La Grecia sta progettando un sistema di sorveglianza automatizzato da 40 milioni di euro ai confini con la Macedonia del Nord e l’Albania

 

Fonte Algorithmwatch

 

 

 

 

La Commissione europea vuole che la Grecia costruisca un muro automatizzato per impedire ad alcune persone di lasciare il Paese. La gente del posto non è entusiasta, ma la loro opinione conta poco.

Molte persone con passaporto siriano, afghano, somalo, bengalese o pakistano che cercano asilo nell’Unione europea lasciano la Grecia quando hanno la sensazione che la loro situazione amministrativa non migliorerà lì. Il percorso verso altri paesi dell’UE attraverso i Balcani inizia nel nord della Grecia, prosegue verso la Macedonia del Nord o l’Albania. La polizia greca, si dice, è piuttosto rilassata nei confronti delle persone che lasciano il paese.

“Molte persone che passano dalla nostra zona vogliono andare in Europa”, dice Konstantinos Sionidis, sindaco di Paionia, un comune operaio di 30.000 abitanti al confine settentrionale della Grecia. “Non è una situazione piacevole per noi”, aggiunge.

Una mappa della Grecia settentrionale con evidenziata la posizione del comune di Paionia.

Ma uscire da via Paionia si fa sempre più difficile. Nel maggio 2023, le guardie Frontex hanno iniziato a pattugliare il confine con la Macedonia del Nord. Vicino all’autostrada, una giovane donna della Sierra Leone ha detto che lei e la sua amica hanno tentato di andarsene quattro volte nell’ultimo mese. Una volta arrivarono fino al confine serbo. Le altre volte sono stati arrestati immediatamente di notte nella Macedonia del Nord, mentre uscivano dalla foresta, da agenti di Frontex che chiedevano “Vuoi andare in Germania?” (No.) “Non ci vogliono qui [in Grecia]”, dice. “Andiamo!”

Tuttavia, la Commissione europea ha in programma di rendere più difficile per le persone viaggiare attraverso la Macedonia del Nord (e altre parti della rotta dei Balcani occidentali). Secondo un documento di programmazione nazionale per il finanziamento UE della “gestione delle frontiere” per le autorità greche nel periodo 2021-2027, sono stanziati 47 milioni di euro per costruire un “sistema automatizzato di sorveglianza delle frontiere” ai confini della Grecia con la Macedonia del Nord e l’Albania. Il nuovo sistema sarà esplicitamente modellato su quello già implementato al confine terrestre con la Turchia, lungo il fiume Evros.

Il muro di confine virtuale

Evros è descritta come un “banco di prova” di sorveglianza. All’inizio degli anni 2000, la polizia utilizzava termocamere e binocoli per individuare le persone che tentavano di attraversare il confine. Mentre la Grecia e altri Stati membri aumentavano i loro sforzi per tenere le persone fuori dall’UE, sono arrivati ​​più finanziamenti per droni, rilevatori di battito cardiaco, più guardie di frontiera – e per un “sistema automatizzato di sorveglianza delle frontiere”.

Nel 2021, il governo greco ha inaugurato decine di torri di sorveglianza, dotate di telecamere, radar e sensori di calore. I funzionari hanno affermato che questi sarebbero in grado di allertare le stazioni di polizia regionali nel caso in cui rilevassero persone che si avvicinano al confine. All’epoca, i media erano entusiasti di questo “scudo elettronico” 24 ore su 24 che avrebbe “sigillato” Evros con telecamere in grado di vedere “fino a 15 km” in Türkiye.

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Non sanno di cosa stanno parlando

 

  • Fonte : Radiopopolare che ringraziamo 
  • Autore :  Alessandro Gilioli

 

 

C’è questa cosa, venuta fuori anche ieri con Meloni, dei rischi che corrono i migranti che partono, e lei che chiede ai parenti e ai superstiti di Cutro: “Ma non sapete quanto è pericoloso?”.

Lo aveva già fatto Piantedosi, in modo perfino più grezzo e cretino, ora lo dice anche la premier.

Il problema di queste persone – Meloni Piantedosi e tanti altri – è che purtroppo parlano di cose che non conoscono, di condizioni che non conoscono, che sono quelle di partenza.

Non hanno mai viaggiato se non negli alberghi a cinque o sei stelle delle grandi città, non hanno mai visto i villaggi dove se per la siccità ti muore l’unica capra sei morto di fame anche tu, non hanno mai dormito nel fango con le bombe che ti scoppiano attorno, non hanno mai visto con i loro occhi i luoghi del mondo di pura disperazione, di schiavitù, di sedici ore al giorno al telaio in uno scantinato in cambio di una ciotola di riso, di una vita che non vale la pena di essere vissuta e quindi sì, può essere messa a rischio, perché così com’è non vale nulla.
Nessuno è obbligato a vivere un mese in un villaggio africano dove non c’è più acqua né cibo d’accordo, nessuno è obbligato a dormire almeno una notte in uno slum di Calcutta, su un marciapiedi di Addis Abeba, nel porto di Sihanoukville.

Però forse sarebbe utile, per capire almeno di che cosa stiamo parlando, di che cosa stanno parlando

Far morire, lasciar morire: la scelta tanatopolitica del governo Meloni e dei suoi ministri – di Salvatore Palidda

Fonte Effimera che ringraziamo 

67 morti annegati. Tra le vittime registrate fino a questo momento 15 minori, fra i quali bambini e neonati. Come scrive SOS Mediterranee, probabilmente non si tratta del numero definitivo anche se non tutti i corpi potranno essere ripescati[1]. È l’ennesima strage di migranti in un Mediterraneo, da anni diventato cimitero di migliaia di persone che rischiano la vita perché restare nel paese di partenza è diventato impossibile o significa aspettare una morte cruenta.

In una trasmissione tv il medico soccorritore Orlando Amodeo ha detto che è stato un “dramma voluto ed evitabile… Faccio soccorsi da 30 anni… abbiamo imbarcazioni che tranquillamente riescono ad affrontare mare forza sei e forza sette, in passato lo abbiamo fatto. Anzi, siamo andati a 40-50 miglia a sud di Crotone e li abbiamo soccorsi. Qualche anno fa abbiamo salvato 147 persone”.

In altre trasmissioni, è emersa anche la chiara denuncia del non intervento della Guardia Costiera sebbene dal giorno prima si sapeva di un’imbarcazione a rischio naufragio.

Ancora Amodeo ha aggiunto: “A prescindere da questo, che i flussi continuino, che gli sbarchi ci siano e continueranno, ormai lo sanno anche le pietre… basta con porti chiusi, porti aperti, basta con blocco navale, sblocco navale, queste persone bisogna aiutarle a venire qua con delle navi, con degli aerei. Gli scafisti li inventiamo noi. Se l’Italia e l’Europa diventassero un pochettino più umane, non ci sarebbero più scafisti e queste tragedie non esisterebbero proprio”. [2]

Le parole di Amodeo, che è anche un ex dirigente medico della Polizia di Stato – forse anche per questo – hanno suscitato l’anatema del ministro dell’Interno Piantedosi (ex vice capo della PS) che ha detto che “queste tragedie sono colpa di genitori irresponsabili che portano i figli a morire”.[3]

A questo Amodeo ha replicato: “Basta con questa storia che i genitori sono pazzi, che portano i figli in mare e li fanno morire. Chi vi parla ha visitato ragazzi curdi che si erano venduti un rene per arrivare in Germania. Smettiamola con questa ipocrisia”.

Il ministro ha poi ordinato al Viminale di comunicare che “sottoporrà all’Avvocatura dello Stato le gravissime false affermazioni diffuse da alcuni ospiti in occasione della trasmissione di La7 al fine di promuovere in tutte le sedi la difesa dell’onorabilità del Governo, del ministro Piantedosi, di tutte le influenze ministeriali e di tutte le istituzioni che sono da sempre impegnate nel sistema dei soccorsi in mare”.

Replicando al comunicato del Viminale il direttore della trasmissione ha detto: “Queste parole (del ministro) mi sembrano minacce. Sottoscriviamo le parole degli ospiti. Alla televisione gratuita, gli ospiti dicono quello che pensano. Ricordiamoci che cos’è la libertà”.

Come ha ricordato Maurizio Guerri: «La disperazione non giustifica i viaggi» è una frase che sprofonda colui che l’ha pronunciata – e il governo di cui è una lugubre sfumatura – nell’abisso della banalità del male. Proprio nei disperati – e nella disperazione – Walter Benjamin riconosceva l’unica possibilità di redenzione dell’uomo contemporaneo, anche dei non (apparentemente?) disperati: «Nur um den Hoffnungslosen willen ist uns die Hoffnung gegeben». «È solo in nome dei disperati che ci è data ancora una speranza» (Goethes Wahlverwandtschaften, Gesammelte Schriften I.1, Frankfurt am Main 1991, S. 201).

Ricordiamo che la scelta di “far morire o lasciar morire” si è materializzata sempre più in particolare con l’istituzione di Frontex che da anni è non solo al centro di fatti di corruzione e collusione con la lobby militare, ma anche oggetto di precise denunce per il suo sostegno militare e finanziario alle bande criminali libiche in nome del contrasto delle migrazioni[4]. Di fatto quest’istituzione europea è co-responsabile di crimini umanitari[5].

In quest’opera l’allora ministro PD Minniti é stato molto attivo sino a imbastire un’operazione a modo suo assai brillante (ma persino scoperta e filmata): lo sporco baratto italo-libico (segnalo l’ampio articolo pubblicato da Effimera su questa vicenda e tutti i suoi contorni). Un baratto per certi versi emblematico anche per l’encomio che ebbe da parte delle autorità europee sino a farne un “ottimo esempio da seguire” (secondo Macron, Juncker e altri). L’operazione non poteva che essere diretta dal ministro Minniti perché da lungo tempo era diventato il principale referente politico di servizi segreti, militari e forze di polizia. Come fu svelato da diversi reportage, a nome del governo italiano Minniti pagò una milizia di criminali libici, di cui a capo c’era Ahmed Dabbashi[6] e il fratello, oltre 10 milioni di dollari in cambio della conversione di tale banda in brigata 48 integrata nei ranghi dello stato libico come forza armata addetta a controllare la costa per impedire partenze di migranti. Ma quello che il ministro non disse, e quasi tutti fecero finta di ignorare, è che il vero scopo del baratto era la salvaguardia degli interessi e delle attività dell’ENI-AGIP in Libia, minacciati dai contrabbandieri e bande come quella dei Dabbashi che spesso sequestrano tecnici o minacciano di dare alle fiamme pozzi e raffinerie o organizzavano il contrabbando di petrolio (sino a farlo arrivare in Italia[7]).

Così la brigata 48 garantì il blocco delle partenze, rastrellando i migranti e rinchiudendoli in centri di detenzione che come si vede in alcuni video e come raccontarono la presidente di Medici senza Frontiere, la commissaria Malmström e altri, sono lager. «Migranti e rifugiati sono ammassati in saloni bui e sporchi, senza ventilazione. Vivono gli uni sugli altri e sono costretti a fare i loro bisogni fisiologici per terra. A piccoli gruppi, sono costretti a correre nudi nel cortile sino a cadere per terra sfiniti o svenuti. Gli aguzzini violentano le donne prima di costringerle a contattare le loro famiglie, implorando invii di soldi per poter sottarsi a tale schiavitù e a tale inferno”.

Il ministro Minniti è stato molto prodigo di interventi pubblici per vantare il successo della sua opera giustificandola innanzitutto come un’azione di “sicurezza di sinistra” e per “salvare i rischi per la nostra democrazia” minacciata dall’ascesa della paura e del razzismo (nella sua caricatura molto efficace e puntuale, Crozza fa dire a Minniti: «Non possiamo lasciare il fascismo ai fascisti»[8]; da parte sua Gino Strada definì Minniti uno sbirro).

La storia dell’approdo dell’ex-sinistra alle scelte reazionarie ha continuato a rinnovarsi in Italia come nel resto d’Europa.

Non stupisce, quindi, che oggi il governo delle destre e il suo ministro dell’interno Piantedosi si sentano assolutamente legittimati a perseguire la scelta di “far morire o lasciar morire” i migranti, insieme alla criminalizzazione di chi vuole soccorrerli.

In altri termini siamo davanti alla stessa logica che governa la riproduzione delle guerre permanenti, dei disastri sanitari, ambientali ed economici, delle neo-schiavitù e lo sprezzo totale dei migranti disperati, siano essi scampati alle guerre, alla fame, alle epidemie, al disastro economico e a ogni sorta di violenza e dominio.

Da notare che l’atteggiamento del ministro Piantedosi è di fatto lo stesso di quello del suo collega ministro della Pubblica Istruzione che ha incolpato e minacciato sanzioni contro la professoressa del liceo di Firenze che in una lettera aperta aveva difeso la Carta costituzionale antifascista contro la brutale aggressione di picchiatori fascisti contro gli studenti del suo liceo.

Così i ministri del governo del “fascismo democratico” pretendono stabilire il divieto di dire in pubblico verità contrarie a quanto loro affermano e quindi minacciano procedimenti giudiziari, visto che il loro collega ministro della giustizia e anche la Corte di Cassazione mostrano di essere ben solerti nell’esaudire questo divieto e la scelta di “lasciar morire” (la negazione a Cospito di uscire dal 41bis).

Questa scelta di tanatopolitica è di fatto coerente con ciò che sembra più opportuno chiamare “fascismo democratico” di un governo legittimato da solo 27% di aventi diritto al voto, una minoranza che passa per maggioranza. È quanto da decenni auspicano i partito delle destre e dell’ex-sinistra perché così ci sono meno elettori da controllare o coltivare come clientela. È l’esito del processo di eterogenesi della pseudo-democrazia che s’è compiuta attraverso l’anamorfosi dello stato di diritto[9] (il passaggio continuo dalla pseudo-democrazia all’autoritarismo e anche a pratiche fasciste e notoriamente razziste e sessiste e dal legale all’illegale)[10]. Il processo innescato dalla controrivoluzione del capitalismo liberista[11], che si è nutrita dell’anomia liberista (astensionismo) e della post-politica a prescindere da ogni ideologia, tutto grazie al contributo decisivo dell’ex-sinistra[12].

Addendum

L’allarme è arrivato 23 ore prima della tragedia. Ma la Guardia di Finanza di Crotone ha trattato il caso come un’operazione di polizia e non di soccorso (cioè come un’azione anticriminalità che avrebbe dovuto mirare tutt’al più all’arresto degli scafisti). Invece dovevano partite le motovedette della Guardia Costiera che sono adatte ad affrontare il mare anche forza 7-8. Ma sono uscite solo a naufragio avvenuto.

Persino Frontex aveva fatto sapere di aver dato l’allerta e che spettava all’Italia l’intervento di soccorso. Le autorità italiane hanno inviato le vedette della Guardia di Finanza per ragioni di law enforcement, cioè di azione repressiva di polizia e non di soccorso.

L’ordine è stato dato sicuramente dal Viminale, cioè dal ministro Piantedosi che si vanta di venire dai ranghi della polizia. Dopo il “colpo di stato” al Viminale di De Gennaro c’è stato un boom di prefetti provenienti dalla PS mentre si sa che al ministero degli Interni occorre un politico. Ma non a caso qui Madame Meloni ha scelto Piantedosi che, parlando alla Commissione Affari costituzionali della Camera, ha dichiarato che «l’aereo di Frontex non aveva segnalato una situazione di pericolo o di stress a bordo». Difficilmente sarà costretto alle dimissioni.

NOTE

[1] https://www.ansa.it/calabria/notizie/2023/02/28/migranti-naufragio-steccato-di-cutro-64-le-vittime-accertate_39c0810c-88ab-4a82-ac9f-19bebb7da952.html

[2] https://www.corrieredellacalabria.it/2023/02/27/il-soccorritore-in-diretta-tv-tragedia-voluta-era-evitabile-viminale-affermazioni-gravi-le-sottoporremo-allavvocatura-dello-stato/

[3] https://www.repubblica.it/cronaca/2023/02/27/news/naufragio_cutro_piantedosi-389781106/

[4] https://sea-watch.org/frontex_crimes/ ; https://www.statewatch.org/news/2021/february/eu-legal-actions-pile-up-against-frontex-for-involvement-in-rights-violations/ ; https://www.hrw.org/news/2021/06/23/frontex-failing-protect-people-eu-borders ; https://altreconomia.it/dalla-corte-dei-conti-alla-corte-di-giustizia-europea-lagenzia-frontex-sotto-accusa/https://www.a-dif.org/2022/12/01/dopo-le-falsita-di-frontex-e-del-governo-nei-tribunali-per-ristabilire-il-principio-di-realta/ .

