carlo Vercellone, Francesco Brancaccio, Alfonso Giuliani e Pierluigi Vattimo: “Il comune come modo di produzione”, Ombre Corte, Verona, 2017. 

 

Per pensare a nuove forme di organizzazione della vita sociale – non rispondenti alle logiche competitive del mercato, né a quelle “mostruosamente gelide” della burocrazia statale – occorre fare ricorso alla memoria, prima ancora che all’immaginazione. Bisogna calarsi nella materialità della storia e riportare alla mente tutte le sopraffazioni su cui la nostra modernità ha edificato il proprio avvenire, sia per riuscire ad attingere dalla potenza creativa che sempre scaturisce dall’indignazione, che per iniziare a smontare l’impianto discorsivo attraverso cui l’ordine vigente continua a nutrire il tarlo della propria legittimità.

Da questo fondamentale atto di rimemorazione si dipana “Il comune come modo di produzione” (ombre corte, pp. 230), un nuovo prezioso volume – scritto a più mani da Carlo Vercellone, Francesco Brancaccio, Alfonso Giuliani e Pierluigi Vattimo – che interviene in maniera originale all’interno del dibattito sul tema dei commons.

La “tragedia dei beni comuni” viene svelata per quello che effettivamente è: una storia davvero triste, non certo per le fallaci ragioni addotte da Garrett Hardin[1], ma poiché narra della sistematica disintegrazione delle risorse, delle consuetudini e delle forme di cooperazione su cui si è a lungo retta la riproduzione delle classi subalterne.

Accantonando una volta per tutte la visione astorica e naturalistica dei commonspropugnata dall’economia neoclassica, da cui neppure la critica ostromiana[2] ha saputo smarcarsi completamente, gli autori volgono lo sguardo in direzione dei processi storici, dei rapporti di forza, delle strutture da cui, in ultima istanza, dipende la concreta possibilità di costruire forme altre di organizzazione sociale.

Da ciò, l’invito a parlare di Comune al singolare, e non già di beni comuni, emancipandoci dalle catalogazioni oziose che spesso ricorrono nella letteratura economica. Come chiarito dagli autori, “nessun bene è infatti destinato, per le sue qualità intrinseche, a diventare, ipso facto, oggetto di un modo di gestione in particolare”[3]. Ed anzi, mentre, da un lato, “nessun valore d’uso sfugge in quanto tale alla sfera della produzione mercantile e del profitto”[4], dall’altro, non vi è bene, sia esso scarso o meno, la cui gestione non possa per natura essere improntata a dei criteri, magari frutto di specifici processi di partecipazione e di condivisione, differenti da quelli imposti dalle logiche dell’angusto binomio pubblico-privato.

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Il mondo in marcia per salvare la terra

FONTE COMUNE.INFO

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di Alberto Zoratti*

C’è una conseguenza imprevista dell’Accordo di Parigi che nelle immediate vicinanze della sua approvazione non era percepibile. Al di là della sua contraddizione interna (per tenere tutti a bordo, o quasi, rimane vincolante la struttura dell’Accordo, ma i suoi contenuti non prevedono sanzioni per gli inadempienti), la nascita delle National Determined Contributions (NDCs) che inducono i Governi a proporre una propria strategia climatica da inserire nella cornice globale condivisa dalla Convenzione quadro, apre ampi spazi di azione per i movimenti e per le comunità locali. Il Governo nazionale diventa uno dei principali interlocutori in vista delle COP. Ma c’è di più, Parigi apre le porte a tutto il mondo dei cosiddetti “Non State Actors” creando le condizioni per dei processi che fino a un po’ di anni fa sarebbero stati di nicchia.

Nasce la piattaforma dei popoli indigeni e delle comunità locali, che unirà politiche di adattamento e mitigazione con le conoscenze tradizionali e le alternative che nascono sui territori. Oggi è uno spazio formale ma domani, alla Cop24 di Katowice nel 2018, potrà avere gambe istituzionali per poter incidere in modo sostanziale.

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Abbiamo fatto fuori questo Varoufakis – Toni Ferigo

fonte WORKINGCLASS.IT

Il professore è uno scrittore prolifico. Oltre a testi e saggi di economia ,analisi politiche, pubblica anche riflessioni personali : “ pensieri di un marxista immaginario”, “ l’economia insegnata a mia figlia”. L’ultima in ordine di tempo è un diario sulla sua esperienza di ministro nel confronto con le istituzioni della “troika”, EU, IMF, Banca Europea in riunioni incontri, pour parler, dichiarazioni, etc.. Incontrò anche Matteo Renzi che pensò bene, dopo le sue dimissioni,di aprire un consiglio dei ministri italiano con un poco educato, “abbiamo fatto fuori questo Varoufakis”.

Yanis Varoufakis, professore d’economia alla università del Texas ,è stato il ministro delle finanze del governo greco nella trattativa sul debito con l’UE. Sei mesi drammatici. La conclusione è nota. La UE impose alla Grecia l’accettazione delle sue condizioni riassumibili in “ più austerità “. Varufakis , messo in minoranza nella direzione del Partito Siriza si dimise. Oggi è tra i promotori di un movimento europeo DEM25.

