La Sanità nelle Primarie del Nulla

fonte saluteinternazionale.info

Autore : Gavino Maciocco

Per far prosperare il welfare aziendale e le assicurazioni private è necessario mettere in ginocchio il servizio sanitario pubblico. È quello che hanno fatto i governi in questi anni. Così si manda in soffitta l’universalismo perché la popolazione – secondo la mozione di Renzi alle Primarie –  è destinata a dividersi tra coloro (i più) che devono accontentarsi di un “pavimento” pubblico sempre più basso e più povero e coloro che – tramite il mercato assicurativo – possono salire ai piani più alti.


La Leopolda del 2011 (la seconda della serie, la prima nel 2010 aveva visto il sodalizio Renzi-Civati, poi sciolto) aveva come slogan “I dinosauri non si sono estinti da soli”. L’evento che si tenne a Firenze dal 28 al 30 ottobre aveva l’ambizioso obiettivo di lanciare 100 idee innovative che avrebbero rivoluzionato la vita del nostro rattrappito paese. Non mancavano le proposte per la sanità collocate, dal 39° al 44° punto, all’interno del capitolo intitolato “Far quadrare i conti per rilanciare la crescita”.

Dopo aver letto quelle proposte scrivemmo un post dal titolo “La sanità brontosaura di Renzi, dato che c’era ben poco d’innovativo in quelle proposte, per lo più vecchie e riciclate. Ma – come ci fece notare un lettore (Franco Carnevale, medico del lavoro) in un suo commento – c’era un’altra idea (la n. 29), al di fuori del paragrafo dedicato alla sanità, questa sì innovativa e sorprendente: una gagliarda proposta liberista, la privatizzazione dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.

Va anche detto che di quelle idee (insignificanti o poco meditate) non ci sarà alcun seguito, non resterà traccia.  Le Primarie del 2013 per la Segreteria del PD furono stravinte da Matteo Renzi, che si presentò con una mozione dal titolo “Cambiare verso”, che non conteneva neppure un accenno alla sanità.  In quindici pagine di testo la parola “salute” era citata solo due volte, di cui una riferita alla salute del partito e l’altra al PIL.  Anche la parola “welfare” era usata pochissimo – due volte di sfuggita – mentre un intero paragrafo veniva dedicato al Terzo settore, con il significativo ed evocativo titolo: “Terzo settore, anzi il primo”.

Per le Primarie 2017, in programma tra pochi giorni, Matteo Renzi ha proposto una mozione molto più lunga (41 pagine), dal titolo “Avanti, insieme”, inutilmente ma volutamente prolissa, scritta per non essere letta. A differenza della mozione del 2013, questa volta a “Welfare e Salute” sono dedicate più di tre pagine (Capitolo 6). Tuttavia i lettori che cercheranno di appassionarsi alla loro lettura rimarranno delusi. Non una parola, una proposta sui temi più urgenti della sanità italiana: il peso crescente delle malattie croniche e la mancanza di interventi di prevenzione e di contrasto; i milioni di cittadini che rinunciano a curarsi; le diseguaglianze nella salute e nell’assistenza sanitaria che penalizzano soprattutto il Sud; il costo eccessivo dei farmaci innovativi e lo scandalo dei brevetti usati per speculazioni finanziarie, per lucrare sulle malattie (e sulla vita) dei pazienti. Neanche un accenno alla questione delle vaccinazioni e dei vaccini, che pure negli ultimi tempi è stato uno dei principali cavalli di battaglia di Renzi e dei renziani (soprattutto dopo la trasmissione di Report), a dimostrazione della strumentalità della polemica.

Per questo Piero Ignazi ha buone ragioni a denunciare – in un articolo su La Repubblica (dello scorso 23 aprile) dal titolo “PD, le primarie del nulla” –  lo sconcerto per “l’irrilevanza sostanziale dei temi in discussione”, arrivando alla conclusione che “l’ex-premier è rimasto padrone del campo, ma gli spettatori stanno ormai abbandonando gli spalti”.  Del resto non è possibile che la categoria degli “spettatori” progressisti possa digerire ciò che si afferma negli ultimi righi del Capitolo 6 della mozione renziana, che per comodità di esposizione suddividiamo in due parti.