[5] https://comune-info.net/memorandum-e-vergogna/

[6] Ahmad Dabbashi, prima boss del traffico di migranti in Libia e ora super capo poliziotto: https://formiche.net/2017/09/ahmad-dabbashi-libia/

[7] https://www.raiplay.it/video/2018/11/Stasera-2115-su-Rai3-Report-Petrolio-nero—Anticipazione-a2544baa-33a4-4c5f-9195-59dea94f9c55.html ; https://www.repubblica.it/cronaca/2017/07/31/news/il_petrolio_dell_isis_finisce_in_italia_la_guardia_di_finanza_indaga_sulle_navi_fantasma_-172011799/ ; https://ilmanifesto.it/dalliraq-alla-sardegna-il-traffico-sospetto-delloro-nero-dellisis ;

[8] https://www.youtube.com/watch?v=Mly7SNrmVfY

[9] https://www.researchgate.net/publication/318642065_L%27anamorphose_de_l%27Etat-Nation_le_cas_italien; Vedi libro https://www.meltemieditore.it/catalogo/polizie-sicurezza-e-insicurezze/

[10] Razzismo democratico: la persecuzione dei rom e degli immigrati in Europa, Milan: AgenziaX, 2009. http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/razzismo-democratico.pdf; “Il cambiamento radicale delle politiche migratorie: dal lasciar vivere al lasciare morire (dalla biopolitica a sempre più tanatopolitica)”: https://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S1980-85852021000100033&lng=en&nrm=iso&tlng=it; “Il furore di sfruttare e di accumulare”: http://effimera.org/il-furore-di-sfruttare-e-di-accumulare; “Continuità e mutamenti nelle migrazioni in particolare alla frontiera di Ventimiglia, in Altreitalie 56, 2018: https://www.altreitalie.it/pubblicazioni/rivista/n–56/acquista-versione-digitale/continuita-e-mutamenti-delle-migrazioni-nel-confine-tra-litalia-e-la-francia.kl.

[11] In diverse pubblicazioni ho proposto la descrizione di questo processo che si manifesta in maniera eloquente già nelle pratiche di gestione dell’immigrazione sin dall’inizio degli anni ’90: vedi in particolare Verso il fascismo democratico? in “aut aut”, 275,1996, pp.143-168; Polizia postmoderna, Feltrinelli, 2000.

[12] https://www.pressenza.com/it/2022/09/il-trionfo-della-post-politica-e-dellanomia-liberista-dallastensionismo-alla-deriva-di-destra-in-italia/http://effimera.org/un-po-di-storia-della-sinistra-in-italia-per-capire-lattuale-deriva-a-destra-di-salvatore-palidda/

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Curdi in Italia in solidarietà con Mimmo Lucano

FONTE ANFDEUTCH

La comunità curda in Italia mostra solidarietà a Mimmo Lucano. L’ex sindaco di Riace è stato condannato a oltre 13 anni di carcere per aver fornito case abbandonate ai migranti.

La comunità curda in Italia esprime vicinanza e solidarietà all’ex sindaco di Riace. Mimmo Lucano è un simbolo della cultura dell’accoglienza, della solidarietà e dell’integrazione sociale, secondo una dichiarazione pubblicata sabato dal centro di informazione curdo sulla condanna del politico. Lucano, vincitore del Premio per la pace di Dresda del 2017, è stato condannato giovedì a 13 anni e due mesi di reclusione per abuso d’ufficio, formazione di organizzazione criminale e favoreggiamento all’immigrazione clandestina, nonché per truffa, concussione e falso di documenti. Con il loro verdetto, i giudici sono andati ben oltre la richiesta dell’accusa, che aveva chiesto quasi otto anni di carcere.

Lucano è stato sindaco del piccolo comune della costa meridionale calabrese dal 2004 al 2018 e aveva fornito case abbandonate di residenti emigrati a centinaia di migranti nel remoto quartiere di Riace Borgo nell’entroterra collinare. Il Kurdish Information Center in Italia riporta: “Lucano nasce nel 1998 con un gruppo di 200 curdi che fuggivano dalla guerra dello stato turco contro il popolo curdo e dalla dura repressione del regime di Ankara sulla costa erano sbarcati. Ha aperto le case abbandonate nella città di Riace e accolto profughi curdi a cui erano stati negati i diritti e le libertà più elementari per ripristinare la loro dignità umana e avviare così la rinascita di un’area segnata dalla povertà.

È sempre stato vicino al popolo curdo e non ha mai esitato a schierarsi contro il regime autoritario della Turchia e per la libertà del nostro popolo, come è avvenuto di recente con l’attacco al modello del confederalismo democratico in Rojava. Esprimiamo la nostra solidarietà a Mimmo e siamo certi che il suo caso si risolverà positivamente e verrà riconosciuto il valore del suo progetto di integrazione e solidarietà tra i popoli».

Lucano e la sua squadra di difesa hanno parlato di un “incidente inaudito” dopo l’annuncio del verdetto e hanno annunciato che avrebbero presentato ricorso. I legali di Lucano avevano sostenuto che l’ex sindaco era “ontologicamente incapace” di arricchirsi a scapito di altri, se non altro per il proprio vantaggio politico.

 

Comunicato dei e delle docenti di discipline giuridiche degli Atenei italiani a seguito della sentenza di condanna nei confronti di Mimmo Lucano

Fonte ADIR L’altro Diritto

La sentenza di primo grado che condanna Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a 13 anni e 2 mesi interroga il nostro senso di giustizia.

Da giuristi e giuriste, e studiosi e studiose del diritto e delle istituzioni, attendiamo, prima di ogni valutazione nel merito, di leggere le motivazioni della sentenza e con fiducia pensiamo ai successivi gradi di giudizio come a momenti in cui maggiore chiarezza potrà essere fatta.

Sin da subito, però, non possiamo esimerci dal sottolineare come il Tribunale di Locri abbia ritenuto, per i reati di associazione, truffa sulle erogazioni pubbliche e di peculato, ai cui singoli episodi è stata riconosciuta la continuazione, di applicare una pena estremamente elevata, a fronte di uno stimato danno erariale di meno di 800.000 euro di cui è stato comunque imposto il risarcimento. La sentenza irroga di conseguenza un ammontare complessivo di pena che raramente è stato disposto per reati analoghi anche in procedimenti in cui il vantaggio ingiusto era ben più consistente e rivolto a finalità ben più individualistiche di quelle attribuite a Mimmo Lucano. Basti pensare alle condanne inflitte, nell’ambito del cosiddetto processo “Mafia capitale”, poi diventato “Mondo di mezzo”, a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, che pur relative a sedici episodi corruttivi, sette di turbativa d’asta, uno di traffico di influenze illecite e uno di trasferimento fraudolento di valori, sono state di gravità inferiore a quella stabilita per l’ex sindaco di Riace.

Questo lascia spazio a dubbi, stupore, e al timore legittimo di un accanimento verso un uomo e una vicenda divenuti simbolo di una visione dell’accoglienza in Italia mirata alla costruzione di percorsi inclusivi effettivi e non alla burocratica osservanza dei protocolli ministeriali.

Ci meraviglia in particolare il fatto che il collegio non abbia ritenuto di applicare alcuna attenuante. Dichiariamo la nostra preoccupazione per un clima di ostilità che si respira a volte anche nelle aule giudiziarie nei confronti di chi, a vario titolo e in vari contesti, appartiene al mondo che esprime fattivamente solidarietà alle persone migranti, e la volontà di monitorare con tutti gli strumenti a nostra disposizione le fasi successive del procedimento aperto nei confronti di Mimmo Lucano.

Primi firmatari:

Emilio Santoro, Università di Firenze; Alessandra Sciurba, Università di Palermo; Aldo Schiavello, Università di Palermo; Perla Allegri, Università di Torino; Salvatore Amato, Università di Catania; Adalgiso Amendola, Università di Salerno; Alberto Andronico, Università di Catania; Luca Baccelli, Università di Camerino; Adriano Ballarini, Università di Macerata; Mauro Barberis, Università di Trieste; Clelia Bartoli, Università di Palermo; Viviana Battaglia, Università di Palermo; Barbara Giovanna Bello, Università di Milano Statale; Francesco Belvisi, Università di Modena e Reggio Emilia; Maria Giulia Bernardini, Università di Ferrara; Francesco Biondo, Università di Palermo; Giovanni Bisogni, Università di Salerno; Cecilia Blengino, Università di Torino; Silvio Bologna, Università di Palermo; Silvia Borelli, Università di Ferrara; Marco Borraccetti, Università di Bologna; Carlo Botrugno, Università di Firenze; Maria Borrello, Università di Torino; Marco Brigaglia, Università di Palermo; Raffaella Brighi, Università di Bologna; Gianvito Brindisi, Università della Campania Luigi Vanvitelli; Enrico Camilleri, Università di Palermo; Roberto Cammarata, Università di Milano Statale; Giuseppe Campesi, Università di Bari Aldo Moro; Damiano Canale, Università Bocconi; Carlo Caprioglio, Università di Roma tre; Cinzia Carta, Università di Genova; Thomas Casadei, Università di Modena e Reggio Emilia; Bruno Celano, Università di Palermo; Paola Chiarella, UMG – Università Magna Graecia di Catanzaro; William Chiaromonte, Università di Firenze; Daniela Chinnici, Università di Palermo; Fabio Ciaramelli Università di Napoli Federico II; Luigi Cinquemani, Università di Palermo; Sofia Ciuffoletti, Università di Firenze; Paolo Comanducci, Università di Genova; Luigi Cominelli, Università di Milano La Statale; Elena Consiglio, Università di Palermo; Fabio Corigliano, Università di Parma; Cecilia Corsi, Università di Firenze; Lucia Corso, Università di Enna Unikore; Giovanni Cosi, Università di Siena; Marco Cossutta, Università di Trieste; Rosaria Crupi, Università di Palermo; Paolo Cuttitta, IDPS, Université Sorbonne Paris-Nord; Roberta Dameno, Università di Milano Bicocca; Teresa Degenhardt, Queen’s University Belfast; Alessandro De Giorgi, San Jose State University; Luciana De Grazia, Università di Palermo; Cinzia De Marco, Università di Palermo; Francesco De Vanna Università di Modena e Reggio Emilia; Giuseppe Di Chiara, Università di Palermo; Alberto di Martino, Università Sant’Anna di Pisa; Chiara Di Stasio, Università di Brescia; Madia D’Onghia, Università di Foggia; Giulia Fabini, Università di Bologna; Alessandra Facchi Università di Milano La Statale; Isabel Fanlo Cortès, Università di Genova; Carla Faralli, Università di Bologna; Simona Feci, Università di Palermo; Luigi Ferrajoli, Università Roma tre; Maria Rosaria Ferrarese, Università di Cagliari; Vicenzo Ferrari Università di Milano La Statale; Valeria Ferraris, Università di Torino; Giovanni Fiandaca, Università di Palermo; Nicola Fiorita, Università della Calabria; Micaela Frulli, Università di Firenze; Giovanni Galasso, Università di Palermo; Orsetta Giolo, Università di Ferrara; Valeria Giordano, Università di Salerno; Tommaso Greco, Università di Pisa; Guido Gorgoni, Università di Padova; Riccardo Guastini, Università di Genova; Paolo Heritier, Università di Torino; Giulio Itzcovich, Università di Brescia; Anna Jellamo, Università della Calabria; Giulia Maria Labriola, Università Suor Orsola Benincasa; Marina Lalatta Costerbosa, Università di Bologna; Agostino Ennio La Scala, Università di Palermo; Nicola Lettieri, Università del Sannio; Carlo Lottieri Università di Verona; Claudio Luzzati, Università di Milano Statale; Francesca Malzani, Università di Brescia; Letizia Mancini, Università di Milano Statale; Massimo Mancini, Università di Perugia; Alessio Lo Giudice, Università di Messina; Fabio Macioce, Università di Roma Tor Vergata; Francesco Mancuso, Università di Salerno; Giorgio Maniaci, Università di Palermo; Marco Manno, Università di Palermo; Elisa Marchi, Università dell’Arizona; Leonardo Marchettoni, Università di Parma; Costanza Margiotta, Università di Padova; Realino Marra Università di Genova; Federico Martelloni, Università di Bologna; Luca Masera, Università di Brescia; Silvio Mazzarese, Università di Palermo; Michelina Masia, Università di Cagliari; Fabrizio Mastromartino, Università di Roma tre; Tecla Mazzarese, Università di Brescia; Giulia Melani, Università di Firenze; Dario Mellossi Università di Bologna; Ferdinando Menga, Università della Campania Luigi Vanvitelli; Giovanni Messina, Università di Napoli Federico II; Lorenzo Milazzo, Università di Pisa; Bruno Montanari, Università di Catania; Lalage Mormile, Università di Palermo; Luca Nivarra, Università di Palermo; Valeria Nuzzo, Università della Campania Luigi Vanvitelli; Francesco Pallante, Università di Torino; Giuseppa Palmeri, Università di Palermo; Giuseppe Palmisano, Università Roma tre; Letizia Palumbo, Università Ca Foscari di Venezia; Lina Panella, Università di Messina; Luigi Pannarale, Università di Bari Aldo Moro; Baldassare Pastore, Università di Ferrara Francesco Parisi, Università di Palermo; Paola Parolari, Università di Brescia; Davide Petrini, Università di Torino; Stefano Pietropaoli, Università di Firenze; Cesare Pinelli, Università di Roma La Sapienza; Anna Pintore, Università di Cagliari; Attilio Pisanò, Università del Salento; Tamar Pitch, Università di Perugia; Valerio Pocar, Università di Milano Bicocca; Francesca Poggi, Università di Milano; Ulderico Pomarici, Università della Campania Luigi Vanvitelli; Daniel Pomier, Università di Roma La Sapienza; Andrea Porciello, UMG – Università Magna Graecia di Catanzaro; Franco Prina, Università di Torino; Alessandro Purpura, Università di Palermo; Susanna Pozzolo, Università di Brescia; Isabella Quadrelli, Università di Urbino Carlo Bo; Marco Ragusa, Università di Palermo; Maura Ranieri Università Magna Graecia di Catanzaro; Vincenzo Rapone, Università di Napoli Federico II; Adrian Renteria Diaz, Università dell’Insubria; Giovan Battista Ratti, Università di Genova; Maria Cristina Reale, Università dell’Insubria; Maria Cristina Redondo, Università di Genova; Antonio Riccio, Università di Cassino e del Lazio Meridionale; Alessandro Riccobono, Università di Palermo; Francesco Riccobono, Università di Napoli Federico II; Enrica Rigo, Università Roma tre; Matteo Rinaldini, Università di Modena e Reggio Emilia; Eugenio Ripepe, Università di Pisa; Nicola Riva, Università di Milano Statale; Graziella Romeo, Università di Milano Bocconi; Daniela Ronco, Università di Torino; Paola Ronfani, Università di Milano Statale; Annamaria Rufino, Università della Campania Luigi Vanvitelli; Vincenzo Ruggiero, Middlesex University; Filippo Ruschi, Università di Firenze; Angelo Salento, Università del Salento; Giovanna Savorani, Università di Genova; Pier Francesco Savona, Università di Napoli Federico II; Caterina Scaccianoce, Università di Palermo; Vincenzo Scalia, Università di Firenze; Francesca Scamardella, Università di Napoli Federico II; Alberto Scerbo, UMG – Università Magna Graecia di Catanzaro; Angelo Schillaci, Università di Roma La Sapienza; Laura Scudieri, Università di Genova; Iacopo Senatori, Università di Modena e Reggio Emilia; M. Ausilia Simonelli, Università del Molise; Stefano Simonetta, Università di Milano Statale; Guido Smorto, Università di Palermo; Stefania Spada, Università di Bologna; Eleonora Spaventa, Università di Milano Bocconi; Ciro Tarantino, Università della Calabria; Gianluca Urbisaglia, Università di Roma La Sapienza; Alfredo Terrasi, Università di Palermo; Persio Tincani, Università di Bergamo; Giovanni Torrente, Università di Torino; Enza Maria Tramontana, Università di Palermo; Isabel Trujillo, Università di Palermo; Vito Velluzzi, Università di Milano Statale; Maria Carmela Venuti, Università di Palermo; Valeria Verdolini Università di Milano Bicocca; Massimiliano Verga, Università di Milano Bicocca; Susanna Vezzadini, Università di Bologna; Francesca Vianello, Università di Padova; Gloria Viarengo Università di Genova; Giacomo Viggiani, Università di Brescia; Francesco Viola, Emerito, Università di Palermo; Maria Virgilio Università di Bologna; Ermanno Vitale, Università della Val D’Aosta; Massimo Vogliotti, Università del Piemonte Orientale; Giuseppe Zaccaria Università di Padova; Loriana Zanuttigh, Università di Brescia; MatiJa Zgur, Università di Roma tre; Silvia Zullo, Università di Bologna

La questione curda e la chiusura del cerchio nella guerra ai profughi

FONTE PRESSENZA.COM

Autore . 25.10.2019 – Yasha Maccanico

Siamo in una fase in cui la distruttività delle attuali politiche contro l’immigrazione è all’ordine del giorno. Gli abusi e le morti di persone non europee provocate colpevolmente dall’Unione Europea e dai suoi stati sono note da vari decenni, ma non sembra che importi a nessuno a livello politico e di elaborazione delle politiche nazionali ed europee in questo campo. Sono dei danni calcolati e considerati utili per perfezionare le politiche contro l’immigrazione, dalle migliaia di morti in mare al finanziamento di campi di tortura e detenzione in Libia, allo smantellamento delle norme del diritto internazionale e comunitario in violazione delle Costituzioni nazionali. I migranti cosiddetti irregolari vanno esclusi da ogni salvaguardia e diritto, e bisogna impedire ai richiedenti asilo di arrivare. Se arrivano in Europa, bisogna annacquare le garanzie, rendere inutilizzabili i gradi di giudizio ed elaborare delle procedure per il rifiuto automatico delle richieste in base a nozioni come quelle dei paesi sicuri, subordinando lo stato di diritto alla priorità di escludere le persone dai procedimenti in modo celere e inappellabile.