La memoria è titolata “adulti nella stanza”. Un titolo un po’ criptico. Chi sono gli adulti e quale la stanza ? La risposta è semplice. In una sua critica a eterodossi oppositori del piano prestito greco Martine Lagarde, presidente del FMI parlò di “ ragazzini nella stanza”. Era parte dell’attacco mediatico a Varufakis e i suoi collaboratori e sostenitori. Rafforzava un immagine fatta di incompetenza, superficialità ed esibizionismo.

Con l’augurio che sia presto tradotto e pubblicato in italiano il diario politico di Varufakis si presta da subito a considerazioni che vanno al di là della cronaca dei fatti. Va collocato entro l’intera storia , lo scenario di fondo su cui si svolse la rappresentazione. Ne tentiamo una sintesi anche con l’aiuto di altre fonti. Le parti in corsivo son tratte dal libro.

Quando Varufakis divenne ministro nel Gennaio 2015 l’economia greca era in condizioni disastrose. E’ bene precisare che l’economista accademico, non era nuovo alla politica, come è stato spesso raffigurato, sino a descriverlo come un apprendista politico, intellettualoide, narcisista benestante. Era membro del parlamento greco. La sua attività in passato non era stata solo accademica ma anche politica. Nel 2010 scrisse in collaborazione con Stuard Holland , figura storica della sinistra inglese, un libretto dal titolo significativo, “modesta proposta per risolvere il problema del debito europeo”. Una impostazione ,allora considerata keynesiana , per questo discutibile dagli ortodossi del tempo. Oggi sarebbe criticata come non realistica , troppo radicale. E’ stato anche consigliere economico del primo ministro Papandreu. Ruolo da cui si dimise dopo due anni di inascoltati consigli.

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E’ uscito il numero 101 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui: 
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n101-s.pdf

In questo numero:

La verità sul sindacato e sulle tessere
di Mimmo Carrieri

Besostri: “Anche il Rosatellum è incostituzionale. Il voto non è libero, uguale e personale””
di Silvio Buzzanca

Rosatellum bis: la nuova legge elettorale. Ecco come funziona (la scheda)
di Alessio Sgherza

Intervista a Lee Carter. Il socialismo in America con Bernie Sanders
di Sara Ligutti

Buona lettura e diffondete!

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Sul SITO di PUNTO ROSSO
puoi scaricare il dibattito “Dove va il Brasile? E la sinistra brasiliana?”
con Armando Boito (Università di San Paolo) che si è svolto l’11 ottobre 2017
http://www.puntorosso.it/dibattiti.html

Gli “schiavi” della carne in protesta davanti a Fico

fonte radiofujico che ringraziamo

di Alessandro Canella
Categorie: Lavoro
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I lavoratori della Castelfrigo di Modena protestano contro i licenziamenti e le storture degli appalti davanti a Fico. Caporalato e schiavismo sono problemi anche nella filiera della carne di alta qualità. Franciosi (Flai Cgil): “Dalle istituzioni vogliamo soluzioni a problemi generati dal Jobs Act. Dalle aziende vogliamo responsabilità sociale”.

Ci sono buone ragioni se a Fico, inaugurato ieri a Bologna, la macellazione non viene riprodotta nella filiera simulata nel parco agroalimentare.
Nella “Disneyland del cibo”, infatti, troviamo campi coltivati, stalle con veri animali, laboratori dove si fa il formaggio, si macina il grano, si fa l’olio, fino alla vendita, vero cuore di Eataly World.
I maiali, però, non vengono sgozzati: non sarebbe commercialmente producente. A questo, però, si aggiungono le condizioni di vero e proprio schiavismo che si registrano nel comparto della lavorazione delle carni.

Nel primo giorno di apertura, i lavoratori della Castelfrigo di Modena hanno tenuto un presidio proprio davanti a Fico. Da tempo, infatti, è aperta una vertenza contro il licenziamento collettivo di 127 lavoratori sulla carta. “In realtà l’obiettivo delle imprese appaltatrici – spiega Umberto Franciosi, segretario della Flai Cgil dell’Emilia Romagna – è quello di liberarsi di una cinquantina di lavoratori che, dal febbraio scorso, hanno alzato la testa, rivendicando diritti, perfino la possibilità di andare in bagno, e l’applicazione del contratto”.

Il problema, come nel settore della logistica, risiede sempre nel sistema degli appalti, con cooperative spurie che sfruttano i lavoratori fino a ridurli in vera e propria schiavitù.
Turni fino a quattordici ore di lavoro al giorno, pause quasi inesistenti, movimenti ripetitivi e continuativi, al punto che dopo pochi anni i lavoratori manifestano malattia muscolo-scheletriche. A quel punto, l’azienda se ne disfa per assumere qualcun’altro.

Secondo Franciosi, queste situazioni sono state aggravate dal Jobs Act e dalle leggi dell’attuale governo: “Hanno abolito la somministrazione fraudolenta di manodopera e depenalizzato la somministrazione irregolare“.
Proprio a politici e istituzioni, che in questi giorni si sono spesi in parole di sostegno e solidarietà ai lavoratori in lotta, ora gli stessi lavoratori chiedono atti concreti, interventi che portino ad una soluzione.