“Tutto questo richiede di ripensare il welfare italiano, fare una scelta contro la categorialità e a favore dell’universalismo: tutti quanti sono in una determinata condizione di bisogno devono avere diritto a forme di protezione, indipendentemente dal fatto se siano lavoratori o lavoratrici dipendenti o autonomi, o se lavorino o meno”.

Ora è vero che Renzi aveva solo 3 anni di età quando nel 1978 il Parlamento approvava la legge 833, ma qualcuno dovrebbe ricordargli che quella legge, che istituisce il Servizio sanitario nazionale, afferma solennemente i principi dell’universalismo e del diritto alla salute (e non a generiche “forme di protezione”), così come recita l’art. 1 (tuttora in vigore):

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”.

Ma è proprio la rimozione più o meno consapevole di questo art.1 della L. 833/78 (che trae origine dall’art. 32 della Costituzione) che porta a negare l’universalismo.  Infatti – secondo la mozione di Renzi – la popolazione è destinata a dividersi tra coloro (i più) che devono accontentarsi di un “pavimento” pubblico sempre più povero e basso e coloro che – tramite il mercato assicurativo – possono salire ai piani più alti.

“Le trasformazioni dell’economia portano alla creazione di un pavimento di diritti sociali accessibili a tutti, sui quali si innestano poi diritti ulteriori, costruiti con la contribuzione, individuale o collettiva, cumulabili nel tempo, portabili tra stati occupazionali, trasferibili nelle fasi del ciclo di vita e utilizzabili per vari scopi a richiesta del cittadino (formazione, periodi di sabbatico, periodi di cura). Solo così saremo in grado di affrontare e governare i cambiamenti che ci attendono, prendendoci cura di ciascuno in base all’effettivo bisogno di protezione”.

L’idea di un secondo pilastro assicurativo, di tipo privato, si trova nel Libro Verde di Maurizio Sacconi del 2008 (IV Governo Berlusconi), ma ha acquistato una forza crescente negli ultimi anni, man mano che da una parte il servizio sanitario nazionale s’indeboliva e veniva reso sempre meno efficiente e accessibile, e dall’altra le forme alternative, private, individuali e collettive, di welfare – come le assicurazioni integrative aziendali – diventavano  sempre più appetibili mediante misure fiscali di vantaggio.

Il Pd, – scrive Ivan Cavicchi – fino a prova contraria, cioè salvo mozioni diverse, è ormaiil partito dell’anti-universalismo, delle mutue e della speculazione finanziaria”. E aggiunge “Renzi per favorire la speculazione finanziaria sta finanziando con soldi pubblici un sistema privato concorrente a quello pubblico, l’welfare aziendale, cioè un welfare sostitutivo di quello pubblico”[1].

