Il decreto-legge 146 su salute e sicurezza sul lavoro è un passo falso.Sono necessarie modifiche al decreto. È necessario un intervento organico in materia

Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Salute, al Ministro del Lavoro, al Presidente della Conferenza delle Regioni.

 

Il decreto-legge 146 su salute e sicurezza sul lavoro è un passo falso.

Sono necessarie modifiche al decreto. È necessario un intervento organico in materia

 

Con il decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 il Governo intende portare alcune significative modifiche del Decreto Legislativo n. 81/2008, cosiddetto testo unico sulla sicurezza del lavoro. Un decreto emesso sulla spinta di ‘fare qualcosa’ con urgenza – spinta ben comprensibile e condivisibile – per il quale è stato verosimilmente utilizzato il ‘materiale’ sul quale gli uffici del Ministero del Lavoro stavano da tempo lavorando (1) e che a nostro avviso non convince. Non si comprende il motivo per cui il Governo abbia deciso di duplicare i soggetti che intervengono nella vigilanza anziché realizzare condizioni per permettere ai servizi di prevenzione collettiva delle aziende sanitarie di essere maggiormente operativi in termini di personale e di presenza sul territorio nazionale. La duplicazione dei soggetti che intervengono non si traduce in migliori e maggiori interventi di vigilanza, anzi, è possibile ipotizzare conflitti di competenze e/o interventi duplicati.

 

LO STATO DELLE COSE

Colpisce particolarmente che i tipi di incidenti mortali sono ancora quelle ‘antichi’, da anni 50 del secolo scorso. La stragrande maggioranza di questi incidenti erano e sono evitabili con una corretta organizzazione del lavoro, con pratiche concrete di valutazione e gestione dei rischi, con una formazione professionale mirata ai rischi specifici connessi alla mansione. La vigilanza da parte dello Stato nelle sue articolazioni è importante, ma non potrà mai sostituire il compito delle imprese nella gestione dei rischi, con il contributo di controllo e partecipazione dei lavoratori. Non vi saranno mai abbastanza ispettori per vigilare che vi sia una corretta gestione della sicurezza a livello aziendale nella miriade d’imprese e microimprese. I determinanti che spesso hanno causato l’incidente riguardano la precarietà del rapporto di lavoro, la mancata e/o inadeguata formazione alla sicurezza dei lavoratori, la debolezza contrattuale dell’impresa che fornisce prestazioni in regime di subappalto verso la stazione appaltante, l’’informalità maligna’ che regola l’organizzazione approssimativa del lavoro nelle reti dei subappalti, la sostanziale impreparazione tecnica e professionale di talune imprese pur iscritte alla Camera di Commercio.

 

Lavori instabili e scarsa regolazione nell’occupazione sono più la regola che l’eccezione. La diffusione del cosiddetto subappalto ha esploso il ventaglio delle condizioni di lavoro rendendo sovente complicata la stessa rappresentazione della condizione lavorativa. La giungla dei contratti collettivi nazionali di lavoro esistenti in Italia – ben 985 registrati a giugno dal Cnel, l’80% in più nell’arco di un decennio – riflettono un mercato del lavoro frammentato e dove proliferano accordi pirata firmati da sindacati o associazioni di impresa sconosciuti.

 

A fronte di questa ‘realtà effettuale’ il decreto-legge 146/2021 rischia di essere un passo falso perché crea una condizione di non chiarezza sul ‘chi fa che cosa’ circa l’attività di vigilanza sul rispetto delle misure di sicurezza svolte dalle istituzioni di controllo, tende a disgiungere la stessa vigilanza dalla prevenzione. Appare sostanzialmente orientato alla mera repressione ed opera uno strappo nell’ordinamento giuridico vigente. Per la prima volta dall’entrata in vigore della riforma sanitaria (legge 833/1978) si mette in crisi quella che è stata una delle innovazioni più importanti della riforma stessa, che consisteva nell’assegnare le competenze relative alla salute dei lavoratori al Servizio sanitario nazionale come una delle funzioni comprese nella promozione della salute del cittadino. La riforma sanitaria produsse in questo settore effetti positivi legati al fatto che le misure di prevenzione utili alla tutela della salute dei lavoratori potevano essere non solo individuate dai servizi pubblici, ma successivamente anche imposte con poteri dispositivi e prescrittivi (2), realizzando quindi una continuità tra prevenzione, vigilanza e repressione (vi è infatti un forte legame tra legge 833/78 che stabilisce i principi e decreto legislativo 81/2008 e D.L.vo 758/94 che forniscono gli strumenti per applicare tali principi). Certi caratteri del provvedimento DL 146 nell’attuale stesura sembrano in contrasto anche con recenti dichiarazioni del Ministro del Lavoro (3).

 

Per quanto riguarda la vigilanza, ciò che occorreva ‘con urgenza’ – insieme al certamente necessario incremento del personale dell’Ispettorato finalizzato al controllo del lavoro nero e rapporti di lavoro irregolari – era, piuttosto, porre rimedio alla situazione di abbandono nella quale i governi e le regioni hanno tenuto gli organi delle aziende sanitarie incaricati della prevenzione e della vigilanza, lasciando che gli addetti in dieci anni diminuissero del 50%, senza provvedere alle necessarie nuove assunzioni. Depauperamento che ha inciso sulla qualità delle prestazioni dei servizi territoriali di prevenzioni, con la difficoltà ad affrontare la complessità delle condizioni di lavoro e temi come quelli della salute, del disagio psicosociale, dello stress correlato al lavoro, delle malattie da lavoro. Si avverte un rischio di scivolamento burocratico verso un ruolo pressoché esclusivo di «ispettore» e non anche di «tecnico della produzione di salute», con un’attenzione orientata più alla verifica del rispetto del dettato normativo e non anche alla ricerca condivisa di soluzioni ai problemi di salute e sicurezza. Ben sappiamo che l’efficacia della prevenzione non è completamente corrispondente a quella di “numero di unità locali controllate”. Le attività di igiene ambientale (misurazione diretta degli inquinanti) sono pressoché scomparse. I tagli alle iniziative di formazione e la carenza di figure specialistiche (chimici, ingegneri, biologi, psicologi del lavoro, …) caratterizza pressoché tutte le regioni. In alcune regioni, come la Toscana, si sono intraprese anche iniziative di riorganizzazione che prevedono una separazione gestionale e programmatica (non solo dell’opportuna valorizzazione della specificità professionale) delle diverse categorie di operatori della prevenzione, invece di garantire una piena integrazione interprofessionale.

 

Nell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) non esistono oggi le competenze specifiche per esercitare le nuove funzioni che richiedono elevata e specifica professionalità, requisiti presenti negli operatori dei servizi delle ASL (Tecnici della Prevenzione, Medici del lavoro, Ingegneri, Assistenti sanitari, Chimici, Biologi, Psicologi del Lavoro,…) acquisiti attraverso specifica formazione universitaria. Nei Servizi delle ASL, inoltre, permane comunque un patrimonio scientifico e di esperienze gestionali, arricchitosi nel corso di decenni di attività, volto alla soluzione dei problemi e non solo alla ricerca dei reati. Si è adottato un provvedimento ‘con urgenza’ i cui effetti non si vedranno, ad essere ottimisti, che tra qualche anno: giusto il tempo per bandire e concludere i concorsi per le assunzioni del personale all’ispettorato (oggi drammaticamente insufficiente anche solo per i controlli sul lavoro nero o sulle violazioni del rapporto di lavoro), avviare i neoassunti alla necessaria formazione in materia di vigilanza e far acquisire loro quel minimo bagaglio di esperienza che garantisca qualche risultato sul fronte della sicurezza per i lavoratori.

 

Il ‘doppio binario’ della vigilanza crea confusione. Con l’individuazione di due organi, entrambi deputati alla vigilanza su salute e sicurezza sulla totalità dei comparti, si è anche disattesa una delle indicazioni del Senior Labour Inspectors Committee (SLIC), rappresentate nel Report on The Evaluation of The Italian Labour Inspection System (4). In un recente contributo sulla necessità di incremento numerico delle ispezioni, ma effettuate in modo più mirato, si discute, anche con confronti internazionali, l’affermazione che “è tempo di ripensare all’idea di un unico Ispettorato nazionale del lavoro, il cui fallimento era stato preannunciato” (5).

 

LE COSE NECESSARIE

La necessità di avere un coordinamento e un indirizzo nazionale del tema salute e sicurezza sul lavoro, di un controllo della coerenza tra principi e modelli organizzativi regionali, obiettivamente da molto tempo carente in sanità pubblica (6), è indubbia (ad es., risulta che dal 2018 non viene prodotta una relazione organica sull’attività svolta da questi servizi nelle diverse regioni, che, pure, hanno operato dando un contributo importante anche nel fronteggiare la pandemia).

È chiaro, inoltre, che per incidere sul fenomeno degli incidenti mortali occorre una iniziativa su diversi piani, dalla regolarità del lavoro, alle regole sugli appalti, ecc. La vigilanza in materia di sicurezza degli Enti preposti è solo uno degli strumenti, importante, ma non sufficiente.

 

Di seguito avanziamo alcune indicazioni, che potrebbero essere attivate anche a legislazione corrente, frutto di tante esperienze e ricerche, ma che finora non hanno trovato corrispondenza in decisioni politico programmatiche.

 

  • Posto che è quanto mai opportuno rafforzare il numero degli ispettori dell’INL (come effettivamente propone il decreto 146) per rafforzare la vigilanza sui rapporti di lavoro, la cui irregolarità è concausa degli infortuni e delle malattie professionali, è indispensabile rafforzare gli organici dei Servizi di Prevenzione Collettiva delle ASL stanziando apposite risorse nella Manovra di bilancio attualmente in discussione in Parlamento, controllandone (da parte del Ministero della Salute) l’effettivo utilizzo da parte delle Regioni e delle ASL (gli addetti ai Servizi di Prevenzione delle ASL sono passati da 5.060 operatori nel 2008 a 3.246 nel 2018). Necessario, inoltre, definire degli standard di personale per i Servizi delle ASL in modo da garantire omogeneità delle strutture territoriali e assicurare loro la formazione necessaria, alla luce delle importanti modifiche del tessuto produttivo.
  • È indispensabile rafforzare il ruolo del Comitato ex art. 5 D.Lgs. 81/08 dotandolo di poteri decisionali e di adeguate risorse. Nella nota una proposta di modifica dello stesso articolo (7). Il Comitato deve relazionare periodicamente e pubblicamente l’efficienza e l’efficacia dei programmi di prevenzione attuati in relazione al Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) e ai Livelli essenziali di assistenza (LEA). Raccolta e diffusione linee guida, buone prassi e iniziative di prevenzione meritevoli di estensione ed incremento degli interventi di prevenzione nelle piccole imprese, cooperative, lavoratori autonomi, sviluppando attività di assistenza. Dare nuovo impulso (in attuazione del Piano Naz Prevenzione) alla prevenzione delle malattie da lavoro, in particolar modo per quelle di tipo cronico-degenerative, con interventi di igiene industriale mirati alla riduzione dell’esposizione ad agenti chimici, cancerogeni e mutageni. A questo stesso livello si deve effettivamente attuare un efficace coordinamento delle strategie e attività tra INL e Regioni/ASL. Analoghe considerazioni possono essere fatte per il livello regionale e provinciale, assicurando la collaborazione delle forze sociali.
  • all’interno del Ministero della Salute devono essere rafforzate/costituite le funzioni relative al governo della prevenzione nei luoghi di lavoro, con compiti di indirizzo e verifica delle attività svolte dalle varie strutture e delle risorse impegnate.
  • un sistema di registrazione nazionale di infortuni, malattie da lavoro e rischi indipendente da finalità assicurative, che costituisca strumento per l’analisi del fenomeno e la programmazione e fonte ufficiale di comunicazione periodica dei dati da parte del Ministero della Salute e degli Assessorati Regionali (anche questo punto è effettivamente trattato anche nel DL 146).
  • Rafforzamento della rete degli RLS

 

Queste proposte ed altri suggerimenti erano già stati indicati nella nota della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione inviata il 27 maggio 2021 al Presidente del Consiglio, ai Ministri della Salute e del Lavoro e al Presidente della Conferenza delle Regioni.

 

Un intervento legislativo più consistente e organico di aggiornamento del d.lgs. n. 81/2008 (mancano anche circa 20 provvedimenti di attuazione del DLgs 81!) è comunque necessario. Riportiamo alcuni punti che reiteriamo fondamentali:

  • adozione di un sistema di qualificazione delle imprese (andando oltre il mero modello della patente a punti, non applicabile a tutti i settori come per l’edilizia e che interviene a posteriori dopo infortunio e/o sanzione), considerato l’aumento esponenziale del lavoro in appalto e del numero rilevante di infortuni che si verificano nello svolgimento delle mansioni svolte nell’ambito di tali contratti.
  • riforma della formazione. Non esaurendosi solo sulla revisione dei programmi (almeno riferiti alla figura dell’RSPP/ASPP, ruolo di necessaria trasformazione) e sul sistema di accreditamento degli enti erogatori sul territorio, ma in particolare sull’introduzione dell’obbligo nei riguardi dei datori di lavoro e nei programmi scolastici, fin dai primi anni dell’istruzione
  • un rafforzamento e qualificazione delle figure del Responsabile Sevizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e del medico competente, nella loro autonomia professionale e nel loro rapporto con le strutture pubbliche.
  • un potenziamento delle funzioni svolte dell’ex Istituto Superiore di Prevenzione e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro (ISPESL), attualmente accorpate all’INAIL, con l’ipotesi di un loro inserimento nell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

 

MODIFICARE IL 146

Parallelamente a queste indicazioni di fondo, la fase di conversione in legge del 146 offre la possibilità di poter intervenire sul testo. A questo riguardo concordiamo sostanzialmente con le osservazioni espresse dal Coordinamento Tecnico delle Regioni – Area Prevenzione e Sanità Pubblica (Parere sullo schema di disegno di legge di conversione del decreto-legge 21 ottobre 2021, n.146. Proposta di emendamenti). In particolare, riteniamo corretta e utile la proposta di abrogazione della duplicazione della competenza ispettiva. L’ottimizzazione dell’azione di vigilanza si può realizzare con il rispetto delle competenze concorrenti di cui all’articolo 117 della Costituzione, nonché di quanto disposto dalla legge 833/78. Nella stessa nota del Coordinamento tecnico delle Regioni, infatti si osserva che “L’azione di vigilanza avrebbe potuto ricevere ulteriore (e facile) impulso rafforzando le ASL e non già affiancando l’INL, Ente che, considerati i profili professionali del personale che lo sostanzia (legali, amministrativi), possiede abilità per i soli controlli formali (e non sostanziali) che si tradurranno in un mero intervento repressivo a danno (anche economico) alle imprese, peraltro in una fase in cui – superata auspicabilmente l’emergenza pandemica – l’impegno del Paese è supportare la ripresa”. E, ancora: “la presenza di un secondo organo di vigilanza costituisce essenzialmente elemento di forte criticità dell’azione di coordinamento che il nuovo art. 13 comma 4 DLgs 81/08, per il solo livello provinciale, pone in capo sia alle ASL che all’Ispettorato (“A livello provinciale, nell’ambito della programmazione regionale realizzata ai sensi dell’articolo 7, le Aziende Sanitarie Locali e l’Ispettorato nazionale del lavoro promuove e coordina sul piano operativo l’attività di vigilanza esercitata da tutti gli organi di cui al presente articolo. …” ).