LA GUERRA CONTRO I PROFUGHI 

Dopo la sospensione dell’operazione Mare Nostrum nell’autunno del 2014, le politiche d’immigrazione sono state usate come un martello demolitore per smontare i diritti umani, lo stato di diritto e alcuni principi fondamentali di civiltà per perseguire gli obiettivi strategici dell’Agenda Europea sull’Immigrazione. La guerra contro i migranti si è trasformata in una guerra contro chi non la sostiene, in particolare contro chi resiste aiutando le persone che si trovano in difficoltà proprio a causa della condizione di clandestinità amministrativa applicata a chi entra nell’UE senza autorizzazione. Anche i giudici che applicano le leggi disobbedendo alle autorità esecutive, i pm che investigano i reati che queste compiono e i cittadini che si adoperano per coprire gli obblighi che sarebbero degli Stati ma che questi ultimi ignorano, sono ormai sotto attacco. Persino il Papa viene attaccato perché evoca dei principi della dottrina cristiana legati all’accoglienza e all’aiuto del prossimo.

Dopo avere messo in discussione il diritto alla vita, le norme del diritto del mare, l’obbligo di soccorrere le persone in pericolo e il principio di solidarietà, l’Italia ha normalizzato la tortura (anche per gli europei soccorritori di migranti e rifugiati) in mare e l’omissione di soccorso istituzionalizzata, con la colpevole complicità dell’UE. In mare si continua a morire, mentre gli Stati sequestrano i mezzi di soccorso autofinanziati dai cittadini e arretrano il raggio d’azione delle loro risorse.

Se tutto ciò non bastasse, ora il presidente turco Erdogan ha compiuto il passo successivo, giustificando una azione armata, il bombardamento di un territorio e la sua occupazione per sgomberare una regione da destinare all’accoglienza dei rifugiati. Tale operazione ha l’acre odore della pulizia etnica contro la popolazione curda e rischia di produrre un importante numero di nuovi rifugiati in fuga dal conflitto, oltre ad alimentare una ripresa delle attività belliche in una zona ormai sicura. Ma l’Unione Europea si è resa ricattabile stipulando l’accordo del 2016, con il quale ha pagato ingenti somme a un governo, quello di Erdogan, impegnato a  mettere la museruola alla società civile turca attraverso la persecuzione di chiunque esprima dissenso. Questa deriva autoritaria è stata attuata, e continua ad esserlo, tramite il licenziamento degli impiegati pubblici e l’incriminazione dei dissidenti, anche in ambito universitario, giornalistico, legale e giudiziario. Coloro che si battono per i diritti umani, politici e civili sono in pericolo, ma la UE ha scelto di finanziare un presidente mentre promuove l’autoritarismo pur di  essere protetta dall’arrivo dei rifugiati. Si è legata le mani da sola, rendendo impossibile il dichiarato obiettivo di promuovere i diritti umani nel mondo che avrebbe imposto una censura degli sviluppi in corso in Turchia.

Tale cortocircuito si è reso palese quando, ottobre 2019, Erdogan ha avvisato l’Europa di non criticare l’operazione da lui stesso battezzata “Fonte di pace”. Evocando la minaccia di un’invasione di profughi. Inoltre, il desiderio turco di dotarsi di una zona cuscinetto oltre i propri confini per la sicurezza interna ha messo in secondo piano la vera emergenza di questa regione, la presenza dell’Isis. L’attacco alle milizie curde, che hanno aiutato l’Occidente nella guerra contro lo Stato Islamico, ha infatti la diretta conseguenza di lasciare campo libero all’estremismo jihadista in una zona pacificata nella quale si stava realizzando un progetto di democrazia inclusiva, multiculturale, ecologista e femminista, antitesi dell’autoritarismo che sta sempre più prendendo piede in molti angoli del mondo.

Le minacce di Erdogan sono simili a quelle che periodicamente lanciava il colonnello Gheddafi, entrambi consapevoli della debolezza del Vecchio Continente attanagliato nella propria ossessione anti-migratoria. Anche l’appoggio e il finanziamento di regimi autoritari appare una costante delle politiche europee, a partire dall’Egitto di al-Sisi, con il quale la cooperazione e l’accordo di riammissione funzionante sono considerati una pratica esemplare. Mentre è vero che la rotta Egitto-Italia è stata bloccata, è anche vero che le sparizioni, uccisioni e detenzioni di oppositori politici nel paese nordafricano sono all’ordine del giorno, e il caso del ricercatore italiano Giulio Regeni ne è un esempio che non si deve ignorare.

In Marocco, la rinnovata intensificazione dei rapporti dopo la ripresa delle partenze lungo la rotta del Mediterraneo occidentale verso la Spagna nella primavera del 2018 (dopo gli sforzi per chiudere le rotte del Mediterraneo centrale e occidentale) ha portato a una recrudescenza della caccia al migrante – nero – nel nord del paese. Sia in mare sia sulla terraferma, si è registrato un aumento dei morti, come succede in ogni luogo dove si affacciano queste politiche europee di esternalizzazione. I finanziamenti alle varie milizie e regimi, come i memorandum di intesa che stanno sostituendo gli accordi formali, sono diventati ormai strumenti tecnici e operativi, interventi decisi direttamente dagli esecutivi evitando il dibattito e il controllo parlamentare. Un esempio su tutti, l’intesa dell’agosto 2016 tra il Dipartimento di Sicurezza Pubblica italiano e la Polizia Nazionale Sudanese.

L’AGENDA EUROPEA E LA DESTRA UTILE

Oltre a subordinare i diritti umani e lo stato di diritto all’efficacia delle politiche contro l’immigrazione, attraverso l’Agenda Europea la Commissione e Frontex hanno deciso di servirsi dell’estrema destra per sconfiggere le resistenze provenienti dalla società civile contro politiche basate sul razzismo e sulla discriminazione istituzionale. Le hanno fornito degli argomenti che l’hanno legittimata, portandola al centro dell’arena politica, in modo eclatante nel caso italiano dopo l’arrivo della Task Force Regionale di Frontex a Catania nel contesto dell’implementazione dell’approccio hotspot. Da lì, sono partite le insinuazioni che hanno fomentato la guerra contro le ONG e contro gli immigrati, tanto da reinterpretare quella che era una vulgata razzista dell’estrema destra in un pensiero “normalizzato”. Chi non sostiene le politiche e gli interventi contro i migranti è stato tacciato di essere un fattore di attrazione, i famosi pull factor, dei migranti. Le ONG sono diventate invece “taxi del mare” o, ancora peggio, “complici dei trafficanti”.  Nel frattempo, invece, i trafficanti veri negoziavano direttamente con il governo italiano e venivano convertiti in una guardia costiera con la quale collabora la missione EUNAVFOR MED.

Tornando alla Turchia, il patto UE-Turchia rappresenta l’essenza del refoulement, il principio del respingimento e dunque sono stati applicati alcuni stratagemmi. Innanzitutto è stato siglato usando una formula che non espone l’Europa a possibili sanzioni o censure: i capi di stato e di governo degli Stati membri dell’UE.

In secondo luogo è stato trovato un escamotage per giustificare il “trasferimento” in Turchia. Il trucco della nazionalità usato negli  hotspot italiani per limitare le relocation verso gli altri Stati membri, non poteva funzionare in Grecia, dove arrivano soprattutto persone in fuga da conflitti come Siria e Iraq e poi Afghanistan e Yemen). Dunque, è stata arbitrariamente fissata una data, il 21 marzo 2016, oltre la quale chiunque fosse arrivato sarebbe stato ineludibilmente ritrasferito in Turchia, incredibilmente considerato un luogo sicuro per i rifugiati. E in attesa di questo trasferimento, sarebbe stato tenuto, a volte anche per lunghi periodi, nei centri di accoglienza delle isole greche, le cui condizioni di pericoloso sovraffollamento sono note. Un modo utile ed efficace per poter anche negare sistematicamente di fatto l’asilo e per mantenere a oltranza i rifugiati nei campi allestiti ai bordi del continente. Tra settembre e ottobre 2019, ci sono stati alcuni incendi nei campi di Lesbos e di Samos, entrambi sovraffollati e con condizioni di vita ignobili sin dal momento della loro creazione e poi via via peggiorate.

L’UE e i suoi Stati membri hanno condotto una pressante azione sovversiva negli ultimi cinque anni per raggiungere gli obiettivi fissati nell’Agenda Europea. In rapida successione, e ignorando le insistenti critiche dell’ONU, dei suoi relatori speciali e della società civile europea, sono stati subordinati alle politiche d’immigrazione: il diritto internazionale e comunitario; le Costituzioni nazionali; il diritto del mare; la proibizione del refoulement e della tortura, i trattamenti inumani e degradanti; il diritto alla vita attraverso l’omissione di soccorso istituzionalizzata; il dovere di solidarietà e i diritti civili e politici dei cittadini europei e il diritto all’informazione.

Al di là delle colpe e dei meriti dei diversi governi, va sottolineata la regia della Commissione Europea, in violazione del suo ruolo di guardiana dei trattati europei. Nei fatti, però, gli obiettivi di queste politiche sono serviti come pretesti per smontare dei cardini della civiltà europea, giungendo fino alla soglia della tortura in mare dei naufraghi e anche dei cittadini europei che li hanno soccorsi rifiutandosi di ottemperare alla volontà sempre più esplicita dell’UE e degli Stati di non mettere in salvo vite umane. Insieme al diritto alla vita, anche i doveri di soccorso in mare e di solidarietà (sancito anche dalla Costituzione italiana ancor prima che dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani) sono stati messi in dubbio in nome dell’efficacia di queste politiche di chiusura.

LA CHIUSURA DEL CERCHIO 

La chiusura del cerchio si è avuta nel passaggio dall’uso di queste politiche per giustificare dei crimini di Stato commessi in modo indiretto al loro uso come giustificazione per bombardare, uccidere e sgomberare un’area dove depositare rifugiati  ai quali l’Europa rifiuta sistematicamente l’ingresso.

Rifugiati che la Turchia ha usato come pretesto per fare i conti con una sua nemesi storica, i curdi, colpevoli di aver portato avanti un esperimento di governo dal basso che rischia di attecchire.

LOGICHE INTERNE NEL SOSTEGNO A REGIMI ESTERNI 

Come segnalato da una rete di accademici europei critici, queste politiche promuovono la discrezionalità nell’esercizio del potere da parte degli Stati internamente e questo si traduce inevitabilmente nel sostegno a regimi o governi autoritari all’estero. La devastante logica strumentale che permette la lotta contro l’immigrazione illegale o contro i trafficanti a scapito di ogni altro valore, principio o regola si sta rivelando sempre più come una forma di autolesionismo che degrada sia l’Europa che il mondo. Il collegamento di queste politiche con la nuova guerra nella Siria settentrionale è esplicito nell’invito della suddetta rete di accademici per fare cessare le morti e l’attacco turco, nelle seguenti rivendicazioni:

Chiediamo al Consiglio Europeo e ai governi dell’UE di:

  • Porre fine all’accordo UE-Turchia.
  • Porre fine al partnerariato con il governo di Erdogan, far cessare le forniture di armi e usare ogni via disponibile per fermare subito la guerra contro il Rojava nel nord della Siria.
  • Evacuare immediatamente i campi per migranti sulle isole greche, e permettere a chi vi risiede la libertà di movimento in Europa, e la loro accoglienza da parte delle Città della Solidarietà.
  • Fissare delle nuove fondamenta politiche per l’immigrazione e l’asilo in Europa, con delle politiche che si compromettano a difendere i diritti umani dei rifugiati e dei migranti in Siria, nel Mediterraneo e nella stessa Europa.”      

Yasha Maccanico è rappresentante di Statewatch, ricercatore presso l’Università di Bristol e uno dei cofondatori di Osservatorio Solidarietà

 

 

Attenti al decreto sicurezza bis Salvini e Di Maio uniti nella lotta vogliono demolire lo stato di diritto

Articolo di Nadia Urbinati

Pubblicato su Strisciarossa.it

 

L’Enciclopedia Treccani ci dà questa definizione di “stato di diritto”:
“Forma di Stato di matrice liberale, in cui viene perseguito il fine di controllare e limitare il potere statuale attraverso la posizione di norme giuridiche generali e astratte. L’esercizio arbitrario del potere viene contrastato con una progressiva regolazione dell’organizzazione e del funzionamento dei pubblici poteri, che ha come scopo sia la «diffusione» sia la «differenziazione» del potere, rispettivamente, attraverso istituti normativi (unicità e individualità del soggetto giuridico; eguaglianza giuridica dei soggetti individuali; certezza del diritto; riconoscimento costituzionale dei diritti soggettivi) e modalità istituzionali (delimitazione dell’ambito di esercizio del potere politico e di applicazione del diritto; separazione tra istituzioni legislative e amministrative; primato del potere legislativo, principio di legalità e riserva di legislazione; subordinazione del potere legislativo al rispetto dei diritti soggettivi costituzionalmente definiti; autonomia del potere giudiziario), comunemente considerati come parti integranti della nozione di Stato di diritto”. (Leggi quiApre in una nuova finestra la definizione completa)

Chi governa sta sotto la legge e non sopra

Nei paesi anglosassoni l’espressione è forse meglio resa: lo stato di diritto si chiama “the rule of law” – è la legge che governa; i governanti stanno “sotto” non sopra la legge e non la deturpano a loro piacere o secondo le loro convenienze di partito, di maggioranza o di audience. Il governo Lega-5stelle è parzialmente fuori dello stato di diritto, in violazione del governo della legge. Lo è non tanto per le esternazioni e i comportamente dei ministri – la dimensione della pubblicità li fa essere burattini e burattinai di un circo equestre: al mare a fare bacetti con la fidanzata o in spaggia a torso nudo genuflessi ad adorare la venere sotto un bichini (Salvini ama mostrarsi a torso nudo come Mussolini). Ma non è questa la dimensione da considerare quando vogliamo vedere in atto la violazione dello stato di diritto.

Verso uno stato di polizia

Andiamo al DL sicurezza bisApre in una nuova finestra su immigrazione e ordine pubblico, una falcata poderosa verso uno stato di polizia, che assegna al ministero degli Interni un ruolo preponderante nel decidere sulle libertà di tutti, cittadini e non. Il decreto prevede un’ulteriore criminalizzazione del soccorso in mare, la riforma del codice penale, maggiori finanziamenti per i rimpatri e l’estensione dei poteri delle forze di polizia. Litigiosi su quasi tutto, il MoVimento e la Lega si sono trovati in amorevole accordo su questo decreto proto-autoritario, che prevede multe per ogni persona soccorsa in mare e la sospensione o revoca della licenza di nagivazione, che toglie al ministero delle Infrastrutture tutte le pertinente della navigazione assegnando all’Interno il potere di vietare o limitare il transito o la sosta nelle acque territoriali per motivi di ordine pubblico.

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ABUSI IN LIBIA: LA COMPLICITA’ DEI SOVRANISTI

 

FONTE R/PROJECT.IT

di Fulvio Vassallo Paleologo

Non bastano i report e le testimonianze sugli abusi subiti dai migranti intercettai in acque internazionali dalla Guardia costiera libica e riportati nei lager dai quali erano fuggiti. Sempre più tragica, in particolare, la situazione dei somali e degli eritrei internati nei centri di detenzione contollati dalle milizie, senza alcuna distinzione possibile tra centri governativi e centri “informali”. Ovunque spadroneggiano i mercanti di esseri umani, che nessuna indagine penale sembra fermare.