Bibliografia

Cavicchi I. La sinistra deve fermare il Renzi-care. Il Manifesto, 31.03.2017

Nella crisi di rappresentanza casca l’asino della politica

fonte  NUOVATLANTIDE.ORG  che ringraziamo

di Alfredo Morganti – 25 aprile 2017

Il suo ghostwriter ha 27 anni. Il suo stratega 29. Il coordinatore della sua campagna appena 24. Macron è l’uomo nuovo, ed è al vertice di una cordata di collaboratori nemmeno trentenni. È bene, è male? Dite voi. Va pure detto che è un uomo senza partito, o almeno con un partito personalissimo, praticamente cucito indosso. Ha un programma molto vasto, di cui si tratterà di capire le priorità, come ha già evidenziato D’Alema. Mettere in un calderone tutto, anche cose buone, non vuol dire nulla, bisogna vedere da dove si parte. Al primo turno ha raccolto meno di un quarto dei voti. Secondo Marc Lazar, si è già trattato di voto utile, prodotto nel timore che la sua avversaria potesse prevalere da subito, anche al primo turno. Pare che sia stato votato in massima parte per il programma, a differenza degli elettori di Le Pen, che hanno scelto lei con convinzione. Macron prende voti nelle grandi città, nei territori più prosperi e coesi, tra le professioni e le eccellenze. Il suo elettorato è soprattutto di centrosinistra, ma, dice sempre Lazar, dovrà cercare voti a destra al secondo turno. Le Pen, al contrario, prende voti nei ceti popolari, nella Francia dove la crisi morde di più, nei territori più svantaggiati. Mélenchon invece ha sfondato tra i giovani di 18-24 anni, dove è stato primo. Se questa è la geografia del voto, donde tanto ottimismo?

Tant’è che lo stesso Lazar oggi su ‘Repubblica’ avanza qualche dubbio, e a ragione. Non c’entrano il fascismo e l’antifascismo, o almeno non bastano a spiegare la fenomenologia possibile del voto. Le ragioni sono altre, sociali, legate alla crisi, alle divaricazioni sociali, territoriali, al disagio diffuso, alla provincia che guarda in cagnesco i ceti urbani. Insomma, nessuno si porta da casa nulla, tanto più in una situazione di tale marasma politico. Ripetiamolo: i partiti politici cosiddetti tradizionali (ma io direi i partiti politici tout court) in Francia non sono andati al ballottaggio. Si parla esplicitamente di populismo vs europeismo-globalizzazione, non più di destra vs sinistra. E se c’era nel mondo politico un elemento di effettiva stabilità erano proprio i partiti politici e la divisione tra una destra e una sinistra ad assicurarla in massima parte. Non la legge elettorale garantiva maggioranze, ma parlamenti rappresentativi e ben funzionanti. La connessione tra istituzioni e popolo, non altro, contrastava il dissesto politico.

A forza di sparare su tutti questi elementi, nell’unico intento di offrire la strada spianata al neoliberismo e a una società individualizzata e mediatizzata, oggi la concreta rappresentanza politica e la stabilità che ne conseguiva non esistono più. È una società peggiore e meno coesa quella che abbiamo davanti. La politica non fa più 2+2: ci sono gli algoritmi più astrusi a governare il nostro destino di utenti e consumatori. E allora ditemi come potrebbe Macron dormire tra due guanciali? E come fanno a Bruxelles a sentirsi tanto sereni? Ma il punto è un altro: come potrà Macron presiedere il Paese, nel caso, con questa risicata minoranza elettorale e sociale dalla sua parte? Ed è proprio qui, nella debolezza del maggioritario in tempi di crisi come questi, nella mancanza di rappresentanza e legittimazione, e nella sciocca idea della governabilità, che casca l’asino della politica.

“Salvare persone è la nostra legge”: dal Mediterraneo Centrale, la voce di una volontaria di SOS Mediterraneé.

FONTE ADIF 

Stefano Galieni

Esponenti politici e giornalisti stanno in questi giorni dedicando ampio spazio all’operato delle Organizzazioni Umanitarie che salvano chi fugge soprattutto dalla Libia. Le Ong svolgono a nostro avviso un lavoro immenso e generoso che ha già evitato migliaia di ulteriori vittime eppure sono sottoposte ad attacchi, calunnie, insinuazioni in merito al proprio agire a volte lasciano esterrefatti. Nel frattempo c’è chi, come l’Unesco, le premia, chi, come il Papa, incontra in udienza privata coloro che si dedicano in questa maniera agli altri e chi, quotidianamente è in mare e non si lascia intimidire.