 

CONCLUSIONI

Il proposto DL 146 manca di una più approfondita valutazione della causalità sociali del fenomeno delle malattie da lavoro e degli infortuni. Risulta non considerare adeguatamente alcuni elementi strategici, di ordine culturale e politico, della legislazione fondamentale in materia, nonché di recenti raccomandazioni di derivazione europea. Nella NADEF (Nota di aggiornamento al doc di economia e finanza 2021) sono previsti una serie di impegni e riforme specifiche tra le quali quello di un ‘DDL per l’aggiornamento e il riordino della disciplina in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro’. Per le considerazioni svolte in questa nota lo stesso decreto non può certo assolvere questo impegno.

 

Sul tema salute e sicurezza del lavoro si giocano i caratteri fondanti della dignità delle persone che lavorano e, più in generale, del grado di incivilimento di un paese. I soggetti collettivi devono riaprire una discussione, un confronto con i lavoratori, i servizi pubblici, le istituzioni, per definire una nuova politica, un complesso ‘organico’ di provvedimenti, per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Alla base ci deve essere piena consapevolezza dalla ‘realtà effettuale’ dell’Italia, caratterizzata così fortemente dalla prevalenza della microimpresa, dalla massiccia estensione del subappalto e del lavoro precario e nero, che rendono più impegnativa la costruzione di veri sistemi aziendali di gestione del rischio. Questo rende particolarmente forte il bisogno di ‘assistenza’ e ‘formazione’ e la necessità di un rinnovato controllo delle insopportabili inappropriatezze mercatiste delle consulenze private in questo campo, insieme, naturalmente, alla irrinunciabile deterrenza della vigilanza e repressione dei reati. I provvedimenti parziali e contingenti dovrebbero essere coerenti con questa visione.

 

Susanna Cantoni, già direttore Dipartimento Prevenzione ATS Città Metropolitana Milano

Beniamino Deidda, già Procuratore Generale Firenze, componente comitato direttivo Scuola Superiore della Magistratura

Mauro Valiani, già direttore Dipartimento Prevenzione ASL Empoli

Massimo Bartalini, Tecnico della Prevenzione Siena

Stefano Fusi, Tecnico della Prevenzione Firenze

Giuseppe Petrioli, già direttore Dipartimento Prevenzione ASL Firenze e componente Commissione Interpelli

Gino Rubini, editor blog Diario della Prevenzione, già sindacalista CGIL

Carla Poli, Tecnico della Prevenzione ASL Toscanacentro

Stefano Silvestri, igienista del lavoro, collaboratore Università del Piemonte orientale

Fulvio Cavariani, già direttore Centro Regionale Amianto Regione Lazio

Eugenio Ariano, già Direttore Dipartimento Prevenzione ASL Lodi

Lalla Bodini, medico del lavoro Milano

Ettore Brunelli, medico del lavoro Brescia

Daniele Gamberale, già direttore Dipartimento Prevenzione ASL Roma 1

Bruno Pesenti, già Direttore Dipartimento Prevenzione ATS Bergamo

Giuliano Tagliavento, già Direttore Direzione Tecnica Prevenzione Collettiva ASUR Marche

Dusca Bartoli, medico del lavoro Empoli

Giuliano Angotzi, già Direttore Dipartimento Prevenzione ASL Viareggio

Teresa Vetrugno Medico del lavoro ex RSPP in Azienda Sanitaria

Rodolfo Amati Medico del Lavoro già Responsabile Spisll Ausl 9 Grosseto

Danilo Zuccherelli già Direttore del Dipartimento di Prevenzione USL 6 Livorno

Francesco Loi già Responsabile Dipartimento di Prevenzione ex Azienda USL 7 Siena

Andrea Innocenti già Responsabile PISSL USL Toscana centro (Pistoia)

Lucia Bramanti Responsabile Servizio di prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro AUSL Toscana nord-ovest zona Versilia

Raffaele Faillace già Responsabile per la regione Toscana dei servizi di prevenzione e direttore generale di varie ASL

Augusto Quercia Direttore Dipartimento di prevenzione ASL VT e Direttore UOC PRESAL ASL VT

Sandro Celli Dirigente Professioni Sanitarie della Prevenzione

Tiziana Vai medico del lavoro UOC PSAL ATS Milano città Metropolitana

Donatella Talini medico del lavoro presso Azienda USL Toscana Nordovest

Giovanni Pianosi medico del lavoro

Stefania Villarini Responsabile U.O.S. PRESAL Distretto A AUSL Dott.ssa Stefania

Leopoldo Magelli , medico del lavoro, già responsabile SPSAL di Bologna e primo presidente SNOP

Fulvio Ferri medico del Lavoro Reggio Emilia

Graziano Maranelli Trento

 

 

Scarica il documento integrale da cui è tratto l’articolo:

“ Il decreto-legge 146 su salute e sicurezza sul lavoro è un passo falso”, lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Salute, al Ministro del Lavoro, al Presidente della Conferenza delle Regioni (formato PDF, 235 kB).

 

Scarica la normativa di riferimento:

Decreto-Legge 21 ottobre 2021, n. 146 – Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili.

 

In Ungheria, la deregolamentazione degli straordinari scatena una protesta sociale

FONTE EQUALTIMES.ORG

” Tutti gridiamo insieme,” non saremo schiavi! ” ” Non abbiamo paura di dirglielo, non saremo schiavi!” “. freddo polare, ma ambiente caldo, Sabato 5 gennaio, a Budapest, capitale ungherese, dove una grande parata corteo di circa 10.000 persone, da Piazza degli Eroi al parlamento neogotico monumentale si affaccia sul Danubio. Per la terza volta da metà dicembre, i sindacati, i partiti politici e le organizzazioni civili che dimostra in attacchino insieme contro il governo nazionalista del primo ministro Viktor Orbán al comando d’Ungheria dal 2010.

” Andiamo in fabbrica, loro al castello “. Questo slogan scritto su un cartello brandito nella processione è esplicito: la folla protesta sia contro una legge di ” flessibilizzazione ” straordinarie che contro il crescente autoritarismo del potere. Dopo una terza vittoria consecutiva alle elezioni legislative dell’aprile 2018, è stato in grado di rinnovare la ” super maggioranza ” dei due terzi che gli ha permesso di governare senza ostacoli dal 2010 e di rilanciare il suo controverso disegno di legge al quale aveva rinunciato un anno e mezzo fa sotto la pressione sindacale.

Leggi tutto

Canada: la rete per i diritti dei migranti mira a unire migranti e lavoratori

Pubblicato il 3 gennaio 2019
Di Zaid Noorsumar

Fonte : Rankandfile.ca

Trentacinque organizzazioni in tutto il Canada si sono coalizzate per formare la rete per i diritti dei migranti il 18 dicembre, la Giornata internazionale dei migranti. L’alleanza mira a lottare per i diritti dei migranti e combattere l’ondata crescente di razzismo nel paese.

Unifor, Migrant Centre Resource Center Canada e No One is Illegal sono tra i membri della coalizione, che è composta prevalentemente da gruppi per i diritti dei migranti e organizzazioni sindacali.

Una piattaforma antirazzista e “educazione popolare”
Syed Hussan, coordinatore della Migrant Network Alliance for Change, ha detto che la rete lancerà una piattaforma in vista delle elezioni federali del 2019 sui principi dell’anticapitalismo, dell’antirazzismo e della giustizia dei migranti.

“Daremo un messaggio chiaro, coerente, forte ai partiti politici che non permetteremo loro di manipolare ulteriormente e dividerli come un modo per ottenere voti”, ha detto Hussan, citando il tono sempre più nativista del partito conservatore e l’estrema destra

Leggi tutto

Il Nord che cambia, un’inchiesta operaia fresca di stampa

Fonte: Sbilanciamoci

“Ma come fanno gli operai” è il titolo del libro di Loris Campetti risultato di una lunga inchiesta operaia nelle fabbriche e nei cantieri del Nord Italia. Ne esce una imprescindibile radiografia dei rapporti con i sindacati, la rappresentanza, gli immigrati.

Loris Campetti ci porta in giro per l’Italia del Nord a colloquio con venti o trenta dei suoi amici e delle sue amiche. Sono tutti operai, tanto che il titolo del viaggio è “Ma come fanno gli operai”. L’editore del libro, Manni, riassume così: “Precarietà, solitudine, sfruttamento/ Reportage da una classe fantasma”.

Loris ha di certo un’ invidiabile capacità di mettere a proprio agio le persone; le fa parlare, si confidano con lui, sono convinte che lui capisca i loro problemi e sappia spiegarli: dunque, da Torino al Varesotto, dalle valli di Brescia alla Bergamasca, dal Veneto al mare di Trieste impariamo a conoscere i lavori e la speranze della classe fantasma. Le persone che ci raccontano della loro vita sono per lo più inserite nella produzione metalmeccanica, tranne gli occhialai del bellunese che lavorano naturalmente al “miracolo” Luxottica oltre ai “ragazzi” della gig economy e la gente delle cooperative, dalle parti di Reggio Emilia.

Leggi tutto

Difficile da digerire, il lavoro duro dei riders bolognesi

Fonte FiomNotizieBologna

 

 

E’ una serata qualsiasi al circolo Arci RitmoLento.  Sono le dieci e mezza e le attività del circolo sono finite. La maggior parte dei frequentatori inizia ad andare verso il letto. Non è raro che vi siano serate in cui il RitmoLento si riempa di riders. Ma chi sono i riders? I riders sono i tradizionali fattorini inquadrati nel nuovo settore del “food-delivery” (consegna del cibo). Quando termina il turno capita che si riuniscano per conoscersi e confrontarsi.

Dall’autunno scorso i riders della città hanno cominciato a incontrarsi periodicamente e organizzarsi sotto il nome di Riders Union Bologna. L’obiettivo? Rivendicare condizioni contrattuali migliori, ottenere diritti e tutele oggi assenti, divenire un punto di riferimento e di mutuo aiuto per i fattorini della gig economy. L’ultima iniziativa è stata lo sciopero inter-piattaforma di venerdì 23 febbraio, mentre era in corso una pesante nevicata. Nemmeno il freddo e il gelo sono riusciti a impedire il corteo in bicicletta per le vie del centro.

Per comprendere bene in quale contesto si inserisca questo sciopero, quali siano le condizioni dei lavoratori del food delivery e la situazione bolognese, è però necessario fare qualche passo indietro. Fin dall’ inizio del 2016 il settore del food delivery a Bologna era interamente occupato da un’unica piattaforma online che copriva la stragrande maggioranza dei ristoratori bolognesi, PizzaBo, e la cui unica funzione era quella di offrire uno spazio virtuale di incontro tra domanda e offerta. Ogni pizzeria gestiva la consegna degli ordini autonomamente, tramite i propri fattorini. Nel 2016 PizzaBo è stata venduta a Justeat, un colosso mondiale del food delivery. Da quel momento abbiamo assistito a una progressiva invasione di altre compagnie internazionali del settore; una invasione che si è accompagnata a una proliferazione di ristoranti e pizzerie, tanto che Bologna è ormai definita “city of food”(città del cibo).

Leggi tutto

Ma come fanno gli operai

di Mauro Chiodarelli

 

Se vuoi ancora sentire parlare i lavoratori, operai e non, devi aspettare un libro Loris Campetti. Implacabile, ci ricorda che esistono che stanno sempre peggio e sono sempre più soli. Solitudine causata da un sistema politico ed anche sindacale, che non solo non li tutela o non è più in grado di farlo, ma che spesso “volutamente” non li vede o non li vuole vedere.

Nel suo nuovo libro, Ma come fanno gli operai (Manni editore), si intrecciano diverse storie, dalla Luxottica, alla Fincantieri, ai “pedalatori” di Foodora, alle coop reggiane miseramente fallite in mano ai “bocconiani”, ed altre ancora.

Non c’è lieto fine, non c’è all’orizzonte il sol dell’avvenire, ma il senso forte di una resistenza e di una lotta quotidiana individuale che vuole sopravvivere alla fine della lotta di classe. Attraverso le parole e le esperienze dei lavoratori, operai e non, vecchi e giovani, “tutelati” e “atipici” (ma chi lo avrà inventato questo termine idiota, come se la fatica avesse sfumature diverse) comprendi il perché di una disfatta frutto di anni di incapacità elaborazione e di ripensamento di strategie sia politiche che sindacali.

E se le elezioni di marzo saranno l’ennesima disfatta anche oltre il PD, anche di chi si dice collocato alla sua sinistra, grumi di ex intenti a pararsi il culo che sanno dare il meglio nella guerra per le candidature, o di rivoluzionari elettorali, senza rivoluzione e popolo al seguito, in quelle pagine puoi capirne il motivo. (Non me ne vogliate ma alla fine uno si stufa del niente che avanza)

Se ancora cercate un senso all’essere non di sinistra, che ormai ha assunto un significato negativo, ma all’essere comunisti o socialisti o semplicemente riformisti (nel senso alto indicatoci da Federico Caffè), non potete non leggerlo e perdervi l’occasione di discuterne direttamente con Loris.

Lo potrete incontrare a Bologna, il 23 febbraio al Centro Costa di Via Azzo Gardino, alle ore 18.30, in una serata organizzata dall’Associazione il manifesto in rete e dalla Fondazione Sabattini, a cui hanno assicurato la presenza Gianni Rinaldini e Michele Bulgarelli, Segretario provinciale Fiom.

Castelfrigo, il distretto delle carni: finte coop, stranieri sotto ricatto

FONTE   ILMANIFESTOBOLOGNA

di Giulia Zaccariello

Lavorare per 10, 12 ore, a volte addirittura 14. In un solo giorno. Con pause per il bagno conquistate con fatica, quasi fosse una concessione, mentre quintali di carne scorrono veloci sul nastro: i ritmi impongono a ciascun operaio di pulire decine, anche centinaia di pezzi. Sono questi i racconti che fanno da sfondo alla protesta degli ormai ex-operai in appalto della Castelfrigo, azienda di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, dove si sezionano parti di maiali, in particolare pancette e gole.

Qui i lavoratori lasciati a casa nell’autunno del 2017 dalle coop Work Service e Ilia D.A (a cui la Castelfrigo aveva dato in appalto i servizi di logistica) hanno superato il 90esimo giorno di sciopero. E da oltre un mese stanno vivendo, giorno e notte, davanti allo stabilimento, nelle tende montate dalla Flai-Cgil, dandosi il cambio per il presidio notturno e combattendo il freddo umido che punge la pianura, allungando le mani su una sorta di bidone stufa, utile anche per scaldare il cibo.

Leggi tutto

Brazil: another rural worker and rights defender murdered

FONTE IUF.ORG

18 January 2018 News

Printer-friendly version

Resplandes

 

The toll of violence against rural workers, peasants and all those defending human rights, the struggle for land and the rights of indigenous peoples in Brazil continues to rise. On January 9, rural worker and land reform militant Valdemir Resplandes was murdered by gunmen in Anapu, the city in the state of Pará where American activist nun Dorothy Stang was murdered in 2005.

