Tutte le fandonie di Renzi e Lorenzin sulla sanità. Intervista al segretario dell’Anaao-Assomed Costantino Troise: “Il 28 a meno di fatti nuovi scenderemo in sciopero”

Recentemente nel rapporto del Censis, la spesa degli utenti nella sanità ammonta a oltre 34 miliardi. Secondo la ricerca Censis presentata a giugno 2016, liste d’attesa molto lunghe portano 10 milioni di italiani a rivolgersi soprattutto alla sanità privata e 7 milioni all’intramoenia perché non possono aspettare, mentre sono 26 milioni i cittadini che si dicono propensi ad aderire alla sanità integrativa.

Uno scenario completamente opposto a quello che Renzi e Lorenzin hanno spacciato con il varo della Legge di Bilancio 2016. La sanità non è salva, anzi. La stabilizzazione del Fondo sanitario nazionale come dato in sé non ha alcun significato. Tra le categorie che non hanno creduto al Governo c’è sicuramente quella dei medici ospedalieri. 

In questa intervista (qui) il segretario dell’Anaao-Assomed Costantino Troise dice chiaramente che senza una sterzata vera nella sanità pubblica presto sentiremo partire gli allarmi. Sullo stato della salute pubblica, ovviamente, e già se ne è avuta qualche avvisaglia, e sulla condizione dei medici, che non ce la fanno più a sopportare carichi di lavoro da catena di montaggio e un’età media che vede l’Italia agli ultimi posti nel mondo.

Raniero La Valle I VALORI SUPREMI DELLA COSTITUZIONE TRADITI DALLA RIFORMA – Settimo discorso su “La verità del referendum” tenuto il 15 novembre 2016 a Vicenza

Comitati Dossetti per la Costituzione
Raniero La Valle
I VALORI SUPREMI DELLA COSTITUZIONE TRADITI DALLA RIFORMA
Settimo discorso su “La verità del referendum” tenuto il 15 novembre 2016 a Vicenza
La Corte Costituzionale ha affermato che ci sono dei valori supremi sui quali si
fonda la Costituzione, che non possono essere sovvertiti o modificati nemmeno da
leggi di revisione costituzionale. Questi principi supremi affermati soprattutto nella
prima parte della Costituzione sono in gioco nella seconda, che ne dovrebbe garantire
l’attuazione; ma proprio questi sono ora disattesi o traditi nella riforma sottoposta al
voto popolare del 4 dicembre.