Non è solo la politica ad avere responsabilità o poter portare delle soluzioni. Il senso della manifestazione davanti a Fico risiede proprio in questo aspetto.
“I lavoratori della Castelfrigo – osserva il sindacalista – producono una serie di carni semi-lavorate che sono di fondamentale importanza per le eccellenze che qui vengono vendute. Bisogna che anche chi è proprietario di quei marchi si ponga il problema della responsabilità sociale. Non basta il rispetto delle regole solo nelle loro aziendine, occorre guardare anche se all’interno della propria filiera di fornitura le regole vengono rispettate”.

In questo modo, dunque, Franciosi risponde direttamente a Oscar Farinetti, che ieri durante l’inaugurazione ha ringraziato i migranti per il loro contributo fondamentale in agricoltura.
Quegli stessi migranti che spesso vengono schiavizzati e sono vittime di caporalato. Fenomeno che la sola importante legge contro il caporalato non può risolvere. Occorre, appunto, l’impegno e la responsabilità sociale delle imprese.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD UMBERTO FRANCIOSI:

Noami Klein: La sinistra deve fare una vera rivoluzione morale

 

 

 

Diffondiamo da Il manifesto.it il testo di Noami Klein estratto dal discorso pronunciato il 26 settembre scorso alla conferenza del partito laburista di Brighton

 

La situazione là fuori è desolante. Come descrivere un mondo capovolto? Capi di stato che twittano minacce di distruzione nucleare, intere regioni sconvolte dai cambiamenti climatici, migliaia di migranti che affogano lungo le coste dell’Europa e partiti apertamente razzisti che guadagnano terreno, nel caso più recente – e allarmante – in Germania.

Faccio solo un esempio, i Caraibi e gli Stati Uniti del Sud sono nel pieno di una stagione degli uragani senza precedenti. Porto Rico è completamente senza energia elettrica, e potrebbe restarlo per mesi, il suo sistema idrico e quello di comunicazione sono gravemente compromessi. Su quell’isola, tre milioni e mezzo di cittadini americani hanno un disperato bisogno dell’aiuto del loro governo. Ma, come durante l’uragano Katrina, la cavalleria stenta ad arrivare. Donald Trump è troppo impegnato a cercare di far licenziare atleti neri, colpevoli di aver osato attirare l’attenzione sulla violenza razzista.

Per quanto sia incredibile, non è ancora stato annunciato un pacchetto federale di aiuti per Porto Rico. Secondo alcune analisi, sono già stati spesi più soldi per rendere sicuri i viaggi presidenziali a Mar-a-Lago. E se tutto questo non fosse già abbastanza, hanno anche cominciato a spuntare gli avvoltoi: la stampa economica ribolle di articoli che spiegano come l’unico modo per far tornare la luce a Porto Rico sia vendere il loro sistema energetico nazionale. Magari anche le loro strade e i loro ponti. Ho soprannominato questo fenomeno la «Dottrina dello Shock»: lo sfruttamento di crisi strazianti per approvare politiche che erodono la sfera pubblica e arricchiscono ulteriormente una ristretta èlite.

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Sea Watch, il volontario italiano: “Siamo tutti colpevoli, con i nostri soldi si finanzia la Libia”

fonte video.repubblica.it

Sea Watch, il volontario italiano: “Siamo tutti colpevoli, con i nostri soldi si finanzia la Libia”
Gennaro Giudetti è il volontario italiano che il 6 novembre scorso si trovava sulla nave della Ong tedesca Sea-Watch e che ha assistito, dopo l’incidente con la Guarda costiera libica, al naufragio in cui 5 migranti hanno perso la vita e in cui più di cinquanta persone risultano disperse. Durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati a Roma in compagnia di Giuseppe Civati, leader di Possibile e del giornalista di Vita Daniele Biella, ha raccontato la sua esperienza

Antifascismo e anticapitalismo nell’Italia di oggi. Note sul conflitto surrogato e quello vero

Ringraziamo Wu Ming 1 per questo lavoro di riflessione e di proposta di un punto di vista non banale sui fenomeni della emersione di manifestazioni fasciste o nazi sempre più frequenti. 

antifascismo

[Un’anticipazione del capitolo 6 di Predappio Toxic Waste Blues. Fa parte della terza e ultima puntata, che uscirà mercoledì 15 novembre, ma è leggibile autonomamente. Le prime due puntate sono qui. Buona lettura.]

di Wu Ming 1

È orribile doversi occupare dei fascisti, di chi li sdogana, di chi li corteggia, di chi ci beve lo spritz assieme. Si vivrebbe meglio, senza tutti costoro, senza doverne scrivere. Negli anni scorsi, in effetti, molti hanno proposto di ignorarli: non ragioniam di lor ma guarda e passa, «non abbassiamoci al loro livello», «se li contesti gli fai pubblicità» ecc. Una fallacia logica dietro l’altra, per una linea di condotta nefasta.

«Non mi abbasso al loro livello». Come i bimbi che si coprono gli occhi e credono che, così facendo, il mondo intorno scompaia. Mentre non si ragionava di lor, i fascisti suonavano il piffero e si tiravano dietro la gente. Lasciando fare i fascisti  o addirittura isolando chi li contrastava, magari ripetendo, senza capirla minimamente, una frase di Pasolini sul «fascismo degli antifascisti»  si è permesso loro di allargarsi e conquistare spazi.