Brazil’s bancada ruralista, the powerful agribusiness lobby whose votes in Congress help sustain President Temer, has aggressively pursued its agenda aimed at rolling back land rights and legal protections for small farmers and indigenous communities to feed their expanding appetites. Impunity protects the perpetrators of violence.

In September 2017, following the murders of Terezinha Rios Pedrosa and her husband Aloísio da Silva Lara, rural worker, peasant and cooperative leaders in the state of Mato Grosso, the IUF Latin American regional secretariat addressed a letter to the Brazilian authorities, asking how long union and peasant leaders and those defending the environment would continue to be murdered with impunity. There was no reply.

By the end of October 2017, the Catholic Church’s Pastoral Land Commission had already recorded 63 targeted rural assassinations – higher than any year since 2003.

L’EMERGENZA DELLA MISERIA E LA MISERIA DELLA POLITICA

 

di Ivana FABRIS – Coordinatrice Nazionale Responsabile Movimento Essere Sinistra MovES

 

La miseria continua a crescere nel nostro paese.
La Caritas denuncia che solo a Roma i nuovi poveri sono 16.000, ALTRE 16.000 persone finite in strada.

Tra questi, anziani e bambini e tanti bambini con disabilità e ad essere colpito è soprattutto quel ceto medio composto da diplomati che mai avrebbe pensato solo pochi anni fa di subire questa sorte.

Persone assolutamente inserite nel tessuto sociale che sono finite così, in particolar modo per la perdita dell’occupazione.
Gli anziani a rischio, sempre solo a Roma, sono 1 su 3.
Per non parlare del precariato che equivale a vivere sulla porta della miseria assoluta.

Il dato più agghiacciante è quello dell’emergenza abitativa, una piaga cancrenosa che ha colpito tutta Italia ma che particolarmente a Roma è drammatica.
Sono circa 30.000 le famiglie coinvolte.
A Roma gli sfratti sono di circa 7-8000 l’anno.
Le richieste di casa popolare, circa 10.000.
L’offerta circa 1000.

 

Ma la miseria di chi è diventato povero è unicamente riconducibile alla miseria di un sistema politico che, pur definendosi di sinistra anticapitalista e antiliberista, continua e continuerà a NON farsi carico del problema.

 
Anche questa è di fatto un’emergenza, viste le condizioni del paese.
La miseria della classe politica rappresenta perciò l’altra faccia della medagli dell’emergenza.

Leggi tutto

Né generazione Erasmus, né fuga dei cervelli: cosa ci dicono le migrazioni interne in Europa?

fonte dinamopress 

Le favole sulle migrazioni interne all’Ue diffuse dalla stampa, nascondono la realtà di un fenomeno epocale: la costituzione di un mercato del lavoro europeo fatto di sfruttamento e razzializzazione contro cui si scontra il desiderio politico della fuga

Le favole sulle migrazioni interne all’Ue diffuse dalla stampa, nascondono la realtà di un fenomeno epocale: la costituzione di un mercato del lavoro europeo fatto di sfruttamento e razializzazione contro cui si scontra il desiderio politico della fuga. Nei primi anni Duemila, quando ancora i radar statistici faticavano a intercettare i partenti, si parlava dei migranti italiani come Generazione Erasmus; dopo il 2008 con la crisi strutturale del sistema universitario il tema è diventato la Fuga dei Cervelli. Siamo passati nel giro di un decennio da una visione delle migrazioni come dei brevi viaggi a scopo culturale, all’allarme generale per la perdita di un consistente numero di ricercatori e studiosi. Ancora oggi molti giornali come ad esempio “La Repubblica” e “Il Fatto Quotidiano” dedicano intere rubriche alle storie di successo dei nostri connazionali all’estero. Il messaggio, non si sa quanto volontario, è chiaro: l’Italia fa schifo, ma è solo un’eccezione perché altrove la norma è il paradiso. Una bella favoletta da raccontare a tutti i disoccupati e sotto-occupati italiani. La realtà ha tinte molto meno definite, nessuno ci sta aspettando per ricoprirci d’oro ma di sicuro chi decide di vivere nella penisola tra stipendi da fame, welfare decadente e costo della vita in aumento accetta, suo malgrado, di sacrificarsi.

Leggi tutto

Ils cherchent toujours de nouveaux « jeunes jetables »

Ira e non rancore rassegnato  nei cortei Cgil del lavoro

  FONTE STRISCIAROSSA.IT

2 DICEMBRE 2017

 

È questo il popolo del “rancore sociale” di cui parla il Censis? Lo abbiamo visto attraverso i collegamenti video di “Radio articolo 1” nelle piazze del 2 dicembre di Roma, Torino, Bari, Palermo, Cagliari. C’è però in quei cortei che hanno risposto all’appello della Cgil non un rancore quasi rassegnato, ma, semmai, una serena, meditata, fredda collera sociale. E’ già un miracolo che siano in tanti presenti. Perché non provengono più da grandi insediamenti industriali. Provengono da un mondo del lavoro frammentato. Dentro una società dove molti che stanno sugli spalti tifano come se fossero a una partita di calcio, per una lotta tra giovani e anziani, tra pensionati e donne e uomini che avranno pensioni da fame, tra esodati e posti fissi, tra tutele niente affatto crescenti e tutele ignorate, tra immigrati e nativi. Spesso vittime del miraggio di un Jobs Act che doveva assicurare un mondo nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

Leggi tutto

VERTENZA CASTELFRIGO: DOMENICA 3 DICEMBRE SKETCH TRAGICOMICO “MACELLERIA SOCIALE CASTELFRIGO: COME TAGLIARE I LAVORATORI A COSTO ZERO”, DAVANTI AI CANCELLI DELL’AZIENDA

fonte cgilmodena

Cecile Kienge solidarietà lavoratori Castelfrigo, 1.12.17

Domenica 3 dicembre, in contemporanea con l’apertura dell’ultimo giorno della manifestazione castelnovese “Super Zampone 2017. La festa dello Zampone più Grande del Mondo”, i lavoratori degli appalti Castelfrigo inaugureranno la “Macelleria Sociale Castelfrigo 2017-Come tagliare lavoratori a costo zero”. L’evento, adatto a un pubblico adulto, si terrà nel piazzale antistante la Castelfrigo a Castelnuovo Rangone (MO) in via Allende n.6, dalle ore 10.30 e sino alle 11, con uno sketch tragicomico sullo sfruttamento dei lavoratori.

Non vogliamo rovinare la festa a nessuno, tuttavia per i lavoratori degli appalti Castelfrigo domenica non c’è nulla da festeggiare – dichiarano Marco Bottura della Flai/Cgil e Adriano Montorsi della Filt/Cgil. Vogliamo solo dire che il modo in cui si tagliano 127 posti di lavoro, senza ammortizzatori sociali conservativi, senza possibile equa distribuzione dell’orario di lavoro, senza alcun incentivo all’esodo, senza ragionevole possibilità di recuperare in tempi brevi il TFR, è da macelleria sociale.”

Il “Consorzio Job Service” e la Castelfrigo stanno utilizzando spregiudicatamente il meccanismo delle false cooperative “apri e chiudi”. Le attuali 5 società cooperative facenti parte del Consorzio (Ilia D.A., Work Service, Framas, Elios M.G., Planet) hanno accumulato circa 7 milioni di indebitamento costituito da tasse e contributi non versati. Questo meccanismo si sta replicando e consolidando in varie altre realtà produttive, ma chi paga i costi di questo sistema? La collettività stessa.

“Non trovare una soluzione ai licenziamenti che stanno avvenendo nel sito della Castelfrigo significa accettare questo sistema di produzione – dichiarano Marco Bottura della Flai/Cgil e Adriano Montorsi della Fai/Cisl – Stiamo importando illegalità nel nostro territorio. Ci stiamo rassegnando a continuare la corsa al ribasso non solo nei diritti dei lavoratori, ma anche nella legalità e nella qualità dei prodotti. Non è questa la strada per salvaguardare il distretto alimentare e le eccellenze che produce”.

Filt/Cgil e Flai/Cgil Modena

“Ikea disumana”, la rivolta dei clienti

Ikea disumana, la rivolta dei clienti

(Fotogramma)

“Le persone non sono componibili, vergogna”, “non acquisterò mai più né li né in nessun altro punto vendita dell’Ikea fino a che non sarà risolta la questione”, “da oggi vi boicotterò e come me molte altre persone, non siete umani“, “non si licenziano madri in difficoltà, non comprerò più nulla da voi”, “anche qui dipendenti e clienti sono solo numeri. Da oggi sicuramente un numero in meno”, “disumani. Leggete un manuale con cui assemblarvi la dignità piuttosto che dei mobili“. L’articolo segue alla fonte su ADNKRONOS

Milano. Presidio di solidarietà con Marica Ricutti, licenziata dall’Ikea

FONTE ARTICOLO21.ORG

Paolo Matteo Maggioni

 

Martedi sera, nel piazzale dell’IKEA di Corsico, c’è stato un presidio. Due ore di sciopero dei lavoratori dell’azienda svedese in solidarietà con Marica Ricutti, la collega licenziata pochi giorni prima perché non riusciva più a rispettare il suo turno di lavoro. Trentanove anni, una laurea, madre single di due figli, Marica ha avuto accesso alla legge 104, che consente di accudire il figlio più piccolo, disabile. Ma il nuovo turno di lavoro, con inizio alle 7 del mattino, è inconciliabile con le terapie del figlio e la vita di una mamma separata che abita a 40 km da Corsico. E cosi, dopo alcuni richiami -Marica è sempre andata a lavorare attenendosi al vecchio turno, che inizia alle 9-, è scattato il licenziamento, dopo 17 anni di servizio. L’abbiamo incontrata oggi. Da una settimana è a casa, in giornate che definisce “pesanti, difficili, inaspettate”.

L’azienda le contesta gravi e pubblici episodi di insubordinazione, autodeterminazione dei turni e meno di sette giorni al mese di lavoro negli ultimi otto mesi. Come risponde?
E’ scorretto valutare solo gli ultimi otto mesi a fronte di diciassette anni di servizio in azienda. Gli ultimi mesi per me sono stati difficili: ho subito un grave lutto famigliare a seguito della morte di mio padre dopo una malattia degenerativa, cosi ho usufruito -in questi ultimi mesi- di giorni di ferie e dei permessi legati alla 104, ho preso un periodo di aspettativa e ho avuto anche dei problemi di salute a seguito della situazione che ho avuto. Nella vita ci sono periodi più o meno fortunati, ma non ho fatto nulla di male e ribadisco: non ho mai chiesto alcun privilegio particolare, chiedo solo di lavorare e che vengano rispettati i miei diritti.
In questi mesi è riuscita ad incontrare l’ufficio personale di IKEA per raccontare il suo disagio di fronte ai nuovi turni?
No, ma erano a conoscenza delle problematiche del periodo che stavo attraversando. Quando mi hanno chiesto questo ennesimo cambio turno, ho immediatamente richiesto un colloquio con i responsabili del negozio e con l’ufficio del personale, in questo ero appogiata anche dal sindacato, ma non abbiamo mai ricevuto delle risposte e non abbiamo mai avuto un incontro.
L’ha colpita la solidarietà dei suoi colleghi? 
Mi ha fatto molto piacere. Siamo molto uniti. Sono la mia forza.
E’ stata solo colpa dell’algoritmo che determina i turni di lavoro dei dipendenti? 
In parte si, in parte c’è anche un meccanismo che tende a mettere da parte la dignità dell’uomo. Siamo considerati più dei numeri, che non delle persone.
Tornerebbe a lavorare in IKEA?
Io voglio lavorare. Ho sempre lavorato, in diciassette anni non mi sono mai sottratta a nulla: cambi di turno, cambi di reparto, e ritengo che questa sia una ingiustizia. Chiedo solo di lavorare.
Come ha raccontato ai suoi bambini questa storia? 
Con sincerità. Al figlio più grande ho spiegato tutta la situazione. Gli ho detto di stare tranquillo perché la mamma gli è vicino, e che intorno a noi ci sono tanti amici, parenti e colleghi. Gli ho anche promesso che sua mamma andrà avanti a fare sacrifici. Come ha sempre fatto.
Martedi 5 Dicembre ci sarà un nuovo presidio. Il sindacato chiederà ai clienti IKEA di firmare un appello per il reintegro di Marica.

Amazon, giù il velo della finta modernità

Per anni, anzi per decenni, ci hanno raccontato che eravamo entrati in un nuovo mondo: l’economia digitale, il lavoro agile, l’individualizzazione dei rapporti di lavoro, l’obsolescenza delle vecchie forme di conflitto e di rappresentanza collettiva.

Ci hanno detto che pretendere limiti ai contratti a termine e al potere di licenziamento erano cose del passato, retaggi di un vecchio mondo ormai tramontato. Ci hanno raccontato che la liberalizzazione del mercato del lavoro era il volano dello sviluppo, della crescita dell’occupazione, di un maggiore benessere per tutti.

Poi si scopre che migliaia di  lavoratori dello stabilimento di Piacenza di Amazon, la multinazionale dell’e.commerce emblema della postmodernità trionfante, hanno dichiarato sciopero proprio il giorno dei mega-sconti, del blackfriday importato dalle usanze nordamericane.

Leggi tutto

Rossana Rossanda: L’inchiesta di Loris Campetti su chi perde il lavoro a 50 anni

FONTE INCHIESTAONLINE

Non ho l’età di Loris Campetti (editore Manni, 2015) è un’inchiesta diretta su un aspetto di solito non indagato della disoccupazione in Italia: si tratta questa volta non degli spazi chiusi ai giovani, ingabbiati in generale nel precariato, ma di quel che accade a chi perde il lavoro in età avanzata, dopo anni di mestiere con una professionalità compiuta. Sono figure meno pittoresche dei ragazzi, non portano con sé nuove culture, ma non suscitano minore emozione.

È un’inchiesta di questi anni, a crisi ormai settennale se se ne calcola l’inizio a partire da quella dei subprimes nel 2008. In quella tempesta sono scomparsi secolari opifici, antiche ditte, sostituite in genere da imprese nuove e più deboli, rilevate da qualche tardivo acquirente. Insomma la crisi investe la struttura produttiva, “i padroni”, che alla fine cercano di vivere o sopravvivere. Ma nell’uragano volano soprattutto gli stracci, che raramente sono rappresentati dal proprietario delle aziende via via ammalate e a un certo punto chiuse. È la prima conseguenza e se l’imprenditore è un furbastro magari se la cava, mentre non se la cavano mai i dipendenti che, sbattuti da una proprietà all’altra, alla fine non hanno neppure la forza di galleggiare. Sono generalmente ignoti (chi conosce i proletari?) che la ricerca di Loris Campetti fa emergere per il tempo di questo libro.

Emergono in genere poco volentieri. Quel che li caratterizza, salvo qualche indomito o indomita combattente, è la paura. Hanno già perduto un posto, e non per colpa loro ma perché è svanita o delocalizzata la ditta, potrebbero perdere anche quelli cui si rivolgono speranzosamente offrendosi come forza di lavoro. Sembra quasi scritto che prima o dopo tutti perderanno anche queste nuove possibilità, che al primo licenziamento parevano a portata di mano. Ma poi via via precipitando da un’interruzione di lavoro all’altra, gli stracci volano più che mai.

