La crisi del Coronavirus e le conseguenze per le politiche europee

FONTE TRANSFORM-ITALIA.IT

Preambolo

La crisi sanitaria che il mondo sta affrontando alza il velo sui di una crisi strutturale già esistente e che il Partito della Sinistra Europea (PGE) non ha cessato di denunciare. Il Partito della Sinistra Europea si è assunto il compito di proporre un modello alternativo per questa Europa a seguito della diffusione del Covid-19. Per questo, è stata creata una piattaforma e stiamo lavorando molto attivamente per svilupparla, il più rapidamente e nel miglior modo possibile, concentrandoci non solo sulle soluzioni all’attuale crisi, ma anche in una prospettiva a lungo termine, per una trasformazione della economica in senso pubblico, sociale ed ecologico. È importante ripensare il ruolo delle istituzioni europee e globali, garantire investimenti nella direzione di un nuovo patto verde e sociale, proteggere i lavoratori e promuovere un futuro centrato sui bisogni umani e non solo sul profitto.

La situazione causata dalla pandemia di COVID-19 sta sconvolgendo tutta l’umanità. Quasi tutti i paesi hanno adottato misure drastiche per evitare la contrazione della malattia e contenere la pandemia. Tutti gli sforzi possibili devono, in effetti, essere fatti per proteggere la popolazione. Tali misure richiedono un coordinamento. Ma manca ancora un efficace coordinamento europeo da parte delle sue istituzioni, così come una risposta globale. In questo modo, i paesi più colpiti vengono lasciati a se stessi. Il rischio è quindi che il Patto di stabilità limiti la solidarietà tra i paesi di fronte alla crisi economica, portando a una dicotomia tra paesi privilegiati e paesi già colpiti dall’austerità in passato.

La diffusione del virus COVID-19 ha anche conseguenze significative per l’economia: accelera la globalizzazione neoliberista come modello egemonico della società e, quindi, il processo di ristrutturazione del capitalismo. La pandemia di coronavirus è una chiara prova del fallimento del modello economico e sociale neoliberale dominante. A causa della politica di austerità neoliberista perseguita attraverso la privatizzazione dei servizi pubblici, i sistemi sanitari non sono in grado di soddisfare le esigenze della popolazione durante una pandemia.

Il Partito della Sinistra Europea chiede misure immediate per combattere le conseguenze della crisi e un cambiamento radicale della politica, aprendo una nuova strada per lo sviluppo della società, ponendo al centro le persone.

E’ necessario agire globalmente su cinque assi: tutto deve essere fatto per proteggere la popolazione. È urgente una trasformazione dell’economia in direzione pubblica, ambientale e sociale. Le istituzioni e i diritti democratici non devono essere messi a repentaglio dalle misure adottate per combattere la crisi: al contrario, in questi tempi difficili, la democrazia e i diritti civili devono essere difesi ed estesi. Non esiste altra risposta che la solidarietà internazionale di fronte alla dimensione globale della crisi: ora è il momento di una nuova iniziativa sul disarmo e di una politica di distensione.

Protezione della popolazione

Tutti gli sforzi possibili devono essere fatti per il miglior funzionamento dei sistemi sanitari. Abbiamo bisogno di risorse aggiuntive per i sistemi di sanità pubblica, nonché di una convergenza di standard in tutti i paesi in termini di personale, strutture e attrezzature negli ospedali pubblici e nei sistemi di prevenzione, nonché ‘un aumento della capacità produttiva degli strumenti di protezione della salute. È inoltre indispensabile disporre di servizi pubblici europei su tutto il continente che siano efficienti e coordinati con il resto del mondo. Chiediamo la creazione immediata di un fondo sanitario europeo finanziato tramite la BCE con titoli centenari non negoziabili sui mercati e la possibilità di ottenere più servizi pubblici abolendo il Patto di stabilità e crescita.

Sia socialmente che economicamente, le persone hanno bisogno di protezione. Migliaia di lavoratori e lavoratori sono a rischio di perdere il lavoro e il reddito, e molti li hanno già persi. Il virus colpisce i più deboli nel modo più brutale: le persone più colpite sono quelle che lavorano in condizioni precarie, mal pagate in particolare per il personale delle pulizie e coloro che fanno lavori di cura.

I governi di tutta Europa chiedono il telelavoro, ma questo non si applica a tutti, e in troppi casi è un privilegio. I lavoratori dei servizi essenziali o delle catene di produzione essenziali la cui presenza è richiesta sul posto di lavoro devono essere garantiti e protetti dalla diffusione del virus.

Chiediamo l’adozione di un piano di salvataggio economico per i lavoratori e le loro famiglie, compresi tutti i lavoratori precari, i disoccupati e privi di documenti, i migranti e i rifugiati o simili. In caso di perdita di reddito, è necessaria una compensazione finanziaria. Gli affitti e i mutui dovrebbero essere sospesi per coloro che non possono permetterseli a causa della perdita di reddito. Ci opponiamo a qualsiasi tentativo di peggiorare le condizioni di lavoro, come la sospensione dei contratti collettivi e la riduzione dei diritti dei lavoratori. I sistemi di protezione sociale, salari e pensioni dovrebbero essere adattati al massimo livello che abbiamo in Europa.

Le donne sono principalmente colpite da condizioni di lavoro precarie, in particolare babysitter, cassiere o governanti. La situazione delle donne migranti è particolarmente dura, nei campi o nei paesi in cui sono arrivate. Le donne non dovrebbero pagare il prezzo più alto per questa crisi: abbiamo bisogno di un piano concreto incentrato sulla protezione di tutte le donne (lavoratrici, disoccupate, migranti), specialmente quando sono vittime di violenza (in particolare di violenza domestica).

Ci opponiamo fermamente alla pressione esercitata dal mondo economico e industriale sui decisori affinché mettano fine alle misure di contenimento e riaprano le produzioni non essenziali senza garantire le condizioni di base della sicurezza dei lavoratori al fine di evitare l’aumento del contagio.

Abbiamo bisogno di un’azione urgente non solo per le grandi aziende, ma in particolare per le piccole e medie imprese e i lavoratori autonomi. Il sostegno finanziario per le imprese dovrebbe mirare a mantenere posti di lavoro, rispettando salari, orari e oneri Al fine di far fronte ai problemi di ridefinizione della produzione, va incoraggiata la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Recupero economico e trasformazione ecologica e sociale

Come misura immediata, abbiamo bisogno di maggiori investimenti nei servizi pubblici. Fin dall’inizio, dobbiamo porre fine alle politiche di austerità abbandonando l’intero Patto di stabilità e crescita. L’Europa deve abbandonare questo strumento, che è stato utilizzato per imporre l’austerità alla spesa pubblica, minando in tal modo l’assistenza sanitaria e altri servizi pubblici a danno delle persone che, di conseguenza, oggi soffrono nella crisi del coronavirus.

La Banca centrale europea (BCE) dovrebbe essere lo strumento per garantire oggi le enormi risorse necessarie per affrontare l’immensa emergenza sociale, economica e medica.

I soldi della BCE dovrebbero essere utilizzati per aiutare le persone a uscire dall’emergenza sanitaria e per combattere le conseguenze della crisi, non per mantenere il tasso di rendimento del capitale. La BCE deve assumersi la sua responsabilità per lo sviluppo economico e adottare tutte le misure necessarie per evitare speculazioni finanziarie. Questo è un prerequisito per garantire il coordinamento delle azioni nazionali e l’istituzione di un solido sistema di solidarietà per affrontare la crisi del coronavirus. La BCE e le banche nazionali dovrebbero essere utilizzate per aumentare la spesa per i servizi sociali e proteggere la popolazione. Inoltre la BCE deve finanziare un piano di investimenti europeo in grado di favorire l’occupazione e garantire un’evoluzione del modello ambientale e sociale della produzione e dell’economia. Abbiamo bisogno di un programma per ricostruire le capacità produttive, incluso la ricollocazione di industrie strategiche. Chiediamo un fondo di stimolo europeo, finanziato da obbligazioni emesse dal fondo stesso o dalla Banca europea per gli investimenti e acquisite dalla BCE. Allo stesso tempo, il meccanismo europeo di stabilità (MES), che rappresenta un modo inutile e dannoso di intervenire nei bilanci pubblici dei diversi paesi europei, dovrebbe essere abolito.

La Corte costituzionale tedesca ha messo in discussione le competenze della BCE e della Corte di giustizia dell’Unione europea e ignora i requisiti economici di cui abbiamo bisogno per lo sviluppo europeo. La sua decisione rappresenta per noi solo l’altra medaglia dell’austerità e del progetto neoliberista. La sua funzione è di scoraggiare ed evitare azioni di solidarietà e di minare la strada verso qualsiasi progetto di Europa sociale.

Proponiamo una moratoria generale sui debiti pubblici. I debiti detenuti dalla BCE dovrebbero essere cancellati. Inoltre, stiamo proponendo una conferenza europea sulla cancellazione della parte illegittima dei debiti pubblici e una discussione aperta sui criteri per la classificazione del debito.

Questa crisi COVID-19 mostra che il mercato non soddisfa affatto le esigenze dei cittadini. Non è nemmeno in grado di fornire il minimo necessario per la vita. Vogliamo rilanciare il ruolo pubblico, perso durante il periodo di privatizzazione, in tutti i settori: sistema creditizio, produzioni strategiche, sistema di ricerca e servizi. Abbiamo bisogno di un modello economico incentrato sul benessere pubblico e l’immenso accumulo di capitali da parte di pochi deve essere fermato. Per il maggior numero, non solo per pochi! (“Per molti, non solo per pochi!).

Il finanziamento dell’aumento della spesa sociale e gli investimenti nella riconversione del settore richiedono una politica di giustizia fiscale: chiediamo un nuovo modello di riscossione delle imposte che tassi le grandi fonti di capitale e ricchezza, sulla base criteri di progressività fiscale e che pone fine ai paradisi fiscali all’interno e all’esterno dell’UE. È necessaria una tassa su GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) e NATU (Netflix, Airbnb, Tesla, Uber).

La crisi fornisce ragioni sufficienti per mettere in discussione il nostro modello socioeconomico e cambiare radicalmente la politica. È necessario un profondo cambiamento, perché affrontiamo enormi sfide ecologiche come il cambiamento climatico, che ha gravi conseguenze sociali. Per la sinistra, il legame tra requisiti ecologici e bisogni sociali è cruciale. Abbiamo bisogno di una transizione nel settore verde. Tuttavia, abbiamo anche l’obbligo di proteggere i lavoratori e i dipendenti interessati da questo processo.

Il concetto di “giusta transizione” promosso dalla Confederazione internazionale dei sindacati ( CIS) intreccia transizione ecologica e protezione sociale. È necessaria una nuova politica industriale che includa concetti innovativi in ​​materia di energia e mobilità. Abbiamo bisogno di un piano di riconversione ambientale e sociale per l’economia che garantisca una piena e buona occupazione e protegga i diritti di tutti, a cominciare dalla parità di genere. Dal punto di vista di sinistra, una nuova politica industriale deve includere la partecipazione diretta dei lavoratori e, pertanto, andare di pari passo con la democrazia economica.

Democrazia

Il Partito della Sinistra Europea ritiene che la crisi COVID-19 possa minacciare le democrazie e il rischio che un’azione irresponsabile porti all’emergere dell’estrema destra e alla sua retorica della totale non solidarietà. Contro i tentativi di sfruttare la situazione di emergenza per limitare o sospendere i nostri diritti, Il Partito della Sinistra europea difende la democrazia e le sue istituzioni. Ad esempio, i parlamenti dovrebbero rimanere in carica e non essere sospesi, come nel caso dell’Ungheria. Sappiamo che sono necessarie misure molto severe per contenere la pandemia. Ma dobbiamo essere vigili e garantire che le restrizioni alla libertà ritenute necessarie per fermare la progressione della pandemia rimangano misure eccezionali.

Il PSE respinge anche fortemente ogni tentativo di abuso della pandemia di coronavirus per demagogia xenofoba o nazionalista.

Disarmo e pace

L’impegno incondizionato per la pace e il disarmo è uno degli elementi essenziali della politica di sinistra. Senza pace, non c’è futuro per l’umanità.

L’emergenza del coronavirus deve essere vista come un’opportunità per riportare il disarmo e la pace al centro della elaborazione politica. Le spese militari devono essere notevolmente ridotte a favore dell’assistenza sanitaria e della soddisfazione dei bisogni sociali. È tempo di prendere l’iniziativa per una nuova politica di distensione.

La manovra di guerra “Defender” fu interrotta dall’epidemia di coronavirus, ma non fu completamente cancellata. Pertanto, dobbiamo continuare e intensificare la nostra resistenza contro questi pericolosi esercizi militari. La NATO non è un’organizzazione che difende gli interessi degli europei. Con le sue attività aggressive, è un’organizzazione pericolosa. La NATO deve essere sciolta a favore di un nuovo sistema di sicurezza collettiva, che comprende anche la Russia.

