Jobs Act, Garante privacy: “No a controlli invasivi”. Un altro pastrocchio del governo Renzi

 

L’appello alla chiarezza del Garante, Antonello Soro, nella relazione annuale al Parlamento. Si unisce anche la presidente Boldrini: “Mi auguro che ci sia un confronto parlamentare che faccia chiarezza”.
( da Repubblica )

E’palese che gli estensori del testo specifico del Jobs Act in materia di “controlli a distanza” dei lavoratori tramite smartphone, tablets e altri devices elettronici non hanno richiesto pareri preventivi al Garante nella fase della elaborazione, o se li hanno richiesti, non ne hanno tenuto conto.

E’verosimile pensare che altri siano stati i “suggeritori” del testo che dovrebbe tra l’altro eliminare il primo comma dell’art.4 della Legge 300/70 che è l’architrave sul quale appoggiano anche le Linee Guida del Garante della Privacy in materia di lavoro.

Nei fatti le precisazioni del ministro del Lavoro e di Palazzo Chigi per voce della ministra Boschi appaiono sempre più come maldestri tentativi di coprire in qualche maniera un testo scritto male non si sa se per insipienza o per malizia.

Le contraddizioni e le “perversioni” di questo testo sono ben descritte nell’articolo “ Jobs Act: Grande Fratello o Grande Pasticcio ? ” di Guido Scorza apparso su “il Fatto Quotidiano”

Vedremo se nelle Commissioni parlamentari vi sarà la capacità di fare uscire un testo dignitoso che tuteli la personalità e la privacy dei lavoratori dipendenti dagli abusi che con l’utilizzo improprio da parte aziendale dei dati personali che provengono da questi strumenti potrebbero verificarsi. L’attuale testo è un pastrocchio che da una parte lascia ampi spazi per abusi e dall’altra, se fosse approvato così com’è, alimenterà un’ondata di contenziosi i cui costi sono difficili da valutare.
Auspichiamo per davvero che l’attuale testo con l’abolizione del primo comma dell’art.4 della Legge 300/70 sia cassato.
In ogni caso si pone il problema del controllo sociale della “profilazione” possibile che con questi strumenti su aspetti anche privati della vita del lavoratore.
I lavoratori purtroppo sono inermi, come uomini e donne di “vetro”, trasparenti e vulnerabili, rispetto ai nuovi rischi derivanti dalla “profilazione” che può essere fatta minuto per minuto durante l’orario di lavoro e oltre il lavoro.

Occorre costruire una cultura della prevenzione in materia di violazione della privacy in relazione al lavoro che allo stato dell’arte è quasi inesistente.
Le tecnologie disponibili per la “profilazione” dei comportamenti sono sempre più sofisticate e invasive e consentono a coloro che possono raccogliere e organizzare i dati di programmare e influire sulla vita delle persone “profilate” ben oltre quanto previsto dal rapporto di lavoro formale.

Non è sufficiente che il datore di lavoro “informi” il lavoratore sulla tipologia dei controlli che l’azienda potrà effettuare tramite il device elettronico dato in uso. Bisogna che i lavoratori e i loro rappresentanti sappiano valutare queste tipologie di controllo e la loro legittimità e divengano un soggetto contrattuale attivo in grado di interagire con l’azienda per definire e limitare i controlli.

Su questa materia occorre fare crescere una capacità di contrattazione e di controllo sociale da parte dei rappresentanti dei lavoratori e prevedere un ruolo maggiore di vigilanza e di consulenza del Garante della privacy in modo che sia in grado d’intervenire laddove vengano segnalate violazioni e abusi.

Infine occorre sviluppare una cultura preventiva di base che metta in condizione il lavoratore di autotutelarsi, di non offrire un eccesso d’informazioni su di sè che possono essergli usate contro e a suo danno. Sono troppi i giovani e le ragazze che offrono un profilo di sè su facebook che diviene fattore di esclusione rispetto all’assunzione poichè i selettori di HR consultano facebook come primo step del loro lavoro….

Cosa emerge da questa vicenda ?

1) La voglia del Governo di consegnare sempre più potere alle aziende: un eccesso di zelo servile che rischia di fare pure del danno alle imprese più organizzate ed eticamente corrrette che non hanno bisogno di “profilare” e spiare di nascosto i lavoratori in quanto governano le relazioni con i lavoratori con il consenso e con la contrattazione bilanciata dei diritti e dei doveri;

2) L’inaffidabilità del Ministro del Lavoro inconsapevole della delicatezza della materia che tratta e incapace di organizzare il lavoro degli apparati del ministero che hanno prodotto questa proposta “pastrocchio” nei fatti impresentabile e per certi aspetti risibile;

3) Il ritardo del sindacato nella informazione e formazione dei lavoratori su tutta la materia della privacy in relazione allo sviluppo delle tecnologie che consentono la profilazione e sulle pratiche di autotutela dei lavoratori.

Su ognuno di questi aspetti occorre lavorare per uscire dal vicolo cieco del Jobs Act , un sistema di norme tese a svalorizzare il lavoro e a sottrarre dignità ai lavoratori.

Gino Rubini, editor di diario prevenzione

Bologna