La paura nel disoccupato si accresce fino a rifiutare di discorrere con il giornalista che gli chiede di parlare di sé: no, assolutamente, grazie. O, al massimo, se lo fa, rimanendo nell’anonimato. Sono uomini e donne che, perduto il primo loro impiego, via via che il tempo passa nell’attesa di qualche impiego successivo, temono di essere in qualche misura riconosciuti, se non schedati, e di perdere quindi anche quello.

La disperazione non solleva, se non in rari casi, la ribellione. Dalla paura passano a una rassegnazione infelice; e questo sia gli uomini che le donne, le prime queste ad essere colpite quando si tratta di tagliare gli impieghi. E tuttavia nell’inchiesta di Campetti è proprio una donna, una single indiana che ha diretto una volta la lotta di quasi duecento connazionali, e quindi è una tosta, a raccontare lungamente di sé, a far nomi, a nulla nascondere: la ultracinquantenne Goghi. La cui vicenda le comprende quasi tutte, come quella di chi ha cominciato – se non sbaglio – in una fungaia, poi licenziata per chiusura dell’azienda e avanti così per altri due licenziamenti da una fabbrica chimica e da una metalmeccanica; o di chi si è presa un diploma di grafica e da allora è saltata da una unità di produzione all’altra, fino a rinunciare alla propria qualifica e offrirsi come tata di un bambinetto – la sola occupazione della quale c’è sempre abbondanza, ed è pagata assai poco.

Chi è da temere? La paura è vaga. Responsabile della tempesta è la famosa crisi, ma in generale i suoi manovratori sono lontani. Più semplice individuare la responsabilità in qualche eletto dalle istituzioni locali o dallo Stato; il personaggio più detestato essendo non il ministro Poletti o il team del governo promotore del Jobs act, ma la malvagia Elsa Fornero, che prima dell’attuale compagine era ministro del lavoro per Mario Monti, e sembra la figura delegata a raccogliere risentimenti e perfino odio. Non è più presente nella scena politica ma ha lasciato una impronta indelebile peggiorando tempi e modi della pensione: e si può capire che chi si trova a non poter raccogliere nulla da una vita di lavoro per una scadenza non potuta rispettare, magari per soli ventotto giorni, lo trovi inaccettabile e si infuri se appena ha il temperamento per farlo. Ma rare sono le Goghi con un’esperienza di lotta, molti di più i maschi reticenti. Alla paura di segnalarsi come un agitatore e quindi precludersi ogni sbocco lavorativo, nei più si sostituisce il senso di colpa: “Forse avrei dovuto farcela e non ce l’ho fatta, forse dovevo impuntarmi. Dovevo essere io a provvedere ai miei figli mentre non sono stato capace neppure di provvedere a me stesso”.

Leggi tutto

Palestine : 50 ans d’occupation, 50 ans de lutte ouvrière

FONTE : EQUALTIME

Palestine : 50 ans d'occupation, 50 ans de lutte ouvrière

A Palestinian worker on a construction site in the city of Bethlehem, in the southern occupied West Bank, on 27 September 2017.

(Chloé Benoist)

Malgré 30 ans de sa vie passés à travailler comme menuisier en Israël, et les 17 dernières années comme agriculteur dans la partie sud de la Cisjordanie occupée, Mohammad Issa Salah, âgé de 70 ans, a toujours du mal à joindre les deux bouts.

« Ici, le coût de la vie est comme en Europe, mais les salaires sont comme en Afrique, » déclare le vieux Palestinien du village d’Al-Khader à Equal Times, s’exprimant dans le peu d’anglais dont il se souvient de l’école.

La situation de ce vieillard est loin d’être une exception : avec un quart des Palestiniens vivant sous le seuil de pauvreté et un taux de chômage comparable, les Palestiniens luttent depuis des décennies pour assurer leur subsistance et faire valoir leurs droits dans le monde du travail.

Au cours des 50 dernières années, l’occupation israélienne de la Cisjordanie, de Jérusalem-Est et de la bande de Gaza a eu un impact incontestable sur les conditions de travail des Palestiniens. Dans le même temps, les syndicats peinent à dépasser les clivages politiques pour faire avancer concrètement la protection des droits des travailleurs palestiniens.

« La terre n’est pas la seule chose qui est occupée ; c’est aussi le cas de l’économie palestinienne, » déclare Matthew Vickery, auteur d’« Employing the Enemy: The Story of Palestinian Labourers on Israeli Settlements ».

Les centaines de milliers de Palestiniens qui se sont retrouvés sous le contrôle de l’armée israélienne en 1967 sont rapidement devenus une source de main-d’œuvre ouvrière pour l’économie israélienne, accomplissant des tâches que peu d’Israéliens étaient disposés à faire, pour un coût beaucoup moins élevé et avec beaucoup moins de protections juridiques.

Leggi tutto

Gli “schiavi” della carne in protesta davanti a Fico

fonte radiofujico che ringraziamo

di Alessandro Canella
Categorie: Lavoro
20171116_094720.jpg

I lavoratori della Castelfrigo di Modena protestano contro i licenziamenti e le storture degli appalti davanti a Fico. Caporalato e schiavismo sono problemi anche nella filiera della carne di alta qualità. Franciosi (Flai Cgil): “Dalle istituzioni vogliamo soluzioni a problemi generati dal Jobs Act. Dalle aziende vogliamo responsabilità sociale”.

Ci sono buone ragioni se a Fico, inaugurato ieri a Bologna, la macellazione non viene riprodotta nella filiera simulata nel parco agroalimentare.
Nella “Disneyland del cibo”, infatti, troviamo campi coltivati, stalle con veri animali, laboratori dove si fa il formaggio, si macina il grano, si fa l’olio, fino alla vendita, vero cuore di Eataly World.
I maiali, però, non vengono sgozzati: non sarebbe commercialmente producente. A questo, però, si aggiungono le condizioni di vero e proprio schiavismo che si registrano nel comparto della lavorazione delle carni.

Nel primo giorno di apertura, i lavoratori della Castelfrigo di Modena hanno tenuto un presidio proprio davanti a Fico. Da tempo, infatti, è aperta una vertenza contro il licenziamento collettivo di 127 lavoratori sulla carta. “In realtà l’obiettivo delle imprese appaltatrici – spiega Umberto Franciosi, segretario della Flai Cgil dell’Emilia Romagna – è quello di liberarsi di una cinquantina di lavoratori che, dal febbraio scorso, hanno alzato la testa, rivendicando diritti, perfino la possibilità di andare in bagno, e l’applicazione del contratto”.

Il problema, come nel settore della logistica, risiede sempre nel sistema degli appalti, con cooperative spurie che sfruttano i lavoratori fino a ridurli in vera e propria schiavitù.
Turni fino a quattordici ore di lavoro al giorno, pause quasi inesistenti, movimenti ripetitivi e continuativi, al punto che dopo pochi anni i lavoratori manifestano malattia muscolo-scheletriche. A quel punto, l’azienda se ne disfa per assumere qualcun’altro.

Secondo Franciosi, queste situazioni sono state aggravate dal Jobs Act e dalle leggi dell’attuale governo: “Hanno abolito la somministrazione fraudolenta di manodopera e depenalizzato la somministrazione irregolare“.
Proprio a politici e istituzioni, che in questi giorni si sono spesi in parole di sostegno e solidarietà ai lavoratori in lotta, ora gli stessi lavoratori chiedono atti concreti, interventi che portino ad una soluzione.

Non è solo la politica ad avere responsabilità o poter portare delle soluzioni. Il senso della manifestazione davanti a Fico risiede proprio in questo aspetto.
“I lavoratori della Castelfrigo – osserva il sindacalista – producono una serie di carni semi-lavorate che sono di fondamentale importanza per le eccellenze che qui vengono vendute. Bisogna che anche chi è proprietario di quei marchi si ponga il problema della responsabilità sociale. Non basta il rispetto delle regole solo nelle loro aziendine, occorre guardare anche se all’interno della propria filiera di fornitura le regole vengono rispettate”.

In questo modo, dunque, Franciosi risponde direttamente a Oscar Farinetti, che ieri durante l’inaugurazione ha ringraziato i migranti per il loro contributo fondamentale in agricoltura.
Quegli stessi migranti che spesso vengono schiavizzati e sono vittime di caporalato. Fenomeno che la sola importante legge contro il caporalato non può risolvere. Occorre, appunto, l’impegno e la responsabilità sociale delle imprese.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD UMBERTO FRANCIOSI:

Pastorale emiliana

di Giovanni Iozzoli

Da qualche tempo si è riacceso il conflitto nel comparto carni modenese. O meglio: riemerge la situazione di cronico malessere che cova da almeno due decenni sotto le ceneri, sbottando rabbia e mobilitazione. Quando parliamo di questo territorio – l’angolo di provincia compreso tra Castelnuovo, Castelvetro, Spilamberto, Vignola – stiamo parlando di un pezzo importante del Pil italiano, circa tre miliardi di euro, realizzati da 179 aziende, 5000 addetti, con 8 milioni di quintali all’anno di carni fresche lavorate e salumi: una macchina produttiva potente che importa dagli allevamenti del nord Europa 200 camion di suini macellati ogni giorno – la materia prima che, lavorata in loco, rifornirà tutti i grandi marchi nazionali ed esteri.

Il monoteismo del prosciutto regna sovrano, in questi luoghi; tra i miasmi degli stabilimenti aleggia un vago sentore calvinista – impresa e denaro come manifestazioni della benevolenza divina. Un maialino bronzeo troneggia nella piazza centrale di Castelnuovo Rangone – omaggio a se stessa, di una comunità sobria, laboriosa e danarosa, che vede il suino come metafora della vita.

Quello che è successo, negli ultimi vent’anni in questo comparto, è la nota accelerazione globale di mercati, merci e processi produttivi, che si è abbattuta drasticamente su un distretto che un tempo si sentiva vincente per qualità e specializzazione: concorrenza sempre più feroce, prezzi al ribasso, qualità a picco e pressione sempre più distruttiva sul lavoro vivo. Appalti, sub appalti, spezzettamenti, la filiera che si slabbra e si allunga come un verme. Migliaia di lavoratori, principalmente stranieri, collocati nei gironi via via più degradanti del lavoro in appalto, tra cooperative spurie, terziarizzazioni, consorzi fittizi creati dalle stesse imprese appaltatrici – ovviamente nei segmenti produttivi dove regnano fatica, nocività, rischio per la salute.

L’articolo prosegue alla fonte su Carmillaonline

 

Intervista di Roberto Giovannini della Rivista Italiani Europei a Maurizio Landini

Su Italianieuropei sterminata e interessante intervista di Roberto Giovannini a Maurizio Landini

Roberto Giovannini: Maurizio Landini, dopo tanti anni in FIOM – tante discussioni, tante polemiche, tante prese di posizione, tante con­troversie – adesso lei è segretario confederale della CGIL. Ma la CGIL, e il sindacato così come lo conosciamo in Italia, esisterà ancora tra dieci anni, nel 2027?

Maurizio Landini Sono in crisi tutte le organizzazioni di rappresen­tanza sociale, sia quelle politiche che quelle sindacali, e sta cambian­do in modo radicale il modo in cui operano imprese e produzione. Nulla sarà più come prima. Mai come oggi abbiamo tanta precarietà del lavoro, tanta diseguaglianza, tanta frammentazione sociale, tanta competizione tra le persone. E dall’altra parte – questo è il tema – non c’è più un punto di vista del lavoro, una visione alternativa della società, mentre c’è e predomina il punto di vista del mercato e della finanza. In prospettiva, certamente il sindacato ha un futuro; ma deve avere un modello sociale di riferimento. Se chiediamo ai lavoratori di organizzarsi in sindacato, non basta dire che il sindacato serve per tutelare le loro condizioni di lavoro. Bisogna proporre anche un progetto di trasformazione sociale, un’idea diversa di giustizia so­ciale, di eguaglianza. Bisogna avere un’idea del perché e del come si lavora e si produce; bisogna avere un’idea di reale coinvolgimento e partecipazione delle persone. Si è scelta la strada di lasciar fare al mercato; si è lasciata vincere – nella cultura e nella politica – l’idea che al centro di tutto ci sono il mercato e la finanza. Questo ha fat­to scomparire la soggettività delle persone che lavorano, e dunque ha cancellato ogni punto di vista diverso e di trasformazione. Sono convinto, sinceramente, che il sindacato possa avere un futuro; ma lo avrà solo se sarà anche un soggetto politico, cioè se avrà valori e proposte di trasformazione sociale in autonomia e indipendenza da politica e governi.

R. G. Una storia, quella del sindacato in Europa, che da sempre si è intrecciata a quella del movimento socialista. Che oggi appare ovunque in grave crisi.

M. L. È così. Dopo la fine dell’esperienza “comunista”, oggi siamo alla fine anche dell’esperienza della socialdemocrazia, ovvero di quel modello di mediazione sociale tra imprese e lavoro che aveva dato vita allo Stato sociale. Lo dimostra il fatto che siamo di fronte a un arretramento senza precedenti delle condizioni di vita delle persone che lavorano. Per avere un futuro, il sindacato deve tornare a rap­presentare e unire tutto il mondo del lavoro, e costruire su questa base una cultura politica e sociale alternativa all’attuale modello che ha al centro mercato e finanza. Per farmi capire meglio vorrei citare la vicenda dell’approvazione nel 1970 dello Statuto dei lavoratori. La legge 300 non venne approvata perché sostenuta dalle forze di sinistra – il Partito comunista si astenne – ma perché votata da DC, PSI, PLI, PRI e PSDI, che avevano una larga maggioranza in Parla­mento. Nel 1970 anche le forze politiche di destra e di centro votano lo Statuto dei diritti dei lavoratori perché riconoscono che uno dei nostri principi costituzionali, la centralità dei diritti della persona che lavora, è un interesse generale da riconoscere e tutelare. E solo successivamente si articola la politica, a destra, a sinistra o al centro. Oggi siamo al paradosso che un partito come il PD, che fa parte dell’Internazionale socialista, sancisce che la cosa più di sinistra che può fare è il Jobs Act, una legge che smantella lo Statuto dei diritti dei lavoratori. E mentre nel 1970 si affermava che si poteva licen­ziare solo se c’era una giusta causa, si riconosceva che il lavoro aveva bisogno di tutele, e che il ruolo sociale dell’impresa doveva essere temperato dal rispetto dei diritti di chi lavora, oggi si giunge quasi a teorizzare che va tutelata l’impresa che licenzia. Prima il lavoratore veniva tutelato dal licenziamento ingiusto; oggi viene tutelata l’im­presa, che può disporre un licenziamento ingiusto sborsando un po’ di soldi. Un cambiamento culturale davvero drammatico.

R. G. Dunque, il sindacato secondo lei ha un futuro; ma deve riuscire a unificare il mondo del lavoro, ed elaborare un progetto di trasformazione della società. Non sembra affatto un compito facile: il lavoro e la società sono frantumati e disarticolati, e l’esperienza socialdemocratica – che è stata il suo punto di ancoraggio tradizionale – è tramontata. Il sinda­cato confederale resta impostato su un modello novecentesco e datato. La CGIL ha le risorse per fare il salto di qualità che lei indicava come indispensabile per poter sopravvivere?