Solidarietà europea e internazionale

Abbiamo bisogno di un’uscita sociale dalla crisi che vada oltre l’attuale modello di integrazione europea. Il nostro obiettivo è un’uscita sociale dalla crisi. Per fare ciò, ogni proposta deve includere diversi componenti:

– La nuova integrazione internazionale dell’Europa dovrà diversificare le sue relazioni internazionali con relazioni commerciali eque basate sul reciproco vantaggio e non sulla concorrenza a scopo di lucro.

– Sosteniamo la promozione di un processo di cooperazione paneuropea tra cui la Russia.

– Lo sviluppo di un modello di Stati socialmente avanzati caratterizzato da solidarietà e cooperazione “orizzontali”, con un programma di ricostruzione produttiva e sostenibile volto a raggiungere la sovranità alimentare attraverso un maggiore sostegno e innovazione per ‘Agricoltura.

– Sostegno all’OMS, in particolare finanziariamente, per svolgere un ruolo più efficace in tali crisi.

– La difesa delle Nazioni Unite minacciata dall’amministrazione degli Stati Uniti nell’interesse del multilateralismo.

– Non è solo un compito per l’Europa ma per il mondo intero. I paesi del sud hanno bisogno di un sostegno finanziario per proteggere le loro popolazioni e migliorare i loro sistemi sanitari.

Dobbiamo garantire che i rifugiati e i migranti siano trattati in conformità con il diritto internazionale ed europeo, che i loro diritti umani e civili siano pienamente rispettati e che la loro vita non sia minacciata dalla detenzione illegale , respingimenti, espulsioni nascoste al pubblico, o per mancanza di assistenza sanitaria, alloggio inadeguato, condizioni di vita inaccettabili, reazioni razziste e xenofobe, sfruttamenti, discorsi o atti di odio di violenza. Dobbiamo concentrarci sulla loro buona istruzione, sulle opportunità di lavoro dignitose e paritarie, sul loro sviluppo personale e sulla loro integrazione sociale.

– Avviare una risposta umanitaria alla situazione di milioni di esseri umani in tutto il mondo che devono lasciare le loro case per sfuggire alla povertà, alla fame, alle malattie e alla guerra e che ora vedranno peggiorare la loro situazione.

– Il mondo deve rimanere unito e la chiave per superare la crisi è la solidarietà internazionale. Vi è una particolare necessità di rafforzare la solidarietà con i popoli del Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina, che sono maggiormente a rischio di essere gravemente colpiti dalla pandemia di COVID-19.

– Sottolineiamo un nuovo accento da porsi sui principi culturali e fondato su valori che consentano il pieno sviluppo dell’essere umano in una società egualitaria ed ecologicamente protetta.

In questa prospettiva, il Partito della Sinistra europea invita tutte le organizzazioni delle forze progressiste, ecologiche e di sinistra, e in particolare quelle che partecipano al Forum europeo, a lavorare insieme per sviluppare una risposta progressiva comune all’attuale crisi nell’interesse delle persone.

Bruno Giorgini: S’avanza la meglio gioventù

 

FONTE INCHIESTAONLINE

 

Guardo in diretta il comizio di Salvini con gli altri nazionalisti, nazional fascisti, sovranisti fino a quelli nazisti tout court, d’Europa, in Piazza Duomo a Milano. Da un palazzo si distende in tutta la sua altezza uno striscione: restiamo umani, e la figura di Zorro che svetta. Quindi la camera inquadra il fronte della contestazione.

Uomini delle forze di polizia schierati con caschi, manganelli e tutto l’ambaradan di rito contro le sommosse. Davanti molte persone, quasi tutte giovani e giovanissime che alzano cartelli casalinghi, a occhio le ragazze la fanno da padrone. Sono a contatto fisico con i marziani corazzati, ma non traspare alcuna paura e arroganza o atteggiamento di sfida, neppure di provocazione o beffardo. No stanno lì e sembrano inamovibili, per convinzione direi gioiosa di essere nel giusto: che Salvini non lo vogliono. Semplice semplice, e il Truce deve masticare amaro.

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ABUSI IN LIBIA: LA COMPLICITA’ DEI SOVRANISTI

 

FONTE R/PROJECT.IT

di Fulvio Vassallo Paleologo

Non bastano i report e le testimonianze sugli abusi subiti dai migranti intercettai in acque internazionali dalla Guardia costiera libica e riportati nei lager dai quali erano fuggiti. Sempre più tragica, in particolare, la situazione dei somali e degli eritrei internati nei centri di detenzione contollati dalle milizie, senza alcuna distinzione possibile tra centri governativi e centri “informali”. Ovunque spadroneggiano i mercanti di esseri umani, che nessuna indagine penale sembra fermare.

Non interessano i documenti di Amnesty International che confermano la gravi violazioni dei diritti umani in Egitto ed in altri paesi dell’Africa del nord. Non bastano neppure le conferme della corruzione delle polizie dei paesi di origine o di transito con i quali gli stati europei, e la stessa Unione Europea, non esitano a concludere accordi bilaterali per contrastare quella che definiscono soltanto come “immigrazione illegale”. Interessi economici e calcoli elettorali schiacciano i diritti umani e li rimettono alla discrezionalità della politica. In nome degli interessi nazionali si strappano le Convenzioni internazionali, ed i rapporti tra gli stati diventano un campo nel quale si esercitano ricatti basati sulla forza militare ed economica. Tutto quello che si vorrebbe nascondere dietro la campagna del fango intentata contro le ONG e chiunque si ostini ad operare soccorsi umanitari, in mare, ed anche in terra.

Il vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh ha confermato la politica europea di esternalizzazione delle attività di controllo delle frontiere, senza che ci sia stato alcun riguardo per le ragioni delle popolazioni e dei migranti oppressi dai regimi e dai governi che sono finanziati dagli stati europei all’esclusivo fine di impedire le partenze dei migranti verso l’Europa. La cooperazione internazionale tanto evocata nei documenti internazionali rimane priva di risorse adeguate e di qualsiasi controllo sulla effettiva destinazione dei finanziamenti quando questi arrivano nei paesi terzi. La questione ambientale costituisce soltanto un paravento per nascondere la sostanza degli accordi, centrati sulla divisione delle risorse energetiche tra i paesi più forti, e sulla ghettizzazione delle popolazioni più deboli, condannate ad un destino di fame e di morte.

Il vertice ha segnato il fallimento definitivo del Processo di Khartoum, avviato dal governo italiano nel 2014, con l’avallo del Consiglio Europeo del 12 maggio 2015, e quindi del Piano di azione Juncker. Forse qualcuno si è accorto che il dittatore sudanese Bashir, sotto accusa da parte della Corte Penale internazionale, non era proprio un partner affidabile, al punto che a Sharm Al Scheikh gli è stata interdetta la partecipazione. Chi scrive del Sudan viene minacciato, ma anche questo sembra trascurabile, nell’indifferenza generale. In Italia ancora si ritiene necessario ed opportuno collaborare con la polizia sudanese, quella stessa polizia che ancora in questi giorni sta massacrando l’opposizione che manifesta in piazza a Khartoum.

Ma il nuovo multilateralismo, rilanciato sotto l’egida del dittatore egiziano Al Sisi, non garantisce i diritti dei popoli ma i privilegi dei grandi gruppi economici. Che anche i dittatori possono assicurare. E infatti la questione centrale degli incontri si è centrata sullo sfruttamento delle grandi risorse energetiche del Mediterraneo orientale, con una attenzione estesa anche alla spartizione della Libia, dove le forze del generale Haftar, sostenute dagli egiziani, dai russi, e sottobanco dai francesi, avanzano ogni giorno sottraendo territorio ( e pozzi petroliferi) al traballante governo Serraj a Tripoli, sponsorizzato dall’Italia e da alcuni paesi europei soltanto per spartirsi risorse economiche e ottenere un maggiore contrasto dell’immigrazione.

La Conferenza internazionale sulla Libia, svoltasi a Palermo lo scorso anno, rimane soltanto una vetrina usata a scopi elettorali, ma è ormai superata dall’involuzione bellica tra la Tripolitania e la Cirenaica, sostenuta dal generale Haftar e dai suoi alleati al Cairo, a Parigi, a Mosca. Il premier Conte, ed i suoi due vice-presidenti del Consiglio, tanto abili nella propaganda elettorale, dovrebbero farsene una ragione, e magari parlare agli italiani senza raccontare altre menzogne. Il risveglio dal sonno dell’indifferenza potrebbe essere assai brusco. Non sembra proprio che ci siano le premesse per una rilancio del ruolo dell’Italia nella soluzione della crisi libica.

Si avvicina la guerra, una guerra commerciale in Europa, tante guerre nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ed ancora più a sud, fino all’Africa sub-sahariana, come in Niger, dove si vuole esternalizzare la frontiera europea. Forse sarà proprio la guerra, l’unica vera tragedia che costringerà il “popolo sovrano” ad interrogarsi sulla reale portata delle politiche di odio ed esclusione contro gli stranieri e contro chi presta loro assistenza. Il capovolgimento del principio di realtà sul quale si sta fondando l’attuale politica dei governi di destra in carica in Europa non potrà che produrre conflitti alle frontiere ed una disfatta economica dell’intero continente con una forte riduzione dei diritti fondamentali che verranno negati non solo agli stranieri ma agli stessi cittadini.

L’Unione Africana ha da tempo respinto i piani europei che prevedevano rimpatri collettivi e piattaforme di sbarco nei paesi nordafricani, ma in Europa si ritiene ancora che sia possibile riportare in Africa i migranti bloccati in acque internazionali nel Mediterraneo. Non sembra che la presenza dell’UNHCR in Libia riesca a garantire davvero i diritti dei migranti trattenuti nei centri di detenzione da quando sono diminuite le possibilità di fuga verso il Mediterraneo. In realtà le rotte migratorie più recenti sono interne al continente africano, e non portano necessariamente all’emigrazione verso l’Europa. Dunque i plitici nostrani non possono continuare a lucrare vantaggi elettorali su una emergenza che non esiste.

Le conclusioni del vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh sono state seguite da una aberrante mozione fatta passare da Fratelli d’Italia in un parlamento, ancora intontito dall’esito delle elezioni in Sardegna, che programma un blocco navale davanti alle coste libiche e chiude definitivamente all’adesione dell’Italia al cd. Migration Compact.

Un progetto vecchio, quello del blocco davanti alle coste libiche, di chi dall’estrema destra sa solo diffondere odio per conquistare una fetta di consenso elettorale. Senza però chiarire con quali navi e con quali uomini, mentre la missione Eunavfor-Med (definita anche come Operazione Sophia) si avvia ad un epilogo fallimentare, dopo la chiusura altrettanto ingloriosa della missione NAURAS della Marina italiana. Vedremo chi andrà davvero a fare il blocco navale davanti le coste libiche. Di certo l’Unione Europea non appoggerà mai con propri mezzi una proposta simile.

I cittadini italiani potranno anche illudersi di essere più sicuri perchè un paio di ministri hanno “chiuso” i porti alle navi di soccorso delle ONG ed hanno costretto al ripiegamento i mezzi della Guardia Costiera. Ma dietro queste scelte disumane si aggrava l’isolamento internazionale del nostro paese, acuita dalla concorrenza con la Francia in Libia, e non solo, una situazione che ci esporrà ancora di più alla prossima crisi economica internazionale, sempre più probabile dopo le elezioni europee di maggio. Nessun paese europeo può pensare di uscire da solo dalla crisi economica, soprattutto se è indebitato come l’Italia, così come nessun paese europeo può pensare che adottando misure di blocco navale, unilateralmente, possa risolvere la crisi dei rifugiati e raggiungere una maggiore efficacia nella lotta contro l’immigrazione irregolare. Solo aprendo canali legali di ingresso, attraverso il rilascio di visti umanitari, e rilanciando una grande missione di soccorso in acque internazionali, si potranno battere le organizzazioni criminali che lucrano proprio sullo sbarramento delle frontiere.

Soltanto chi saprà costruire e realizzare progetti basati sulla solidarietà internazionale e sulla soluzione pacifica dei conflitti, avrà un futuro. Quelli che scelgono di rinchiudersi dentro le frontiere nazionali, e quindi dentro le mura di casa, potranno soltanto armare le polizie ed armarsi per la propria difesa personale, ma non saranno certo più sicuri. La vera sicurezza la troveranno soltanto coloro che si organizzeranno per affrontare la crisi senza scaricarla sui più deboli, ma attaccando i veri responsabili a livello nazionale ed internazionale, riattivando processi di partecipazione democratica, e realizzando scelte di vita e di lavoro che creino opportunità di incontro e di solidarietà.