Non interessano i documenti di Amnesty International che confermano la gravi violazioni dei diritti umani in Egitto ed in altri paesi dell’Africa del nord. Non bastano neppure le conferme della corruzione delle polizie dei paesi di origine o di transito con i quali gli stati europei, e la stessa Unione Europea, non esitano a concludere accordi bilaterali per contrastare quella che definiscono soltanto come “immigrazione illegale”. Interessi economici e calcoli elettorali schiacciano i diritti umani e li rimettono alla discrezionalità della politica. In nome degli interessi nazionali si strappano le Convenzioni internazionali, ed i rapporti tra gli stati diventano un campo nel quale si esercitano ricatti basati sulla forza militare ed economica. Tutto quello che si vorrebbe nascondere dietro la campagna del fango intentata contro le ONG e chiunque si ostini ad operare soccorsi umanitari, in mare, ed anche in terra.

Il vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh ha confermato la politica europea di esternalizzazione delle attività di controllo delle frontiere, senza che ci sia stato alcun riguardo per le ragioni delle popolazioni e dei migranti oppressi dai regimi e dai governi che sono finanziati dagli stati europei all’esclusivo fine di impedire le partenze dei migranti verso l’Europa. La cooperazione internazionale tanto evocata nei documenti internazionali rimane priva di risorse adeguate e di qualsiasi controllo sulla effettiva destinazione dei finanziamenti quando questi arrivano nei paesi terzi. La questione ambientale costituisce soltanto un paravento per nascondere la sostanza degli accordi, centrati sulla divisione delle risorse energetiche tra i paesi più forti, e sulla ghettizzazione delle popolazioni più deboli, condannate ad un destino di fame e di morte.

Il vertice ha segnato il fallimento definitivo del Processo di Khartoum, avviato dal governo italiano nel 2014, con l’avallo del Consiglio Europeo del 12 maggio 2015, e quindi del Piano di azione Juncker. Forse qualcuno si è accorto che il dittatore sudanese Bashir, sotto accusa da parte della Corte Penale internazionale, non era proprio un partner affidabile, al punto che a Sharm Al Scheikh gli è stata interdetta la partecipazione. Chi scrive del Sudan viene minacciato, ma anche questo sembra trascurabile, nell’indifferenza generale. In Italia ancora si ritiene necessario ed opportuno collaborare con la polizia sudanese, quella stessa polizia che ancora in questi giorni sta massacrando l’opposizione che manifesta in piazza a Khartoum.

Ma il nuovo multilateralismo, rilanciato sotto l’egida del dittatore egiziano Al Sisi, non garantisce i diritti dei popoli ma i privilegi dei grandi gruppi economici. Che anche i dittatori possono assicurare. E infatti la questione centrale degli incontri si è centrata sullo sfruttamento delle grandi risorse energetiche del Mediterraneo orientale, con una attenzione estesa anche alla spartizione della Libia, dove le forze del generale Haftar, sostenute dagli egiziani, dai russi, e sottobanco dai francesi, avanzano ogni giorno sottraendo territorio ( e pozzi petroliferi) al traballante governo Serraj a Tripoli, sponsorizzato dall’Italia e da alcuni paesi europei soltanto per spartirsi risorse economiche e ottenere un maggiore contrasto dell’immigrazione.

La Conferenza internazionale sulla Libia, svoltasi a Palermo lo scorso anno, rimane soltanto una vetrina usata a scopi elettorali, ma è ormai superata dall’involuzione bellica tra la Tripolitania e la Cirenaica, sostenuta dal generale Haftar e dai suoi alleati al Cairo, a Parigi, a Mosca. Il premier Conte, ed i suoi due vice-presidenti del Consiglio, tanto abili nella propaganda elettorale, dovrebbero farsene una ragione, e magari parlare agli italiani senza raccontare altre menzogne. Il risveglio dal sonno dell’indifferenza potrebbe essere assai brusco. Non sembra proprio che ci siano le premesse per una rilancio del ruolo dell’Italia nella soluzione della crisi libica.

Si avvicina la guerra, una guerra commerciale in Europa, tante guerre nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ed ancora più a sud, fino all’Africa sub-sahariana, come in Niger, dove si vuole esternalizzare la frontiera europea. Forse sarà proprio la guerra, l’unica vera tragedia che costringerà il “popolo sovrano” ad interrogarsi sulla reale portata delle politiche di odio ed esclusione contro gli stranieri e contro chi presta loro assistenza. Il capovolgimento del principio di realtà sul quale si sta fondando l’attuale politica dei governi di destra in carica in Europa non potrà che produrre conflitti alle frontiere ed una disfatta economica dell’intero continente con una forte riduzione dei diritti fondamentali che verranno negati non solo agli stranieri ma agli stessi cittadini.

L’Unione Africana ha da tempo respinto i piani europei che prevedevano rimpatri collettivi e piattaforme di sbarco nei paesi nordafricani, ma in Europa si ritiene ancora che sia possibile riportare in Africa i migranti bloccati in acque internazionali nel Mediterraneo. Non sembra che la presenza dell’UNHCR in Libia riesca a garantire davvero i diritti dei migranti trattenuti nei centri di detenzione da quando sono diminuite le possibilità di fuga verso il Mediterraneo. In realtà le rotte migratorie più recenti sono interne al continente africano, e non portano necessariamente all’emigrazione verso l’Europa. Dunque i plitici nostrani non possono continuare a lucrare vantaggi elettorali su una emergenza che non esiste.

Le conclusioni del vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh sono state seguite da una aberrante mozione fatta passare da Fratelli d’Italia in un parlamento, ancora intontito dall’esito delle elezioni in Sardegna, che programma un blocco navale davanti alle coste libiche e chiude definitivamente all’adesione dell’Italia al cd. Migration Compact.

Un progetto vecchio, quello del blocco davanti alle coste libiche, di chi dall’estrema destra sa solo diffondere odio per conquistare una fetta di consenso elettorale. Senza però chiarire con quali navi e con quali uomini, mentre la missione Eunavfor-Med (definita anche come Operazione Sophia) si avvia ad un epilogo fallimentare, dopo la chiusura altrettanto ingloriosa della missione NAURAS della Marina italiana. Vedremo chi andrà davvero a fare il blocco navale davanti le coste libiche. Di certo l’Unione Europea non appoggerà mai con propri mezzi una proposta simile.

I cittadini italiani potranno anche illudersi di essere più sicuri perchè un paio di ministri hanno “chiuso” i porti alle navi di soccorso delle ONG ed hanno costretto al ripiegamento i mezzi della Guardia Costiera. Ma dietro queste scelte disumane si aggrava l’isolamento internazionale del nostro paese, acuita dalla concorrenza con la Francia in Libia, e non solo, una situazione che ci esporrà ancora di più alla prossima crisi economica internazionale, sempre più probabile dopo le elezioni europee di maggio. Nessun paese europeo può pensare di uscire da solo dalla crisi economica, soprattutto se è indebitato come l’Italia, così come nessun paese europeo può pensare che adottando misure di blocco navale, unilateralmente, possa risolvere la crisi dei rifugiati e raggiungere una maggiore efficacia nella lotta contro l’immigrazione irregolare. Solo aprendo canali legali di ingresso, attraverso il rilascio di visti umanitari, e rilanciando una grande missione di soccorso in acque internazionali, si potranno battere le organizzazioni criminali che lucrano proprio sullo sbarramento delle frontiere.

Soltanto chi saprà costruire e realizzare progetti basati sulla solidarietà internazionale e sulla soluzione pacifica dei conflitti, avrà un futuro. Quelli che scelgono di rinchiudersi dentro le frontiere nazionali, e quindi dentro le mura di casa, potranno soltanto armare le polizie ed armarsi per la propria difesa personale, ma non saranno certo più sicuri. La vera sicurezza la troveranno soltanto coloro che si organizzeranno per affrontare la crisi senza scaricarla sui più deboli, ma attaccando i veri responsabili a livello nazionale ed internazionale, riattivando processi di partecipazione democratica, e realizzando scelte di vita e di lavoro che creino opportunità di incontro e di solidarietà.

Soccorsi nel Mediterraneo, l’appello di Unhcr e l’ennesimo schiaffo di Salvini

FONTE ARTICOLO21

 

Nonostante il freddo intenso dell’inverno, il rischio per le condizioni del mare e I continui naufragi dall’inizio dell’anno 4.507 persone hanno già attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Di chi non è sopravvissuto si sa poco o nulla, tranne che, come nel caso del gommone con a bordo 200 persone, sprofondato al largo della Libia, non ci sia la testimonianza di chi è scampato alla morte.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che segue con crescente apprensione la situazione dei flussi migratori provenienti dalle coste libiche, lancia un appello dopo gli ultimi eventi dei giorni scorsi e i numerosi ‘incidenti’ legati a operazioni di soccorso, come quello del mercantile che ha ricondotto in Libia persone soccorse in mare e l’incapacità, o meglio la mancanza di volontà, delle Guardia Costiera libica di garanti interventi nell’area di ricerca e di soccorso (SAR) di propria competenza.

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Sui soccorsi in mare serve un cambio di strategia

 

Comunicato stampa dell’ASGI

ASGI: Sui soccorsi in mare siamo tutti coinvolti.Vicini alle ONG ma serve un cambio di strategia e l’Unione Europea deve stare dalla parte dei diritti delle persone

Nei giorni in cui si moltiplicano le morti in mare e Sea Watch ha a bordo 47 persone che rischiavano il naufragio nel tentativo di fuggire dalla Libia, ASGI esprime forte preoccupazione per le politiche inerenti l’accesso a un porto sicuro nelle operazioni di soccorso in mare e invita la Commissione Europea ad assumersi le proprie responsabilità.

Nel corso degli ultimi mesi le operazioni di soccorso in mare sulla rotta libica, condotte dalle ONG, si sono concluse con faticose contrattazioni politiche con singoli paesi membri dell’UE e hanno condotto allo sbarco delle persone soccorse a Malta o in Spagna, con la promessa di altri stati membri di accogliere le stesse in applicazione di una sorta di relocation.

L’incapacità dei Governi di trovare un accordo sulla riforma del Regolamento Dublino, come invece fatto dal Parlamento europeo, determina continue tensioni tra gli stessi Governi e la necessità di trovare soluzioni ad hoc al momento basate solo sulla adesione volontaria degli Stati.

Appare necessario ricordare che l’obbligo degli Stati di garantire lo sbarco in un luogo sicuro delle persone soccorse in mare nel più breve tempo possibile, sancito dalla normativa internazionale e nazionale, non può in alcun caso essere condizionato dalla disponibilità di altri Stati ad accogliere successivamente le persone sbarcate.

Inoltre, ASGI invita le ONG che operano o si accingono a fare operazioni di soccorso in mare a ricorrere alle strade più prettamente legali e ad adire le Corti nazionali e internazionali per consentire formalmente l’esercizio dei diritti riconosciuti dagli ordinamenti europei a tutte le persone che si trovano in condizioni di pericolo in mare, a prescindere dalla loro condizione giuridica.
ASGI ritiene, infatti, che percorrere esclusivamente la via della contrattazione politica caso per caso, di fatto tenendo in ostaggio i migranti, oggi più che mai, non possa che condurre a soluzioni che si pongono in aperta violazione dei diritti delle persone soccorse contribuendo a rendere sistematico l’utilizzo di pratiche politiche che si pongono al di fuori del quadro normativo dell’Unione europea e del diritto internazionale in materia di soccorso in mare e diritto d’asilo, come accaduto per la “soluzione” trovata sotto il controllo della Commissione europea dopo ben 19 giorni di attesa in mare per chi si trovava a bordo della nave di Sea Watch.
ASGI incoraggia il fondamentale intervento di soccorso operato dalle ONG nel Mediterraneo lungo la rotta libica e invita queste ultime a favorire e promuovere l’esercizio del diritto all’accesso tempestivo a un porto sicuro a seguito dei salvataggi effettuati, anche tramite azioni giudiziarie, che in caso di esito positivo potrebbero meglio tutelare gli interessi dei soggetti coinvolti anche in ottica futura. Si tratta di azioni necessarie non solo per tutelare i diritti delle persone soccorse, ma anche, più in generale, per porre un freno alle sconsiderate politiche europee e dei singoli Governi che oggi più che mai sono responsabili delle morti nel Mediterraneo.

L’ASGI, infine, esprime una ferma disapprovazione nei confronti dell’azione della Commissione Europea che, nel corso del 2017 e del 2018, ha sistematicamente evitato di azionare gli strumenti giuridici previsti dall’ordinamento europeo (ad es. avviando procedure d’infrazione contro gli Stati che hanno violato la normativa europea) e di esercitare il suo ruolo politico sui Paesi membri sia al fine di rendere effettivo il rispetto dei loro obblighi, inclusi quelli di ricerca e soccorso in mare, sia non sostenendo con maggior forza la riforma del Regolamento Dublino che vincolerebbe ad un’equa distribuzione dei richiedenti protezione internazionale nei vari Stati europei, tenendo altresì conto dei legami significativi dei richiedenti stessi .
L’appiattimento sulle posizioni dei singoli Governi si è riflesso in questi anni nella approvazione di misure inidonee ad affrontare la complessità del fenomeno dell’immigrazione e dell’asilo e nella mancanza di strumenti concreti volti ad assicurare il rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso in mare, del conseguente tempestivo accesso ad un porto sicuro in caso di salvataggio e della non criminalizzazione delle ONG.

L’effetto di queste azioni ed omissioni è stato una drammatica contrazione del numero delle persone soccorse lungo la rotta libica, così condannate a perdere la vita durante la traversata o a essere forzatamente ricondotte nelle spaventose carceri libiche.

 

Stuprate, abusate e molestate: storie di donne migranti in Marocco

 

fonte Meltingpot
Faras Ghani, Al Jazeera – 3 dicembre 2018

Una ricerca dimostra che un terzo delle donne migranti ha subito abusi durante il viaggio. Le sofferenze non finiscono quando le donne raggiungono il Marocco.

Traduzione a cura di: Francesca Castelli

 

Rabat, Marocco. Seduta fuori dall’ufficio di una ONG nella capitale marocchina Rabat, c’è la 18enne Juliet (non il suo vero nome), che guarda le macchine correre via.

Juliet ha negli occhi la disperazione e nessuna speranza. Ha capelli scompigliati, jeans sporchi e strappati, le unghie rotte. Il suo sguardo, assente, senza nemmeno mai spostarsi, racconta una storia buia e triste.

Juliet non parla con la sua famiglia in Nigeria da dicembre; dietro c’è una motivazione terribile.

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Dossier Libia. Abusi e violazioni sull’altra sponda del Mediterraneo

FONTE MELTINGPOT

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Le politiche europee e quelle degli ultimi Ministri dell’Interno italiani da anni sono impegnate a costruire le nuove frontiere dell’Europa, nel tentativo di “sigillarne” i confini. Frontiere volte a fermare il flusso dei rifugiati e migranti economici, motivando queste azioni come necessarie al contrasto dell’immigrazione irregolare.

La Libia è diventata una “zona cuscinetto” dove i tavoli politici contrattano accordi economici e diritti umani, summit con capi di stato e strette di mano mentre le motovedette libiche minacciano le ONG che operano nel Mediterraneo, durante le operazioni di salvataggio, per la riconsegna di esseri umani

I centri di detenzione in Libia sono lager denunciati da tutti i migranti che hanno transitato per il paese prima di affrontare il viaggio ed arrivare in Europa. Le vittime delle torture, delle violenze, degli stupri, degli abusi, dei ricatti a livello economico sono migliaia: uomini, donne e minori. Nessuno escluso.

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Il Presidente della Camera contro la chiusura dei porti, ma per qualcuno è dei servizi segreti stranieri

“Le Ong fanno un lavoro straordinario” Lo ha dichiarato ieri Roberto Fico, dopo aver visitato l’hotspot di Pozzallo in Sicilia, il punto di raccolta e coordinamento per il salvataggio dei migranti.  Sempre lo stesso Roberto Fico , “Quando si parla di ONG bisogna capire cosa si vuole intendere. Fanno un lavoro straordinario”, ha aggiunto il Presidente della Camera, sottolineando che “l’inchiesta di Palermo sule ONG è stata archiviata, e che l’inchiesta di Catania da un anno non cava un ragno dal buco” nel senso che almeno finora non si è trovato un reato da imputare all’opera delle ONG, che sono nel Mar Mediterraneo a cercare di salvare i migranti.
“Bisogna capire bene prima di cosa si parli, se no si fa solo cattiva informazione” Ha proseguito Fico, “le Ong nel Mediterraneo hanno salvato i migranti”.