Quanto alla «pubblicità», non gliel’hanno fatta i contestatori. Al contrario, contestando i fascisti si è spesso riusciti a privarli di agibilità, tribune e riflettori, a far saltare iniziative, anche a spingerli verso grottesche figure di merda. Visibilità pure quella, certo, ma non quella che si erano auspicati.

Anfitrione di neofascistiNo, a far loro pubblicità, ad amplificarne i messaggi a dismisura, a renderli glamorous è stata la televisione, sono stati i talk show. Quelli di tutte le reti, ma soprattutto quelli de La 7, che negli ultimi anni è diventata un bivacco di manipoli. Bivacco diurno e serale, ospitale e confortevole. A stendere il tappeto sono stati i conduttori criptofascisti, ma anche quelli «democratici», che hanno accolto nei loro salotti duci e ducetti dell’ultradestra, capicenturia del razzismo «civico» organizzato, führer del fascioleghismo, “dialogando” con loro, e mentre “dialogavano”, ogni loro gesto, ogni mossetta, ogni espressione diceva: «Ammiratemi, guardate come sono aperto e liberale, guardate fin dove mi spingo nel confronto democratico», e al tempo stesso: «Non cambiate canale, guardate che razza di freak vi sto mostrando, tra poco dirà qualcosa di oltraggioso, s’alzerà un polverone, stasera faccio uno share della madonna, per commentare usate il solito hashtag».

Ma col tempo i freak sembrano sempre più «normali», e i polveroni non s’alzano più ma gravano sui discorsi e non vanno via, sono perenni, come cappe di smog. Ospitare fascisti diviene consueto, la loro presenza si adagia nella sfera dell’ordinario e così anche i loro discorsi sono potenzialmente accettabili. Ovvero: criticabili, ma legittimi.

Dumini, il capo della squadraccia che uccise Giacomo Matteotti.

E no, questo lugubre spettacolo non può difendersi invocando il «diritto di cronaca», o l’«inchiesta». Se fossero esistiti i talk-show nei giorni del delitto Matteotti, avrebbero invitato Dumini e diviso gli ospiti tra pro e “contro” l’omicidio. Non è «diritto di cronaca», non è giornalismo, è (absit iniuria) teatro. E, da che mondo è mondo, quando a teatro lo spettacolo fa schifo, si lanciano i pomodori. O peggio.

Intanto, fuori da quei salotti, i camerati aggrediscono, accoltellano, talvolta uccidono. Centinaia di aggressioni negli ultimi anni, e sono solo quelle denunciate, quelle che hanno meritato perlomeno un trafiletto, un titolo di giornale locale. Storie che nei talk-show non ci arrivano, e se arrivano, passano fugacemente, in un “servizio”, poi si dà di nuovo la parola al ducetto di turno, assiso in studio, per consentirgli di svicolare, cambiare argomento, imporre la sua agenda.

Non contrastare i fascisti; lasciarli parlare; citare una frase di Voltaire che Voltaire non ha mai scritto… Una linea non solo nefasta, ma gretta, perché da privilegiati, da inabili alla solidarietà: molte persone, infatti, non possono permettersi di «ignorare» il fascismo, perché è il fascismo a non ignorarle, le va a cercare, le colpisce. Soprattutto lorovivrebbero meglio, senza i fascisti e i loro reggimoccolo.

È orribile, è schifoso doversi occupare dei fascisti. Non conosco nessuno che lo faccia volentieri. Se non ci fossero i fascisti, avremmo più tempo, più concentrazione per affrontare altre urgenze. Urgenze enormi, mondiali: lo sconvolgimento climatico già in corso, le siccità e carestie, la crisi idrica globale, l’esaurimento delle risorse, la devastazione del territorio, le guerre e gli esodi che tutto questo provocherà… Tutti disastri causati dal capitalismo, il modo di produzione più cieco, predatorio e di corto respiro che sia mai esistito sul pianeta.

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Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal Fondo Africa

FONTE  14.11.2017 ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal Fondo Africa
(Foto di Medici senza Frontiere)

Il 14 novembre 2017, per il tramite delle avvocate Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini, l’ASGI ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo del Lazio  il Decreto 4110/47 con il quale il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale ha accordato al Ministero dell’Interno un finanziamento di 2 milioni e mezzo di euro per la rimessa in efficienza di 4 motovedette, la fornitura di mezzi di ricambio e la formazione dell’equipaggio. Tutte attrezzature ed attività da destinare alle autorità libiche.

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Migranti, il Viminale a nervi scoperti: «Ong e Caritas dicono stupidaggini»

fonte ildubbio

Il capo di gabinetto del ministero Mario Morcone nega ogni responsabilità italiana nei respingimenti, poi attacca Amnesty e il Consiglio d’Europa

«Io non seguo le stupidaggini che dice Amnesty international né il responsabile dei diritti umani europeo, ancora devono trovare i manganelli elettrici che avremmo utilizzato negli hotspot e ancora mi devono dare la prova dei respingimenti di migranti in Libia da parte dell’Italia. Stiamo discutendo di un paese che sta cercando di ritrovare una sua stabilità, di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se poi mettiamo in discussione una istituzione riconosciuta dalle Nazioni unite, il discorso è diverso».

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Les syndicats britanniques prônent le désinvestissement dans les énergies fossiles

 

 

En septembre 2017, le mouvement syndical britannique a pris la décision historique de soutenir une campagne visant à mettre fin aux investissements des caisses de retraite des travailleurs dans les combustibles fossiles, ce qui représente plusieurs millions de livres sterling.