Grazie all’Ufficio Stampa di SOS Mediterraneé abbiamo intervistato una operatrice dell’organizzazione, attraverso una conferenza skype. L’abbiamo intervistata mentre era sulla nave Aquarius, in acque internazionali, per la sua seconda missione SAR (Search And Rescue). Non c’è né tempo né voglia per formalismi, ci si dà del tu immediatamente per provare a raccontare. Lei si chiama Benedetta Collini, una cadenza che è un misto di francese e italiano, una voce vivace ma precisa di chi è abituata alla sintesi che in poche parole, accenni, riesce a trasmettere immagini ed emozioni, quell’umanità del e nel mare, che spesso ritorna nel dialogo che si fa cifra etica di un impegno.

«Ora siamo a circa 20 miglia marine dalla costa libica ma durante la notte ci dobbiamo allontanare per ragioni di sicurezza. Faccio parte di un SAR Team che ha come ruolo quello di andare a cercare e soccorrere sia chi vediamo nel nostro raggio d’azione sia chi ci viene segnalato dall’MRCC (Centro Coordinamento di Soccorso Marittimo, di Roma). In caso di nostro avvistamento, contattiamo immediatamente l’MRCC e da quel momento in poi agiamo sotto il loro coordinamento fino allo sbarco delle persone recuperate in mare presso il porto che ci viene assegnato dall’MRCC stesso. A bordo dell’Aquarius per questa missione siamo in 36: 11 persone dell’equipaggio, 9 di MSF e 13 di SOS Mediterraneè. In più ci sono due giornalisti che vogliono poter vedere come operiamo. L’apertura alla stampa per noi è fondamentale, qui possono vedere ogni cosa, non abbiamo segreti. Ogni nostra missione dura 3 settimane e abbiamo, come volontari, unicamente un rimborso delle spese».

E come sei arrivata a fare questo?

«Diverse ragioni. Mi aveva già colpito la sensibilità al tema dei giornali italiani, che è migliore rispetto ad altri paesi, poi ha pesato la mia precedente esperienza marittima. In mare ho imparato che non si lascia morire nessuno. Io da oltre 15 anni faccio anche la volontaria in una scuola di vela francese come istruttrice. Avevo un assegno di ricerca all’università occupandomi di letteratura francese, ma da un anno quella fase si è chiusa e ho iniziato a lavorare nel campo della nautica e della vela. Io sono innamorata perdutamente del mare. Un amico mi ha parlato di una analoga esperienza, e SOS Méditerranée mi è parsa affidabile. Ho spedito il mio CV avvalendomi anche del fatto che da quando avevo 20 anni, per 10 anni, ho prestato servizio sulle ambulanze a Milano e mi hanno scelto. Credo sia stato anche ben considerato il fatto che sono una donna, l’equipaggio misto è migliore, funziona meglio e poi questa esperienza mi ha fatto sentire utile, forse anche per l’educazione familiare che ho ricevuto e l’esperienze con gli scout».

Il primo imbarco?

«È molto recente, sono salita a bordo il 30 marzo scorso e ho cominciato da poco la “seconda rotazione”. Mi sono ambientata subito perché c’è tanta adrenalina che ti si fissano le cose in testa e si capisce bene quelli che sono i tuoi compiti già dopo il primo soccorso. Per me il “battesimo” è stato relativamente tranquillo. Eravamo stati chiamati dall’MRCC in tempo per prepararci e le operazioni si sono svolte durante il giorno. C’erano 4 gommoni, alla giusta distanza l’uno dall’altro quindi l’impatto è stato intenso ma positivo, non traumatico. L’esperienza in ambulanza si è rivelata fondamentale anche se le differenze sono enormi. Senti gli stessi odori quelli del contatto con le persone, odore di persone che hanno paura, oltre che in precarie condizioni igieniche. Ma un conto è sentirlo addosso a una o due persone, un conto è percepirlo su centinaia di persone. Il secondo soccorso è stato più impegnativo, complicato e forte. C’era un morto, persone malate su un gommone che abbiamo incontrato di notte. Poi ne abbiamo intercettati altri, intervenendo in raccordo con altre navi di ONG in zona, sempre sotto il coordinamento dell’MRCC. Ed è stata dura ma ce l’abbiamo fatta».

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