M. L. Credo di sì, purché si cominci ad agire sin dal Congresso che avremo tra un anno. Non basta un rinnovamento delle persone che dirigono la CGIL, ma serve anche un rinnovamento delle pratiche sindacali, partendo dal rafforzamento di alcune caratteristiche im­portanti del sindacato italiano, che hanno fatto sì che ancora oggi – mentre un po’ dappertutto il tasso di sindacalizzazione è in forte calo – nel nostro paese i numeri sulle adesioni siano migliori. Da noi le cose vanno meglio perché il sistema di relazioni industriali si basa su una struttura contrattuale fondata sui contratti nazionali di categoria e sulla contrattazione aziendale. Sappiamo molto bene che questo modello contrattuale è minacciato dalla frammentazione del processo lavorativo: penso alle esternalizzazioni, al sistema degli appalti e dei subappalti, al proliferare di cosiddette “cooperative”. Al fatto che le tecnologie che intrecciano il digitale e la manifattura cambiano il perimetro delle tradizionali categorie produttive sulla cui base è ancora oggi organizzato il sindacato. Per reggere a questo cambiamento, dobbiamo essere in grado di riunificare in capo alle persone i diritti di chi lavora. Non basta immaginare una nuova le­gislazione sul lavoro e un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori, che pure dobbiamo conquistare.

Leggi tutto

Jeremy Corbyn: “E’ vero, i laburisti minacciano di distruggere l’attuale modello economico”

 

FONTE PRESSENZA.COM

 In un discorso tenuto sabato scorso alla “Cooperative Party Conference” Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista britannico, ha toccato molti importanti temi di politica nazionale e internazionale. Il testo completo si può leggere qui.

Riportiamo di seguito le parti più significative del suo discorso.

“Abbiamo bisogno di valori cooperativi nel paese e all’estero” ha detto. “Viviamo in un mondo lacerato dai conflitti, spronato dall’ego e da ambizioni neo-imperiali. Non è mai stato così importante ribadire la nostra adesione alla Carta delle Nazioni Unite, la cui terza clausola sostiene l’obiettivo di risolvere i problemi internazionali attraverso la cooperazione internazionale.

Con i problemi che ci troviamo davanti – proliferazione nucleare, cambiamento climatico, crisi globale dei rifugiati, crisi umanitarie in Siria, Yemen e Myanmar con i Rohingya – una visione  globale basata sui principi cooperativi è oggi più necessaria che mai. Che si tratti di Donald Trump o di Kim Jong, le posizioni da macho devono lasciare il posto a una collaborazione calma e razionale. In tutto il mondo le cooperative svolgono un ruolo fondamentale per stimolare lo sviluppo, dare potere alle donne e unire le comunità. Oggi oltre un miliardo di persone ne fanno parte e io sono fiero di essere uno di loro”.

Ha poi riconosciuto che l’accusa del Cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond è vera. Sì, i laburisti minacciano di distruggere l’attuale modello economico, un sistema che sfrutta la maggioranza per i profitti di una minoranza, che i conservatori vogliono difendere per mantenere i privilegi di pochi.

Leggi tutto

Bolkenstein, De Magistris a testa bassa contro la norma in una lettera all’Anci: “Restringere il campo di applicazione. Pericolo speculazione da parte delle lobbies”

Autore :fabrizio salvatori

FONTE : CONTROLACRISI.ORG

Il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha inviato al Presidente dell’ANCI Antonio De Caro una nota riguardante la direttiva dell’ UE Bolkenstein. C’è molta agitazione su questa norma, che di fatto sta liberalizzando la gran parte delle attività lavorative di piccolo cabottaggio, più o meno corrispondenti al lavoro autonomo e al commercio. Nei mesi scorsi ci sono state diverse proteste da parte degli ambulanti.

Proteste che portarono il Governo Renzi a concedere una piccola proroga spostando il focus sulle amministrazioni regionali. Ora sta accadendo che ogni regione sta facendo per conto proprio, come in Liguria dove intendono salvare, tra gli altri, gli stabilimenti balneari. Le Regioni, va detto, su questo rischiano, come il caso dell’Emilia Romagna, il ricorso al Tar da parte dell’Antitrust. Il Pd, intanto, ha fatto passare alla Camera una mozione che ha l’obiettivo di “mitigare” gli effetti della direttiva europea. Cosa vorrà dire lo sanno solo loro. Cosa strana, però, Mdp no ha votato a favore mantenendo la sua linea fortemente liberalizzatrice. E’ chiaro che la lettera di De Magistris suona a questo punto come un segnale riscossa. 

Leggi tutto

Una delle imprese più grandi al mondo impegnata nell’attività di carico e scarico delle navi sta compromettendo sistematicamente i salari e le condizioni di lavoro  nella zona portuale di Giacarta.

L’ICTSI sta obbligando i lavoratori a un lavoro straordinario lungo e pericoloso, semplicemente per guadagnare un salario dignitoso. L’impresa ha negato agli iscritti del sindacato FBTPI il lavoro straordinario, e molti non possono far fronte alle loro spese di base, con la conseguenza che i lavoratori tolgono i loro figli dalla scuola e vengono cacciati dalle loro case.

L’ICTSI sta punendo questi lavoratori per essersi difesi. 

Insieme alla Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto, abbiamo lanciato una campagna online con cui chiediamo all’ICTSI di pagare salari equi e di porre fine agli attacchi mirati contro gli iscritti al sindacato. Per favore, firmate la campagna al link:

https://www.labourstartcampaigns.net/show_campaign.cgi?c=3602

E, per favore, condividete il presente messaggio con i vostri amici, familiari e colleghi del sindacato.

Nel frattempo, vi ricordate del premio internazionale Arthur Svensson per i diritti sindacali? Labour Start ha ottenuto quel premio nel 2016. E’ giunto di nuovo il momento di assegnare quel premio. La Fondazione Svensson invita i sindacati norvegesi e internazionali a nominare i candidati per l’assegnazione del premio per il 2018. Il premio sarà assegnato a persone e ad organizzazioni che hanno lavorato per promuovere i diritti sindacali e i sindacati nel mondo. Tra i vincitori precedenti c’era il sindacato degli insegnanti del Bahrein, il sindacato dei minatori in Messico, i lavoratori del tessile in Cambogia e molti altri. 

Per saperne di più e per proporre i vostri candidati, cliccate qui: 

http://svenssonstiftelsen.com/nominations-are-open-2/

Grazie!

Eric Lee

Gente di fabbrica

FONTE SBILANCIAMOCI CHE RINGRAZIAMO

Il lavoro ha subito un processo di rimozione: al centro c’è l’impresa, i cui interessi vengono fatti coincidere con l’interesse generale. L’introduzione del libro ‘Gente di fabbrica. Metalmeccaniche e metalmeccanici nel nuovo millennio’

‘Il lavoro non esiste’. Questo titolo provocatorio nasce da un episodio che mi è capitato in una nota libreria del centro di Torino, dove ho chiesto all’addetto del reparto di saggistica in quale scaffale si trovassero i titoli sul lavoro: mi ha guardato stupito, indirizzandomi prima al reparto economia e management, e poi aggiungendo che qualcosa avrei forse trovato anche nel reparto sociologia. Come se il lavoro fosse solo un addendum di qualcos’altro…

La verità è che, al di là delle statistiche e delle polemiche politico-sindacali, il contenuto del lavoro è dato quasi sempre per scontato, prevalgono luoghi comuni e approssimazione.

In realtà il lavoro ha subito un processo di rimozione: al centro c’è l’impresa, i cui interessi vengono fatti coincidere con l’interesse generale.

Ma impresa e lavoro non sono la stessa cosa, possono avere obiettivi comuni, ma farli coincidere è sbagliato, ancorché strumentale, perché impedisce di vedere contraddizioni e conflitti, inevitabili in presenza di ruoli e interessi sociali differenti. E, soprattutto, impedisce di vedere come in questi ultimi decenni l’equilibrio si sia spostato verso l’impresa, in termini di potere e di distribuzione delle risorse.

La svalorizzazione del lavoro è nella sua scomparsa dal discorso pubblico.

Non sembri paradossale, ma le poche occasioni, tra quelle in cui sono stato coinvolto da sindacalista, dove, raccontando il lavoro, si sia andati oltre un’attenzione superficiale, sono state l’accordo imposto dalla Fiat a Mirafiori – con il tema delle pause in catena di montaggio, per esempio – e il processo per i morti di amianto all’Olivetti, l’impresa perfetta che in realtà non è mai esistita, dove i magistrati hanno dovuto ricostruire in dettaglio che cosa facevano le persone in fabbrica. Due pessime, anzi drammatiche occasioni, insomma, benché a loro modo emblematiche. Eppure, per restituire ai lavoratori la visibilità che meritano, occorre ripartire da loro stessi, da quello che fanno tutti i giorni, dalla qualità e intensità della loro prestazione e del loro impegno, dai problemi e dalle opportunità che ne derivano, dalle frustrazioni e dalle aspettative che si creano e che segnano la vita delle persone.

L’area torinese, ancora tra le più significative dal punto di vista industriale a livello europeo, ben rispecchia tendenze più generali. E la manifattura, che pure rappresenta solo una parte del mondo del lavoro, comprende mansioni e professionalità anche molto diverse, che nel tempo si sono profondamente modificate: dall’operaio al progettista, dall’impiegato amministrativo all’informatico.

Leggi tutto

Jakarta : justice for dock


One of the world’s largest companies engaged in the loading and unloading of ships is systematically undermining the wages and conditions at the waterfront in Jakarta.
ICTSI is forcing workers into long, unsafe overtime — simply to earn a living wage. But union members have been denied overtime by the company, and many are now unable to meet their basic expenses, resulting in workers taking children out of school and being evicted from their homes.

ICTSI is punishing these unionised workers for standing up.

Working together with the International Transport Workers Federation, we have just launched an online campaign calling on ICTSI to pay fair wages and to stop targeting union members and their families.  Please sign up here:

http://www.labourstart.org/go/ictsi

And please share this message with your friends, family and fellow union members.

Meanwhile, remember the Arthur Svensson international prize for trade union rights?  LabourStart won that award in 2016.  And now it’s time for the award to be given out again.  The Svensson Foundation  invites Norwegian and international unions to nominate candidates for the 2018 prize.  The award is given to individuals and organisations that have worked to promote trade union rights and organising around the world. Among the previous winners were the teachers union in Bahrain, the miners union in Mexico, textile workers in Cambodia and many more.  To learn more and to propose your candidates, go here:

http://svenssonstiftelsen.com/nominations-are-open-2/

Thank you!

Eric Lee

P.S. Want to know which of our recent campaigns you may have missed? Click here to find out.

GERMANIA: TRA MINIJOB E AFD –

FONTE  R/PROJECT   CHE RINGRAZIAMO

il modello a cui si ispira Macron

 

https://www.facebook.com/rprojectAnticapitalsta/photos/a.176177035922198.1073741827.175912932615275/787695538103675/?type=3

 

di Olivier Cyran* dal numero di settembre del mensile francese Le Monde Diplomatique.

I tedeschi, chiamati alle urne il 24 settembre, non hanno mai avuto un numero così basso di persone in cerca di occupazione. E nemmeno così tanti precari. Lo smantellamento della previdenza sociale avvenuta a metà degli anni 2000 ha trasformato i disoccupati in lavoratori poveri. Queste riforme hanno ispirato la revisione del codice del lavoro che il governo cerca di imporre per decreto.

Ore 8: il Jobcenter (Agenzia per l’impiego N.d.T.) del quartiere berlinese di Pankow ha appena aperto i battenti che già una quindicina di persone fanno la coda davanti allo sportello dell’accettazione, ciascuna rinchiusa in un ansioso silenzio. “Perché sono qui? Perché, se non rispondi alla loro convocazione, ti tolgono quel poco che ti danno”, sbotta a bassa voce un cinquantenne, “comunque non hanno niente da proporre, a parte, forse, un lavoro da venditore di mutandine borchiate, chissà”. L’allusione gli strappa un leggero sorriso. Un mese fa, una madre sola di 36 anni, insegnante disoccupata, ha ricevuto unalettera dal Jobcenter di Pankow che la invitava, a pena di sanzioni, a candidarsi per un posto di rappresentante di commercio di un sexy shop. “Ne ho passate di tutti i colori con il mio Jobcenter, ma questo è il colmo”, ha risposto via internet l’interessata, prima di annunciare la sua intenzione di sporgere denuncia per abuso d’ufficio.

All’esterno, nel parcheggio del blocco di case popolari, l’“unità mobile di sostegno” del centro disoccupati di Berlino ha già iniziato l’attività. La signora Nora Freitag, 30 anni, sistema sul tavolo pieghevole, piazzato davanti al minibus degli operatori, un pacco di opuscoli intitolati Come difendere i miei diritti nei confronti del Jobcenter.

“Questa iniziativa è stata organizzata nel 2007 dalla Chiesa evangelica: c’è molta disperazione, e anche molta impotenza, davanti a questo mostro burocratico che i disoccupati percepiscono, non a torto, come una minaccia”.

Una signora, sessant’anni suonati, si avvicina con passo esitante, sembra molto infastidita di doversi presentare a degli estranei. La sua pensione, inferiore a 500 euro al mese, non le basta per vivere, riceve un’integrazione versata dal suo Jobcenter. Poiché fatica comunque a sbarcare il lunario, fa da poco un lavoro precario part-time (“minijob”) come donna delle pulizie in una casa di cura che le garantisce un salario netto mensile di 340 euro. “Figuratevi”, dice con una vocina agitata, “la lettera del Jobcenter mi dice che non ho dichiarato i miei redditi e che devo rimborsare 250 euro, ma questi soldi, io non li ho! Per giunta, li ho dichiarati fin dal primo giorno, i miei redditi, come potete immaginare; ci deve essere un errore…”. Uno degli operatori la prende sottobraccio per darle dei consigli in disparte: a chi indirizzare un ricorso, a quale porta bussare per sporgere denuncia se il ricorso ha esito negativo, ecc. Talvolta il minibus serve da rifugio per trattare un problema in maniera riservata. “È uno degli effetti di Hartz IV”, osserva la signora Freitag, “la stigmatizzazione dei disoccupati è così pesante che molti provano vergogna perfino a parlare della loro situazione di fronte ad altri”.

Una delle normative più vincolanti d’Europa

Hartz IV: questo marchio sociale deriva dal processo di deregolamentazione del mercato del lavoro, chiamato Agenda 2010, messo in essere tra il 2003 e il 2005 dalla coalizione del cancelliere Gerhard Schröder tra il Partito socialdemocratico (SPD) e i Verdi. Battezzata con il nome del suo ideatore, Peter Hartz, ex direttore del personale della Volkswagen, il quarto e ultimo pacchetto di queste riforme ha unificato i sussidi sociali e le indennità dei disoccupati di lungo termine (senza impiego da oltre un anno) in un unico sussidio forfettario, versato dal Jobcenter. Il presupposto è che lo scarso importo di questa somma – 409 euro al mese nel 2017 per una persona sola (1) – dovrebbe motivare il beneficiario, ribattezzato “cliente”, a trovare o a riprendere al più presto un impiego, anche mal retribuito e poco aderente alle sue attese o alle sue competenze. Il riconoscimento del sussidio è subordinato a un programma di controlli tra i più vincolanti d’Europa.