Salvini : ” Riportare i migranti in Libia significa salvarli…” – Falso !

 

 

 

Come si può sopportare una propaganda falsa e disonesta come quella del ministro Salvini che continua ad affermare :

” Riportare i migranti in Libia significa salvarli….”

Il sito ufficiale della Farnesina viaggiaresicuri.it così descrive la sicurezza della Libia. Stralciamo la pagina del sito della Farnesina dedicato alla Libia, aggiornata al 12 febbraio 2019 :

‘….. Sicurezza
• Indicazioni generali, ordine pubblico, criminalità
A partire dall’11 gennaio 2017 l’Ambasciata d’Italia a Tripoli ha ripreso le proprie attività.
Si ribadisce l’invito ai connazionali a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza. Scontri tra gruppi armati interessano varie aree del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha). 
Valido al 23.02.2019, pubblicato il 12.02.2019 del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha).
Permane inoltre, anche nella capitale, la minaccia terroristica e elevato rischio rapimenti. Si registrano elevati tassi di criminalità anche nelle principali città e strade del Paese, tra cui il tratto stradale costiero dalla Tunisia all’Egitto.

Si ribadisce l’invito ai connazionali a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza. Scontri tra gruppi armati interessano varie aree del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha).

Permane inoltre, Valido al 23.02.2019, pubblicato il 12.02.2019
del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha). Permane inoltre, anche nella capitale, la minaccia terroristica e elevato rischio rapimenti. Si registrano elevati tassi di criminalità anche nelle principali città e strade del Paese, tra cui il tratto stradale costiero dalla Tunisia all’Egitto.
• Rischio terrorismo
Cellule jihadiste sono presenti in varie parti del Paese, inclusa la capitale. Attacchi terroristici rivolti a libici e stranieri, anche con ricorso ad autobombe, hanno avuto luogo a Tripoli (da ultimo contro la Commissione Elettorale il 2 maggio e contro la National Oil Corporation il 10 settembre 2018). Si sottolinea che standard adeguati di sicurezza non sono garantiti nemmeno nei grandi hotel della capitale, che sono anzi considerati ad
alto rischio. Si richiama inoltre l’elevato rischio di sequestri di cittadini stranieri, a scopo di estorsione o di matrice terrorista, in tutto il Paese. FONTE VIAGGIARESICURI.IT

Lo Stato smentisce lo Stato. O la Libia è un paese sicuro e il Ministero degli Esteri divulga notizie allarmistiche e false e per tale motivo dovrebbe cancellare questa pagina sulla Libia o, invece , è falsa la propaganda del ministro degli interni che continua ad affermare che la Libia è un paese “sicuro” per i migranti che vengono “salvati” dalle motovedette e portati nei lager gestiti da fazioni di criminali.

 

Loris Campetti: Landini segretario della Cgil in attesa del 9 febbraio

 

 

Maurizio Landini ha preso in mano la ultracentenaria Cgil con la forza di un tornado, ma la sua non è una forza distruttrice. Si potrebbe parlare di sindacato del cambiamento se non fosse che chi usa questo sostantivo in politica è un gattopardo che vuole cambiare tutto per non cambiare niente, come fa il governo gialloverde o giallonero che dir si voglia con le politiche economiche, liberiste erano e liberiste restano. Landini vuole bene alle persone che rappresenta, ha con loro una connessione sentimentale per dirla con Antonio Gramsci.

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Soccorsi nel Mediterraneo, l’appello di Unhcr e l’ennesimo schiaffo di Salvini

FONTE ARTICOLO21

 

Nonostante il freddo intenso dell’inverno, il rischio per le condizioni del mare e I continui naufragi dall’inizio dell’anno 4.507 persone hanno già attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Di chi non è sopravvissuto si sa poco o nulla, tranne che, come nel caso del gommone con a bordo 200 persone, sprofondato al largo della Libia, non ci sia la testimonianza di chi è scampato alla morte.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che segue con crescente apprensione la situazione dei flussi migratori provenienti dalle coste libiche, lancia un appello dopo gli ultimi eventi dei giorni scorsi e i numerosi ‘incidenti’ legati a operazioni di soccorso, come quello del mercantile che ha ricondotto in Libia persone soccorse in mare e l’incapacità, o meglio la mancanza di volontà, delle Guardia Costiera libica di garanti interventi nell’area di ricerca e di soccorso (SAR) di propria competenza.

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Centinaia di dimostranti a sostegno di Open Arms

FONTE PRESSENZA

20.01.2019 – Eva Marín, Barcellona – Redacción Barcelona

Quest’articolo è disponibile anche in: SpagnoloFranceseCatalano

Centinaia di dimostranti a sostegno di Open Arms

Circa 500 persone, secondo la polizia (2.000 secondo gli organizzatori) hanno aderito alla manifestazione convocata ieri pomeriggio da parte dei volontari di Open Arms come forma di protesta riguardo il blocco da parte della Capitaneria Marittima (Ministero dello Sviluppo) circa la navigazione di Open Arms nel Mediterraneo centrale. Open Arms è un’organizzazione non governativa e senza scopo di lucro la cui missione principale è il salvataggio in mare di coloro che tentano di giungere in Europa sfuggendo a conflitti bellici, persecuzione o povertà. Di fronte all’ingresso della Delegación del Gobierno Español in calle Mallorca, luogo in cui, alle 16, ha avuto inizio la manifestazione, Òscar Camps, fondatore di Open Arms, ha dichiarato che“tali decisioni costano vite umane”.

Ogni giorno che passa nel Mediterraneo si perdono vite umane

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L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione lancia questo appello

 

Pubblichiamo per favorirne la massima diffusione questo appello dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) che condividiamo . Editor 


L’APPELLO

” Lanciamo un appello di impegno civile a difesa della legalità a fronte di una politica senza più legge”

 

Il nuovo anno si apre con 32 persone che, ancora una volta, attendono da molti giorni (tredici, alla data di oggi) di poter sbarcare in un porto sicuro. Al caso della Sea Watch 3 si aggiunge quello della Sea Eye, con 17 persone raccolte lo scorso 29 dicembre.

Da giuristi non possiamo quindi che denunciare, ancora una volta, l’illegittimità di quanto sta, nuovamente, accadendo nel Mediterraneo: il diritto di sbarco in un porto sicuro viene posto in discussione in ogni singolo episodio di salvataggio, senza considerazione alcuna per le norme.
Sono solo gli ultimi casi di uno stillicidio ormai costante in spregio del diritto e fuori da ogni inesistente “invasione”, ammontando gli sbarchi nel 2018 a poco più di 20.000.

Come associazione ribadiamo che:

– il diritto internazionale del mare (Convenzione Sar sulla ricerca e il soccorso in mare ratificata dall’Italia nel 1989; Convenzione Solas sulla salvaguardia della vita umana in mare ratificata dall’Italia nel 1980 e la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, ratificata nel 1994, tra le altre) prevede chegli Stati e, quindi, anche le autorità italiane, abbiano l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a che tutte le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro;

– il rifiuto di consentire lo sbarco, in particolare a persone vulnerabili (donne e bambini, anche piccolissimi) sfuggite a torture e violenze, che oggi si trovano in permanenza prolungata su una nave in condizioni di sovraffollamento e di promiscuità e con bisogno di accesso a cure mediche e a generi di prima necessità viola inoltre le norme a tutela dei diritti umani fondamentali e sulla protezione dei rifugiati, in particolare l’art.2 (diritto alla vita) e l’art.3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea per i diritti dell’Uomo, oltre che il principio di non refoulement e il diritto di accedere alla procedura di asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario e dall’art.10 c.3 della Costituzione italiana.

Ci riserviamo di supportare e promuovere ogni azione giudiziaria nelle sedi competenti per ingiungere il rispetto del diritto e sanzionare le violazioni in essere e l’indebita strumentalizzazione della situazione di persone vulnerabili al fine di porre in discussione le regole di ripartizione dei richiedenti asilo nell’Unione Europea al di fuori delle sedi proprie.

Pertanto come associazione invitiamo tutti i soggetti istituzionali, al di là della loro competenza, a far sentire la loro voce anche con atti di impegno civile a favore di coloro che sono ostaggio di una politica senza più legge.

 


Per adesioni all’appello, che proponiamo alla sottoscrizione di enti, associazioni e persone interessate, contattare info@asgi.it


 

 

Salvini vuole più clandestini

 

FONTE RAIAWADUNIA.COM

“Chi vedeva l’immigrazione come una mangiatoia oggi è a dieta. Molti finti volontari non parteciperanno più a bandi se invece di 35 euro ne porti a casa 19 non ci mangi più. E non ci mangia più né mafia né ‘ndrangheta. Ma rimarranno volontari veri e sono convinto che molte cooperative si daranno alla macchia”.

Un messaggio che quello del titolare del Viminale che di fatto cambia radicalmente l’approccio alla gestione dell’accoglienza da parte del governo. Dopo l’annuncio del ministro, è stato il prefetto Gerarda Pantalone che guida il Dipartimento Libertà civili e immigrazione a spiegare le nuove regole. Il prefetto ha spiegato che queste nuove norme “garantiscono i servizi primari e la dignità della persona secondo le regole europee e tagliano gli sprechi che anche la Corte dei Conti ha stigmatizzato, a cominciare dall’erogazione dei servizi non essenziali ai richiedenti asilo”. L’obiettivo del provvedimento è molto chiaro: non sprecare risorse che arrivano dai contribuenti per integrare immigrati che quasi certamente non resteranno sul nostro territorio. In pochi infatti ottengono lo status di rifugiato. “A tutti verrà garantito vitto, alloggio, kit igienico-sanitario, il pocket money e una scheda telefonica di 5 euro, quanto basta per telefonare a casa e dire alla mamma : sono arrivato”, sottolineano dal Viminale. Infine Salvini ha volunto mandare un messaggio anche ai sindaci affermando che non verranno prese decisioni sulla chiusura dei centri accoglienza senza il loro consenso. Nessuna parola, ancora una volta, su quanti soldi degli italiani vengano dati ai libici per tenere profughi e immigrati nei loro lager luogo di ogni stupro, tortura e assassinio.
Ma in sostanza ora cosa accadrà? Dove saranno tagliati i 35 euro al giorno per l’accoglienza dei richiedenti asilo?
Eliminando i servizi per l’integrazione e l’inclusione sul territorio dei migranti. Per loro solo vitto, alloggio e assistenza sanitaria. Niente scuola di italiano, niente iniziative di vita sociale, niente attività di volontariato, niente avviamento o formazione al lavoro.
Così il ministro dell’Interno, Matteo Salvini intende cambiare l’attuale sistema di accoglienza, garantendo i servizi di integrazione e inclusione solo a chi ha già ottenuto il riconoscimento di rifugiato, cioè una limitatissima minoranza.
Vediamo in primo luogo le cifre proposte per le prossime gare. Per quanto riguarda i Cas ad accoglienza diffusa fino a un massimo di 50 posti la cifra sarà di 21,35 euro, compreso un kit di ingresso per singolo migrante, una scheda telefonica e il pocket money. Per i Cas ad accoglienza collettiva (unico fabbricato) si sale a 26,35 euro fino a 50 posti, e 25,25 fino a 300 posti. Per i centri più grandi, cioè oltre i 300 posti, c’è una divisione della gara in tre lotti, ma poi si fanno comunque delle cifre totali e si torna a scendere, e anche molto: si passa, infatti, dai 20,84 euro per una prima fascia 300-600 euro, fino ai 19,33 euro per la fascia dei megacentri con 1.800-2.400 posti (sono gli enormi Cara come Mineo, Bari o Castelnuovo di Porto). Stranamente sono, invece, molto più alte le cifre per Cpr e Hotspot. Infatti per i primi, i Centri per i rimpatri, si va dai 32,15 euro per quelli fino a 150 posti ai 24,65 di quelli tra 151 e 300 posti. Per i secondi, i cosiddetti Punti di crisi, dove i migranti appena sbarcati dovrebbero restare pochissimi giorni, le cifre sono le più alte, e vanno dai 41,83 euro fino a 50 posti, ai 29,63 euro tra 301 e 600 posti.

Ma cosa viene garantito con queste cifre? Per i centri ad accoglienza diffusa, nei quali i migranti dovranno occuparsi da soli della cucina e delle pulizie, viene prevista la fornitura del cibo, di beni monouso, di utensili per la cottura, di attrezzature e prodotti per la pulizia; c’è poi l’affitto della struttura, il pagamento del personale, il servizio di trasporto, lenzuola e coperte, prodotti per l’igiene personale. Per i centri ad accoglienza collettiva, cambia la tipologia perché è previsto il servizio di preparazione dei pasti, quello di lavanderia, e quello di pulizia. Stesse condizioni per Cpr e Hotspot. Non compare nulla, invece, per quanto riguarda i servizi di integrazione, un tempo previsti anche per i richiedenti asilo ospiti nei Cas e nei Cara. Niente scuola di italiano e altre attività di inclusione sociale. Così i migranti passeranno le giornate a non fare nulla, ed essendo liberi di uscire dai centri (non si tratta di carceri) gireranno per città e paesi che li ospitano, col rischio di finire in mano al lavoro nero, allo sfruttamento o peggio, creando anche occasioni di tensioni con la popolazione locale.