Pendant les trois jours de la conférence annuelle de la Confédération des syndicats britanniques (TUC), les militants syndicaux ont discuté des principales questions à débattre. Même si la couverture médiatique de la conférence s’est essentiellement focalisée sur le Brexit et sur la rémunération dans le secteur public, qui ont fait les gros titres récemment, les représentants des plus grands syndicats du pays ont adopté une résolution ferme sur le changement climatique.

Suite aux inondations dévastatrices survenues au Royaume-Uni et face au projet du président Trump de se retirer de l’Accord de Paris sur le climat, la résolution préconise la renationalisation du « système énergétique truqué » du Royaume-Uni et son retour sous le contrôle démocratique. Elle recommande également un grand programme d’efficacité énergétique pour les foyers britanniques et les bâtiments publics, ainsi qu’une « transition juste » pour les travailleurs concernés par les changements du secteur de l’énergie.

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Il grido di Santiago per le comunità Mapuche

FONTE  LAVOROCULTURALE

L’ultima volta che è stato visto vivo, il ventottenne Santiago Maldonado stava partecipando a una mobilitazione della comunità in resistenza di Cushamen – provincia di Chubut, Argentina.

Santiago Maldonado

«… e sì, noi siamo coscienti che se fossimo stati mapuche, invece di un giovane come Santiago, tutto questo non avrebbe avuto una ripercussione del genere. Santiago ha lanciato quel grido di cui noi avevamo bisogno. È molto triste che sia toccato a lui».

Ivana Huenelaf, attivista mapuche, commentava così, lo scorso settembre, la desaparición di Santiago Maldonado. Lei stessa, nel mese di gennaio, era stata vittima della repressione scatenata dalla gendarmeria argentina contro la comunità (Pu Lof) in resistenza di Cushamen. Insieme ad altre cinque persone, è stata trattenuta per diverse ore nel commissariato locale, ferita – dopo che i gendarmi le avevano fratturato un polso –, incappucciata e isolata dal resto del mondo. Durante il fermo, ha sentito alcuni agenti negare, alle attiviste e agli avvocati venuti a cercarla, di averla trattenuta, mentre altri gendarmi le dicevano «los vamos a hacer desaparecer»: vi faremo scomparire.

Santiago

L’ultima volta che è stato visto vivo, il ventottenne Santiago stava partecipando a una mobilitazione della comunità in resistenza di Cushamen – provincia di Chubut, Argentina – che protestava per l’arresto del proprio lonko[1] e per la minaccia di sgombero da parte delle autorità locali. La manifestazione è stata duramente repressa dalla Gendarmeria nazionale[2]e le tracce di Santiago si sono perse durante le violenze, quando un testimone ha visto che veniva costretto a salire su un veicolo dei gendarmi. Da quel momento, per 81 giorni, di lui non si è saputo più nulla, finché il suo corpo non è stato ritrovato il 18 ottobre nel Río Chibut, in una parte poco profonda del fiume già ripetutamente setacciata nelle settimane precedenti.

La gestione del caso di Santiago, su cui sono intervenute anche l’ONU e la Commissione Interamericana per i Diritti Umani, ha registrato numerose negligenze da parte dell’apparato statale argentino: dalla lentezza con cui si è investigato circa il coinvolgimento della Gendarmeria – i veicoli usati durante la repressione, ad esempio, sono stati analizzati parecchi giorni dopo i fatti, quando ormai erano già stati lavati –, all’apparente svista con cui Patricia Bullrich, Ministra della Sicurezza, ha rivelato in una conferenza stampa il nome di un testimone protetto coinvolto nell’inchiesta, che aveva denunciato come, alcuni giorni dopo la scomparsa di Santiago, qualcuno avesse risposto al telefono del giovane desaparecido. Apparenti sviste e negligenze che hanno portato anche alla ricusazione e sostituzione del giudice responsabile dell’inchiesta.

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Naomi Klein – Ada Colau: resistere alla dottrina dello shock

fonte PRESSENZA.COM

11.11.2017 – Barcellona Raquel Paricio

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Naomi Klein – Ada Colau: resistere alla dottrina dello shock

La sindaca di Barcellona Ada Colau e la scrittrice Naomi Klein sono state le protagoniste di un dibattito dal titolo: “Opporsi alle politiche della confusione e della paura: la giustizia sociale come sfida globale”. Hanno affrontato i temi più roventi del momento, riferendosi sia al processo che Barcellona sta vivendo fin dagli attentati di agosto e all’attuale barbarie politica, sia a fenomeni mondiali che evidenziano quella che Klein chiama la “dottrina dello shock”.

Entrambe scelgono il Sí, l’”empowerment” per superare lo shock. Nel caso di Colau, si tratta di un sí nato dalla base della cittadinanza, nella lotta, che corrisponde all’analisi di Klein nelle sue ultime teorie sulla resistenza davanti allo shock. Il dibattito punta a definire strategie per affrontare le politiche che mettono in pericolo i diritti dei cittadini, fa ben sperare in una possibilità di cambiamento evolutivo e si propone di generare una narrativa comune per opporsi all’indebolimento.