Alla fine del 2016, l’ambito di applicazione di Hartz IV coinvolgeva circa 6 milioni di persone, di cui 2,6 milioni di disoccupati ufficiali, 1,7 milioni di disoccupati sommersi non contabilizzati dalle statistiche attraverso la trappola dei “dispositivi di avviamento al lavoro” (formazione, addestramento, impieghi da 1 euro, minijobs, ecc.) e 1,6 milioni di figli di beneficiari del sussidio. In una società strutturata sul culto del lavoro, queste persone sono spessodescritte come scoraggiate o come bande di fannulloni e talvolta anche peggio. Nel 2005, in un opuscolo del ministero dell’economia, con la prefazione del ministro Wolfang Clement (SPD) e intitolata Priorità alle persone oneste. Contro gli abusi, le truffe e il fai da te nello Stato sociale, si poteva leggere: “I biologi sono concordi nell’utilizzare il termine ‘parassita’ per designare gli organismi che si sostentano a spese di altri esseri viventi. Ovviamente, sarebbe totalmente fuori luogo estendere agli esseri umani nozioni proprie del mondo animale”. E, ovviamente, l’espressione “parassita Hartz IV” è stata abbondantemente ripresa dalla stampa scandalistica, Bild in testa.

La vita dei beneficiari dei sussidi è uno sport da combattimento.

Quando la somma percepita, a livello di sussistenza, non consente al beneficiario di pagarsi un affitto, il Jobcenter se ne fa carico, a condizione che l’affitto non superi il tetto massimo fissato dall’amministrazione a seconda delle zone geografiche. “Un terzo delle persone che vengono da noi, lo fanno per problemi legati all’abitazione”, dichiara la signora Freitag, “nella maggior parte dei casi perché il rialzo degli affitti nelle grandi città, in particolare a Berlino, ha fatto loro superare i massimali del Jobcenter; allora i beneficiari dei sussidi devono traslocare, ma senza sapere dove, poiché il mercato delle case in affitto è saturo, oppure devono pagare di tasca propria la differenza eccedente il massimale, tagliando le spese alimentari”. Dei 500.000 “Hartz IV” che vivono a Berlino, il 40% paga un affitto che supera il limite normativo.

Leggi tutto

L’agente non va sul sicuro

FONTE AREA7.CH

Giovane, formazione scolastica conclusa, gli amici, un lavoro. Una vita soddisfacente? No, la sua vita non è neppure normale perché Giacomo ha le pezze al culo. Lavora, sì lavora, ma niente pizza al sabato sera, le vacanze scordate da tempo e ora, al verde, si è pure indebitato. No, non fa un uso improprio dei suoi soldi: semplicemente guadagna poco, troppo poco. «Ho un impiego e prendo meno di chi è in assistenza: la situazione mi sta creando scompensi di vario tipo». Come è possibile? Giacomo* fa l’agente di sicurezza da anni: «Sì, è vero c’è un Ccl, ma la direzione ha trovato il modo di aggirarlo, mettendo  in ginocchio molti di noi». 

Giacomo è un uomo formato, che non trovando un posto corrispondente al suo profilo, si è candidato come agente di sicurezza privata. Il lavoro è lavoro! E non gli si sputa in faccia mai: «Certo, sono formato per altre posizioni, ma mi sono adattato pur di guadagnarmi con le mie mani la pagnotta e non dover dipendere né da famiglia, né da Stato. Pensavo a un impiego temporaneo, che avrei trovato poi un posto nel mio ramo: non è andata in questo modo e nel frattempo si è consolidata l’occupazione alla Securitas. Paradossalmente, più io diventavo parte dell’azienda, e più le mie condizioni professionali si precarizzavano. Insomma, se all’inizio del mio impiego presso la società di sorveglianza riuscivo non certo ad accantonare risparmi, ma almeno a saldare a fine mese le fatture, ora non è più così e posso sostenere di trovarmi oggettivamente in uno stato di indigenza: passano gli anni e io guadagno sempre meno. In un’azienda sana e corretta con i dipendenti dovrebbe avvenire il contrario. Se all’inizio della mia assunzione potevo mantenermi dignitosamente, la situazione è andata gradualmente precipitando: in questo 2017 sto sopravvivendo con buste paga che girano in una media fra i 2.700 e i 2.800 franchi mensili. Ecco, mi dica se con un salario simile in Ticino una persona può non solo vivere, ma avere una vita? Con l’acqua alla gola, con i soldi contati e sempre a disposizione del datore di lavoro che, mi scusi l’espressione, lo tiene per le palle».

Ci spieghi che cosa succede concretamente al momento della pianificazione e della distribuzione del monte ore, che è poi la quantità di tempo determinante lo stipendio. 
Ci sono tre tipi di contratti. Chi detiene un contratto “A” è un collaboratore con salario mensile e orario di lavoro fisso pattuito contrattualmente, compreso tra 1.801 e 2.300 ore per anno. I “B” sono dipendenti anch’essi con salario mensile e orario di lavoro fisso, compreso tra 901 e 1.800 ore per anno. Infine, ci sono i “C”, i lavoratori ausiliari con salario orario fino a 900 ore per anno, comprese le vacanze e l’abbuono di tempo del 10%. Io sono finito, dopo anni che già ero impiegato presso Securitas, sotto il contratto B con garantite 100 ore mensili. Con la  modifica del Contratto collettivo di lavoro del 2014, la Securitas ha cambiato strategia e pagare meno contributi e scatti di anzianità. Io per esempio non faccio mai un’ora in più di quelle garantite, non perché manchi lavoro, ma perché io costo di più per gli anni di servizio maturati e per i contributi. E così si attinge sempre più a personale esterno, agli ausiliari che tieni in stand by quanto vuoi perché sono ancora più precarizzati dei tuoi dipendenti. È evidentemente più economico, anche se meno etico, prendere una frotta di persone e utilizzarle su chiamata. Così le ronde, i servizi di sorveglianza li suddividi in più turni pescando da un grande bacino di lavoratori. Il risultato? L’ausiliario porta a casa quel poco che riesce a racimolare e uno come me, che ha un contratto di 100 ore mensili, può essere certo di non riuscire a sfondare il tetto del monte ore e di restare sotto un bel po’ ai 3.000 franchi. Intanto, l’azienda continua a guadagnarci: con questo esercito di personale, di cui sono sempre alla costante ricerca, partecipano e vincono appalti anche pubblici.

Leggi tutto

Tribunale di Napoli : prima condanna per sfruttamento lavorativo nelle fabbriche tessili

FONTE ASGI CHE RINGRAZIAMO

Come si è giunti al primo traguardo nel processo per sfruttamento lavorativo dei cittadini bengalesi dell’area Nord di Napoli:  “Questo processo, e soprattutto il suo esito, rappresenta una grande vittoria su più fronti”.

 

A tre anni dalla prima querela presentata dagli avvocati Amarilda Lici e Alessandro Del Piano (entrambi avvocati ASGI) dinanzi la DDA della Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, giunge finalmente ad un primo grande traguardo il processo per sfruttamento lavorativo dei cittadini bengalesi dell’area Nord di Napoli.

Un successo ottenuto per tutte le parti civili costituite, tra cui anche l’ASGI che è stata ammessa con la seguente motivazione: “la lettura completa dell’art. 5 dello statuto permette di ritenere coinvolta dai reati in causa gli interessi tutelati dall’associazione stessa”.

Il processo, conclusosi con una sentenza di condanna a seguito di rito abbreviato, ha riconosciuto la responsabilità penale degli imputati per tutti i reati a loro contestati quali : Intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo di cui all’art.603 bis normativa previgente; Associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p co. 1, 2 e 3 cod.pen con l’aggravante del reato transnazionale secondo l’art. 3 e 4 L. 146/2006 e favoreggiamento all’immigrazione clandestina così previsto dall’art. 12 commi 3, 3 bis e 5 Dlgs 286/98 e succ. modif.

La denuncia ha preso corpo dopo che un primo gruppo di sei lavoratori si è rivolto all’Associazione “3 Febbraio” per denunciare i fatti di cui al conseguente processo. Successivamente, si scopriva che tali vicende interessavano numerosi lavoratori bengalesi e, pertanto, in corso di indagini, si depositavano ulteriori querele, raggiungendo il ragguardevole numero di ben 16 parti offese.

In particolare, tutti i lavoratori bengalesi venivano reclutati in Bangladesh da un loro connazionale che, sfruttando la sua fama di imprenditore “di successo” nel campo tessile, proponeva loro condizioni di vita/professionali “allettanti”, offrendo un lavoro (comprensivo dell’alloggio), regolare e ben retribuito, in Italia. Per tale attività di intermediazione, i malcapitati dovevano pagare cifre variabili tra i 10.000/12.000 euro, ottenendo i documenti di viaggio e, successivamente, il permesso di soggiorno.

Una volta giunti in Italia, i giovani lavoratori venivano collocati presso le fabbriche del loro “reclutatore” e/o dei suoi familiari, – i quali risultavano, tra l’altro, intestatari di alcune di esse.

Pian piano scoprivano la verità: venivano costretti ad orari di lavoro massacranti – dalle 7.30 alle 21.30 dal lunedi al sabato, dalle 8.00 alle 17.00 la domenica –, in condizioni di vita degradanti – alloggi di 50/60 mq adattati a 6/8 persone, ricevendo, quale contropartita, uno stipendio variabile dai 120 ai 300 euro mensili, subendo, vieppiù, atti di intimidazione, vessazioni, violenze ed insulti, senza mai ottenere, tra l’altro, il titolo di soggiorno, come inizialmente promesso.

In data 16 marzo 2016, a seguito delle indagini della DDA presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, veniva emessa dal Gip di Napoli – 18^sezione penale, un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere per sei indagati. Successivamente si affrontava la fase dell’incidente probatorio per l’escussione delle persone offese, durante la quale si univano al collegio difensivo gli avvocati Bruno Botti e Benedetta Piola Caselli, fino a giungere all’ 11 luglio 2017, quando il GUP – 31°sezione penale del Tribunale di Napoli, pronunciava la sentenza con la quale si riconosceva la responsabilità penale degli imputati, come sopra indicato.

Questo processo, e soprattutto il suo esito, rappresenta una grande vittoria su più fronti.

In attesa delle motivazioni della sentenza, i punti salienti si possono così riassumere.

Leggi tutto

“Se la narrazione tossica su improbabili riprese economiche serve rubarci il futuro”. Il domenicale di Controlacrisi a cura di Federico Giusti

Fonte : controlacrisi.org

Qualche giorno fa, sulle pagine de Il Sole 24 ore (era il 23 Agosto) , abbiamo letto l’ articolo di Marco Leonardi, consigliere economico della presidenza del Consiglio, secondo cui se si riducono i costi di licenziamento solo per i nuovi contratti (come ha fatto il Jobs Act) i lavoratori che non sono ancora occupati ma stanno cercando un’occupazione potranno concordare un salario più alto a fronte della riduzione della protezione contro il licenziamento”.

La realtà è invece l’esatto contrario, il potere di acquisto dei salari è in continua diminuzione. Solo pochi mesi fa l’Osservatorio nazionale della Federconsumatori parlava di una stangata per ogni famiglia italiana con perdita di potere di acquisto superiore a 2330 euro annui

Leggi tutto

Yemen: la DNO deve pagare i lavoratori

 

In collaborazione con il sindacato globale dell’industria, IndustrialAll Global Unions, che rappresenta 50 milioni di lavoratori in 140 Paesi nel settore minerario, energetico e manifatturiero e il sindacato affiliato della Norvegia, Industri Energi, che rappresenta gli interessi collettivi di 60.000 iscritti del settore metallurgico, chimico, del legno, del petrolio e del gas , delle attività sia su terra e sia in mare, nonché delle industrie affini.

L’azienda petrolifera norvegese, la DNO, non ha pagato 175 lavoratori nello Yemen per 18 mesi. L’azienda ha fermato l’attività dopo lo scoppio della guerra nello Yemen nell’estate del 2015 e ha licenziato i suoi dipendenti con un semplice SMS o con una e-mail, dimostrando di non avere né rispetto dei lavoratori che hanno faticato per l’azienda per più di dieci anni e né della legge che obbliga l’azienda a seguire il processo di trasferimento e le procedure per il licenziamento nel momento in cui si ritira dal Paese. Nei momenti difficili i lavoratori si sono trovati di fronte a una duplice difficoltà: la guerra nel Paese e nessun reddito per le loro famiglie.

L’azienda pagava addirittura salari più bassi nello Yemen rispetto ad altre imprese petrolifere operanti nel Paese. Già nel 2013 e nel 2014 i lavoratori avevano organizzato scioperi per il salario. La direzione aveva risposto con la minaccia scritta di licenziare tutti i lavoratori in sciopero in violazione del diritto legale allo sciopero dei lavoratori nello Yemen.

Esprimi il tuo sostegno ai 175 lavoratori yemeniti e alle loro famiglie firmando e inviando la lettera al presidente esecutivo della DNO, Bijan Mossavar-Rahmani.

LES SYNDICATS LITUANIENS ET TCHÈQUES LANCENT DES PROGRAMMES D’AFFILIATION ANONYMES

FONTE ETUI.ORG

18 juillet 2017

Après la transition systémique en Europe centrale et orientale, rejoindre une organisation syndicale est devenue une entreprise risquée pour bon nombre de travailleurs. Les sociétés multinationales qui avaient investi dans la région après l’effondrement du socialisme ont hésité à accorder à leurs nouveaux salariés des droits importants en matière de participation et les entreprises locales étaient très majoritairement hostiles aux syndicats. Dans ces conditions, la peur de perdre son emploi ou d’être victime de mesures de rétorsion a souvent dissuadé les travailleurs d’établir ou d’adhérer à un syndicat au niveau de l’entreprise.

Pour remédier à la situation, les syndicats de certains pays d’Europe centrale et orientale ont encouragé les travailleurs à rejoindre leurs rangs sans qu’ils aient à révéler leur identité auprès des employeurs. En Lituanie, par exemple, l’adhésion anonyme existait déjà avant la récession, mais elle a connu un coup d’accélérateur entre 2008 et 2010 lorsque les entreprises ont rencontré des difficultés économiques et ont menacé leurs salariés de licenciement.

Leggi tutto

I denti di #Farinetti e il sorriso di Marta Fana – di Alberto Prunetti

UN ARTICOLO DI ALBERTO PRUNETTI

Farinetti e Marta

di Alberto Prunetti

Non guardo quasi mai la televisione e ci ho messo almeno un giorno per vedere il finto duello, con colpi telefonati, tra Porro e Farinetti, con l’irruzione – questa vera e tagliente – di Marta Fana, ricercatrice di economia a Scienze politiche a Parigi, che affonda accuse al padrone di Eataly. Accuse già comparse su libri, articoli e volantini sindacali, ma che nessuno aveva avuto il coraggio di scagliargli contro in diretta televisiva: sottomansionamenti, formazione pagata dai fondi europei e altre furbate a tutele decrescenti.

 

Com’è andata potete vederlo qui sotto. Porro ha dovuto ammettere che in realtà di fronte a una critica vera tocca prendere le parti di Farinetti mentre la conduttrice dava l’impressione di voler arginare un torrente che rifiutava di stare nelle briglie di contenimento.