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L’apartheid istituzionale si va rafforzando in Italia. Sulla bozza di decreto Salvini e sulle crescenti revoche dell’accoglienza – di Gennaro Avallone

FONTE EFFIMERA.ORG

L’apartheid istituzionale si va rafforzando in Italia.

Il Sole 24 Ore ha pubblicato il 23 agosto i contenuti della bozza di decreto legge che il Ministero dell’Interno sta elaborando per quanto riguarda il diritto di asilo e i diritti delle persone richiedenti protezione internazionale in Italia[1].

I contenuti più rilevanti riguardano l’aumento del numero di mesi di detenzione nei centri di espulsione (da 3 a 6 mesi); l’allargamento della lista dei reati che abilitano al rifiuto o alla revoca dell’asilo; la drastica riduzione delle possibilità di ricorso nel caso di diniego della domanda di protezione; la riduzione delle possibilità di ottenere la protezione umanitaria; la limitazione dell’accoglienza negli Sprar solo ai beneficiari di protezione internazionale o sussidiaria; l’esclusione dalla possibilità di iscrizione all’anagrafe (cioè di ottenimento della residenza) per le persone richiedenti asilo, per le quali si prevede un documento di riconoscimento particolare; la proroga di un anno per scrivere un testo unico sull’asilo.

Con e oltre Minniti

Particolarmente serio è il cambiamento che verrebbe prodotto da tre misure: quella che nega la residenza, quella che riduce le possibilità di riconoscimento della protezione umanitaria, quella che limita le possibilità di ricorso alle decisioni avverse alle domande di asilo.

La prima, quella che nega la residenza, un diritto ad avere diritti come ricorda un recente report con toolkit della campagna LasciateCIEntrare[2], significherebbe per le persone richiedenti asilo, ad esempio, l’esclusione dalla possibilità di avere il medico di base e di usufruire, di fatto, del servizio sanitario nazionale.

La seconda, relativa al riconoscimento della protezione internazionale, mette in pericolo la divisione dei poteri tra esecutivo e giudiziario, in quanto interviene nell’autonomia del lavoro delle Commissioni territoriali che vagliano le domande di asilo o, in caso di ricorso, dei tribunali.

La terza, quella che limiterebbe le possibilità di ricorso, determinerebbe un trattamento speciale e penalizzante verso una specifica parte della popolazione (quella richiedente asilo) in virtù del suo status giuridico.

Se i contenuti della bozza saranno confermati saremo oltre il decreto Minniti-Orlando, che ha già ridotto i diritti delle persone richiedenti asilo, e si approfondirà in maniera ulteriore una condizione di apartheid e di razzismo istituzionale a danno di questa parte della popolazione. La separazione tra nazionali e non nazionali si aggraverebbe, dunque, in modo ulteriore e, con essa, la condizione di vulnerabilità e marginalità civile e sociale della popolazione immigrata.

Il circolo della repressione

Questo scenario è in realtà già anticipato da quanto sta accadendo con l’accelerazione e la moltiplicazione delle revoche di accoglienza e con l’ulteriore spinta del Ministero nei prossimi bandi verso centri di accoglienza di grandi dimensioni[3]. In particolare, diversi attivisti ed attiviste registrano già da alcuni mesi l’aumento dei controlli prefettizi punitivi contro i migranti (per esempio, sull’orario di presenza) che provocano revoche di accoglienza[4].

La tendenza è quella di approfondire l’attacco alle persone migranti e non alla malaccoglienza, dunque, indebolendo sempre più le condizioni di vita di parte della popolazione richiedente asilo, ma anche titolare di protezione. Si produce così un’umanità indebolita nei diritti e nelle condizioni di vita, da utilizzare poi, nel circuito della repressione in caso di commissione di reati (o, apparentemente in modo paradossale, anche se sottoposta a condizioni gravi di sfruttamento) a fini di propaganda, dicendo che i migranti sono un pericolo sociale in quanto criminali o lavoratori a buon mercato che abbassano i livelli salariali e di sicurezza degli italiani, per cui ci vogliono politiche sempre più di controllo e di contrasto: alimentando una logica che si muove così all’infinito.

Il Ministero dell’Interno, con questa strategia, produce il problema, peggiorando gravemente la vita di centinaia di migliaia di persone, per poi proporsi come risolutore. Ovviamente, il trucco è chiaro, ma non basta la critica della ricerca sociale o del ragionamento a metterlo in discussione.

La produzione di popolazione debole e con status giuridici differenziati e poveri serve ad una parte dell’economia nazionale per mantenere i profitti alti in settori a basso valore aggiunto (alcuni comparti dell’edilizia, dell’agricoltura, dei servizi alla persona, della prostituzione e del turismo, soprattutto) e serve ad un’altra parte, quella politica, per alimentare la propaganda e accrescere il consenso di una società nazionale sempre più razzista anche perché poco interessata (ancora, per ora) ad organizzarsi per lottare collettivamente per i propri diritti e bisogni e, quindi, incline a seguire chi le propone di essere forte con i deboli in quanto non riesce (non è interessata) ad esserlo con i forti.

È questo corto circuito che va messo in discussione e per questo sono necessari la proposta e la mobilitazione politica, concentrate sui bisogni reali della popolazione al di là delle appartenenze nazionali, in una logica meticcia, che rompe il quadro razzista che le istituzioni governative vanno rafforzando di giorno in giorno e che il decreto del Ministro dell’Interno aggraverebbe, se promulgato, in modo ulteriore.

 

[1]          http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-08-22/stretta-migranti—ecco-nuove-regole-bozza-decreto-salvini-220721.shtml?uuid=AEIo5odF

[2]          http://www.lasciatecientrare.it/j25/italia/news-italia/357-diritti-on-line-il-toolkit-lasciatecientrare-per-l-iscrizione-anagrafica-di-stranieri-richiedenti-asilo-e-beneficiari-di-protezione-internazionale-una-guida-pratica-contro-discriminazioni-e-burocrazia

[3]          https://www.asgi.it/notizie/revoca-accoglienza-napoli/;https://altreconomia.it/accoglienza-bandi-prefetture/.

[4]           https://www.facebook.com/events/242142176503442/?notif_t=plan_user_invited&notif_id=1535196311399675

Bruno Giorgini: Scomunichiamo Salvini

FONTE INCHIESTAONLINE

L’anatema di Famiglia Cristiana è senza appello: Vade retro Salvini. Nel nome del Vangelo. E un religioso del peso di Matteo Maria Zuppi, cappellano del Papa nonchè arcivescovo di Bologna, scrive sull’Avvenire “Amate dunque il forestiero, perchè anche voi foste forestieri nella terra d’Egitto (..)Da una parte silenzi sulle cause lontane e vicine (delle migrazioni, ndr) e dall’altra parole di fatto violente nelle espressioni di sostanziale disprezzo. L’Italia ha un patrimonio di umanesimo che non deve mai essere messo in discussione”.

Dunque la Chiesa scende in campo per “accogliere, promuovere, proteggere e integrare”, individuando in Salvini l’artefice e il propagatore di pratiche – come la chiusura dei porti esplicitamente citata – che violano la pietas cristiana nonchè i diritti umani, per di più usando termini di “una volgarità inaudita”, quando dice per esempio che “la pacchia è finita”. I vescovi avvertono il Ministro dell’Interno che “Non si può brandire il Vangelo o il rosario per giustificare i nostri atti politici”. Non risparmiando i numeri della strage. Se Salvini twitta “Meno persone partono, meno morti ci saranno. Io lavoro per questo”, Famiglia Cristiana scrive: “dall’inizio dell’anno allo scorso 18 Luglio l’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha contato 1490 decessi su un totale di 51782 persone giunte in Europa via mare. Quasi un punto percentuale in più dei morti rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.” Mentre le critiche dell’Avvenire, giornale dei vescovi, contro Salvini non si contano, spesso smascherando le sue menzogne.

Per esempio quando in visita alla baraccopoli ghetto di San Ferdinando commenta: “questo è il risultato di anni di immigrazione incontrollata, alla Renzi, alla Mare Nostrum che hanno portato a questa giungla” e uno s’immagina folle di immigrati senza permesso di soggiorno, “i clandestini” parola tesa a indicare secondo la legge Bossi Fini una delinquenza. Ma non si tratta di “clandestini” e/o irregolari, bensì di lavoratori immigrati col permesso di soggiorno tenuti in condizioni di sfruttamento estremo e di vita indegna dal sistema dei caporali e dei padroni, tutti bravi italiani, ci mancherebbe. Di fronte a queste persone il nostro senza pudore alcuno ha aggiunto: “siccome ci sono 5 milioni di italiani in povertà, vengono prima loro per casa e lavoro”. Peccato che i negher una casa neppure sappiano cosa sia abitando in baracche alla bell’e meglio tenute in piedi, e che il loro lavoro sia pagato una miseria, ben al di sotto dei salari minimi per i braccianti italici. Salvo invece che muoiano per incidenti stradali ammassati nei furgoni fracassati dai TIR, quattro più dodici in un paio di giorni. Per sopramercato Salvini sta operando per depotenziare la legge contro il caporalato, approvata sull’onda dell’emozione per la morte dovuta a eccesso di fatica della bracciante pugliese Paola Clemente, perchè pare metta troppi lacci e lacciuoli a padroni e padroncini.

Insomma Salvini, seppure ostenta il rosario, par sulla soglia di una scomunica. Non ancora definita per editto papale, ma già assai avanzata nella società ecclesiale.

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Chiudere i porti è illegittimo. Lettera aperta di associazioni e ONG alle autorità e istituzioni italiane e internazionali

02.08.2018 – Roma ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Chiudere i porti è illegittimo. Lettera aperta di associazioni e ONG alle autorità e istituzioni italiane e internazionali
(Foto di www.medicisenzafrontiere.it)

In una lettera inviata il 1° agosto 2018 al Presidente della Repubblica, al Governo e al Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto, le organizzazioni A Buon Diritto, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Casa dei Diritti Sociali, CNCA, Emergency, FCEI, INTERSOS, Médecins du Monde Missione Italia, Medici Senza Frontiere e Oxfam hanno denunciato le gravi violazioni delle norme internazionali, europee e nazionali di cui le autorità italiane si sono rese responsabili nei recenti casi in cui hanno impedito o ritardato lo sbarco di persone soccorse nell’ambito di operazioni di salvataggio coordinate dall’Italia.

Le organizzazioni evidenziano come:

  1. non è noto se in tali casi siano stati adottati o meno provvedimenti formali, facendo sorgere seri dubbi sulla legittimità di misure eventualmente adottate in attuazione di mere dichiarazioni effettuate dai Ministri attraverso i media;
  2. sono state violate le norme del diritto internazionale del mare che stabiliscono l’obbligo per le autorità italiane di adottare tutte le misure necessarie affinché le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro (Convenzione SAR, par. 3.1.9);
  3. la permanenza prolungata sulla nave, in condizioni di sovraffollamento, in particolare ove riguardi minori, donne incinte e persone bisognose di cure mediche o traumatizzate, può essere considerata un trattamento inumano e degradante, vietato dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed è senz’altro contraria al principio del superiore interesse del minore sancito dall’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza;
  4. il divieto di accesso ai porti italiani, con la conseguente impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone interessate, comporta la violazione del divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDUdel principio di non refoulement e del diritto di accedere alla procedura d’asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario, dalla Costituzione e dalla legge italiana;
  5. il divieto di attracco delle navi delle Ong nei porti italiani per motivi di ordine pubblico, risulta di assai dubbia legittimità, salvo che vi fossero specifiche situazioni di cui l’opinione pubblica non sia informata;
  6. il rifiuto di autorizzare lo sbarco dalla nave attraccata in porto, privando della libertà personale i naufraghi in assenza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, comporta una grave interferenza nell’operato della magistratura in violazione dei principi di autonomia e indipendenza fissati dalla Costituzione.

Nella lettera, le organizzazioni sottolineano inoltre come l’eventuale respingimento in Libia delle persone soccorse costituirebbe una gravissima violazione della normativa internazionale, europea e interna, con riferimento sia all’obbligo di condurre le persone soccorse in un “luogo sicuro”, sia alle norme in materia di diritti umani e protezione dei richiedenti asilo.