La sovranità popolare
I – Il primo principio, che sta scritto all’inizio della stessa Costituzione, è
quello della sovranità popolare. Dice l’art. 1: “la sovranità appartiene al popolo, che
la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Questo principio è il
fondamento di tutta la Costituzione. In rapporto ad esso la Costituzione sta o cade.
La statuizione di questo principio è frutto di secoli di lotte, è costata lacrime e
sangue, ed è il punto di svolta della storia dai regimi assoluti a ordinamenti di libertà.
Passare dalla condizione di sudditi a quella di sovrani, cambia infatti la vita, cambia il
destino delle persone e dei popoli.
Che la sovranità sia di uno solo, di un monarca o di tutti, è decisivo anche per
l’alternativa suprema, che è quella tra la guerra e la pace. Quando, più di un secolo fa,
nel settembre 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia per prendersi la Libia, dando
inizio a quel conflitto con l’Oriente e con l’Islam che dura ancor oggi, tutto avvenne
in segreto e come se niente fosse, col Re che era in vacanza a San Rossore, Giolitti
che se ne stava a Dronero e il Parlamento che era chiuso per ferie. Nel 1944 quando
nel radiomessaggio del sesto Natale di guerra Pio XII fece la storica scelta a favore
della democrazia disse che forse, se avessero avuto la democrazia, i popoli avrebbero
potuto impedire la guerra. Nel 1969 un popolo di sovrani in America e nel mondo
diede vita a un grandioso movimento pacifista che poi costrinse gli Stati Uniti a
ritirarsi dal Vietnam e a porre fine a quella guerra. Ciò mostra l’importanza del
principio della sovranità popolare.
Ora questo principio supremo è violato nella proposta di Costituzione
sottoposta a referendum in molteplici modi.
Prima di tutto il Senato, che continuerà ad avere vastissime competenze
legislative e politiche, non sarà più eletto dal popolo; esso sarà designato, checché
dica il documento firmato da Cuperlo, da 904 consiglieri regionali, cioè da politici
appartenenti alla nomenclatura e ai partiti che comandano nelle Regioni.
In secondo luogo la sovranità popolare è violata dalla elevatissima distorsione
del rapporto di proporzionalità tra i voti espressi dal popolo e i seggi attribuiti, a
causa della legge elettorale maggioritaria oggi vigente che trasforma in modo
ineguale i voti in seggi; si dice che sarà cambiata ma intanto la riforma si vota con
quella.
Il principio della sovranità popolare è violato inoltre dalla dissuasione dalla
partecipazione politica (un manifesto del PD prometteva, in cambio del Sì al
referendum, la diminuzione dei “politici”).
E poi c’è il fatto che una volta eletto il primo ministro con tutti i suoi deputati,
per il popolo sovrano non ci sarà più niente da fare per cinque anni, essendo
artificialmente assicurato un governo di legislatura, e dunque i cittadini perdono di
cinque anni in cinque anni il diritto sancito dall’art. 49 della Costituzione di
concorrere a determinare la politica nazionale.
Inoltre è violato il principio che la sovranità popolare si esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione, perché tra queste forme e questi limiti la Costituzione
prevede che il popolo non elegga direttamente il presidente del Consiglio, ma che
questo sia nominato dal presidente della Repubblica; invece secondo la legge
elettorale connessa alla riforma costituzionale “il capo della forza politica” che vince
le elezioni e ottiene il premio di governabilità è automaticamente, la sera stessa,
acclamato come presidente del Consiglio, anche se il presidente della Repubblica che
secondo la Costituzione lo dovrebbe nominare, sta dormendo.
Ma la lesione più grave del principio di sovranità consiste nel portare a
compimento quel passaggio della sovranità dal popolo ai mercati che da tempo ci
chiedono la Trilaterale, Gelli, la banca Morgan, l’Europa, gli ambasciatori americani:
una riforma che appunto, come oggi si dice, era attesa da trent’anni e che neanche
Berlusconi era riuscito a realizzare. Ma questo transito della sovranità dagli uomini ai
mercati, è precisamente ciò che depreca il papa quando denuncia la bancarotta di una
società in cui il denaro governa invece di servire e in cui vengono salvate le banche
ma non le persone.

Il lavoro come fondamento della Repubblica
II – Il secondo principio supremo, che figura nello stesso incipit della Costituzione, è
il principio lavorista, perché’ l’Italia è concepita come una Repubblica fondata sul
lavoro. È un principio straordinario che attua il rovesciamento cristiano del servo in
signore. Il lavoro che era la schiavitù addossata al servo, è ora riconosciuto come la
dignità stessa dell’uomo. Questo principio, insieme con l’art. 4 che riconosce il diritto
al lavoro e prescrive alla Repubblica, cioè alla politica, di renderlo effettivo, fa sì
che siano costituzionalmente obbligatorie politiche di piena occupazione.
La piena occupazione non è un’opzione facoltativa, una variabile dipendente dalle scelte
ideologiche dei governanti, è un obbligo costituzionale, è ciò che la Repubblica,
secondo la Costituzione, non può non fare.
Ma questo è impedito dall’art. 117 della nuova Costituzione che ribadisce in
modo ancora più stringente il vincolo già previsto nel testo oggi vigente, stabilendo
che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto “dei vincoli derivanti
dall’ordinamento dell’Unione Europea” (prima si parlava con minore precisione di
“comunità europea”). Ma l’ordinamento dell’Unione Europea è un ordinamento che
trasforma in regime la scelta economica neo-liberista e l’ideologia della sovranità dei
mercati. Esso tutela la competizione e la concorrenza in quello che chiama il
“mercato interno”, che sarebbe poi la stessa Europa, e all’art. 107 proibisce gli aiuti
concessi dagli Stati o il trasferimento di risorse statali alle imprese, cioè proibisce
l’intervento dello Stato nell’economia, sotto pena di una condanna da parte della
Commissione europea o di un giudizio davanti alla Corte di giustizia europea.
Ciò vuol dire, tra le altre cose, che politiche di piena occupazione, che
sarebbero costituzionalmente dovute, sono costituzionalmente proibite da questa
seconda parte della Carta che vincola la legislazione ai diktat europei.
E proprio qui c’è il punto di caduta finale della nuova Costituzione. Essa
modifica la forma di Stato, perché svuota il sistema delle autonomie restaurando il
centralismo statale; modifica la forma di governo perché trasforma il governo
parlamentare in potere monocratico elettivo di legislatura, come quello dei sindaci, e
perciò in un premierato mascherato; modifica i compiti e i fini della Repubblica,
perché come dice la relazione che accompagnava il disegno di legge di riforma
Renzi-Boschi, l’obiettivo è di adeguare la Repubblica “alle nuove esigenze della
governance europea e alle relative stringenti regole di bilancio”; e queste tre
modifiche della forma di Stato, della forma di governo e dei fini della Repubblica nel
loro insieme portano a compimento il lungo processo, cominciato già qualche
decennio fa, di trasferimento della sovranità dal popolo ai mercati.