E poi il miracolo: mentre Marta parla, il sorriso di Farinetti si spenge. Il sorriso hungry and foolish si irrigidisce in una smorfia e gli occhi del padrone si fanno piccoli. Farinetti capisce che stavolta non c’è il solito tappeto rosso steso dalla Langa fino allo studio televisivo. E non trova altra via d’uscita che la minaccia, l’uso della querela per imbavagliare l’incauta ricercatrice che continua a snocciolare cifre e fatti. Cifre che parlano di diritti violati, di tutele ridotte, di operai sfruttati.

Leggi tutto

Da Olivetti al capitalismo delle piattaforme

Lelio Demichelis

C’era una volta , in un tempo che oggi sembra lontano lontano, un capitalista (e un capitalismo) dal volto umano e soprattutto umanistico. E che, diversamente dai neoliberali di oggi, non voleva trasformare la società in mercato, la vita in concorrenza di tutti contro tutti e ciascuno in mero imprenditore di se stesso. Un capitalista che certo aveva come suo baricentro l’impresa, ma un’impresa che si poneva al servizio della comunità e degli uomini e che voleva perfino democratizzare se stessa conferendo ai lavoratori e alle istituzioni del territorio la proprietà o la partecipazione alla gestione dell’impresa stessa. Un capitalista diventato per alcuni un mito e in parte certamente lo era (in verità i miti sono sempre pericolosi perché raccontano una verità che non sempre è la verità). Un mito, allora e forse, di nome Adriano Olivetti. Su cui torniamo grazie a un libro scritto da Alberto Saibene – L’Italia di Adriano Olivetti – diviso sapientemente tra storia d’impresa e storia culturale, tra biografia personale e biografia della nazione di quegli anni.

Leggi tutto

E’ uscito il numero 90 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

E’ uscito il numero 90 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n90-s.pdf

In questo numero:

Soffiano in Italia e in altri paesi dell’Europa venti e venticelli nuovi e importanti
di Luigi Vinci

Il salto del Grillo nella pancia del neofascismo europeo
di Roberto Mapelli

Articolo Uno-Mdp sbarra la strada a Renzi (e alla sua idea di fare le primarie con Pisapia)
Enrico Rossi: “L’ex premier è un piazzista”.

Salario minimo e minijob in Germania
di Toralf Pusch, Hartmut Seifert

Buona lettura e diffondete!

***

Umberto Romagnoli: da Pomigliano ai Voucher

FONTE INCHIESTAONLINE.IT

Non è stato finora osservato che la lesione subita dalla Cgil coi suoi milioni di rappresentati (oltreché dalla democrazia tout court) è qualitativamente identica a quella subita nel 2010, a Pomigliano D’Arco, dalla Fiom con le sue migliaia di iscritti (oltreché dalla garanzia costituzionale della libertà sindacale). La differenza è solo di quantità: riguarda l’entità della sbrego che è stato prodotto.

Allora, la Fiom venne estromessa dalla Fiat per non aver sottoscritto un contratto sostanzialmente imposto e l’espulsione era apparentemente legittimata dalla formulazione letterale dell’art. 19 st. lav. nella versione modificata dall’esito di un (improvvido) referendum del 1995. Nella riformulazione uscita dalla urne, infatti, la norma-pivot della nostra legislazione di sostegno sindacale subordinava la titolarità dei diritti di attività sindacale nei luoghi di lavoro alla sottoscrizione del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva. Per ristabilire la legalità la Fiom ha dovuto rivolgersi alla Corte costituzionale, la quale ne ha ordinato la riammissione nei luoghi di lavoro emanando una sentenza appartenente alla tipologia delle sentenze c.d. additive, che sono assai infrequenti nella sua giurisprudenza. Nel 2013, ha riscritto la norma; e ciò per evitare che il dissenso di un sindacato sia punito sacrificando la libertà dei lavoratori di scegliersi la rappresentanza sindacale che vogliono.

Leggi tutto

C’è puzza di “Renzusconi” di Loris Campetti

FONTE AREA7.CH

L’aveva giurato: se perdo il referendum torno a casa. Ha perso ma a casa è tornato solo per qualche ora, poi è nuovamente uscito e ha ripreso a dettare leggi e agende politiche. Matteo Renzi aveva due obiettivi: vincere le primarie del Pd e liberarsi di tutti i suoi oppositori e subito dopo buttare a mare il governo portaborse con l’ormai classico “Gentiloni stai sereno”, tornare alle urne e riprendere il comando della nave accendendo le luci a poppa e a prua. Sempre che le troppe luci non mandino a picco la nave come capitò al Titanic.

Leggi tutto

LE CONDIZIONI DEL LAVORO NELLE CATENE EUROPEE DI PRODUZIONE. IL CASO DELL’AUTOMOTIVE

Tansform Europa, Punto Rosso, Fondazione C. Sabattini e Fiom Lombardia
organizzano

LE CONDIZIONI DEL LAVORO NELLE CATENE EUROPEE DI PRODUZIONE.
IL CASO DELL’AUTOMOTIVE

Milano Venerdì 9 giugno ore 9,30 – 14
CGIL Lombardia, via Palmanova 22 (MM2 Udine)

Saluti: Aimilia Koukouma (Transform Europa), Alessandro Pagano (FIOM Lombardia), CGIL Lombardia

Introduzione: Matteo Gaddi (Punto Rosso/Fondazione Claudio Sabattini)

Intervengono:

Michele De Palma (Responsabile Nazionale Automotive FIOM)

Delegati di fabbriche automotive del territorio

Romain Descottes (CGT Francia)

Carlos Chicano Sanchez (CC.OO. Catalogna)

Stratos Kapetanios (Sindacato dell’Acciaio Grecia)

Krzysztof Laszczak (OPZZ Polonia)

Roland Kulke (Fondazione Rosa Luxemburg Germania)

Tibor Mesman (Magyar Szakszervezetek Orszagos Szovetsege Ungheria)

Conclusioni: Francesco Garibaldo (Direttore Fondazione Claudio Sabattini)

Lingue: Italiano – Inglese (traduzione simultanea)
info@puntorosso.itwww@puntorosso.it

Istat: scompaiono la classe operaia e la piccola borghesia, aumentano le disuguaglianze

FONTE ATLANTIDE.ORG

Il Rapporto Annuale Istat ricostruisce le classi sociali: disgregate le vecchie classi sociali, le differenze sono acuite da una distribuzione dei redditi che penalizza gli stranieri e le famiglie con figli. Pesa anche la scomparsa delle professioni intermedie, cresce soprattutto l’occupazione a bassa qualificazione. In stato di povertà assoluta 1,6 milioni di famiglie, il 28,7% a rischio di povertà o esclusione sociale. Il 70% degli under35 vive ancora con i genitori

di ROSARIA AMATO – 17 maggio 2017

ROMA – Non esiste più la classe operaia, si fa fatica a rintracciare il ceto medio, e sempre di più nelle famiglie italiane la “persona di riferimento” è un anziano, magari pensionato. Nel Rapporto Annuale 2017 l’Istat prova a ricostruire la società italiana e a tracciare i connotati delle nuove classi sociali: molto è cambiato ma molto si è cristallizzato. La disuguaglianza aumenta e non è legata a ragioni antiche, al censo, ai beni ereditati, ma in gran parte ai redditi, e in buona parte anche alle pensioni. Da opportunità nascono opportunità: i figli della classe dirigente diventano classe dirigente, i figli dei laureati diventano laureati, gli altri lasciano la scuola giovani. La classe impiegatizia si arricchisce con le attività culturali, le famiglie a basso reddito guardano la tv. Il lavoro si polarizza: scompaiono le professioni intermedie, aumenta l’occupazione nelle professioni non qualificate, si riducono operai e artigiani. E nella classe media impiegatizia le donne giocano un ruolo importante: nonostante nel complesso il tasso di occupazione femminile sia più basso di 18 punti rispetto a quello maschile, in 4 casi su 10 le donne sono i principali percettori di reddito, e dunque con una quota maggiore rispetto agli altri gruppi della popolazione.

Le nuove classi sociali. “La perdita del senso di appartenenza a una certa classe sociale è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia”, osserva l’Istat. L’istituto però non si limita a prendere atto della disgregazione dei gruppi tradizionali della società italiana, ma ne propone una ricostruzione originale, che suddivide la popolazione (stranieri compresi) in nove nuovi gruppi: i giovani blue-collar e le famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri, gruppi nei quali è confluita quella che un tempo era la classe operaia; le famiglie di impiegati, di operai in pensione e le famiglie tradizionali della provincia, nei quali confluisce invece la piccola borghesia; un gruppo a basso reddito di anziane sole (le donne vivono di più rispetto agli uomini) e di giovani disoccupati; e infine le pensioni d’argento e la classe dirigente. In questa classificazione incidono vari fattori, il più importante è il reddito. Il gruppo sociale più povero, quello delle famiglie con stranieri, si ferma a una spesa media di 1.697 euro; si arriva poi agli oltre 3.000 delle famiglie di impiegati e delle pensioni d’argento fino alla classe dirigente che supera di poco i 3.800 euro mensili.

Disuguaglianze sempre più cristallizzate. Una divisione nuova della società italiana farebbe pensare a cambiamenti rivoluzionari. In realtà di rivoluzionario in Italia al momento non c’è niente: è una società che cristallizza le differenze, e che da tempo ha bloccato qualunque tipo di ascensore sociale. In effetti funziona quello verso il basso, ma i piani alti sono sempre meno accessibili. Tra le famiglie con minori disponibilità economiche pesano di più le spese destinate al soddisfacimento dei bisogni primari (alimentari e abitazione), mentre in quelle più abbienti, che sono poi anche quelle con un maggiore livello d’istruzione, sale l’incidenza di spese importanti per l’inclusione e la partecipazione sociale, destinate a servizi ricreativi, spettacoli e cultura e a servizi ricettivi e di ristorazione. L’Istat ordina le famiglie per “quinti” di spesa, e il risultato è che gli ultimi due quinti spendono il 62,2% del totale contro poco più del 20% dei primi due.

Leggi tutto

Sciopero a oltranza all’Unità. Il Cdr: la dignità e i diritti dei giornalisti non hanno prezzo. Fnsi e Stampa Romana: pieno sostegno all’azione legale contro l’editore per comportamento antisindacale

FONTE PRIMAONLINE.IT

 

I giornalisti de l’Unità, con il sostegno di Federazione nazionale della stampa italiana e Associazione Stampa Romana ricorreranno in tribunale contro l’editore per comportamento antisindacale e accompagneranno l’azione legale con lo sciopero ad oltranza a partire da domani, martedì 16 maggio. Lo ha annunciato il Comitato di redazione del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, nel corso della conferenza stampa che si è svolta oggi nella sede della Fnsi.

“Da domani i giornalisti dell’Unità saranno in sciopero ad oltranza – ha detto Umberto De Giovannangeli, membro del cdr – una cosa che non ha precedenti nella nostra storia. Nel momento in cui ci troviamo uno sciopero pesa su di noi in maniera incredibile ma la dignità e i diritti non hanno prezzo”.

“Quello che sta accadendo all’Unità non ha niente a che vedere con logiche aziendali o una dialettica sindacale, si è andati oltre – ha spiegato Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi -. Di fronte ad una richiesta del cdr riguardo i tempi di pagamento degli stipendi la risposta dell’editore è stata che sarebbero stati pagati dopo che ‘direte ai colleghi di ritirare le azioni di pignoramento’. Si vuole imporre alla rappresentanza sindacale dei giornalisti di fare pressione su chi legittimamente si è rivolto alla magistratura per tutelare i propri diritti. Per questo abbiamo dato mandato ai nostri legali per avviare un’azione legale per comportamento antisindacale. Riteniamo ci siano i margini per intervenire”.

Leggi tutto

Vincenzo Comito : Note sulla situazione e sulle prospettive del lavoro nel mondo

Ringrazio Vincenzo Comito per avere affidato a Onde Corte questo importante  saggio sul lavoro che propone una rappresentazione puntuale delle criticità e delle prospettive del lavoro nel mondo prossimo venturo. Per ora prevalgono  molte domande senza una risposta: è da questi interrogativi  che occorre ripartire. La ricostruzione di una sinistra riparte dalla sfida ad affrontare il  nodo inestricabile tra la svalorizzazione del lavoro,  l’incremento di un numero enorme di persone destinate ad essere “eccedenti” ,   e il bisogno sempre più  difficile da realizzare di  una occupazione duratura in grado di consentire a milioni di persone di realizzare un progetto di vita dignitoso . Il saggio  di Vincenzo Comito ci consegna l’opportunità di aprire su Onde Corte un confronto “senza rete”  sui temi del lavoro.

Gino Rubini, editor di Onde corte 

*****

Scarica l’articolo in formato PDF 

Vincenzo Comito

Note sulla situazione e sulle prospettive del lavoro nel mondo

1.premessa

Il mondo del lavoro sta affrontando delle grandissime trasformazioni in tutto il mondo, trasformazioni che dovrebbero, secondo tutte le previsioni, anche accelerare e di molto nei prossimi anni. Le note che seguono, lungi dal tentare di analizzare il quadro complessivo di tali mutamenti a livello mondiale, regionale, nazionale, settoriale, cercano di individuare soltanto alcune delle tendenze in atto e di immaginare alcune di quelle future, seguendo in particolare il grande dibattito in corso sul tema ai due lati dell’Atlantico, dibattito che, in particolare su alcuni punti, è ben lontano dal raggiungere conclusioni unanimi.

L’autore di queste note, peraltro, preciserà il suo punto di vista sulla materia, abbastanza pessimistico almeno in presenza di una sostanziale inerzia di intervento da parte dei governi in particolare europei, o anche di loro azioni maldestre, come sembra in qualche modo plausibile pensare sulla base anche di quanto si è visto sinora.

Le note si concentrano sui mutamenti quantitativi del lavoro nella prima parte del testo e su quelli qualitativi nella seconda, anche se mantenere una distinzione netta tra i due temi appare certamente difficile. Seguiranno delle brevi conclusioni sul che fare, vasto campo di analisi ancora molto poco esplorato per ragioni anche, ma non solo, oggettive.

Molte delle considerazioni delineate nel testo sono tratte da un recente libro dell’autore e da un articolo sullo stesso soggetto di poco posteriore (Comito, 2016, a e b); esse sono integrate da diverse informazioni sulle novità nel frattempo maturate e da un arricchimento ed approfondimento di alcune idee precedenti sempre da parte dell’autore.

2.L’avvento dei robot

2.1.aspetti generali

Stefan Zweig, un grande intellettuale austriaco che ha operato tra le due guerre mondiali, costretto a lasciare l’Europa negli anni trenta a seguito dell’avvento del nazismo, si trasferì nella Americhe e trovò in particolare rifugio per un certo tempo in Brasile. Colpito dalle bellezze del paese e dalle sue ricchezze potenziali egli dichiarò ad un certo punto che il Brasile era il paese del futuro. Ma, ahimè, la previsione non si è poi avverata (stava forse in qualche modo per farlo durante il governo Lula) e ancora oggi laggiù si può soltanto sperare nel futuro.

Qualcosa di simile sembrava sino a poco tempo fa stesse accadendo all’industria della robotica. Già negli anni settanta del Novecento si pensava che le macchine avrebbero avuto una grande diffusione; esse avrebbero trasformato fortemente i modi di produzione ed avrebbero rimpiazzato per una larga parte il lavoro umano.