La Libia non può ritenersi in alcun modo “luogo sicuro”, come affermato anche dalla Commissione europea e dalla stessa magistratura italiana, posto che i migranti, inclusi i minori, sono oggetto di detenzione arbitraria nelle carceri, in condizioni disumane e sottoposti a torture, stupri e  violenze sistematiche, né possono avere accesso all’asilo. L’Italia è già stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione del divieto di respingimenti collettivi e di trattamenti inumani e degradanti con riferimento ai respingimenti verso la Libia.

Le autorità italiane sarebbero responsabili di tali violazioni anche nel caso in cui effettuassero il respingimento indirettamente, ordinando a una nave di consegnare le persone soccorse alla Guardia Costiera libica o rifiutando di assumere il coordinamento di un’operazione SAR.

La lettera si conclude con la richiesta alle istituzioni che:

  1. in nessun caso venga effettuato (direttamente o indirettamente) un respingimento verso la Libia delle persone soccorse;
  2. nell’ambito delle future operazioni SAR coordinate dall’Italia, il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto indichi tempestivamente il porto sicuro di sbarco alle navi che trasportano le persone soccorse;
  3. cessino immediatamente le azioni che ostacolano l’operato delle Ong e di tutti i soggetti impegnati nelle operazioni di salvataggio in mare e che hanno determinato l’aumento del numero di persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo (più di 1.400 nel 2018);
  4. siano resi pubblici i provvedimenti adottati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dal Ministero dell’Interno e da ogni altra autorità coinvolta in merito al divieto di attracco e di sbarco nei confronti delle navi impegnate nei soccorsi;
  5. il Governo italiano promuova un’equa distribuzione dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati europei non impedendo lo sbarco dei naufraghi ma sostenendo un meccanismo di distribuzione permanente e obbligatorio quale quello previsto dalla riforma del Regolamento Dublino approvata dal Parlamento europeo.

 

Per contatti – Ufficio stampa ASGI – 3894988460

La violenza dell’ignoranza: il migrante tra mitologia e propaganda

Forse dovremmo chiederci cosa sta accadendo, all’Italia e non solo. La così detta crisi migratoria credo sia “solo” lo spaccato in cui più chiaramente, con più vigore e maggior trasparenza, si manifesta una dinamica di gran lunga più complessa. Una dinamica estesa di tipo sociale, culturale e antropologico, che finirà per produrre uno spartiacque forse epocale, per effetto di conseguenze di un’importanza e un impatto tale da divenire “storiche”.

L’Italia degli ultimi 20 anni ha vissuto cambiamenti quasi incredibili, ma che al contempo definirei palpabili, dirompenti e innegabili. La lenta elaborazione che nel secondo dopoguerra si fece degli orrori del conflitto, testimoniata dalle convenzioni internazionali e dalla carta dei diritti, che fu l’epilogo ma anche il rinnovato slancio di una riflessione profonda sui più alti valori dell’umano, sembrava avesse prodotto una società ormai definitivamente liberà dalle barbarie, mai più disposta a sottovalutare, normalizzare e propagandare le amenità razziste e nazi-fasciste. Negli anni ’60 e ’70, un ulteriore passo avanti sul piano della rivendicazione dei diritti è stato compiuto dalle lotte che hanno segnato a livello mondiale una stagione di opposizione alle costrizioni, all’ingiustizia sociale, e alle discriminazioni. L’Italia degli anni ’80 pare dunque esser stata ricca, emancipata e libera, infarcita di un’educazione tollerante e pacifista, o forse solo un po’ meno bigotta e moralista. Di fatto, alcuni concetti essenziali in ordine alla società e alla convivenza hanno avuto durante gli anni del mio diventar membro della società civile un’aurea di assolutezza, la sostanza paradigmatica di un a-priori, un’apparente ma convincente sembianza di eternità. Poi qualcosa è cambiato, il boom economico è cessato, la qualità dell’istruzione è implosa e il diritto al lavoro ha vacillato. L’incertezza è diventata il risvolto psicologico diffuso della flessibilità, la precarietà economica ha inaugurato la stagione dei suicidi, dell’esodo degli investimenti stranieri e dei progetti futuri dei connazionali. Responsabili non ce ne sono, la crisi non ha avuto mandanti ne esecutori pare. È successa. La guerra quotidiana per la sopravvivenza non ha nemici né amici, la si combatte soli una rinuncia dopo l’altra, fin quando agli sgoccioli delle rinunce possibili, è apparsa all’orizzonte l’occasione del riscatto.

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Migranti, Open Arms: “Nave dissequestrata, ma buona notizia a metà”

Fonte Pressenza.com

Migranti, Open Arms: “Nave dissequestrata, ma buona notizia a metà”
(Foto di DIRE)

Il dissequestro della Open Arms è una buona notizia, ma è una piccola battaglia vinta all’interno di una situazione che resta difficile: l’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e associazione a delinquere contro i nostri due operatori continua. Ma la decisione di oggi dimostra che stiamo andando verso la verità“. A parlare alla DIRE è Riccardo Gatti, portavoce della ong spagnola Proactiva Open Arms.

Poche ore fa il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo, ha deciso di far cadere il provvedimento di sequestro della nave, ferma al porto di Pozzallo dal 18 marzo. Il fermo della nave cadrà entro la giornata. Ma proseguono le indagini a carico di Marc Reig Creus, il comandante della nave di ricerca e soccorso, e del capo missione Ana Isabel Montes Mier, che ad ogni modo “si imbarcheranno oggi stesso“.

 

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“La Open Arms deve ripartire al più presto- prosegue Gatti – ma adesso la porteremo ‘in secca’, per valutare i danni subiti mentre è rimasta ferma al porto. Qualche giorno fa c’è stato mare grosso. Oggi stesso partirà invece la Astral, e intanto continuiamo a cercare una nave che possa sostituire la Open Arms: non sappiamo quanto ci vorrà per metterla a posto, forse qualche settimana, forse più di un mese”.

Sebbene le donazioni alla ong si siano ridotte del “40 per cento da luglio scorso, più o meno da quando sono iniziate le accuse di traffici illeciti contro le navi che salvano migranti nel Mediterraneo”, Gatti dichiara di aver assistito a una dinamica positiva: dopo il sequestro della loro imbarcazione, “abbiamo ricevuto un enorme supporto non solo dai singoli cittadini e associazioni, ma anche dalle istituzioni e dalle piccole amministrazioni. E’ questo che ci sta aiutando ad andare avanti”.

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L’indagine contro la Proactiva Open Arms è stata avviata dal gip di Catania Carmelo Zuccaro, dopo che è sopraggiunto un problema di competenza a intervenire tra l’imbarcazione e la Marina militare libica, nell’ambito di un triplice intervento di salvataggio che ha coinvolto oltre 200 migranti nel Mediterraneo.

Secondo il giudice di Catania, la nave avrebbe trasportato i migranti in Italia violando le norme sulla competenza. Il salvataggio secondo le autorità italiane in un primo momento sarebbe dovuto spettare alla Marina militare libica, ma l’ong ha contestato il fatto che l’incidente non sia avvenuto nelle acque territoriali di quel Paese. Gli operatori inoltre denunciano di essere stati “minacciati di morte dalle autorità libiche“, se non avessero consegnato i profughi appena tratti in salvo.

Cosa che si sono rifiutati di fare, temendo per l’incolumità dei profughi. Inchieste giornalistiche e testimonianze raccolte da operatori sostengono che in Libia i migranti subiscano gravi violazioni dei diritti umani, ed è sulla base di tali accuse che  la Proactiva ha preferito portare i migranti nel territorio italiano.

 

Ventimiglia: pensieri su testimonianza e sovraesposizione – di Marta Menghi, Amelia Chiara Trombetta e Antonio Curotto

 FONTE EFFIMERA.ORG

Ti offro questi dati perché niente muoia, né i morti di ieri, né i resuscitati di oggi. Voglio brutale la mia voce, non la voglio bella, non pura, non voglio si diverta, perché parlo infine dell’uomo e del suo rifiuto, del suo marcio quotidiano, della sua spaventosa rinuncia. Voglio che tu racconti. Fanon, Lettera a un francese

 

Dall’inizio del 2016, siamo stati a Ventimiglia regolarmente e tutte le volte abbiamo voluto scrivere e condividere ciò che abbiamo visto e vissuto.

Ci muoveva la convinzione dell’importanza di descrivere gli eventi di cui eravamo testimoni.

Un forte movimento politico e umano tentava di rovesciare la visione dominante e di condividere spazi politici con chi viaggiava, nonostante la repressione delle istituzioni.

Da allora abbiamo osservato e cercato di delineare ciò che accadeva sul nostro territorio: gli effetti della privazione della libertà di movimento, basata sulla provenienza geografica e sul colore della pelle, costringevano un grande numero di persone a vivere in uno spazio artefatto, in condizioni di difficoltà estrema.

Negare l’esistenza di esseri umani, arbitrariamente, in un determinato tempo e luogo, costituisce il presupposto per politiche con cui le istituzioni non solo rifiutano qualsiasi supporto, ma addirittura appaiono tendere all’annientamento della vita stessa.

Riteniamo che, per non cadere nella complessa macchinazione fondata sulla disumanizzazione dei (s)oggetti delle politiche e di noi spettatori, il primo passo sia la conoscenza di ciò che concretamente e quotidianamente accade intorno alla recentemente rinforzata frontiera – delle donne, degli uomini, delle bambine e dei bambini che tentano di attraversarla e che forzosamente si trovano a vivere nelle sue vicinanze.

Come medici, siamo da sempre politicamente impegnati nella direzione dell’accesso alla salute per tutte e tutti.

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La Francia agisca nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone e delle norme internazionali, europee e nazionali

 Fonte ASGI

Il parere giuridico dell’ASGI sulla vicenda di Bardonecchia: ecco le norme vigenti.

In seguito alla richiesta di spiegazioni da parte del Governo italiano, le autorità francesi hanno affermato che i controlli effettuati dagli agenti della Dogana francese nei locali della stazione di Bardonecchia in cui operano i medici di Rainbow4Africa e i mediatori culturali del Comune si sarebbero svolti nel rispetto della normativa vigente.

Le norme europee e gli accordi tra Italia e Francia, intervenuti nel corso degli anni per disciplinare la cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana così come le operazioni congiunte di polizia, prevedono che gli agenti francesi possano operare sul territorio italiano, nelle zone di frontiera, ma stabiliscono determinate procedure e specifici limiti e condizioni, che nella vicenda svoltasi venerdì sera sono state palesemente violate.

Il parere giuridico dell’ASGI

Cosa abbiamo da perdere?

Fonte LavoroeSalute

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 Cosa abbiamo da perdere?

Hanno salvato 218 vite esposte a due alternative: la morte in mare su gommoni alla deriva o finire catturati dalla sedicente Guardia costiera libica, finanziata dall’UE, per essere riportati nelle mani di aguzzini usi a chiedere un riscatto, a torturare, a stuprare a rinchiudere in centri di detenzione.

In un mondo normale sarebbero stati chiamati “eroi”, oggi invece come ormai noto perché anche la stampa mainstream ha sussultato, sono accusati di “associazione a delinquere” e la loro imbarcazione è stata sequestrata con un atto di vera e propria pirateria giuridica.

In una affollata conferenza stampa ieri pomeriggio Oscar Camps, fondatore dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, che dal 2016 con 3 imbarcazioni ha tratto in salvo circa 25 mila persone, Riccardo Gatti, (Coordinatore in Italia dell’Ong), l’ormai ex senatore Luigi Manconi e l’avvocato Alessandro Gamberini, hanno raccontato di una vicenda assurda che potrebbe divenire normalità fino a quando verranno tollerati i comportamenti di governi e procure simili.

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I membri di Open Arms “rischiano pene tra i 4 e i 7 anni di prigione”

Fonte Meltingpot.org

La Colau offre il ’supporto giuridico’ di Barcellona e ’tutto quanto possa essere utile per aiutare

- Link all’articolo originale (ESP) su ElPlural.com del 19 marzo 2018

Traduzione a cura di: Anna Latino, Angela Ciavolella

Il fondatore e direttore dell’ONG Pro Activa Open Arms, Oscar Camps, ha affermato oggi che i tre membri dell’equipaggio accusati in Italia per aver soccorso i migranti “rischiano tra i 4 e i 7 anni di prigione”, pertanto ha sottolineato che ora la priorità è quella di “lottare affinché non vengano incarcerati”.

La procura di Catania ha disposto questa domenica il sequestro dell’imbarcazione spagnola “Open Arms” e l’apertura di un’indagine per il possibile reato di “favoreggiamento dell’immigrazione illegale” ai danni dell’Italia.

I capi d’imputazione contro l’equipaggio attraccato in Italia sono un pretesto; l‘obiettivo è quello di “bloccare l’intervento delle organizzazioni umanitarie” nel Mediterraneo, ha affermato Camps.