Riguardo alla situazione nell’hotspot, Fico ha ribadito: “Le Ong che hanno lavorato qui a Pozzallo hanno fatto un lavoro straordinario, me lo hanno confermato il questore, il sindaco e la prefettura”.

Roberto Fico, è stato uno dei pochi che nei giorni scorsi di sua iniziativa, era andato a visitare la tendopoli dei braccianti in Calabria, con molta umiltà, con l’intento giusto, quello di capire. Su invito dei Sindacati di Base USB, si era recato nel vibonese, a vedere coi suoi stessi occhi le condizioni di migliaia di persone, lavoratori migranti, ascoltando in silenzio e molto colpito le testimonianze dei lavoratori, rendendosi conto di persona delle situazioni critiche, tanto della nuova tendopoli, quella cosiddetta “ufficiale” in grado di ospitare in condizioni a malapena sufficienti circa 700 braccianti, quanto della vecchia tendopoli, dove regnano condizioni disperate e totalmente inumane per migliaia di persone, tutte sfruttate come braccianti. Fico anche in quell’occasione ha mostrato la sua profonda umanità, e la sua disponibilità, passando la giornata a parlare con molti migranti, rendendo omaggio alla memoria di Sacko, il giovane sindacalista dei braccianti, ucciso il 2 giugno scorso a fucilate, per un pezzo di lamiera lasciato abbandonato e non appartenente a nessuno, preso per riparare i propri compagni dalla pioggia.

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Droni militari, l’Italia spende 20 milioni per armarli

FONTE MILEX

di LORENZO BAGNOLI

Lo ha scoperto l’Osservatorio Mil€x da documenti del ministero della Difesa. Una svolta epocale nella storia militare italiana: per i droni militari sarà possibile attaccare, non solo fare missioni di ricognizione. A questo si aggiunge il costo per rinnovare il parco droni con nuovi esemplari. Un investimento da 700 milioni di euro

L’Italia sta spendendo quasi 20 milioni di euro per armare i propri droni. Dal 2015, il Pentagono ha autorizzato il ministro della Difesa italiano ad armare i propri velivoli a controllo remoto, di produzione statunitense. Finora sembrava che il progetto di trasformarli in delle vere e proprie armi da guerra non dovesse andare in porto.

Invece, come rivela Mil€x, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, nel suo rapporto Droni, Dossier sul APR militari italiani, sul piatto ci sono già 19,3 milioni di euro, di cui 0,5 spesi nel 2017 e 5 da spendere nel 2018. La voce, contenuta in documenti ufficiali del ministero recuperati da Mil€x, è definita stanziamento per sviluppare «capacità di ingaggio e sistema Apr Predator B». Tradotto dal gergo militare, significa che i droni italiani (Apr, aerei a pilotaggio remoto) Predator B hanno cominciato la procedura per l’armamento.

Il costo dei droni militari italiani

Finora l’Italia ha stanziato 668 milioni di euro in droni, principalmente allo scopo di acquistare mezzi da ricognizione. Duecentoundici milioni sono stati spesi all’interno del programma Nato Alliance ground surveillance (Ags), attraverso cui si sono acquistati in tutto 15 velivoli (uno costa circa 187 milioni di euro).

Altri 142 milioni di euro sono stati spesi per sei Reaper prodotti dalla statunitense General Atomics. Sono questi i famosi Predator B che l’Italia sta armando, visto che il loro scopo, oltre alla ricognizione, è l’attacco. Terza voce di spesa la partita di nove Predator A (di cui due precipitati) acquistati tra il 2004 e il 2015: 95 milioni di euro.

I droni militari americani che partono da Sigonella

«Il Parlamento dovrebbe urgentemente affrontare questo tema, poiché la detenzione di droni armati implicherebbe dal punto di vista tecnico e politico una flessibilità di impiego bellico infinitamente maggiore rispetto ai tradizionali cacciabombardieri pilotati, che comporterebbe una rivoluzione copernicana della postura militare italiana», scrive Mil€x nel rapporto.

Le vecchie missioni di ricognizione potranno infatti diventare delle missioni di attacco.

La questione droni in Italia finora è sempre passata sotto silenzio. Anche quando a settembre dello scorso anno la Repubblica ha dato la notizia di attacchi missilistici effettuati da droni americani in Libia partiti dalla base Nato di Sigonella, in Sicilia. Per alcuni si sospetta un uso belligerante, non solo per ricognizioni.

Italia: i nuovi droni militari della Piaggio Aerospace

Fin qui lo stato dell’arte, con le spese già effettuate. Il bilancio della difesa però potrebbe raddoppiare. L’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti, a febbraio, ha presentato al Parlamento una richiesta per 20 nuovi droni militari P2HH, armabili, per sostituire il vecchio parco velivoli (Predator A e B). Li produce Piaggio Aerospace, azienda con sede ad Albenga, in Liguria, dal 2014 controllata al 100% dal fondo d’investimento Mubadala degli Emirati Arabi Uniti.

La società ha passato anni travagliati sul piano economico. La sua crisi, che ha fatto sfiorare il fallimento al comparto Aerospace, si è acuita con lo sviluppo del primo prototipo di droni Piaggio, i P1HH, uno dei quali scomparso misteriosamente nel Mediterraneo.

Lo scorso anno, il fondo Mubadala ha iniettato nell’azienda 700 milioni di euro per prendere un minimo di ossigeno. La commessa dell’Aeronautica italiana potrebbe essere la spallata per farla uscire dalla crisi.

I dubbi intorno al programma, però, sono molteplici. La commessa vale 15 anni e 766 milioni di euro: 51 milioni all’anno. Non solo: i primi prototipi si vedranno nel 2022. Per altro, il progetto rischia di sovrapporsi al più ambizioso progetto europeo Male 2025 (Medium altitude long endurance), a cui partecipano consorziate le più grandi compagnie che si occupano di sistemi di difesa in Europa, compresa l’italiana Leonardo. L’Italia ha investito nel progetto 15 milioni di euro.

Altre spese inutili per gli F35: prezzo medio 190 milioni

Il ministero della Difesa non è nuovo a investimenti discutibili per rinnovare la flotta aerea. L’esempio più clamoroso sono gli F-35: il volo inaugurale degli esemplari acquistati dalla Royal Air Force (Raf) britannica, avvenuto a giugno, è stato definito dal «imbarazzante» e «patetico» dal Times di Londra. Gli aerei sono prodotti da Lockheed Martin e assemblati in Italia da Leonardo.

Dieci di questi cacciabombardieri sono stati già consegnati, al prezzo medio di 150 milioni di euro l’uno, a cui si aggiungeranno altri 40 milioni di euro di “ammodernamento” di ogni singolo aereo, nato già vecchio. La Corte dei conti, l’estate scorsa, nella relazione sulla Partecipazione italiana al Programma Joint Strike Fighter – F35 Lightning II, il programma di sviluppo dei nuovi cacciabombardieri, ha detto:

«Il programma è oggi in ritardo di almeno cinque anni rispetto al requisito iniziale. Se è vero che lo sviluppo si avvicina al completamento, il passaggio ai lotti di produzione piena è stato rinviato più volte (i lotti di produzione ridotta, inizialmente previsti in numero di 12, sono ormai 14 e si protrarranno fino al 2021), e per riconoscere la piena capacità di combattimento sarà necessario attendere il termine della fase detta di “ammodernamento successivo”, previsto per il 2021».

Si poteva fare meglio, anche perché ai ritardi hanno fatto seguito aumenti dei costi.

Mil€x ha scoperto che al già costoso programma la ministra Pinotti ha aggiunto un’ulteriore commessa di otto F-35, arrivando a un totale di 26 nuovi aerei. L’ultimo Documento programmatico pluriennale del ministero della Difesa redatto sotto la ministra Pinotti, prevedeva un esborso di 727 milioni per quest’anno, 747 milioni nel 2019 e 2.217 milioni tra il 2020 e il 2022.

Migranti. Forenza: “servono una mobilitazione di massa e un’informazione corretta”

FONTE ARTICOLO21.0RG

 

Migranti. Forenza: “servono una mobilitazione di massa e un’informazione corretta”

Gli eurodeputati Eleonora Forenza di Rifondazione Comunista, Miguel Urban di Podemos, Javier Lopez del Psoe e Ana Miranda del Bloque Nacionalista Gallego si trovano a bordo delle navi Astral e Open Arms della ong spagnola Proactiva. Abbiamo rivolto alcune domande a Eleonora Forenza.

Che cosa ti proponi con questo viaggio?
Il viaggio mio e degli altri tre europarlamentari intende testimoniare il lavoro che fanno le ONG come Open Arms, drammaticamente criminalizzate mentre salvano vite.

Com’è la situazione in questo momento?
In questo momento stiamo viaggiando con due navi, la Open Arms, che ha 60 persone a bordo e l’Astral. Ci troviamo nella zona SAR (ricerca e salvataggio) al largo delle coste libiche.

Cosa possono fare a tuo parere i politici anti-razzisti, la società civile e il giornalismo indipendente x contrastare l’offensiva sempre più violenta contro migranti e Ong?
Credo vada fatta quanta più informazione corretta possibile, ricordando che la priorità sono le vite delle persone, contro la propaganda xenofoba di tanti governi europei, compreso quello italiano. Penso che occorra anche una mobilitazione pubblica di massa, come quella dei primi anni 2000. Dobbiamo farlo per le persone migranti e anche per noi. Per restare umani.

Libia – Il ritornello del torturatore: o paghi o muori

 

Nell’Italia tentata dalla degradazione razzista – come una mandria di uomini-bambini eternamente traumatizzati dalla fobia dell’Uomo nero – è ancora possibile dire qualcosa di sensato sull’immigrazione?

La risposta è ovviamente sì. Ci provano, meritoriamente, accademici, giuristi e perfino politici in una recente serie di testi lucidi e ragionati, che sostituiscono al nonsense mediatico analisi, indagini e argomenti a cavallo tra diritto, economia, politica e demografia. Ci provano anche, e in una lingua comprensibile a tutti, alcuni giudici professionali e popolari. Le parole della giustizia hanno un valore speciale, perché offrono la traduzione giuridica dei fatti storici, cioè la verità processuale.

“Opinabile in diritto e probabilistica in fatto ( … ) debole surrogato all’impossibile certezza oggettiva” (Luigi Ferrajoli), essa rimane nondimeno l’unico strumento di cui una collettività dispone per definire giuridicamente la realtà: la sentenza passata in giudicato, definita, è un’affermazione che non ammette repliche. Pur coscienti dei pericoli della supplenza della giurisdizione, esistono sentenze in grado di restituire a cose e azioni il proprio nome, spazzando i tentativi mistificatori e opportunistici. E il caso della decisione della Corte di assise di Milano, che il 10 dicembre 2017 certifica la mostruosità dei lager libici e stravolge, ridefinendolo, il vocabolario del grande buco nero post-Gheddafi.

I “migranti incarcerati perché privi di documenti” si scoprono, nel nostro codice penale, persone sequestrate a scopo di estorsione, vittime di sevizie e abomini. La “polizia che arresta” è il travestimento di gang armate, bande di strada, Asma Boys che popolano gli incubi dei sopravvissuti ad anni di distanza. Gli “arabi che liberano i subsahariani per assumerli”, dimenticandosi poi di pagarli, sono i moderni schiavisti, padroni della scacchiera e delle pedine intrappolate in un labirinto di compravendite, cessioni e aste. Gli “uomini che si imbarcano” diventano bestie recitate, minacciate e pestate, stipate in barconi pericolanti in partenza dalla bocca dell’inferno. Il tutto affidato alla regia della criminalità organizzata transnazionale, autentici imprenditori feudali del XXI secolo.

I titoli dell’indice della sentenza (.pdf) scrivono il sommario di un’opera horror: “i campi di raccolta”, “le punizioni e le torture”, “l’assenza di cure mediche”, “le violenze sessuali”, “gli omicidi”, “le cicatrici sui corpi delle parti lese”.

Il protagonista di questo romanzo-verità, a lungo atteso, è un cittadino somalo, ex-migrante affrancato e – una volta diventato responsabile di un campo di detenzione nei pressi della città di Bani Walid – scopertosi l’aguzzino più crudele di migliaia di propri concittadini. L’apocalisse ha il volto emaciato di 500 sciagurati ammassati in un hangar tra le montagne e il deserto: sorveglianza armata, chiusura notturna senza accesso ai bagni (si urina nel capannone), niente letti, pidocchi dappertutto, cibo scarso, diffusa grave debilitazione.

La trama è atroce quanto banale: chi paga esce, chi non paga rimane all’inferno. All’arrivo nel campo, dopo avere sequestrato i cellulari, i carcerieri consentono una telefonata ai familiari, nel corso della quale – per rafforzare la richiesta di denaro – i migranti vengono percossi e torturati. Talvolta le famiglie ricevono le foto dei propri cari sanguinanti e umiliati. All’intermediario in patria i familiari pagano il prezzo del viaggio – cioè il riscatto – e con questo il diritto alla libertà e alla vita. Nel campo, infatti, si muore di botte, di scarsa igiene, di disidratazione, di parto (e almeno in un’occasione muore anche il neonato). “Da qui possono uscire solo due persone: una persona che ha pagato i soldi e una persona che è morta”, è il ritornello del torturatore. E in effetti si lascia raramente il capannone: ogni tanto qualche uomo – magari di quelli che hanno già pagato una parte della somma – viene portato a lavorare alla costruzione di altri hangar all’interno del perimetro del campo.

Più spesso chi viene prelevato dall’interno finisce in Amalia, la stanza delle torture. Qui le persone vengono fatte inginocchiare, legate e picchiate. Spesso vengono spogliate, bagnate e ustionate con cavi elettrici, frequentemente sui testicoli.

Talvolta i sacchetti di plastica vengono bruciati e sciolti sul corpo dei sequestrati. Si ritorna nell’hangar in uno stato pietoso, coperti di ematomi e ustioni, a volte incoscienti. Dal capannone si sentono le urla, ma dentro regna il silenzio. L’ordine è di non parlare e chiunque potrebbe trasformarsi in una spia. Quando esce una donna cambia la scenografia e si finisce nella camera privata, la stanza degli stupri.

Una giovane ragazza, minorenne, viene denudata in pubblico, portata nella camera e legata. È infibulata. Il torturatore le divarica le gambe e la apre a freddo con uno strumento metallico. La giovane sviene, risvegliandosi più tardi in una pozza di sangue. Un’altra è più fortunata, basta un po’ di sforzo per romperla e penetrarla.

Dentro l’hangar è un universo di lacrime e corpi gonfi. Prima di violentare un’altra giovane, l’aguzzino confessa di avere ucciso – appendendoli per il collo – due ragazzi di circa vent’anni, trattenuti al campo da molto tempo perché le famiglie non pagavano. Poche ore dopo i cadaveri dei due vengono trascinati con le corde avvolte intorno al collo fino al centro del capannone, dove rimangono per un quarto d’ora a ricordare a tutti con chi hanno a che fare.

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La Banda degli Onesti

di Alessandra Daniele che ringraziamo

Ogni mattina Salvini si sveglia, e sa di dover twittare una stronzata più grossa di quella del giorno prima, ridicolizzando Di Maio.
Ogni mattina Di Maio non si sveglia.
Per più d’un decennio, il Movimento 5 Stelle s’è spacciato come argine al fascismo.
Alla prima occasione, gli ha consegnato il governo.
“O noi, o i fascisti” è diventato “Noi fascisti”.
Per più d’un decennio, il Movimento 5 Stelle s’è spacciato come antidoto alla politica clientelare.
Alla prima occasione, s’è dimostrato un comitato d’affari manovrato da faccendieri, legulei e palazzinari, nel quale gli eletti servono solo da stolido paravento.
Il Movimento 5 Stelle è la peggiore truffa dopo lo schema piramidale Ponzi, ma gli italiani ci metteranno un po’ ad accorgersene.
Per adesso sono distratti dal capro espiatorio della settimana. I Rom.
Dire che i Rom siano un bersaglio facile è un eufemismo.
Una manciata di superstiti, emarginati, perseguitati e sterminati da tutti i regimi della Storia, e che non riuscirebbero materialmente a rendersi colpevoli di tutti i crimini di cui vengono accusati nemmeno se avessero i superpoteri.
Questa settimana il Cazzaro dell’Interno li ha sfruttati per distrarre gli elettori italiani dal DEF, Documento di programmazione economica e finanziaria col quale Tria, ministro dell’Economia di Forza Italia, in collaborazione col predecessore Padoan del PD, e in ottemperanza alle direttive UE, s’è rimangiato tutte le mirabolanti promesse di elargizioni, sgravi e regalie con le quali la banda Grilloverde è arrivata al governo.
Mentre gli italiani venivano incitati a sfogare vigliaccamente tutta la loro rabbia contro il solito nemico immaginario, tornavano a essere realmente fottuti per l’ennesima volta dal branco di Cazzari che hanno incautamente eletto il 4 marzo.
Gli italiani che pretendono il censimento etnico dei Rom, presunti ladri su base genetica, hanno già i nomi di chi davvero li sta sistematicamente derubando di tutto, compresa la loro anima. Li conoscono, li acclamano, li votano.
L’odio però è una droga, ce ne vuole una dose sempre maggiore, perciò Salvini ha aggiunto ai Rom un altro paio di bersagli, Roberto Saviano, e un’altra nave di soccorso ONG – che il farsesco Toninelli ha definito “pirata” – nella speranza di replicare il successo mediatico dell’Aquarius.
Più di 400 dei profughi a bordo dell’Aquarius ci erano stati trasferiti dalle motovedette della Guardia Costiera italiana.
L’Aquarius è stata caricata come una pistola per sparare nel cervello dell’elettorato italiano un messaggio preciso: “Salvini protegge i confini”. “Salvini è l’eroe che ferma l’Uomo Nero, e ti salva dall’invasione”.
Assicurerà alle milizie libiche che i finanziamenti per i lager erogati da Marco Minniti continueranno ad arrivare.
Poi si accrediterà il merito del calo degli sbarchi dell’80% che è già in atto da un anno.
Salvini è come quei criminali imitatori che cercano di farsi attribuire gli omicidi commessi dal loro serial killer preferito.