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Ghost Train

di Alessandra Daniele

Matteo Renzi è politicamente morto, almeno dalla disfatta referendaria dell’anno scorso.
La politica italiana però è sempre stata Zombieland, quindi il Cazzaro resiste ancora caparbiamente aggrappato al poco potere che gli è rimasto.
Renzi è la cosa peggiore che sia capitata al PD dalla sua fondazione – e ce ne vuole – eppure il PD non riesce a liberarsene.
Dopo aver schiantato il suo partito contro un muro almeno una decina di volte di seguito, ogni volta Renzi è riuscito a strisciare fuori dalle lamiere contorte per tornare a sparare le sue cazzate in Tv come se niente fosse successo.

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Marsili: “DiEM25 alla prova del voto: saremo la Podemos europea”

FONTE MICROMEGA

“Non si tratta di fondare l’ennesimo partito ma di costruire ciò che ci è sempre sfuggito: una vera forza politica europea”. Lorenzo Marsili – 32enne fondatore della ong European Alternatives – ha le idee chiare per DiEM25. Le votazioni sul sito del movimento si sono appena concluse. Il 92% ha scelto di andare avanti sul cammino elettorale. Ha vinto dunque l’opzione caldeggiata insieme al frontman Yanis Varoufakis: “Vogliamo costruire un’alleanza capace di portare una lotta senza quartiere tanto contro l’establishment quanto contro la deriva nazionalista, DiEM25 è pronta per la sfida elettorale”. segue  >>> intervista a Lorenzo Marsili di Giacomo Russo Spena

Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore

FONTE  RPROJECT

Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea-Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio di ieri 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri

“Una volta tornato a terra voglio incontrarla, ministro Marco Minniti. Io, italiano fino al midollo, voglio raccontarle quello che ho visto con i miei occhi. Come ho recuperato dal mare il corpo di un bambino di 3-4 anni annegato e poi sono stato ore a consolare la madre, come noi volontari dell’ong Sea-Watch abbiamo preso uno a uno, a braccia, 58 persone dall’acqua. E come la Guardia costiera libica lì di fronte ha agito in modo disumano, lasciando decine di persone in mare ad annegare senza lanciare salvagenti e picchiando chi non voleva essere preso da loro per non tornare in Libia e voleva invece venire sulla nostra nave, dove vedeva al sicuro i fratelli, le mogli, i padri. È stato straziante vivere tutto questo, ma conto di descriverglielo personalmente, caro ministro. E, sempre da italiano, voglio chiedere scusa alla mamma di quel bambino, a tutte le persone che stanno avendo sofferenze indicibili nel tentativo di raggiungere l’Europa”. Gennaro Giudetti, 26 anni, ha la voce ancora spezzata e non riesce a dormire e mangiare quando lo raggiungiamo al telefono: meno di 24 ore fa è stato suo malgrado protagonista, nella giornata di lunedì 6 novembre, di un dramma assurdo in mare in cui 5 persone sono state recuperate senza vita dalla nave Sea-Watch 3 “ma almeno altre 20 erano già annegate e non siamo riuscite a recuperarle perché dovevamo dare priorità a issare sul gommone di salvataggio chi era ancora vivo”. In tutto 105 sono le persone sopravvissute al naufragio, tra i 58 ora a bordo dell’ong (in procinto di sbarcare con il corpo senza vita probabilmente a Pozzallo dato che il ministero ha negato l’approdo a Lampedusa anche se molto più vicina) e le altre 47 prese dalla Guardia costiera libica e riportate indietro, alla fine di una dinamica da discesa nell’inferno che Giudetti racconta a Vita.it senza filtri e che si può capire anche dal video girato da un altro volontario di Sea Watch.

Cosa è successo esattamente in quel punto del mar Mediterraneo?

Eravamo a 30 miglia marine dalla Libia, in piene acque internazionali. L’IMRCC di Roma, la Centrale di comando della guardia costiera, ci ha detto di effettuare un salvataggio di un gommone in difficoltà, aggiungendo che sullo scenario avremmo anche trovato una nave della Marina francese con cui collaborare. Quando siamo arrivati, però, lo scenario è stato traumatico fin da subito: prima di noi e dei francesi era arrivata una nave della Guardia costiera libica, che aveva agganciato il gommone dei migranti, in quel momento bucato e quindi con decine di persone in mare, alcuni con il salvagente molti altri senza nulla. Noi abbiamo lanciato i due gommoni di salvataggio, io ero su uno di questi con altri tre dell’equipaggio, e abbiamo dovuto farci largo tra persone che erano già annegate per riuscire a raggiungere quelli che invece erano ancora in vita, per recuperarli. La situazione era abominevole: abbiamo tirato a bordo i superstiti con le braccia, faceva talmente male dopo un po’ che mi si stavano per bloccare. C’era chi per rimanere in vita si attaccava al mio collo mentre salvavo altri, sono stati momenti tanto tragici quanto rischiosi. A un certo punto ho visto un bambino che galleggiava senza vita davanti a me (è il momento in cui è stata scattata la foto d’apertura, ndr), l’ho preso con le mie mani sperando in un miracolo, ma quando l’abbiamo riportato sulla Sea Watch 3 la rianimazione non è andata a buon fine.