In conferenza stampa ha spiegato che per la prima volta l’organizzazione ha dovuto chiedere aiuto al governo spagnolo per poter attraccare in un porto.

Più concretamente, il fondatore dell’ONG ha spiegato che l’organizzazione si è messa in contatto con il console spagnolo in Sicilia, ed è stato il governo a negoziare con l’esecutivo italiano affinché l’imbarcazione potesse attraccare nel porto di Pozzallo.

Camps ha spiegato che “la ragione addotta è la questione meno rilevante”, e che “avrebbero potuto accusarli di insubordinazione o di qualsiasi altra cosa”, con l’unico obiettivo di bloccare le attività delle organizzazioni nel Mediterraneo.

La ragione addotta è la cosa meno rilevante e sarà molto difficile per la Procura italiana dimostrare ciò che afferma; sappiamo che tutto questo va molto più in là della decisione di un singolo Procuratore, e che alla fine dietro a tutto questo c’è l’Unione Europea”, ha affermato Camps.

Secondo la ONG, “i tre membri dell’equipaggio sotto indagine rischiano dai 4 ai 7 anni di prigione, e tra le ragioni addotte c’è quella di aver agevolato il traffico di esseri umani”; la priorità è quella di “lottare affinché non siano incarcerati”, ha affermato Camps, che ha sottolineato anche che, “per il momento”, i membri dell’equipaggio resteranno in Italia.

Siamo passati dall’essere vittime di un’aggressione all’essere accusati dalla Procura di Catania, e stiamo aspettando che il giudice confermi i capi d’accusa”, ha sottolineato Camps, il quale ha assicurato che il caso sarà portato “tanto lontano quanto sarà necessario”.

Il direttore dell’Open Arms si è detto convinto che la misura cautelare che mantiene l’imbarcazione dell’ONG sotto sequestro “sarà sicuramente definitiva, visto che la scorsa estate un’altra associazione si è trovata nella medesima situazione e la sua imbarcazione è tuttora bloccata in un porto italiano”.

Il fondatore dell’ONG ha aggiunto che la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha contattato il Ministro degli Affari Esteri, Alfonso Dastis, e che l’organizzazione si è messa in contatto con il console spagnolo in Sicilia, precisando che è stato il governo spagnolo a negoziare con l’esecutivo italiano affinché l’imbarcazione potesse attraccare nel porto italiano di Pozzallo.

Nello specifico, la Colau ha annunciato che Barcellona “farà tutto quanto possa essere utile per aiutare” e che offrirà “supporto giuridico”: “se verrà avviato un processo faremo sapere che la Open Arms non è sola”, ha dichiarato.

Se si tratta di un’imbarcazione che batte bandiera spagnola, il Governo deve fare tutto il possibile affinché le persone siano rilasciate”, ha sottolineato la Sindaca, la quale ha aggiunto che si tratta di “quanto di più grave stia accadendo in Europa in questo momento”.

La Pro Activa Open Arms ha denunciato la “campagna di diffamazione che le organizzazioni che operano nel Mediterraneo stanno subendo dal 2016”: Camps ha sottolineato che da allora “le difficoltà sono andate via via crescendo e i toni si sono alzati”, e che ora addirittura “si è passati direttamente all’attacco militare”.

Ad ogni modo, il fondatore dell’ONG ha assicurato che, nonostante la situazione in cui si trova oggi, l’organizzazione non smetterà di operare nel Mediterraneo; ha inoltre difeso l’equipaggio, perché “ha fatto ciò che bisognava fare”.

Se il sequestro della nave dovesse prolungarsi, Camps non esclude di inviare altre imbarcazioni poiché sostiene che la missione “è quella di salvare le persone che si trovano in pericolo in mare”.

La sindaca di Barcellona ha esortato gli Stati europei “ad adempiere ai propri obblighi legali ed accogliere chi fugge dalla guerra”.

Non ci prendiamo in giro: chi scappa continuerà ad arrivare, indipendentemente da quante barriere o da quanti mari ci siano di mezzo”, ha affermato la Colau.

Migranti, affidarne i soccorsi alla Libia significa respingerli

FONTE FAMIGLIACRISTIANA

 

 

 

Un verbale della riunione dell’ Organizzazione mondiale del mare del 30 ottobre scorso svela la contrarietà di creare un coordinamento libico dei salvataggi nel Mediterraneo. Ma giovedì scorso la nave della Ong spagnola Open Arms è stata affidata proprio alle motovedette di Tripoli come ha spiegato anche la Guardia Costiera italiana. Ora cominciano i respingimenti collettivi per conto terzi?

 

Torna il Caos Mediterraneo, tornano le accuse alle Ong impegnate nel salvataggio dei migranti nelle acque tra la Libia e l’ Italia. E tornano veleni, narrazioni tossiche, post sui social carichi di razzismo. Giovedì 15 marzo, primo pomeriggio. A 73 miglia dalle coste libiche – ovvero in acque internazionali – la nave dell’ organizzazione spagnola Open Arms interviene su un naufragio che coinvolge più di 200 profughi. Il gommone era stato avvistato dai mezzi aerei italiani, che a loro volta avevano passato l’ informazione all’ IMRCC, il centro di coordinamento delle operazioni di Search and Rescue (ricerca e salvataggio, in sigla SAR) gestito dal comando generale della Guardia costiera italiana. La nave della Ong, quando arriva sul punto del naufragio, si trova davanti una motovedetta della Guardia costiera libica: «Allarme! A 73 miglia dalla costa le guardie costiere libiche minacciano la nave con bandiera spagnola di sparare per uccidere se non consegniamo le donne e i bambini che abbiamo salvato», scrive alle 16.14 Oscar Camps, direttore di Open Arms, su Twitter. La tensione sale velocemente. Gli spagnoli decidono di recuperare lo stesso in mare i profughi, ignorando le minacce dei libici. Dopo ore di braccio di ferro la nave di soccorso riparte e chiede a IMRCC di Roma dove poter sbarcare, annunciando di avere anche situazioni mediche difficili a bordo. Per ore non arriverà nessuna risposta.

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Paura e povertà: l’Italia del dopo-voto

ARTICOLO TRATTO DA EDDIBURG

di Mario Pianta

La mappa dell’Italia che ha votato ritrae soprattutto due fenomeni: paura e povertà. Il centro-nord (Lazio compreso) si è affidato a un nuovo Centrodestra a egemonia leghista: nel nord della Lombardia e del Veneto è oltre il 50%, con la Lega che arriva a punte tra il 33 e il 38% nelle sue zone di insediamento tradizionale; nel Piemonte lontano da Torino il Centrodestra è vicino al 50%, con la Lega meno forte; nel resto del Nord è quasi ovunque oltre il 40%; in Emilia, Toscana e Umbria la percentuale è oltre il 35%; nel Lazio che esclude Roma è al 40%.

Il centro-sud (Marche comprese) vede dilagare i Cinque stelle: sfiorano il 50% in Sicilia e nel nord della Campania, sono oltre il 40% in Calabria, Basilicata, Puglia, Molise e Sardegna. Più articolata è solo la fotografia dei collegi uninominali delle grandi città. Il Centrodestra ha vittorie in collegi a Torino, Milano, Venezia, Palermo. I Cinque stelle conquistano alcuni collegi a Torino, Genova, Palermo, Roma e hanno Napoli. Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma lasciano qualche circoscrizione al Pd.

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Le calvaire des réfugiés coincés dans les Balkans

fonte Equaltime

Le calvaire des réfugiés coincés dans les Balkans

NEWS

(Julia Druelle)

Une des choses les plus précieuses que Feitas Moussa possède est son incisive. Ce jeune Libyen de 29 ans la garde dans sa poche, soigneusement enveloppée dans un mouchoir. « Ils m’ont jeté par terre et m’ont roué de coups de pied », raconte Feitas à Equal Times en montrant une photo de son visage ensanglanté, prise juste après l’agression.

Eux, c’est la police des frontières croate. Les coups sont arrivés quand les policiers ont surpris un groupe de réfugiés – parmi lesquels se trouvait Feitas – lors du passage illégal de la frontière serbo-croate. « C’était violent », se rappelle Ahmad Arabaout d’Algérie, qui était avec Feitas cette nuit-là. Il s’en est sorti avec une coupure sur la joue droite.

Alors que les réfugiés avaient déjà pénétré sur le territoire croate, la police les a renvoyés en Serbie. Feitas et Ahmad se sont ensuite retrouvés à Šid, une petite ville endormie de 16.000 habitants dans la campagne serbe.

Si parmi les quelque 150 personnes qui se trouvent aujourd’hui à Šid il y en a qui sont là depuis des mois, voire un an, ce n’est pas parce que la volonté de partir leur manque. Même si la route des Balkans est officiellement fermée depuis la mise en place de l’accord entre l’Union européenne et la Turquie, en mars 2016, nombreux sont ceux qui, comme Feitas et Ahmad, essaient toujours de rejoindre l’Europe.

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La Difesa della Razza

di Alessandra Daniele

“La percezione del problema immigrazione è dieci volte superiore ai dati reali”.
Alessandra Ghisleri, sondaggista
“Chi controlla la percezione della realtà, controlla la realtà”. Philip K. Dick

Si stava parlando un po’ troppo di tasse, argomento sul quale gli italiani sembrano giustamente non credere più a nessuna delle iperboliche promesse dei cazzari.
La strage razzista tentata dal suprematista marchigiano ha riportato la campagna elettorale sul terreno più congeniale alle tre destre in corsa: la caccia al capro espiatorio, i migranti.
Il PD ha rivendicato i successi della Dottrina Minniti, cioè dell’efficienza dei campi di concentramento libici, mentre lo stesso Minniti minacciava di vietare le manifestazioni antifasciste.
In tema di disprezzo dei diritti umani Erdogan non ha molto da insegnargli.
Berlusconi ha promesso l’espulsione di 600.000 clandestini che in Italia non ci sono, anche a costo di espellere qualcuno sei volte di seguito.
Di Maio ha cercato di scavalcarlo a destra chiamandolo “Traditore della Patria”.
Nessuna delle accuse adoperate l’anno scorso anche dal M5S per cacciare dal Mediterraneo le ONG che salvavano vite umane è stata provata.
Di Maio negava d’aver usato la definizione “Taxi del Mediterraneo”, nonostante ci fossero le prove audio. Adesso probabilmente tornerà a rivendicarla.
Ci tiene a dimostrare che è pronto a rappresentare l’Italia.

Sappiamo benissimo che se Pamela Mastropietro fosse stata vittima d’un italiano, a nessuno sciacallo sarebbe fregato niente di lei.

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D’inverno il mare è gelido

 Autore:  Mario Cataldi

Ancora corpi che annaspano, che affondano, che cadono da gommoni di cartone che si sfaldano e si sgonfiano. Si ricominciano a contare i corpi cominciando da quelli vivi, dalle mani che sbracciano sull’acqua gelida del mare d’inverno. I morti si contano solo se galleggiano ancora.

Il primo naufragio dell’anno. La conta ricomincia come se nulla fosse, quello che è stato fa parte di una dimensione temporale che non c’è più, si spinge il tasto reset a beneficio delle statistiche che servono ad accompagnare gli slogan di questa lunghissima campagna elettorale iniziata da tempo. Il successo si sottolinea nei soli tremila morti, una buona percentuale in meno rispetto allo scorso anno. Il successo prende forma nel 30 percento in meno di arrivi. Con il meno davanti ai numeri si conquista consenso, si determina il grado di popolarità.

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Il regalo di Natale di Gentiloni & Co. – di Salvatore Palidda

FONTE EFFIMERA.ORG

Per questo Natale i signori cattolici ferventi del PD come la stragrande maggioranza del parlamento italiano hanno pensato bene di offrire un regalo multiplo al popolo italiano ovviamente in vista delle prossime elezioni che tutti sperano si giochino su chi è più razzista, militarista, sicuritario-pro-sbirri e in generale neo-liberista nel campo delle politiche economiche e sociali:

1)     Gentiloni ha promesso l’impegno -che sarà votato dal Parlamento- di inviare una nuova missione militare in Niger in nome della guerra ai trafficanti di migranti, cioè in nome del proibizionismo razzista europeo; nel frattempo l’ineffabile Minniti gioca a recitare l’umanitario facendosi fotografare con in braccio un bimbo di neo-rifugiati e promettendo che farà arrivare in aereo un migliaio di profughi;

2)     Lo jus soli non sarà votato né in questa legislatura né molto probabilmente neanche alla prossima vista la concorrenza crescente fra tutti i partiti per mostrare chi è più razzista;

3)     Come promesso già mesi addietro da Gabrielli, da Minniti e da altri, i funzionari e altri operatori delle polizie condannati e/o inquisiti per le violenze al G8 di Genova -e anche dopo in molteplici occasioni- non saranno mai espulsi dai ranghi di tali “integerrime” forze baciate dal diritto all’impunità e quindi dal diritto a commettere reati comprese torture visto che la legge votata dal parlamento permette di coprire queste pratiche (come ha stigmatizzato persino l’ONU).