Ma per molti decenni la previsione non si è in alcun modo avverata e il settore ha avuto a lungo solo una moderata espansione nel mondo. Da noi è rimasto nella memoria, tra l’altro, il caso di una grande fabbrica italiana del gruppo Fiat nella quale diversi decenni fa si era tentata una automazione sostanzialmente totale degli impianti produttivi, che era sostanzialmente fallita; si dovette tornare a impiegare largamente il lavoro umano.

Ma ora le cose stanno cambiando decisamente.

Leggi tutto

Bruno Giorgini: Oui Macron. Comincia la lotta di classe

FONTE INCHIESTAONLINE.INFO

 

 

 

VINCERE O MORIRE è il titolo di un bel libro dove Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha raccolto una serie di saggi sulla legittimità e il potere, la presa del potere, col significativo sottotitolo “Lezioni politiche nel Trono di Spade” , che come tutti sanno è una saga televisiva di grande successo. Vincere o morire deve essersi anche detto Macron, l’enfant prodige della borghesia liberale finanziaria che con ascesa fulminante ha preso il potere in Francia, diventando Presidente della Republique per antonomasia.

La legittimità l’ha ottenuta al primo turno arrivando primo seppure di poco tra i quattro sfidanti. Quindi l’ha coltivata nello spaziotempo che lo separava dal ballottaggio. L’ha affermata poi nello scontro diretto con Marine Le Pen, robusta grande borghese nazional populista – dicono con indulgenza molti osservatori – comunque con netti tratti xenofobi, razzisti e fascistoidi. Le Pen, sperando di battere a colpi di bastone la spada affilata della ragione cartesiana e illuminista del suo avversario, ha tentato di scimmiottare la lingua del popolo povero, derelitto, e incazzato, precipitando invece nel grottesco.

Leggi tutto

E’ uscito il numero 84 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n84-s.pdf

In questo numero:

Il più grande sciopero nella storia del Brasile
a cura di Teresa Isenburg

Enrico Rossi sulle primarie: “Il Pd s’è perso la sinistra, a quel popolo che non ha più una casa dico: Vi aspettiamo”
Intervista di Gabriella Cerami

“La sinistra torni a fare la sinistra, sto con Articolo Uno”
di Jonathan Rimicci, operaio

Il giornale prima di tutto Il ricordo di Valentino Parlato.
di Luciana Castellina

Buona lettura e diffondete!

***

E’ uscito il numero 2 della RIVISTA di Punto Rosso – Lavoro 21

http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-rivista-numero2-s.pdf

Populismo 2.0 e populismo oligarchico

Lelio Demichelis

the-new-populism-1482659671-9641Forma politica ambigua e scivolosa, il populismo. Trionfa nei periodi di crisi economica e sociale, quando la democrazia implode su se stessa divenendo non-democrazia e tecnocrazia. Cancella le mediazioni e la società civile, ritenendole inutili e promuovendo una rappresentanza verticale e leaderistica. Non ha un’ideologia se non quella del né di destra né di sinistra (la peggiore).

E allora, qui ci si dichiara subito non populisti, anzi: anti-populisti, anche quando il populismo si propone come di sinistra. Perché il populismo semplifica e verticalizza, mentre abbiamo bisogno di un pensiero complesso e orizzontale. Perché al popolo indistinto ed eterodiretto (folla, massa, moltitudine?) preferiamo una ‘società di cittadini’ e l’idea di cittadinanza (sia pure rivista e corretta). Perché ogni populismo è sempre e strutturalmente massificante e deresponsabilizzante (bisogna rileggere Massa e potere di Elias Canetti e oggi Il capo e la folla, di Emilio Gentile) oltre a essere esso stesso una teologia politica (parafrasando Carl Schmitt: anche tutti i concetti e le pratiche del populismo sono concetti e pratiche teologiche secolarizzate ), portato a omologare e a far sciogliere ciascuno dentro l’Uno/Tutto del popolo – o del leader che lo rappresenta e che lo usa. Perché il populismo, conseguentemente, è una forma di ‘potere pastorale’ (direbbe Michel Foucault) e quindi religioso (nel legare gli esclusi, gli impoveriti e i deprivati al pastore-populista) che da laici è impossibile accettare; perché il populismo – e il neopopulismo di questi ultimi anni – gioca sulla contrapposizione del basso (il popolo) contro l’alto (le caste, il potere, le oligarchie, l’Euro, la globalizzazione), dimenticando che oggi il potere (il biopotere del tecno-capitalismo) è diffuso, orizzontale e trasversale, è diventato una forma di vita, per cui non basta opporsi all’alto in nome del basso (che tende a restare tecno-capitalista), ma occorre un discorso di-verso.

Leggi tutto

Jobs Act, aumentano i licenziamenti, giù i contratti stabili

Jobs Act, aumentano i licenziamenti, giù i contratti stabili

284 mila contratti a tempo determinato e 35 mila contratti di apprendistato «trainano» l’occupazione a gennaio-febbraio 2017. 10 milioni e 526 mila voucher venduti in un anno fino al 17 marzo, giorno in cui il governo Gentiloni ha abolito con un decreto i «buoni lavoro» Aumentano i licenziamenti disciplinari nelle aziende con più di 15 dipendenti. Con il taglio degli sgravi contributivi alle imprese per i neo-assunti crollano le assunzioni a tempo indeterminato. I pochi assunti trovano in busta paga un regalo: le retribuzioni inferiori a 1.500 euro sono più basse di quelle, già basse, dei colleghi già assunti. Sono le conseguenze del Jobs Act di Renzi e del Pd riassunte dall’osservatorio sul precariato dell’Inps che ieri ha pubblicato i dati di febbraio 2017.

LA CANCELLAZIONE dell’articolo 18; l’imposizione del contratto a tutele crescenti – dove a crescere è la libertà dell’impresa a licenziare; il regalo di stato alle imprese pari a 11 miliardi di euro in tre anni; il taglio dei salari per il lavoro dipendente nel privato, ovvero i pilastri della dissennata politica dei bonus imposta da Renzi ha portato alla seguente situazione. Nei primi due mesi del 2017 i licenziamenti disciplinari sono aumentati del 30% rispetto ai primi due mesi del 2016: oggi sono 5.437, ieri erano 4.111. E salgono del 64,9% se si considera il periodo analogo del 2015 quando il Jobs act non era ancora in vigore. Questo significa che la «riforma» approvata dal Pd ha aumentato i licenziamenti grazie all’abolizione dell’articolo 18 che ha di fatto cancellato il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti da marzo 2015 nelle aziende con oltre 15 addetti.

L’ALTRO TOTEM RENZIANO è l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato. Una bufala. Tagliati i costosissimi sgravi, la crescita si riduce drasticamente. Nei primi due mesi del 2017 del 13% rispetto a quelli del 2016 con un saldo positivo tra assunzioni e cessazioni di soli 18 mila contratti, la metà di quelli del 2016 e il 15 per cento di quelli dei primi due mesi del 2015. Senza i soldi pubblici le imprese italiane non assumono. La politica dei bonus ha spostato un’immensa quantità di denaro pubblico nelle tasche dei capitalisti, senza peraltro risultati significativi.

AL CONFRONTO SU SKY con gli altri candidati alle primarie Pd Renzi ha rilanciato anche il dato grezzo sugli oltre 700 mila assunti con il Jobs Act. I dati Inps raccontano un’altra realtà, quella della dinamica del mercato del lavoro che non può essere rappresentata con una somma, ma con un saldo tra assunzioni e cessazioni dei contratti. Il valore va misurato su base annua, e non con la somma del biennio come fa invece Renzi. Per l’Inps il saldo dei primi due mesi del 2017 risulta positivo: +352 mila. Ma bisogna guardare le tipologie dei contratti contenuti in questa cifra. Ci sono i contratti a tempo indeterminato (+33 mila), ma la crescita è trainata dai contratti di apprendistato (+35 mila) e dai contratti a tempo determinato (+284 mila inclusi i contratti stagionali). Questo significa che il Jobs Act, tanto sbandierato, è un altro modo per produrre precarietà per legge.

OLTRE ALLA RIDUZIONE dei salari: 31,8% contro il 35,8% rispetto a gennaio-febbraio 2016 ci sono gli immancabili dati sui voucher che hanno continuato a macinare record su record anche a marzo 2017. Tra il 1 marzo e il 17, data di entrata in vigore del decreto che li ha aboliti (con la possibilità di usare quelli acquistati fino a fine anno) sono stati venduti 10.526.569 voucher in linea con l’intero mese di marzo 2016 (10.922.770). Il presidente dell’Inps Tito Boeri chiede un rilancio degli sgravi alle imprese, anche in mancanza di una domanda di lavoro. «Mi chiedo se non valga la pena di mantenere in piedi forme di decontribuzione per i giovani, con lo Stato che paga per loro i contributi» sostiene. Una forma simile è comunque presente per gli under 35 del Sud. Più critica la Cgil con Tania Scacchetti, segretaria confederale: «Il fallimento del Jobs Act è sotto gli occhi di tutti. Sgravi contributivi a pioggia per le imprese e riduzione delle tutele per i lavoratori non hanno rappresentato la strada giusta».

«IL JOBS ACT è stata una scelta sbagliata» sostiene Francesco Laforgia, capogruppo alla Camera degli scissionisti del Pd – Articolo 1-Mdp. Sul tavolo mettono il ripristino dell’articolo 18 e chiedono di calendarizzare una proposta di legge. L’iniziativa resta nel campo del Pd renziano e del governo Gentiloni che ha abolito i voucher con un decreto per impedire il referendum Cgil. La richiesta di una revisione dell’altro totem renziano è giunta anche dal segretario confederale della Uil Guglielmo Loy che denuncia anche l’aumento del 431% nei licenziamenti da esodo incentivato, cambio di appalto o interruzione di rapporti di lavoro nel settore edile.
«Il Jobs Act è dipendente soltanto dagli sgravi contributivi – afferma Renato Brunetta (Forza Italia) – Una strategia sbagliata che ora si vuole ripetere con sgravi per giovani e donne, di vago stampo elettorale». «I dati dell’Inps confermano le nostre paure. Gli unici effetti del Jobs Act sono precariato e licenziamenti» sostengono i portavoce M5S delle commissioni lavoro Camera e Senato.

E’ uscito il numero 83 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n83-s.pdf

In questo numero:

Portella delle ginestre
di Ignazio Buttitta

“Il governo trovi le risorse perché Alitalia continui a volare”.
Pressing di Articolo 1 su Gentiloni e Calenda

“Una sinistra dall’identità forte è in grado di contenere le spinte a destra”
Intervista a Massimo D’Alema

Sciopero generale in Brasile
a cura di Teresa Isenburg

Turchia. La vostra Resistenza ispira la nostra lotta contro la dittatura
Di Hişyar Özsoy

Buona lettura e diffondete!

***

E’ uscito il numero 2 della RIVISTA di Punto Rosso – Lavoro 21

http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-rivista-numero2-s.pdf

************************************

SUL NUOVO SITO DI PUNTO ROSSO

QUALI DIRITTI PER IL LAVORO IN EUROPA?
Milano, sabato 22 aprile – ore 10-16 – Casa della Cultura

Puoi vedere il convegno e le interviste ai relatori:
http://www.puntorosso.it/convegni.html

Audi Forest : « Des semaines de 45 heures à la chaîne, c’est intenable »

Thema’s

AUTOMOBILEAUDI

Turchia: 14 sindacalisti condannati alla prigione

In collaborazione con la Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto, , federazione globale di 690 sindacati che rappresentano circa 4.5 milioni di lavoratori del settore del trasporto in 153 Paesi.

 

Quattordici dirigenti sindacali e membri del sindacato turco TÜMTİS di Ankara stanno affrontando la prigione per accuse di natura politica che risalgono al 2007. Chiediamo il loro rilascio incondizionato. I 14 uomini sono tra i 17 uomini travolti da una serie di retate nel 2007, in seguito ad una denuncia presentata da una azienda logistica dove il TÜMTİS aveva da poco portato a termine un’azione di organizzazione sindacale di successo. E’ incredibile come, nonostante le proteste internazionali e le evidenti incongruenze e irregolarità per il loro trattamento e i processi contro di loro, siano stati condannati nel 2012 a pene detentive per l’incredibile reato di “fondare un’organizzazione allo scopo di commettere reati, violando il diritto al lavoro pacifico attraverso la coercizione al fine di ottenere un guadagno pecuniario ingiusto e ostacolando il godimento dei diritti sindacali”. Le condanne e il processo hanno violato il diritto internazionale. Il TÜMTİS e la Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto hanno fatto ricorso contro la sentenza, ma nonostante tutte le prove di sviamento di procedura, la corte d’appello ha confermato le sentenze.

 


Sostieni questa campagna!  Per sottoscrivere l’Appello clicca qui 

Rana Plaza: Unions can save lives as well as livelihoods

21 Apr 2017, By

fonte strongerunions.org 

As we approach the 4th anniversary of terrible tragedy at Rana Plaza in Bangladesh, it’s important to hold on to the sense of shock we all had when we heard that over a thousand workers, full aware that their building was unsafe, went to work as usual so they wouldn’t lose their jobs, and instead lost their lives.

It’s important to remember because it’s this reality that drives the campaigning from unions around the world for fundamental rights. The fact is, unions can save lives, as well as livelihoods, where workers have the right to join them.

It’s also important because the government of Bangladesh seems to need reminding.

In the aftermath of Rana Plaza, unions both on the ground in Bangladesh and internationally, were involved in the creation of the Bangladesh Accord on Fire and Safety, an agreement between brands sourcing from Bangladesh and trade unions to systematically drive improvements to working conditions, with democratically elected workers’ representatives a key part of the monitoring process and the right for workers to refuse to enter unsafe premises.

As Owen Tudor noted last week, unions and their members now have a stronger voice in confronting unsafe conditions, making Bangladesh safer for workers and a better investment for brands seeking suppliers free of the taint of human rights abuse.

Instead of being rewarded for this, this year Bangladesh’s unions have been persecuted. The government and the country’s employers spent the first few weeks of 2017 sweeping up trade union leaders and activists under a range of flimsy charges, clearly looking to break the growing influence of unions.

The good news is that it soon became clear that they had miscalculated. A concerted international campaign by unions, soon backed by key brands and a threatened boycott of a prestigious employer summit, spooked the government into releasing the trade unionists and pledging to drop the charges against them. It also meant, in order to fix the mess they’d got themselves into, the government found themselves sitting around table with Bangladesh unions, in the country’s first formal tripartite talks. Far from being crushed, the unions are now suddenly formal social partners.

The government, however, is slow to learn, and whispers suggest that it is keen to reduce the scope of the Accord when its remit comes up for review. The next battle will be to keep the full range of powers the Accord can wield in intervening in dangerous workplaces, and its contribution to protecting the role of trade unionists as whistle blowers.

This weekend, a new international effort – again backed by global unions – is launched, looking to make it easier for unions to work with companies to ensure that fundamental workers’ rights are respected in their supply chains. The Transparency Pledge looks to change the secretive and complex nature of international sourcing by persuading companies to publish details of where they get their products, just as those signed up the Accord do. So far 17 companies have agreed to the terms of the pledge, but there’s a long way to go.

However, it’s clear that for all that the government is keen to forget it, the haunting memory of Rana Plaza continues to be a stark reminder of why workers need unions.