Una democrazia parlamentare
III – Il terzo principio fondamentale che è tradito dalla riforma è quello per il quale la
nostra non è una democrazia dell’investitura, ma è una democrazia parlamentare.
Nella democrazia parlamentare l’architrave di tutto il sistema è l’istituto della fiducia,
perché è grazie alla fiducia del Parlamento che il governo può sorgere, ed è a causa
della perdita della fiducia che un governo può cadere, come è giusto che sia se un
governo, a giudizio della maggioranza parlamentare, invece del bene comune
produce un male comune.
Ma la riforma attacca e sostanzialmente distrugge l’istituto della fiducia che
non sarà più la fiducia del Parlamento, perché a metà del Parlamento, che resta
bicamerale, cioè al Senato, questo potere viene tolto; e quanto alla fiducia che resterà
nel potere della sola Camera, essa non sarà più una fiducia parlamentare, ma
un atto interno di partito, perché un solo partito, il cui segretario o il cui capo sarà il
presidente del Consiglio, grazie alla legge elettorale disporrà di 340 voti alla Camera,
sicché la fiducia sarà non il frutto di una valutazione politica, ma una atto dovuto per
disciplina di partito.
Per cui ci sarà, almeno formalmente, una democrazia, ci sarà un Parlamento,
ma non ci sarà più una democrazia parlamentare.

Il ripudio della guerra
IV – Il quarto principio supremo tradito dalla riforma è il principio pacifista, per il
quale l’Italia ripudia la guerra, ogni guerra che non sia quella corrispondente al
“sacro dovere” della difesa della Patria, inteso come popolo e territorio. Tale
principio avrebbe dovuto semmai avere maggior tutela, dopo che il Nuovo Modello
di Difesa varato nel 1991, ha spostato i confini fino ai pozzi di petrolio, alle dighe e ai
popoli del Medio Oriente e la patria è stata identificata con gli interessi economici
dell’Occidente da difendere anche militarmente in tutto il mondo globalizzato.
Invece la riforma rende più facile e mette in mano ad una sola persona la scelta
della deliberazione di guerra, dalla quale il Senato, cioè mezzo Parlamento, è proprio
quello che secondo i riformatori dovrebbe più direttamente rappresentare le
popolazioni locali, è tagliato fuori; la semplificazione che dà più estesi e più facili
poteri al presidente del Consiglio funzionerà anche per la decisione sull’impiego delle
Forze Armate e sulla guerra, e la sovranità popolare sarà completamente esclusa dalla
decisione sulla pace e sulla guerra.

Il principio internazionalista
V – Il quinto principio supremo abbandonato nella riforma è il principio
internazionalista, perché in tutte le nuove norme che riguardano la formazione e
l’attuazione delle prescrizioni dell’Unione Europea non c’è il minimo accenno ad una
intenzione riformatrice degli stessi Trattati Europei per guardare al di là dell’Europa
ai fini della costruzione di un ordine di pace e di giustizia fra le Nazioni.
Inoltre non c’è il minimo accenno a una riforma del diritto di asilo e a
un’accoglienza degli stranieri e dei migranti secondo le nuove dimensioni del
fenomeno che secondo alcune stime arriverà a coinvolgere 250 milioni di profughi, di
fuggiaschi, di rifugiati nell’anno 2050.
Né c’è il minimo accenno all’ultima discriminazione che una Costituzione
democratica dovrebbe abolire: la discriminazione della cittadinanza, la quale limita i
diritti fondamentali e l’esercizio dei diritti politici e sociali ai soli cittadini, con
l’esclusione degli stranieri. Una vera riforma del Senato sarebbe una riforma che non
ne facesse l’ultima trincea dei vecchi localismi, ma ne facesse un Senato dei popoli,
dove sedessero i rappresentanti non solo dei cittadini, ma delle persone di tutte le
nazioni, le lingue e le culture che abitano in Italia e dormono sotto il suo cielo.