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Chi sono loro per decidere quando e chi possiamo considerare italiano?

Si parla di un Senato che non ha raggiunto il numero legale nell’aula di Palazzo Madama per discutere la lunga attesa riforma cittadinanza. Ma non è del tutto corretto. La maggioranza c’era fino a poco prima, quando è stata approvata la Manovra 2018. Chi ha lasciato quell’aula la mattina del 23 dicembre, lo ha fatto consapevolmente. Di proposito. Chi ha lasciato quell’aula ha scelto da che parte stare. Ha votato, pur non votando.

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Dicembre a Ventimiglia. Ovvero, il gelo – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte Effimera

Riprendiamo da Parole sul Confine questo report del 3 dicembre scorso.

Partiamo all’ora di pranzo. Non c’è molto tempo questa volta, ma abbiamo appena ricevuto una donazione di farmaci.

Soprattutto vogliamo andare a verificare se, con l’arrivo delle temperature invernali, ci sono persone abbandonate all’addiaccio e quante sono.

Purtroppo, la realtà supera ampiamente le nostre previsioni. Giunti in prossimità della ferrovia in via Tenda, osserviamo dall’alto un gran numero di persone in piccoli gruppi, alcuni vicini ad un fuoco, altri che entrano negli anfratti del ponte. Accanto a noi passa un ragazzo in maglietta e pantaloni corti. Sono le 16.30, il sole sta per tramontare e la temperatura si sta abbassando rapidamente.

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“Per cambiare l’ordine delle cose”: la società civile si mobilita su diritti e immigrazione

 

FONTE  PRESSENZA.COM

Quelle oltre 500 persone arrivate il 3 dicembre a Roma da 130 città italiane per discutere su come cambiare l’ordine delle cose (della narrazione, ma soprattutto delle politiche in tema d’immigrazione), probabilmente non le vedrete spesso in televisione. Sicuramente meno spesso di quanto non si vedano quattro persone che fanno un blocco stradale.

Doveva essere un evento celebrativo e conclusivo dell’insperato successo di un film – “L’ordine delle cose”, appunto, di Andrea Segre – ancora in sala dal 7 settembre e visto da decine di migliaia di persone.

E invece il forum “Per cambiare l’ordine delle cose” (organizzato da Amnesty International Italia, Banca Etica, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Naga Onlus, Jole Film e ZaLab), iniziato con un commosso ricordo di Alessandro Leogrande che avrebbe dovuto esserne uno degli animatori, potrebbe aver segnato l’inizio di una nuova stagione di impegno sui diritti, sull’accoglienza, sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

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Tripoli. Roma ferma in mare la nave Aquarius. Migranti riportati in Libia

fonte AVVENIRE.IT che ringraziamo  

Daniela Fassini e Nello Scavo sabato 25 novembre 2017
Sos Mediterranée: «Ricevute istruzioni dalla centrale operativa. Ci hanno impedito i soccorsi». Il giurista Vassallo: «Gli accordi con la Libia non possono derogare le Convenzioni internazionali»
Roma ferma in mare la nave Aquarius. Migranti riportati in Libia

Il mare come un muro per i migranti, anche quelli intercettati in acque internazionali, anche quelli più vicini alle navi Ong, le poche ormai rimaste in area Ricerca e soccorso (Sar). I profughi vengono “soccorsi” e portati a bordo dalla Guardia costiera libica e dalle navi della marina libica. È successo ieri pomeriggio ma non è la prima volta. Il tweet della organizzazione non governativa Sos Mediterranée, in mare con la nave Aquarius (che ha salvato oltre 300 persone negli ultimi due giorni) fotografa la situazione in quel tratto di mare, ieri, attorno alle 13 circa. «#Aquarius ha ricevuto istruzioni da #MRCC Roma (la centrale operativa della Guardia costiera italiana a Roma, ndr) di rimanere in standby mentre #GCL (Guardia costiera libica, ndr) e Marina libica coordinano intercettazione 3 gommoni in difficoltà in acque internazionali Aereo militare #UE monitora situazione. Rifugiati e migranti in fuga #Libia saranno riportati indietro».

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Ventimiglia libera – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte effimera

Riprendiamo da Parole sul confine questo report sulla giornata dello scorso 11 novembre a Ventimiglia.

 

Partiamo al mattino da Genova per Ventimiglia, portiamo con noi una confezione da 1 kg di anti-scabbia galenico fornitoci gratuitamente da una farmacia di Genova.
Dopo un breve ma caldo incontro con Delia nel suo locale, ci rechiamo in bici presso l’info-point Eufemia, in via Tenda. Vogliamo incontrare i volontari presenti per parlare dei criteri di somministrazione del farmaco. La procedura prevede, oltre alla distribuzione adeguata, il mantenimento della pomata per 12 ore e soprattutto il cambio totale degli indumenti e delle coperte. La scabbia è, non ci stancheremo mai di ripeterlo, assolutamente non grave e facilmente guaribile in condizioni igienico sanitarie normali. Diventa più grave, degenerando in sovra-infezioni batteriche, nelle situazioni di disagio come quella vissuta dai migranti che hanno trovato rifugio sotto al ponte. Per tenere sotto controllo la malattia occorre avere una buona organizzazione ed una presenza costante sul territorio, che i volontari di Eufemia possono fornire.
Mentre ci accordiamo con loro per eventuali consulti a distanza, rumori e voci dall’esterno dell’info-point ci informano che una manifestazione anti migranti sta percorrendo la via su cui si affaccia.

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L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu

Fonte Pressenza.com

21.11.2017 – Redazione Italia

L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu
(Foto di Medici senza Frontiere)

“Cos’è oggi la Libia si sapeva già…”. O, ancora: “Sono cose terribili, ma in fondo già note”. E via di questo tono. E’ con dichiarazioni di questo genere che vari esponenti del Governo e del Parlamento italiano hanno reagito alla dura presa di posizione di Zeid Raad Al Hussein, il commissario Onu per i diritti umani il quale, evidenziando l’orrore dei lager libici, ha contestato la politica migratoria dell’Unione Europea, condannando in particolare l’accordo tra Roma e Tripoli per fermare gli sbarchi. “E’ disumana – ha detto testualmente Zeid Raad – la scelta Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. La conferma di questo inferno è arrivata, in quelle stesse ore,  da un reportage della Cnn che ha documentato la vendita all’asta di alcuni profughi come schiavi, esattamente nei modi che diversi richiedenti asilo sbarcati in Italia hanno raccontato negli ultimi mesi a varie Ong e operatori umanitari. Ma la reazione alle immagini sconvolgenti della Cnn da parte della politica italiana è stata sostanzialmente la stessa: “Già si sapeva…”. Ovvero, nessuna presa di distanza ma, anzi, quasi una auto-assoluzione e un ulteriore supporto alla Libia. Non a caso i principali giornali libici – ad esempio il Libya Herald o il Libyan Express – hanno titolato: “L’Italia difende la Libia contro l’Onu dall’accusa di accordo inumano sui migranti”.

Allora, “si sapeva”. Certo che si sapeva. A parte tutti i dossier e le denunce alla stampa che si susseguono da anni ad opera di Ong come Medici Senza Frontiere, Amnesty, Medici per i Diritti Umani, Human Rights Watch, sono numerosi i rapporti fatti anche da istituzioni internazionali. Qualche esempio, solo negli ultimi 12 mesi.

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Sea Watch, il volontario italiano: “Siamo tutti colpevoli, con i nostri soldi si finanzia la Libia”

fonte video.repubblica.it

Sea Watch, il volontario italiano: “Siamo tutti colpevoli, con i nostri soldi si finanzia la Libia”
Gennaro Giudetti è il volontario italiano che il 6 novembre scorso si trovava sulla nave della Ong tedesca Sea-Watch e che ha assistito, dopo l’incidente con la Guarda costiera libica, al naufragio in cui 5 migranti hanno perso la vita e in cui più di cinquanta persone risultano disperse. Durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati a Roma in compagnia di Giuseppe Civati, leader di Possibile e del giornalista di Vita Daniele Biella, ha raccontato la sua esperienza

Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal Fondo Africa

FONTE  14.11.2017 ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal Fondo Africa
(Foto di Medici senza Frontiere)

Il 14 novembre 2017, per il tramite delle avvocate Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini, l’ASGI ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo del Lazio  il Decreto 4110/47 con il quale il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale ha accordato al Ministero dell’Interno un finanziamento di 2 milioni e mezzo di euro per la rimessa in efficienza di 4 motovedette, la fornitura di mezzi di ricambio e la formazione dell’equipaggio. Tutte attrezzature ed attività da destinare alle autorità libiche.

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Migranti, il Viminale a nervi scoperti: «Ong e Caritas dicono stupidaggini»

fonte ildubbio

Il capo di gabinetto del ministero Mario Morcone nega ogni responsabilità italiana nei respingimenti, poi attacca Amnesty e il Consiglio d’Europa

«Io non seguo le stupidaggini che dice Amnesty international né il responsabile dei diritti umani europeo, ancora devono trovare i manganelli elettrici che avremmo utilizzato negli hotspot e ancora mi devono dare la prova dei respingimenti di migranti in Libia da parte dell’Italia. Stiamo discutendo di un paese che sta cercando di ritrovare una sua stabilità, di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se poi mettiamo in discussione una istituzione riconosciuta dalle Nazioni unite, il discorso è diverso».

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Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore

FONTE  RPROJECT

Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea-Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio di ieri 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri

“Una volta tornato a terra voglio incontrarla, ministro Marco Minniti. Io, italiano fino al midollo, voglio raccontarle quello che ho visto con i miei occhi. Come ho recuperato dal mare il corpo di un bambino di 3-4 anni annegato e poi sono stato ore a consolare la madre, come noi volontari dell’ong Sea-Watch abbiamo preso uno a uno, a braccia, 58 persone dall’acqua. E come la Guardia costiera libica lì di fronte ha agito in modo disumano, lasciando decine di persone in mare ad annegare senza lanciare salvagenti e picchiando chi non voleva essere preso da loro per non tornare in Libia e voleva invece venire sulla nostra nave, dove vedeva al sicuro i fratelli, le mogli, i padri. È stato straziante vivere tutto questo, ma conto di descriverglielo personalmente, caro ministro. E, sempre da italiano, voglio chiedere scusa alla mamma di quel bambino, a tutte le persone che stanno avendo sofferenze indicibili nel tentativo di raggiungere l’Europa”. Gennaro Giudetti, 26 anni, ha la voce ancora spezzata e non riesce a dormire e mangiare quando lo raggiungiamo al telefono: meno di 24 ore fa è stato suo malgrado protagonista, nella giornata di lunedì 6 novembre, di un dramma assurdo in mare in cui 5 persone sono state recuperate senza vita dalla nave Sea-Watch 3 “ma almeno altre 20 erano già annegate e non siamo riuscite a recuperarle perché dovevamo dare priorità a issare sul gommone di salvataggio chi era ancora vivo”. In tutto 105 sono le persone sopravvissute al naufragio, tra i 58 ora a bordo dell’ong (in procinto di sbarcare con il corpo senza vita probabilmente a Pozzallo dato che il ministero ha negato l’approdo a Lampedusa anche se molto più vicina) e le altre 47 prese dalla Guardia costiera libica e riportate indietro, alla fine di una dinamica da discesa nell’inferno che Giudetti racconta a Vita.it senza filtri e che si può capire anche dal video girato da un altro volontario di Sea Watch.

Cosa è successo esattamente in quel punto del mar Mediterraneo?

Eravamo a 30 miglia marine dalla Libia, in piene acque internazionali. L’IMRCC di Roma, la Centrale di comando della guardia costiera, ci ha detto di effettuare un salvataggio di un gommone in difficoltà, aggiungendo che sullo scenario avremmo anche trovato una nave della Marina francese con cui collaborare. Quando siamo arrivati, però, lo scenario è stato traumatico fin da subito: prima di noi e dei francesi era arrivata una nave della Guardia costiera libica, che aveva agganciato il gommone dei migranti, in quel momento bucato e quindi con decine di persone in mare, alcuni con il salvagente molti altri senza nulla. Noi abbiamo lanciato i due gommoni di salvataggio, io ero su uno di questi con altri tre dell’equipaggio, e abbiamo dovuto farci largo tra persone che erano già annegate per riuscire a raggiungere quelli che invece erano ancora in vita, per recuperarli. La situazione era abominevole: abbiamo tirato a bordo i superstiti con le braccia, faceva talmente male dopo un po’ che mi si stavano per bloccare. C’era chi per rimanere in vita si attaccava al mio collo mentre salvavo altri, sono stati momenti tanto tragici quanto rischiosi. A un certo punto ho visto un bambino che galleggiava senza vita davanti a me (è il momento in cui è stata scattata la foto d’apertura, ndr), l’ho preso con le mie mani sperando in un miracolo, ma quando l’abbiamo riportato sulla Sea Watch 3 la rianimazione non è andata a buon fine.