“Chi controlla la percezione della realtà, controlla la realtà” – Philip K. Dick
È per questo che la democrazia non può più funzionare. Può solo riprodurre in loop lo stesso errore di sistema all’infinito.
Ogni mattina Salvini si sveglia, e sa di dover twittare una stronzata più grossa di quella del giorno prima.
Il governo Grilloverde è uno schema piramidale, ma gli italiani ci metteranno un po’ ad ammetterlo.
Per adesso sono nella fase del rifiuto.
Poi verranno mercato, ira, depressione, accettazione.
E poi un’altra truffa piramidale.

Emergenza migranti. Quella falsa e quella vera

 

FONTE : SALUTEINTERNAZIONALE.INFO CHE RINGRAZIAMO

Inserito da on 25 giugno 2018 – 10:20

Autore : Gavino Maciocco

La vera emergenza sta nel fatto che ai migranti “forzati” è impedito di esercitare il loro sacrosanto diritto a muoversi attraverso canali legali e sicuri, e a causa di ciò dover subire ogni genere di vessazione, fino alla morte, nel tentativo di fuggire da condizioni insostenibili. La vera emergenza è che milioni di persone debbano abbandonare le loro case, e spesso anche il loro paese, per un insieme ben note di cause: guerre, regimi dittatoriali, neo-colonialismo, sfruttamento delle risorse naturali, cambiamenti climatici.


La natura razzista e xenofoba della Lega (già Lega Nord) si è manifestata in innumerevoli occasioni nelle parole e negli atti (talora criminali) dei suoi rappresentanti, anche nel campo della salute, con l’alimentare, ad esempio, la psicosi dell’accoppiata “malattie-immigrazione” (vedi Malattie infettive e immigrazione: facciamo chiarezza).

La natura razzista e xenofoba della Lega Nord si manifestò in tutta la sua evidenza quando nel 2009, dalla posizione di governo in cui si trovava – primo ministro Berlusconi – propose e riuscì a far approvare al Senato una modifica della legge sull’immigrazione: nel mirino della Lega Nord il divieto per i medici di segnalare all’autorità un paziente straniero irregolare. Divieto che andava abrogato per facilitare l’identificazione degli stranieri irregolare e/o per impedire che questi si rivolgessero al Servizio sanitario nazionale (vedi  Il diritto alla salute non ha bisogno di documenti).

La mobilitazione contro questa proposta fu immediata. Si mosse la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici che si appellò al Parlamento per le “superiori esigenze di tutela sella salute e imprescindibili principi di solidarietà” definiti come “patrimonio storico della nostra nazione”. La Federazione dei Medici affermò una preventiva vicinanza ai colleghi che fossero incorsi in sanzioni per non avere rispettato una legge in aperta opposizione con il codice deontologico della professione medica basato sull’assenza di discriminazione nel trattamento. In ultimo la Federazione dei medici lanciò un appello affinché la Camera dei Deputati non approvasse l’emendamento e chiedeva “un’audizione urgente” nelle sedi istituzionali. (Vedi Noi non segnaliamo: la posizione ufficiale dei medici).

Il 17 marzo 2009 fu lanciata la campagna “Noi non segnaliamo”, i cui contenuti sono rappresentati nel volantino qui sotto

 

La campagna ebbe un grande impatto sull’opinione pubblica, tutti i media ne parlarono e alla fine l’emendamento leghista fu ritirato.

Ma la cosa non finì lì. Infatti la nuova legge sulla sicurezza, approvata pochi mesi dopo introdusse il reato di clandestinità e ciò comportava di nuovo per i medici, e gli altri operatori sanitari, l’obbligo di segnalazione alle autorità di un paziente irregolare, in quanto a fronte di un reato perseguibile d’ufficio come è quello introdotto, l’operatore (medico, infermiere, amministrativo,…) in qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, è tenuto alla denuncia (vedi Immigrati la nuova legge sulla sicurezza è dannosa, ingiusta e pericolosa).

Si venne a creare così una situazione paradossale di due norme in palese conflitto tra di loro: da una parte il Comma 5, art. 35 del Dgl 286 del 1998, divieto di segnalazione, e dall’altra gli articoli 361 e 362 codice penale, obbligo di segnalazione.  Sulla questione si sviluppò un acceso dibattito giuridico che si concluse con una soluzione di buon senso da parte dell’allora Ministro degli interni, il leghista Roberto Maroni, che emise una circolare in cui si affermava che la nuova legge sulla sicurezza non ha abrogato l’art. 35 e di conseguenza continua a trovare applicazione, per i medici e per il personale che opera presso le strutture sanitarie, il divieto di segnalare alle autorità lo straniero irregolare che richieda prestazioni sanitarie (vedi Noi non segnaliamo. La vittoria degli anticorpi (della ragione e della democrazia).

Si era nel 2009 e nella società italiana circolavano gli anticorpi sufficienti non solo per bloccare un’iniziativa razzista e xenofoba, ma convincere anche un ministro degli interni leghista ad adottare una soluzione di buon senso a favore dei diritti degli immigrati irregolari. Ma oggi?

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La violenza dell’ignoranza: il migrante tra mitologia e propaganda

Forse dovremmo chiederci cosa sta accadendo, all’Italia e non solo. La così detta crisi migratoria credo sia “solo” lo spaccato in cui più chiaramente, con più vigore e maggior trasparenza, si manifesta una dinamica di gran lunga più complessa. Una dinamica estesa di tipo sociale, culturale e antropologico, che finirà per produrre uno spartiacque forse epocale, per effetto di conseguenze di un’importanza e un impatto tale da divenire “storiche”.

L’Italia degli ultimi 20 anni ha vissuto cambiamenti quasi incredibili, ma che al contempo definirei palpabili, dirompenti e innegabili. La lenta elaborazione che nel secondo dopoguerra si fece degli orrori del conflitto, testimoniata dalle convenzioni internazionali e dalla carta dei diritti, che fu l’epilogo ma anche il rinnovato slancio di una riflessione profonda sui più alti valori dell’umano, sembrava avesse prodotto una società ormai definitivamente liberà dalle barbarie, mai più disposta a sottovalutare, normalizzare e propagandare le amenità razziste e nazi-fasciste. Negli anni ’60 e ’70, un ulteriore passo avanti sul piano della rivendicazione dei diritti è stato compiuto dalle lotte che hanno segnato a livello mondiale una stagione di opposizione alle costrizioni, all’ingiustizia sociale, e alle discriminazioni. L’Italia degli anni ’80 pare dunque esser stata ricca, emancipata e libera, infarcita di un’educazione tollerante e pacifista, o forse solo un po’ meno bigotta e moralista. Di fatto, alcuni concetti essenziali in ordine alla società e alla convivenza hanno avuto durante gli anni del mio diventar membro della società civile un’aurea di assolutezza, la sostanza paradigmatica di un a-priori, un’apparente ma convincente sembianza di eternità. Poi qualcosa è cambiato, il boom economico è cessato, la qualità dell’istruzione è implosa e il diritto al lavoro ha vacillato. L’incertezza è diventata il risvolto psicologico diffuso della flessibilità, la precarietà economica ha inaugurato la stagione dei suicidi, dell’esodo degli investimenti stranieri e dei progetti futuri dei connazionali. Responsabili non ce ne sono, la crisi non ha avuto mandanti ne esecutori pare. È successa. La guerra quotidiana per la sopravvivenza non ha nemici né amici, la si combatte soli una rinuncia dopo l’altra, fin quando agli sgoccioli delle rinunce possibili, è apparsa all’orizzonte l’occasione del riscatto.

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ASGI : Gravi responsabilità dell’Italia nella vicenda Aquarius

 FONTE ASGI

Il comportamento del governo italiano nella vicenda Aquarius è gravissimo e l’intervento della Spagna non solleva l’Italia dalle sue responsabilità.  ASGI lancia l’allarme sul possibile imminente ripetersi di episodi analoghi.


English version


Mentre scriviamo ancora non è definitivamente conclusa la vicenda della nave Aquarius, che ci auguriamo possa trovare felice esito anche grazie all’intervento delle autorità spagnole e, comunque, oltre la gestione che ha avuto da parte del Governo italiano.

La scelta di solidarietà  fatta dal Governo spagnolo di fornire assistenza materiale e giuridica ai naufraghi salvati dalla nave Aquarius, infatti, non deve oscurare la gravi responsabilità del governo italiano nella conduzione complessiva di tutte le operazioni.

Va infatti ricordato che le operazioni di soccorso sono partite su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma e che pertanto, in base al diritto internazionale – l’Italia è sempre stato il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi.

Solo in questo senso possono essere lette le principali Convenzioni internazionali pertinenti in materia e, tra esse:

 

– la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia con L. 313/1980);
– la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il soccorso in mare (Convenzione SAR, firmata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia con L. 147/1989, da cui il Regolamento di attuazione D.P.R. 662/1994;
– la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione CNUDM o UNCLOS, adottata a Montegobay nel 1982 e ratificata dall’Italia con L. 689/1994)

Fino al momento nel quale la Spagna non ha annunciato il suo intervento per ragioni umanitarie il centro di coordinamento dei soccorso italiano, competente e responsabile degli stessi, ha continuato a non indicare alcuna destinazione alla barca Aquarius, rendendosi completamente inadempiente verso precisi obblighi indicati dal diritto internazionale ed interno e ponendo a rischio la vita di centinaia di persone.

La situazione di pericolo e di estrema difficoltà, in cui si trovavano e si trovano tutt’ora i migranti, oltre ai membri dell’equipaggio, integra senza dubbio una situazione di pericolo che non fa ritenere legittima alcuna limitazione all’approdo in un porto italiano. Nel caso di specie doveva, infatti, immediatamente trovare applicazione l’art. 18, par. 2 della Convenzione UNCLOS, la quale prevede che lo Stato costiero non può invocare una violazione del diritto di passaggio inoffensivo né obbligare la nave straniera a riprendere il largo. Conseguentemente, lo Stato costiero, nel cui mare territoriale, o nelle vicinanze del quale, si trovi una nave in una situazione di pericolo è, infatti, il titolare primario dell’obbligo di portare soccorso ed è responsabile della conclusione del salvataggio. La nave che si trova quindi in una situazione di pericolo implicante una minaccia per la vita delle persone a bordo, qualsiasi sia lo status di questi passeggeri, gode di un “diritto” di accesso al porto.

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La frontiera dove l’Europa ha perso l’anima

Fonte Ilmanifestobologna

di Marco Revelli

Colle del Monginevro, 1.900 metri di quota, a metà strada tra Briançon e Bardonecchia. È su questa linea di frontiera che oggi batte il cuore nero d’Europa. È qui che la Francia di Emmanuel Macron ha perso il suo onore, e l’Europa di Junker e di Merkel la sua anima (quel poco che ne rimaneva). In un paio di mesi, in un crescendo di arroganza e disumanità, i gendarmi francesi che sigillano il confine hanno messo in scena uno spettacolo che per crudeltà ricorda altri tempi e altri luoghi.

È appunto a Bardonecchia che si è verificata l’irruzione di cinque agenti armati della polizia di dogana francese nei locali destinati all’accoglienza e al sostegno ai migranti gestiti dall’associazione Rainbow4Africa, per imporre con la forza a un giovane nero con regolare permesso in transito da Parigi a Roma di sottoporsi a un umiliante esame delle urine, dopo aver spadroneggiato, minacciato e umiliato i presenti.

Davanti a quello stesso locale, a febbraio, ancora loro, gli agenti di dogana francesi, avevano scaricato come fosse spazzatura il corpo di Beauty, trent’anni, incinta di sette mesi e un linfoma allo stadio terminale che le impediva il respiro. Aveva i documenti in regola, lei, ma non Destiny, il marito, così l’implacabile pattuglia l’aveva fatta scendere dal pullman che da Clavier Oulx porta alla terra promessa, quella dove lo jus soli avrebbe permesso al loro figlio di nascere europeo, e incurante delle condizioni disperate l’aveva abbandonata a terra, al gelo.

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La Francia agisca nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone e delle norme internazionali, europee e nazionali

 Fonte ASGI

Il parere giuridico dell’ASGI sulla vicenda di Bardonecchia: ecco le norme vigenti.

In seguito alla richiesta di spiegazioni da parte del Governo italiano, le autorità francesi hanno affermato che i controlli effettuati dagli agenti della Dogana francese nei locali della stazione di Bardonecchia in cui operano i medici di Rainbow4Africa e i mediatori culturali del Comune si sarebbero svolti nel rispetto della normativa vigente.

Le norme europee e gli accordi tra Italia e Francia, intervenuti nel corso degli anni per disciplinare la cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana così come le operazioni congiunte di polizia, prevedono che gli agenti francesi possano operare sul territorio italiano, nelle zone di frontiera, ma stabiliscono determinate procedure e specifici limiti e condizioni, che nella vicenda svoltasi venerdì sera sono state palesemente violate.

Il parere giuridico dell’ASGI

Cosa abbiamo da perdere?

Fonte LavoroeSalute

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 Cosa abbiamo da perdere?

Hanno salvato 218 vite esposte a due alternative: la morte in mare su gommoni alla deriva o finire catturati dalla sedicente Guardia costiera libica, finanziata dall’UE, per essere riportati nelle mani di aguzzini usi a chiedere un riscatto, a torturare, a stuprare a rinchiudere in centri di detenzione.

In un mondo normale sarebbero stati chiamati “eroi”, oggi invece come ormai noto perché anche la stampa mainstream ha sussultato, sono accusati di “associazione a delinquere” e la loro imbarcazione è stata sequestrata con un atto di vera e propria pirateria giuridica.

In una affollata conferenza stampa ieri pomeriggio Oscar Camps, fondatore dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, che dal 2016 con 3 imbarcazioni ha tratto in salvo circa 25 mila persone, Riccardo Gatti, (Coordinatore in Italia dell’Ong), l’ormai ex senatore Luigi Manconi e l’avvocato Alessandro Gamberini, hanno raccontato di una vicenda assurda che potrebbe divenire normalità fino a quando verranno tollerati i comportamenti di governi e procure simili.

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“La scelta è nostra”. L’Europa, le sue radici e i suoi confini: dalle persecuzioni nazi-fasciste alle stragi in mare

FONTE MELTINGPOT.ORG

di Ilaria Papa, MigrAzioni – 21 marzo 2018

Racconta Liliana Segre, nel suo libro “Sopravvissuta ad Auschwitz” (2005), un fatto che cambiò il corso della sua vita: quando, bambina, il 7 dicembre del 1943, tenendo per mano suo padre, passò il confine italo-svizzero attraverso un buco della rete di recinzione. La gioia di trovarsi sul suolo svizzero – una terra neutrale che avrebbe potuto offrire salvezza a quel piccolo gruppo che, come altri gruppi di ebrei, antifascisti, renitenti alla leva, cercava scampo in quel periodo tra i sentieri di montagna – fu presto interrotta dalle guardie di confine svizzere. Scrive Liliana:

Infatti, al comando di polizia, dopo una lunga attesa – senza dirci una parola, senza darci un bicchiere d’acqua né un pezzo di pane – l’ufficiale di turno ci condannò a morte. Ci trattò con disprezzo estremo, disse che eravamo degli imbroglioni, che la Svizzera era piccola e non c’era posto per noi. Ci rimandava indietro.