L’Italia è responsabile dell’azione libica nel Mediterraneo

FONTE ASGI

Quanto accaduto il 6 Novembre nel Mediterraneo centrale conferma l’idea già sostenuta dall’Asgi in tante altre occasioni: la guardia costiera libica e le autorità libiche non sono interlocutori affidabili, né tanto meno hanno la possibilità o la volontà di effettuare operazioni di ricerca e salvataggio con le attrezzature fornite dall’Italia. Essi costituiscono, invece, lo strumento cui Italia e Ue hanno appaltato le politiche di respingimento dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa.

E’ importante sottolineare che l’episodio si inserisce all’interno del coordinamento da parte del Comando Generale di Guardia Costiera italiano di una operazione di ricerca e salvataggio, evidentemente gestita senza il rispetto e le precauzioni della Convenzione di Amburgo del 1979.

Inoltre, tutti sanno che i migranti che si imbarcano in condizioni così precarie lo fanno per necessità, cercano di trovare rifugio da violenze e condizioni degradanti che subiscono in Libia e prima ancora nei loro paesi: tale circostanza è stata anche accertata recentemente dalla Corte di Assise di Milano. Ciononostante è proprio in Libia che essi sono respinti per essere nuovamente sottoposti a detenzione ed a torture, nonostante le Autorità italiane abbiano positiva e diretta conoscenza delle torture e delle violazioni dei diritti delle persone ai quali sono sottoposti i migranti nei centri di detenzione in Libia.

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Un’alternativa di umanità è possibile

FONTE  UNIMONDO.ORG

Se si dovesse trovare una colonna sonora per commentare l’ultimo libro di Riccardo Petrella, la scelta ricadrebbe su una canzone di Roger Waters, l’ex leader dei Pink Floyd, contenuta nell’album da solista del 1992 intitolato “Amused to death”. La canzone si chiama “Perfect sense”. Il senso fondamentale, appunto perfetto nella sua follia, di questa globalizzazione si esprime nel denaro e quindi nella guerra, in una religione piegata all’ideologia, in uno stile comunicativo che moltiplica la paura e la rabbia. Il pessimismo di Waters non lascia scampo, ma è ugualmente profetico: eppure eravamo nel 1992, quando le promesse della globalizzazione a guida americana avevano convinto quasi tutti.

Petrella analizza criticamente quelli che chiama i principali produttori/distruttori di senso oggi: Dio (narrato secondo i nostri interessi); il popolo e la nazione; il denaro declinato nei suoi vari aspetti, il capitale, l’impresa, il mercato, la finanza. Manca un protagonista, in grado di cambiare il paradigma. Questo “grande assente” è l’umanità. E proprio “In nome dell’umanità” si intitola il volume di Petrella.

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Violazione del diritto alla salute, al confine con la Francia – di Amelia Chiara Trombetta, Antonio G. Curotto, Gianni Giovannelli

FONTE  EFFIMERA

Da due anni alla frontiera con la Francia si concentrano centinaia di persone, bloccate per le ripetute decisioni dei governi degli Stati della UE che di fatto, in quest’ambito, negano il riconoscimento dei diritti e doveri fondanti l’Unione Europea.

Dal punto di vista normativo, per quanto riguarda lo stato italiano, l’art. 32 della Costituzione è certamente di natura precettiva e non soltanto programmatica; dunque le istituzioni della Repubblica sono vincolate da un obbligo di tutela della salute, elevata al rango giuridico di fondamentale diritto dell’individuo. Nel nostro ordinamento vengono espressamente garantite cure gratuite agli indigenti, senza preclusioni o limiti.

La salute delle persone in sosta e transito a Ventimiglia è stata invece gravemente condizionata, oltre che dalla privazione di libertà di movimento (e qualche volta anche personale) o dalla mancanza di autodeterminazione, anche e soprattutto dalle carenze igienico sanitarie nei luoghi di transito o di stazionamento in cui queste donne, questi bambini e questi uomini sono ristretti o costretti.

A partire dal 2015 diversi sono gli insediamenti informali in cui più o meno temporaneamente le persone stazionano prima di tentare di proseguire il proprio viaggio, dove, come medici volontari e solidali, abbiamo tentato, con scarsi mezzi, di visitare e di curare. Sarebbe stato un dovere delle istituzioni, ma noi ed altri solidali abbiamo tentato di supplire alle colpevoli omissioni dell’apparato pubblico, degli organi comunali e regionali, utilizzando spesso l’ascolto e l’attenzione, magari fornendo indicazioni semplici di igiene, come quella di non bere l’acqua del fiume.

Da un campo informale all’altro, durante questi due anni (2015-2017) si è passati attraverso sgomberi successivi. Stravolgendo il significato reale dell’art. 32 della Costituzione le autorità hanno concepito la tutela della salute non soccorrendo i bisognosi di aiuto (gli indigenti senza mezzi), ma rimuovendoli e cancellandoli per evitare il contatto fisico con i residenti. La deportazione risulta essere stata l’unico provvedimento di carattere igienico sanitario; in mancanza di qualsiasi pianificazione rivolta a risolvere il problema permanente e legato a oggettive circostanze storico-politiche queste misure repressive hanno comportato, invece, un’ulteriore precarizzazione delle condizioni di vita dei soggetti presenti nel territorio.

