Lelio Demichelis
Da sempre il potere vive di fake news e di post-verità, anche se un tempo si chiamavano in altro modo. Scriveva Thomas Hobbes: «vero e falso sono attributi delle parole, non delle cose». Ovvero, ciò che è vero è contenuto all’interno dello stesso discorso linguistico adottato dal potere per definire i fenomeni della realtà, che possono essere modificati, trasformati, aggirati, nascosti, mascherati. Cioè, non è vero ciò che è vero ma ciò che si dice (e si fa credere) essere vero . In questo modo, Hobbes rovescia il principio di Platone – nel mito della caverna – per il quale invece: «Vero è il discorso che dice le cose che sono come sono; quello che le dice come non sono, è falso». Entrambi usano il concetto di discorso. Ma in modi radicalmente opposti. Perché è evidente che quello usato da Hobbes sconfina nella manipolazione, o nell’ideologia e nella religione, certamente nel totalitarismo (forma moderna di stato assoluto), e oggi appunto nelle fake news e nella post-verità, che resta verità (anche se non lo è) fino a quando non si dimostra che è una falsità. Michel Foucault li definiva meccanismi di veridizione, procedimenti discorsivi utili appunto a trasformare in vero anche ciò che in realtà vero non è ma è utile a legittimare un determinato potere, come oggi quello della Silicon Valley (in ciò che è e in ciò che rappresenta – nel senso di mettere in scena se stessa). Anche la pubblicità è una forma di fake truth, utile appunto a legittimare il capitalismo (il potere).