Delle quattro persone che costituivano quel gruppetto – Liliana, di tredici anni, suo padre e due cugini, finiti in campo di concentramento nazista per essere stati “rimandati indietro” da quel comandante rimasto senza nome e poi arrestati dai finanzieri italiani – solo Liliana sopravvisse. Io non morii, solo per caso, scrive .

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Milagro Sala protesta per l’aumento delle tariffe sanitarie in Argentina

04.03.2018 Mariano Quiroga

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Milagro Sala protesta per  l’aumento delle tariffe sanitarie in Argentina

 

Dalla detenzione arbitraria che dura già da 775 giorni, tradottasi ora in arresti domiciliari, Milagro Sala ha effettuato un’intervista a radio La Patriada, in cui ha criticato la decisione del governatore Gerardo Morales di aumentare le tariffe delle cure mediche per gli stranieri a Jujuy, provincia che governa al confine con la Bolivia.

Il governo nazionale è giunto a sostenere la proposta del viceré dell’altopiano, mentre la dirigente sociale e leader dell’organizzazione Tupac Amaru ha ricordato le dichiarazioni di Morales quando diceva “di discendere da boliviani” per ottenere voti e ha segnalato Jujuy come “il laboratorio di tutto il macabro che vogliono fare in Argentina”.

“Mi dispiace moltissimo, poiché tutti discendiamo da stranieri; io sostengo un progetto più ampio: una sanità gratuita per tutti”, ha dichiarato Sala senza riserve.
La deputata del Palasur resta nella casa che doveva essere un centro di riabilitazione per soggetti diversamente abili e vive “circondata da 26 gendarmi”.
“Molti italiani e spagnoli sono proprietari di parte della terra, mentre i boliviani si trovano in fattorie a lavorare in nero. È come se il progetto avesse avuto luogo contro i boliviani”, ha segnalato la dirigente, in merito alla doppia morale che impera presso i governanti argentini.
“La sanità e l’istruzione devono essere per tutti, senza eccezione alcuna”, ha chiarito, per poi ritenere che, in caso di cure sanitarie verso gli stranieri, è necessario riformare la Costituzione argentina che assicura tale diritto a tutti coloro che ne calpestano il suolo.
Negli ultimi giorni, il dibattito xenofobo si è nuovamente introdotto nei mass media, cercando di nascondere il crescente malessere esistente nei confronti del presidente Mauricio Macri, che inizia ad essere contestato in ogni evento di aggregazione sociale: da quelli di carattere sportivo, musicale o nelle manifestazioni di strada.

Traduzione dallo spagnolo di Cristina Quattrone

D’inverno il mare è gelido

 Autore:  Mario Cataldi

Ancora corpi che annaspano, che affondano, che cadono da gommoni di cartone che si sfaldano e si sgonfiano. Si ricominciano a contare i corpi cominciando da quelli vivi, dalle mani che sbracciano sull’acqua gelida del mare d’inverno. I morti si contano solo se galleggiano ancora.

Il primo naufragio dell’anno. La conta ricomincia come se nulla fosse, quello che è stato fa parte di una dimensione temporale che non c’è più, si spinge il tasto reset a beneficio delle statistiche che servono ad accompagnare gli slogan di questa lunghissima campagna elettorale iniziata da tempo. Il successo si sottolinea nei soli tremila morti, una buona percentuale in meno rispetto allo scorso anno. Il successo prende forma nel 30 percento in meno di arrivi. Con il meno davanti ai numeri si conquista consenso, si determina il grado di popolarità.

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Dicembre a Ventimiglia. Ovvero, il gelo – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte Effimera

Riprendiamo da Parole sul Confine questo report del 3 dicembre scorso.

Partiamo all’ora di pranzo. Non c’è molto tempo questa volta, ma abbiamo appena ricevuto una donazione di farmaci.

Soprattutto vogliamo andare a verificare se, con l’arrivo delle temperature invernali, ci sono persone abbandonate all’addiaccio e quante sono.

Purtroppo, la realtà supera ampiamente le nostre previsioni. Giunti in prossimità della ferrovia in via Tenda, osserviamo dall’alto un gran numero di persone in piccoli gruppi, alcuni vicini ad un fuoco, altri che entrano negli anfratti del ponte. Accanto a noi passa un ragazzo in maglietta e pantaloni corti. Sono le 16.30, il sole sta per tramontare e la temperatura si sta abbassando rapidamente.

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“Per cambiare l’ordine delle cose”: la società civile si mobilita su diritti e immigrazione

 

FONTE  PRESSENZA.COM

Quelle oltre 500 persone arrivate il 3 dicembre a Roma da 130 città italiane per discutere su come cambiare l’ordine delle cose (della narrazione, ma soprattutto delle politiche in tema d’immigrazione), probabilmente non le vedrete spesso in televisione. Sicuramente meno spesso di quanto non si vedano quattro persone che fanno un blocco stradale.

Doveva essere un evento celebrativo e conclusivo dell’insperato successo di un film – “L’ordine delle cose”, appunto, di Andrea Segre – ancora in sala dal 7 settembre e visto da decine di migliaia di persone.

E invece il forum “Per cambiare l’ordine delle cose” (organizzato da Amnesty International Italia, Banca Etica, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Naga Onlus, Jole Film e ZaLab), iniziato con un commosso ricordo di Alessandro Leogrande che avrebbe dovuto esserne uno degli animatori, potrebbe aver segnato l’inizio di una nuova stagione di impegno sui diritti, sull’accoglienza, sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

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Ventimiglia libera – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte effimera

Riprendiamo da Parole sul confine questo report sulla giornata dello scorso 11 novembre a Ventimiglia.

 

Partiamo al mattino da Genova per Ventimiglia, portiamo con noi una confezione da 1 kg di anti-scabbia galenico fornitoci gratuitamente da una farmacia di Genova.
Dopo un breve ma caldo incontro con Delia nel suo locale, ci rechiamo in bici presso l’info-point Eufemia, in via Tenda. Vogliamo incontrare i volontari presenti per parlare dei criteri di somministrazione del farmaco. La procedura prevede, oltre alla distribuzione adeguata, il mantenimento della pomata per 12 ore e soprattutto il cambio totale degli indumenti e delle coperte. La scabbia è, non ci stancheremo mai di ripeterlo, assolutamente non grave e facilmente guaribile in condizioni igienico sanitarie normali. Diventa più grave, degenerando in sovra-infezioni batteriche, nelle situazioni di disagio come quella vissuta dai migranti che hanno trovato rifugio sotto al ponte. Per tenere sotto controllo la malattia occorre avere una buona organizzazione ed una presenza costante sul territorio, che i volontari di Eufemia possono fornire.
Mentre ci accordiamo con loro per eventuali consulti a distanza, rumori e voci dall’esterno dell’info-point ci informano che una manifestazione anti migranti sta percorrendo la via su cui si affaccia.

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Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal Fondo Africa

FONTE  14.11.2017 ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal Fondo Africa
(Foto di Medici senza Frontiere)

Il 14 novembre 2017, per il tramite delle avvocate Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini, l’ASGI ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo del Lazio  il Decreto 4110/47 con il quale il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale ha accordato al Ministero dell’Interno un finanziamento di 2 milioni e mezzo di euro per la rimessa in efficienza di 4 motovedette, la fornitura di mezzi di ricambio e la formazione dell’equipaggio. Tutte attrezzature ed attività da destinare alle autorità libiche.

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Migranti, il Viminale a nervi scoperti: «Ong e Caritas dicono stupidaggini»

fonte ildubbio

Il capo di gabinetto del ministero Mario Morcone nega ogni responsabilità italiana nei respingimenti, poi attacca Amnesty e il Consiglio d’Europa

«Io non seguo le stupidaggini che dice Amnesty international né il responsabile dei diritti umani europeo, ancora devono trovare i manganelli elettrici che avremmo utilizzato negli hotspot e ancora mi devono dare la prova dei respingimenti di migranti in Libia da parte dell’Italia. Stiamo discutendo di un paese che sta cercando di ritrovare una sua stabilità, di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se poi mettiamo in discussione una istituzione riconosciuta dalle Nazioni unite, il discorso è diverso».

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L’Italia è responsabile dell’azione libica nel Mediterraneo

FONTE ASGI

Quanto accaduto il 6 Novembre nel Mediterraneo centrale conferma l’idea già sostenuta dall’Asgi in tante altre occasioni: la guardia costiera libica e le autorità libiche non sono interlocutori affidabili, né tanto meno hanno la possibilità o la volontà di effettuare operazioni di ricerca e salvataggio con le attrezzature fornite dall’Italia. Essi costituiscono, invece, lo strumento cui Italia e Ue hanno appaltato le politiche di respingimento dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa.

E’ importante sottolineare che l’episodio si inserisce all’interno del coordinamento da parte del Comando Generale di Guardia Costiera italiano di una operazione di ricerca e salvataggio, evidentemente gestita senza il rispetto e le precauzioni della Convenzione di Amburgo del 1979.

Inoltre, tutti sanno che i migranti che si imbarcano in condizioni così precarie lo fanno per necessità, cercano di trovare rifugio da violenze e condizioni degradanti che subiscono in Libia e prima ancora nei loro paesi: tale circostanza è stata anche accertata recentemente dalla Corte di Assise di Milano. Ciononostante è proprio in Libia che essi sono respinti per essere nuovamente sottoposti a detenzione ed a torture, nonostante le Autorità italiane abbiano positiva e diretta conoscenza delle torture e delle violazioni dei diritti delle persone ai quali sono sottoposti i migranti nei centri di detenzione in Libia.

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La fuite du personnel soignant des Balkans

Un articolo importante che illustra l’emorragia di professionisti con formazione alta e costosa verso i paesi più ricchi dell’Europa. Questa migrazione di professionisti sanitari dai Balcani  verso paesi come Germania , Francia, Paesi del Golfo comporta un impoverimento disastroso delle strutture di cura dei paesi balcanici…

 

FONTE EQUALTIMES.ORG

Nikica Martić et sa famille sont impatients de commencer une nouvelle vie en Allemagne. Ce médecin de 33 ans attendait le « bon moment » pour quitter la Croatie à la recherche d’un meilleur salaire et de meilleures conditions de travail et il est loin d’être le seul.

Depuis l’adhésion de la Croatie à l’Union européenne en 2013, le Conseil médical national a reçu plus de 1300 demandes de certificats pour travailler à l’étranger. Pas moins de 550 médecins ont quitté le pays au cours de cette même période, nombre d’entre eux excédés par les emplois sans avenir, les heures supplémentaires forcées et les patients agressifs.

« On entend les histoires des personnes qui travaillent à l’étranger. On entend parler de meilleures conditions de travail, d’une meilleure éducation, de salaires plus élevés, » déclare Martić, qui a travaillé pendant six ans dans un service d’urgence en Istrie après avoir obtenu son diplôme de médecine à Zagreb. Il est représentatif des jeunes médecins qui se retrouvent coincés aux urgences pendant des années.

« Ma femme est infirmière et, ensemble, nous avons pris la décision de partir à l’étranger en famille. Nous avons choisi l’Allemagne du fait qu’une grande diaspora croate y est déjà installée et que nos contacts nous ont dit qu’il n’était pas difficile d’y trouver un emploi, » déclare Martić à Equal Times.

Même si certains ont décidé de tenter leur chance aux États-Unis ou dans les pays du Golfe, la plupart des médecins cherchent un nouveau départ dans des pays d’Europe occidentale comme l’Allemagne, l’Autriche, le Royaume-Uni ou la Suède.

Un vivier de médecins « gratuits » pour l’Europe

Le problème de la « fuite du personnel soignant » n’est pas un problème exclusivement croate : il touche toute l’ex-Yougoslavie. En effet, la Pologne, la Bulgarie, la Roumanie et la Grèce font partie des États membres de l’UE qui ont connu une émigration massive de leurs médecins vers l’Europe de l’Ouest.

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Crollo Spd, Merkel si salva  La destra vince  sul terreno della sinistra

FONTE STRISCIAROSSA.IT  CHE RINGRAZIAMO

La CDU di Angela Merkel crolla di 8 punti, la SPD precipita nel disastro, col peggior risultato da quando esiste la Repubblica federale, e l’estrema destra di Alternative für Deutschland diventa il terzo partito della Germania e porta nel Bundestag il vento dell’intolleranza e del risentimento, con un risultato che cambia radicalmente lo scenario politico del paese più importante d’Europa. Dalle urne tedesche esce un panorama pieno di incognite e con due sole certezze. La prima è che la groβe Koalition è finita. Lo ha certificato, tre minuti dopo il primo exit-poll, la Ministerpräsidentin socialdemocratica del Meclemburgo Manuela Scheswig, impietosamente spedita in tv a commentare risultati che nelle ultime ore s’era capito sempre più che sarebbero stati disastrosi. All’alleanza degli elefanti con la CDU/CSU la SPD ha sacrificato troppo: non solo programmi ed elettori ma anche la propria anima. Quando Martin Schulz lo ha confermato alla folla che si era raccolta nella Willy-Brandt-Haus la depressione generale s’è sciolta in un’esplosione di applausi. Parevano abbastanza incongrui, considerato il miserevole 20,8% che in quel momento le prime proiezioni indicavano sugli schermi, ma dicevano una cosa chiara: si torna all’opposizione. Con un sentimento di liberazione che era quasi fisicamente percepibile.


La seconda certezza è che c’è una sola coalizione che, spazzata via dal tavolo l’alleanza tra i due partiti (nonostante tutto) più grandi, ciò che è uscito dalle urne rende numericamente possibile. E’ la cosiddetta “coalizione Jamaica” formata dai tre colori della bandiera di quel paese: il nero di CDU/CSU, il giallo dei liberali e il verde dei Verdi. I liberali della FDP tornano nel Bundestag, dopo quattro anni di astinenza perché nel 2013 avevano mancato la soglia fatidica del 5%, e tornano con un buon risultato, intorno al 10%. I Verdi, intorno al 9%, hanno riguadagnato un po’ di quel che avevano perso quattro anni fa.

In queste ore tutti dànno per scontato che si dovrà cominciare da qua. Ma appare un’impresa titanica: i programmi dei liberali e dei Verdi sono uno l’opposto dell’altro in materia economica e sociale. La FDP vuole un radicale abbattimento delle tasse, un’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro, sostegni alle imprese e alle esportazioni, una politica europea molto meno accomodante verso i paesi dal debito alto; i Grünen propongono una supertassa sui redditi più alti, misure contro la povertà, più apertura verso l’integrazione europea e misure di condivisione del debito. E dopo la svolta a destra imposta al partito dai nuovi dirigenti liberali capitanati da Christian Lindner neanche delle antiche consonanze sul terreno dei diritti civili c’è più traccia. Pure sul problema dell’accoglienza si capisce già che il dialogo sarà molto difficile. La segretaria generale della FDP Nikola Beer ha già annunciato che il suo partito vuole nuove norme per regolare il diritto di asilo. E che indirizzo dovrebbero avere

L’ARTICOLO SEGUE ALLA FONTE SU STRISCIAROSSA.IT

 

Lo sporco baratto italo-libico e il neo-genocidio liberista dell’UE – di Salvatore Palidda

FONTE EFFIMERA CHE RINGRAZIAMO

Dopo la scelta europea del 2015, la tragedia dei migranti in Grecia, poi i 6 miliardi offerti al neo-sultano fascista e affarista Erdogan per trattenerli a prescindere dalla schiavizzazione assicurata anche dei bambini tramite i circa 100 mila neo-padroni siriano-turchi, era apparso chiaro che si andava verso il massacro. Come si evince ora dalla “brillante” operazione realizzata dal fulgido ministro Minniti “tutto si tiene”: il demagogico stop degli arrivi in Italia passa per il “reclutamento” di una nota banda criminale che così diventa forza legittima dello stato libico e che –soprattutto- promette di garantire gli interessi e attività dell’ENI-Agip in Libia –fra cui lo stop dei furti e del contrabbando del petrolio e le minacce di sequestro di tecnici italiani- e anche di Finmeccanica e il mercato degli armamenti italiani. In altri termini siamo davanti alla stessa logica che governa la riproduzione delle guerre permanenti, dei disastri sanitari, ambientali ed economici, delle neo-schiavitù e lo sprezzo totale dei migranti disperati, siano essi scampati alle guerre, alla fame, alle epidemie, al disastro economico e a ogni sorta di violenza e dominio (tranne una piccola parte affidata al business di ONG embedded cioè dell’umanitario neoliberista[1]).