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Pastorale emiliana

di Giovanni Iozzoli

Da qualche tempo si è riacceso il conflitto nel comparto carni modenese. O meglio: riemerge la situazione di cronico malessere che cova da almeno due decenni sotto le ceneri, sbottando rabbia e mobilitazione. Quando parliamo di questo territorio – l’angolo di provincia compreso tra Castelnuovo, Castelvetro, Spilamberto, Vignola – stiamo parlando di un pezzo importante del Pil italiano, circa tre miliardi di euro, realizzati da 179 aziende, 5000 addetti, con 8 milioni di quintali all’anno di carni fresche lavorate e salumi: una macchina produttiva potente che importa dagli allevamenti del nord Europa 200 camion di suini macellati ogni giorno – la materia prima che, lavorata in loco, rifornirà tutti i grandi marchi nazionali ed esteri.

Il monoteismo del prosciutto regna sovrano, in questi luoghi; tra i miasmi degli stabilimenti aleggia un vago sentore calvinista – impresa e denaro come manifestazioni della benevolenza divina. Un maialino bronzeo troneggia nella piazza centrale di Castelnuovo Rangone – omaggio a se stessa, di una comunità sobria, laboriosa e danarosa, che vede il suino come metafora della vita.

Quello che è successo, negli ultimi vent’anni in questo comparto, è la nota accelerazione globale di mercati, merci e processi produttivi, che si è abbattuta drasticamente su un distretto che un tempo si sentiva vincente per qualità e specializzazione: concorrenza sempre più feroce, prezzi al ribasso, qualità a picco e pressione sempre più distruttiva sul lavoro vivo. Appalti, sub appalti, spezzettamenti, la filiera che si slabbra e si allunga come un verme. Migliaia di lavoratori, principalmente stranieri, collocati nei gironi via via più degradanti del lavoro in appalto, tra cooperative spurie, terziarizzazioni, consorzi fittizi creati dalle stesse imprese appaltatrici – ovviamente nei segmenti produttivi dove regnano fatica, nocività, rischio per la salute.

L’articolo prosegue alla fonte su Carmillaonline

 

Civati: Chiamiamola «Finalmente»

di Giuseppe Civati – 9 novembre 2017

E così dopo mesi molto, troppo lunghi si è arrivati alla definizione del progetto della lista per la sinistra e per la Repubblica, che unisca tutti i soggetti presenti in Parlamento e che – cosa ancora più importante – si apra alla società. Quella civile, impegnata, e quella che riguarda la vita delle persone, la loro quotidianità.

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IL VOTO DI OSTIA E QUELLO SICILIANO: ORIGINI ED EFFETTI

FONTE   MovES

 

di Franco De Iacobis – MovES

 

Il voto di Ostia e quello siciliano vengono da lontano: sparare addosso alla politica, in quanto tale, è un gioco vecchio come il mondo e sortisce almeno due effetti sicuramente graditi al Potere.

Da un lato serve ad accentuare lo scollamento tra rappresentanti e rappresentati da una parte e SOPRATTUTTO DELEGITTIMARE, metodo tanto caro al neoliberismo che proprio a questo mirava ed è riuscito a centrare bene l’obiettivo.

Politica, argomenti, tesi, antitesi, sintesi: tutto mandato in malora da qualunquisti e destrorsi, uniti nel calunniare, vessare, insultare, in un tourbillon senza fine di chiacchiere da bar che hanno la sola funzione di distogliere l’attenzione dai problemi reali.
Infatti slogan come “basta immigrazione” o “meno tasse per tutti” ricordano Antonio Albanese in una sua parodia ben riuscita del politico colluso.

Mentre le disastrose politiche sul territorio, i tagli e l’incompetenza producono effetti tragici su ambiente ed occupazione, la politica si occupa di fabbricare slogan.

Ad Ostia, l’abbassamento del livello di guardia e vigilanza democratica ha prodotto effetti paradossali: l’anomalo bubbone di CasaPound rischia di esplodere tra le mano di chi ne ha consentito l’espandersi.

In tutto ciò, alla ricerca folle di una qualunque forma di governo, le varie forme di liberismo selvaggio si esercitano al redde rationem in una guerra tra bande che lascerà per terra solo i cadaveri degli aventi diritto al voto.

Con buona pace di chi non fa dell’antifascismo una discriminante, avremo guai peggiori di quelli affrontati finora. E le stelle (anzi, gli elettori) stanno a guardare.

Il Movimento europeo: “A Barcellona”

FONTE  STRISCIAROSSA

AUTORE : Virgilio Dastoli 

Con la “detenzione provvisoria” di otto ex ministri del governo catalano decisa dal giudice Lamela si è compiuto a Barcellona l’ennesimo atto di inutile esibizionismo del nazionalismo spagnolo contro il nazionalismo catalano.

Inutile perché fra poche ore o fra pochi giorni gli ex ministri torneranno in libertà osannati come eroi da qualche centinaio di indipendentisti e inutile soprattutto perché non ricorre dal punto di vista giudiziario nessuna delle circostanze che legittimano una detenzione seppure provvisoria. Gli ex ministri, infatti, non possono reiterare il reato di secessione perché non hanno più le leve del potere; non possono inquinare le prove perché non hanno più accesso ai palazzi del governo; non c’è il rischio di fuga perché essi si sono consegnati spontaneamente alla giustizia spagnola.

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