La documentazione che illustra i diversi aspetti e anche i dettagli dell’escalation è ampia e articolata. La sequenza comincia nel 1990 cioè dopo il crollo del socialimperialismo sovietico che evidentemente non regge la competizione neo-liberista giostrata dai think tanks statunitensi; ma va ricordato che la premessa è nel Fiscal Year di Weimberger nel 1979[2] quando afferma che gli USA non possono più tollerare la crisi della loro egemonia mondiale non tanto per opera del mondo “comunista”, ma soprattutto a causa dell’autonomizzazione di diverse aree nei Sud del mondo. E per giustificare il lancio delle guerre contro questi Sud i think tanks usa incitano alla guerra ai narcotrafficanti e a tutte le mafie, e agli “stati canaglia”. La pseudo bonifica delle terre dei narcos scalfisce poco questi mentre devasta la Colombia e fa sprofondare il centro America e parte dell’America latina nel disastro grazie alla guerra finanziaria e l’imposizione di misure che aumentano l’impoverimento[3]

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RAPPORTO IOM SUI MIGRANTI MORTI “VIAGGI FATALI” SULLE ROTTE DELLA SPERANZA

 

FONTE NIGRIZIA CHE RINGRAZIAMO

Oltre 22.500 persone sono scomparse o decedute negli ultimi tre anni e mezzo, secondo gli analisti dell’Organizzazione per le migrazioni, ma nessuno conoscerà mai il numero reale, che è molto più alto. Un esercito di uomini, donne e bambini, destinati a restare senza nome e, spesso, senza nemmeno una degna sepoltura.

di Marco Cochi

 

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) ha pubblicato un nuovo rapporto sulle morti e le sparizioni di migranti in tutto il mondo. Nella relazione di 136 pagine intitolata “Viaggi Fatali” emerge che «dall’inizio del 2014 ai primi sei mesi del 2017, oltre 22.500 migranti sono deceduti o scomparsi nel tentativo di fuggire dalla guerra o dalla miseria».

Un tragico resoconto che potrebbe diventare molto più alto, perché «il reale numero del totale di morti e dispersi non può essere calcolato con certezza», come sottolineano gli analisti del Global Migration Data Center (Gmdac) dello Iom, che hanno realizzato lo studio insieme ai ricercatori dell’Università di Bristol.

Il report rileva pure che dal 2000 al 2016 sono morti almeno 60mila migranti e che 15mila di essi sono scomparsi sulla rotta del Mediterraneo, balzata alle cronache internazionali per il tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013.

Ma quella mediterranea, che comprende ben 11 itinerari, è solo una delle 14 principali rotte migratorie, identificate nello studio, dove si registrano numerose perdite ogni anno. Tra queste, oltre al Mediterraneo, è risultata particolarmente pericolosa quella che dall’Africa occidentale e dal Corno d’Africa conduce verso Egitto e Libia. Mentre, dal 2014, migliaia di persone sono morte nel tentativo di attraversare il deserto del Sahara.

Il rapporto di Iom si focalizza anche su come migliorare la fruizione dei dati sui migranti scomparsi, per prevenire ulteriori decessi e consentire alle famiglie di conoscere il destino dei loro parenti. Molte famiglie, infatti, trascorrono anni in un limbo di incertezza senza sapere se i loro cari siano vivi o morti, poiché i corpi che riescono ad essere identificati sono una ristretta minoranza.

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Il ‘fardello della storia’ lo stanno portando i popoli non la poltica. Ma il potere questo non lo riconoscerà mai, anzi”

FONTE CONTROLACRISI.ORG

POLITICA INTERNAZIONALE

Autore: Fabio Sebastiani

 

Bypassando il nauseabondo trash che il sistema politico-mediatico ogni volta ci propone dopo fatti come drammatici come quello di Barcellona, forse è arrivato il momento di attivare quel po’ di riflessione di cui siamo capaci. Riflessione utile a tentare di capire in che mondo stiamo vivendo e non in quale mondo “ci riflettiamo”.

Questa è già una prima distinzione importante. Perché finché lasceremo al potere la disponibilità a manovrare il complesso “sistema di specchi” il risultato che otterremo sarà “l’alternativa della paura”. Una paura giocata dentro campi di significato funzionali al consenso di un potere dannoso, inutile, senza prospettive. Se il potere è questo, allora, per dirla con le parole di Hannah Arendt, è arrivato il momento per i popoli di “portare il fardello della storia”, capire che la lettura della modernità non può essere delegata ai professionisti della politica o, peggio che mai, ai tecnocrati.

E la modernità ci dice che dalla bombe atomiche americane sganciate sul Giappone il coinvolgimento della popolazione civile nei teatri di guerra è stato sempre più massiccio. Come cambia questo la politica, le istituzioni, lo stesso concetto di democrazia e partecipazione?

Secondo uno studio dell’associazione privata Council on Foreign Relations (riportato dal Fatto Quotidiano), solo nel 2016 il premio Nobel per la Pace, Obama, ha permesso che fossero sganciate ben 26.172 bombe su ben sette Paesi sovrani (Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Somalia e Pakistan). Si tratta di tre bombe ogni ora per 24 ore al giorno che hanno ucciso migliaia e migliaia di civili innocenti come coloro che passeggiavano sulla Rambla a Barcellona.
Secondo un rapporto del 2014 dell’Ong britannica Reprive, per ogni “terrorista” ucciso nella guerra dei droni combattuta dagli Usa, le vittime civili sono state 28. In dieci anni, su 41 terroristi assassinati i droni hanno ucciso 1.147 innocenti. Questi sono i fatti.

E’ un’eredità storico-culturale che ci portiamo dietro dalla prima guerra mondiale in realtà. Quell’evento segnò il mondo. E segnò anche la ribellione universale contro la guerra. La rivoluzione sovietà fu possibile proprio grazie a questa spinta. E se in europa ebbe una battuta d’arresto fu solo perché la sinistra mancò di coraggio. La politica non lo capì né allora né dopo e né oggi che il mondo stava diventando un’entità internazionale. Ci si nascose, allora, dietro il concetto di “Nazione”. Alla riproposizione del problema nello scenario della seconda guerra mondiale già qualsiasi ragionamento sui confini appariva debole, ma finché serviva al capitalismo allora doveva passare come un principio giusto e utile. La contraddizione era palese: le cosiddette nazioni potevano “esistere” solo dentro una struttura imperiale.

Oggi che la fine dei confini è, ancora una volta, simbolicamente rappresentata in quelle trentaquattro nazionalità di appartenenza delle vittime di Barcellona, il potere, ha bisogno di altre categorie e mistificazioni. Ed ecco tirar fuori un vecchio arnese, quello della religione. Dico il potere in senso reale, perché sono stati gli Usa a inventare Al-Qaeda e l’Isis, e anche in senso politico ed economico: quel potere che ha bisogno della guerra e del controllo attraverso la paura come fattore vitale della sua riproducibilità. La scala è quella imperiale, appunto, perché il capitalismo non ne conosce né ne tollera un’altra.

Sento di esplicitare un interrogativo, chiaro, e anche un po’ provocatorio, negli elementi di base ma incerto nelle possibili risposte: perché la società civile, il popolo, gioca ancora un ruolo da suddito in una realtà storica in cui dovrebbe essere protagonista assoluto? In poche parole, perché se il singolo cittadino, in quanto tale, si trova a pagare un così alto tributo di sangue non ha a dispozione quegli strumenti reali per decidere di politica e di istituzioni? Non è un’entità, è la risposta. Può darsi, ma quanto pensiamo di andare avanti con un potere (e quindi “politica”, “istituzioni”, “economia”) che è fino in fondo parte del problema e da cui non potrà venire, quindi, alcuna soluzione?

Quando il potere parla di sicurezza in realtà sta comprando tempo nella speranza che su tutto vinca la paura e quindi lo scenario, dal suo punto di vista possa farsi più semplice e più gestibile. La guerra a cui stiamo assistendo e che paghiamo direttamente non sarà vinta o persa ma solo “riprodotta” all’infinto.

E’ esattamente a questo che dobbiamo cominciare a ribellarci per sperare di reinventare un lessico di pace e convinvenza nell’uguaglianza e nella giustizia. Se da una parte è vero che la società civile non è ancora pronta a diventare protagonista dall’altra, appare evidente che sta elaborando gli strumenti culturali per intraprendere questo cammino difficoiltoso. Ma la prima “dissociazione” da produrre è nei confronti di chi vuole parlare al posto nostro. E’ forse un caso che proprio a Barcellona si è tenuta la più grande manifestazione di “solidarietà costituente” che l’Europa abbia mai regisrato?
Finché non sapremo riprodurre altre “iniziative costiuenti” saremo vittime del trucco di un potere che in realtà sta lavorando per i propri bassi interessi. Il capitalismo ha gettato definitivamente la sua maschera. Non è interessato ad alcun “equilibrio”. La guerra permanente è il solo scopo che realmente persegue.

L’errore delle masse nella prima guerra mondiale fu quello di non credere fino in fondo nelle proprie possibilità. L’Europa finì irretita nella litania delle nazioni. Oggi quella falsa coscienza è definitivamente saltata. Oggi, che anche le lingue sono diventate accessorie per la comunicazione tra i popoli, dobbiamo, esattamente come allora, sottrarci al ricatto. Proclamarsi cittadino del mondo non è più la carta d’identità per frequentare ameni “non luoghi” ma per parlare il solo linguaggio possibile che ci consentire di sopportare il fardello della modernità.

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UNA DECISIONE POLITICA, SI TRATTA DI UN GENOCIDIO di Raniero Lavalle

 

 

Avendo come mandante l’Italia e l’Europa la Marina libica si annette un pezzo di Mediterraneo e minaccia e spara, per allontanare le ONG e impedire i soccorsi. Infatti le ONG sotto la minaccia delle armi – che abbiano firmato o no il codice ministeriale – hanno interrotto le operazioni di salvataggio. Noi ripariamo, finanziamo, armiamo e aumentiamo di numero le navi militari libiche, senza neanche sapere in mano a chi andranno a finire. Il ministro Minniti è molto contento e dice di vedere la luce in fondo al tunnel.
Ma la luce, che non è più quella dei Lumi, è il buio del rifiuto che noi protetti opponiamo al diritto al movimento e alla vita di un intero popolo di molte nazioni, il popolo dei migranti, che fuggendo da molti aguzzini cerca invano il suo posto nel mondo.

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LIBIA, CAMBIA IL BUSINESS SUI MIGRANTI: CONVERSIONE DEGLI SCAFISTI IN CARCERIERI ?

 

Lo stratega Ministro Minniti è riuscito nel suo intento: il business sui rifugiati, in Libia, cambia riferimenti. Non saranno più gli scafisti a lucrare sui passaggi dei migranti via mare su gommoni di carta velina , sarà la guardia costiera libica a “salvare” i migranti riportandoli in Libia in hotspot che sono campi di concentramento finanziati dalla UE affinché i migranti vengano bloccati in prigioni con condizioni di vita intollerabili. Le ONG vengono allontanate, non potranno più prestare soccorsi fino 180 chilometri dalle coste libiche: non debbono in alcun modo sottrarre materiale umano così prezioso alla filiera corrottissima degli apparati militari libici. Il contenimento dei flussi di migranti in territorio libico in cambio di miliardi di euro da parte della UE registrerà rapidamente anche una conversione professionale dei cosiddetti scafisti che saranno impiegati negli hot spot libici.
In buona sostanza le ONG che salvano e portano in Italia i migranti sono fuori luogo rispetto alla conversione del business : dalla organizzazione dei trasporti in mare alla detenzione sul territorio libico dei migranti, un business gestito dalle stesse filiere criminali … Il modello Turchia sembra avere fatto scuola.
Alla luce di questi sviluppi la sceneggiata del Protocollo tra ONG e governo italiano , proposto con forza alla firma alle ONG dal Ministro Minniti , mentre stava trattando con le autorità libiche “la svolta” , poteva esserci risparmiata . Vedi questo articolo apparso sulla Rivista Analisi Difesa

Salvataggi in mare, ASGI: il codice di condotta è un atto pericoloso

FONTE PRESSENZA.COM

Autore :  ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

ASGI sul codice di condotta : non è un atto avente valore di legge, ma solo una proposta di accordo, dove il necessario coinvolgimento paritario delle parti è clamorosamente mancato. Non sarà legittima alcuna reazione del Governo nei confronti delle ONG non firmatarie se non nei casi e nei limiti già sanciti dalle norme nazionali e internazionali .

L’ASGI esprime grave sconcerto per le modalità di conduzione e di conclusione della vicenda relativa al cosiddetto codice di condotta per le ONG che effettuano i salvataggi in mare.
L’Associazione  evidenzia innanzitutto come diverse “disposizioni”, contenute nel cosiddetto codice di condotta, pongano serie problematiche giuridiche relativamente al rispetto del diritto internazionale del mare, apparendo in contrasto sia con l’obbligo di garantire lo sbarco in un porto sicuro alle persone salvate, sia più in generale con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale in materia di asilo, come sottolineato nell’ analisi più generale già resa nota nei giorni scorsi dall’associazione.

L’ASGI richiama con forza l’attenzione del mondo politico e dei mezzi di informazione sui seguenti aspetti, rimasti largamente sottaciuti nel dibattito pubblico:

1) Parte rilevante delle proposte contenute nel cosiddetto codice di condotta appaiono del tutto superfluepoiché si limitano a ribadire positive prassi operative già attuate da tempo da parte delle ONG che operano nel soccorso, dalla Guardia Costiera e dalle altre istituzioni pubbliche coinvolte.

Se si fosse voluto ulteriormente rinforzare dette prassi operative, allo scopo di migliorarle, sarebbe stato necessario attivare un effettivo confronto con le associazioni umanitarie. Confronto che invece è mancato. Anzi, le stesse ONG, che pure meritoriamente suppliscono in larga parte alle carenze del sistema pubblico dei soccorsi, sono state oggetto di un’incredibile campagna di discredito.

2) Il cosiddetto codice di condotta è stato presentato ai mezzi di informazione come una sorta di atto normativo, seppure alquanto atipico, tramite il quale il Governo intende disciplinare l’attività del soccorso in mare, in corso da anni sotto il coordinamento delle autorità legittimamente preposte, che però oggi viene presentata come se fosse avvenuta finora in modo del tutto disordinato e improprio.

Il punto nodale della questione risulta invece che il cosiddetto codice di condotta non è un atto avente valore di legge, né una disposizione regolamentare, emanata in attuazione di una norma primaria.Per di più si rivolge ad una pluralità di soggetti non gerarchicamente collegati con la pubblica amministrazione. Si tratta in sostanza, di una proposta di accordo, che, come tale, necessita quel coinvolgimento paritario delle parti che invece è clamorosamente mancato.

La mancata sottoscrizione, perciò, non può avere alcuna conseguenza giuridica: non sarà legittima alcuna reazione del governo nei confronti delle ONG non firmatarie se non nei casi e nei limiti già sanciti dalle norme nazionali e internazionali  .

3) Al di là della adesione o meno al cosiddetto codice di condotta, le organizzazioni operanti nel soccorso in mare dei migranti sono obbligate al primario ed esclusivo rispetto delle norme internazionali, di quelle didiritto interno e agli eventuali atti regolamentari di attuazione delle normative stesse.

Occorre evidenziare che in buona parte le motivazioni addotte dalle ONG per rifiutare la sottoscrizione della proposta di codice risultano ampiamente ragionevoli e condivisibili; in particolare il rifiuto della richiesta di non effettuare trasbordi da una nave all’altra (anche quando ciò è necessario per salvare vite umane durante la concreta operazione di soccorso) è del tutto doveroso e pienamente conforme agli obblighi imposti dalle norme sul soccorso. Parimenti la contestata opposizione alla richiesta di consentire sempre e in ogni caso la presenza a bordo del personale di polizia è del tutto comprensibile e giustificabile proprio in quanto l’attività di soccorso umanitario deve potersi svolgere in condizioni di piena autonomia, non essendo per nulla in contrasto con il vincolo della piena collaborazione, attiva ed indiscussa da anni, con le autorità investigative per l’individuazione dei trafficanti.

4) E’ eticamente inaccettabile che il Ministero dell’Interno, abbia oscuramente prospettato gravi conseguenze nei confronti di quelle organizzazioni, tra le quali figura MSF, Premio Nobel per la Pace, che non hanno sottoscritto il cosiddetto codice di condotta.

5) Va ricordato che è illegittimo e può costituire grave violazione di legge anche penale impedire l’accesso ai porti da parte di una imbarcazione che trasporta persone soccorse in mare che hanno bisogno di supporto immediato legato alle esigenze primarie per la sopravvivenza e/o la tutela del diritto all’integrità psico-fisica.

L’ASGI rinnova il proprio profondo apprezzamento per l’operato eccezionale delle ONG e della Guardia Costiera italiana nel condurre le operazioni di salvataggio in mare e invita fermamente il Governo italiano a rivedere in maniera profonda l’attuale linea politica, tanto inconsistente sul piano della legittimità, quantopericolosa nel creare smarrimento nell’opinione pubblica e nel minare l’efficacia delle attività di soccorso.