L’Italia è responsabile dell’azione libica nel Mediterraneo

FONTE ASGI

Quanto accaduto il 6 Novembre nel Mediterraneo centrale conferma l’idea già sostenuta dall’Asgi in tante altre occasioni: la guardia costiera libica e le autorità libiche non sono interlocutori affidabili, né tanto meno hanno la possibilità o la volontà di effettuare operazioni di ricerca e salvataggio con le attrezzature fornite dall’Italia. Essi costituiscono, invece, lo strumento cui Italia e Ue hanno appaltato le politiche di respingimento dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa.

E’ importante sottolineare che l’episodio si inserisce all’interno del coordinamento da parte del Comando Generale di Guardia Costiera italiano di una operazione di ricerca e salvataggio, evidentemente gestita senza il rispetto e le precauzioni della Convenzione di Amburgo del 1979.

Inoltre, tutti sanno che i migranti che si imbarcano in condizioni così precarie lo fanno per necessità, cercano di trovare rifugio da violenze e condizioni degradanti che subiscono in Libia e prima ancora nei loro paesi: tale circostanza è stata anche accertata recentemente dalla Corte di Assise di Milano. Ciononostante è proprio in Libia che essi sono respinti per essere nuovamente sottoposti a detenzione ed a torture, nonostante le Autorità italiane abbiano positiva e diretta conoscenza delle torture e delle violazioni dei diritti delle persone ai quali sono sottoposti i migranti nei centri di detenzione in Libia.

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Violazione del diritto alla salute, al confine con la Francia – di Amelia Chiara Trombetta, Antonio G. Curotto, Gianni Giovannelli

FONTE  EFFIMERA

Da due anni alla frontiera con la Francia si concentrano centinaia di persone, bloccate per le ripetute decisioni dei governi degli Stati della UE che di fatto, in quest’ambito, negano il riconoscimento dei diritti e doveri fondanti l’Unione Europea.

Dal punto di vista normativo, per quanto riguarda lo stato italiano, l’art. 32 della Costituzione è certamente di natura precettiva e non soltanto programmatica; dunque le istituzioni della Repubblica sono vincolate da un obbligo di tutela della salute, elevata al rango giuridico di fondamentale diritto dell’individuo. Nel nostro ordinamento vengono espressamente garantite cure gratuite agli indigenti, senza preclusioni o limiti.

La salute delle persone in sosta e transito a Ventimiglia è stata invece gravemente condizionata, oltre che dalla privazione di libertà di movimento (e qualche volta anche personale) o dalla mancanza di autodeterminazione, anche e soprattutto dalle carenze igienico sanitarie nei luoghi di transito o di stazionamento in cui queste donne, questi bambini e questi uomini sono ristretti o costretti.

A partire dal 2015 diversi sono gli insediamenti informali in cui più o meno temporaneamente le persone stazionano prima di tentare di proseguire il proprio viaggio, dove, come medici volontari e solidali, abbiamo tentato, con scarsi mezzi, di visitare e di curare. Sarebbe stato un dovere delle istituzioni, ma noi ed altri solidali abbiamo tentato di supplire alle colpevoli omissioni dell’apparato pubblico, degli organi comunali e regionali, utilizzando spesso l’ascolto e l’attenzione, magari fornendo indicazioni semplici di igiene, come quella di non bere l’acqua del fiume.

Da un campo informale all’altro, durante questi due anni (2015-2017) si è passati attraverso sgomberi successivi. Stravolgendo il significato reale dell’art. 32 della Costituzione le autorità hanno concepito la tutela della salute non soccorrendo i bisognosi di aiuto (gli indigenti senza mezzi), ma rimuovendoli e cancellandoli per evitare il contatto fisico con i residenti. La deportazione risulta essere stata l’unico provvedimento di carattere igienico sanitario; in mancanza di qualsiasi pianificazione rivolta a risolvere il problema permanente e legato a oggettive circostanze storico-politiche queste misure repressive hanno comportato, invece, un’ulteriore precarizzazione delle condizioni di vita dei soggetti presenti nel territorio.

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Neoliberismo, biopolitica e schiavitù. Il capitale umano in tempo di crisi

SILVIA VIDA
Articolo pubblicato nella sezione “Schiavitù contemporanee”
della Rivista COSMOPOLIS che ringraziamo 

1. Lo ha affermato di recente Luciano Canfora (2017, 9): «Per ora, chi sfrutta ha vinto la partita su chi è sfruttato». La diagnosi del presente si aggrava se si pensa che «solo ora il capitalismo è davvero un sistema di dominio mondiale», reso più forte dall’avere di fronte a sé esclusivamente miseri spezzoni di organizzazioni di stampo sindacale o settoriale che gli oppongono una resistenza trascurabile; se è vero, com’è vero, che il capitale oggi è davvero “internazionalista”, avendo dalla sua parte la cultura e ogni possibile risorsa. Gli sfruttati, invece, «sono dispersi e divisi» dalle religioni, dal razzismo istintuale, dalle discriminazioni sociali non sanate ma approfondite dall’operato delle istituzioni, e dal fatto che, per funzionare, il capitale ha ripristinato forme di dipendenza di tipo servile creando sacche di lavoro neo-schiavile che non credevamo più possibili, soprattutto nelle aree del mondo più avanzate (ibidem, 11-12).
Di fronte a tutto questo, già nel 2003 Glenn Firebaugh scriveva a proposito di un’inversione di tendenza: il passaggio da una crescente diseguaglianza tra nazioni (accompagnata a livelli di diseguaglianza stabili o in calo all’interno delle nazioni) a una diminuzione della diseguaglianza tra nazioni, con conseguente aumento della diseguaglianza al loro interno. Ciò si deve al fatto che il capitale, che circola liberamente nello “spazio del flussi” globale (secondo l’efficace definizione di Manuel Castell), perché liberato dalla politica, è ansioso di cercare zone in cui gli standard di vita siano modesti e sia consentito sfruttare il differenziale tra regioni del pianeta dove le paghe sono basse e non esistono istituti di autotutela e tutela statale dei poveri, e altre regioni che mantengono queste tutele. Ma il libero fluttuare del capitale produce un effetto collaterale significativo, ossia la progressiva riduzione di quello stesso differenziale, con il concomitante livellamento degli standard di vita tra paesi diversi. Inoltre, i paesi che hanno immesso capitali nei flussi globali si trovano a loro volta a essere oggetto delle situazioni di incertezza della finanza globale (svincolata da regole).
Tutto ciò si ripercuote sulle condizioni della forza-lavoro urbana che l’autorizzata secessione del capitale dalla politica si è lasciata alle spalle. Quella forza-lavoro oggi non solo è minacciata dalla nuova incertezza globale, ma anche dai costi incredibilmente bassi del lavoro in quei paesi dove il capitale, libero di muoversi, decide di insediarsi temporaneamente. Di conseguenza, il differenziale tra paesi “sviluppati” e “poveri” tende a contrarsi, e nei paesi che non molto tempo fa sembravano aver superato le diseguaglianze sociali più stridenti torna a riemergere più forte che mai l’inarrestabile crescita della distanza tra chi ha e chi non ha.

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Libia, nei campi di detenzione si tortura: lo dice il tribunale Accertate violenze nei centri gestiti da fazioni con cui Minniti ha fatto accordi.

fonte >>> Radio Città Fujiko»Notizie

Libia, nei campi di detenzione si tortura: lo dice il tribunale

Accertate violenze nei centri gestiti da fazioni con cui Minniti ha fatto accordi.

di Alessandro Canella
Categorie: Migranti, Giustizia
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Un’immagine del film “L’ordine delle cose” di Andrea Segre sui centri di detenzione in Libia

Storica sentenza del Tribunale di Assise di Milano, che ha condannato l’autore di sequestro di persona con conseguente morte, violenze sessuali e torture ai danni di migranti somali rinchiusi nei campi di de tenzione libici, prima della tratta verso l’Italia sui barconi. Il pm: “Come lager nazisti”. Minniti ha stipulato accordi con le fazioni che si sono macchiate di quei crimini. Asgi: “Ora il governo italiano cambi le politiche”.

Nei centri di detenzione per migranti in Libia avvengono le stesse cose che avvenivano nei lager nazisti. Il paragone non è stato fatto da una radicale associazione antirazzista, ma dal pubblico ministero, durante la propria requisitoria nel processo a carico di un torturatore libico, che è poi stato condannato dal Tribunale di Assise di Milano.
Una sentenza storica“, secondo l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, che era parte civile nel processo e che ora chiede al governo italiano di cambiare le proprie politiche, in particolare l’accordo con una parte delle autorità libiche stipulato dal ministro dell’Interno Marco Minniti.

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Migranti. Vescovo Tunisi, scappano da Libia riaperta rotta Tunisia

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Fonte DirittiDistorti   che ringraziamo 
Martedì 10 Ottobre 2017 10:41

“Stiamo tornando al tempo di Lampedusa e delle prime carrette del mare: una volta arrivavano in Tunisia per andare in Libia ora ricominciano a partire da qui”. È preoccupato mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi, dopo aver appreso la notizia della nave della marina militare tunisina che ha speronato un barcone con 70 migranti, provocando un naufragio con decine di morti.

“È vero, si sta riaprendo la rotta tunisina verso l’Italia – dice in un’intervista al Sir -. E ultimamente ne arrivano sempre di più. Questo per noi è un campanello d’allarme”.

“Gli accordi con la Libia sono forse una bella cosa per l’ Italia ma non per i migranti che sono lì – precisa l’ arcivescovo -. Sono diminuiti gli sbarchi in Italia ma i migranti in Libia sono aumentati: lì hanno scoperto anche campi profughi clandestini, dove i migranti non vengono trattati come persone umane. È naturale, allora, che il posto più sicuro da cui provare a partire sia la Tunisia. E ultimamente ne arrivano sempre di più”.

“Una volta – prosegue -, arrivavano in Tunisia nel sud Sahara per andare in Libia, poi tramite i trafficanti cercavano di imbarcarsi verso l’Europa. Adesso è il contrario: scappano dalla Libia e vengono in Tunisia perché sanno che con gli accordi attuali è molto difficile andare in Italia. Ma io dubito che questi trafficanti con cui l’Italia ha fatto accordi siano persone molto affidabili”.

Mons. Antoniazzi, che sta monitorando la situazione, spiega che “non c’è un posto fisso per le partenze, può essere nella zona di Sfax o in tanti altri piccoli porti. Stanno lì un po’ di tempo per lavorare poi si mettono d’accordo con i pescatori, che si fanno pagare, e partono. È difficile distinguere tra un pescatore e chi vuol venire in Italia”.

Perché meno gommoni dalla Libia, mentre in mare si muore di più

Safe aboard MSF's Dignity I sea rescue vessel this man prays as the rescue of others from a dingy continues behind him (photo: Anna Surinyach)

FONTE  OPENIMMIGRATION  CHE RINGRAZIAMO

Perché meno gommoni dalla Libia, mentre in mare si muore di più

 

21 settembre 2017FRANCESCA ROMANA GENOVIVA

 
Se è stato il codice di condotta per le Ong la ragione del calo nelle partenze dalla Libia, allora come mai erano già calate a luglio prima che il codice esistesse? E se il merito è dell’accordo economico con il governo Serraj, allora perché le partenze a settembre stanno riprendendo? E dove sta la vittoria se adesso nel Mediterraneo si muore molto di più? Francesca Romana Genoviva analizza i numeri e smonta alcuni luoghi comuni.

A luglio e agosto del 2017, il numero di migranti arrivati in Italia via mare è drasticamente diminuito: rispetto alla scorsa estate (luglio-agosto 2016), il calo è del 65 per cento.

Difficile trovare una spiegazione: normalmente l’estate rappresenta il periodo più “caldo” per via delle condizioni meteo favorevoli. Mentre ci si chiede se una tale diminuzione sarà permanente o se si tratti di una tregua estiva, sui media nazionali e internazionali si rincorrono le ipotesi: colpa delle condizioni del mare, troppo agitato per effettuare partenze; merito del governo italiano, e del suo piano di contrasto all’immigrazione – in questa direzione vanno le parole del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, secondo cui “il codice delle Ong è un pezzo fondamentale” della strategia per ridurre i flussi migratori (l’altro pezzo sarebbe costituito dalcontestatissimo accordo tra l’Italia e Fayez al-Serraj, presidente del Governo di accordo nazionale di Tripoli, per delegare alla Guardia costiera libica il blocco dei barconi in partenza dalle coste nordafricane); un’altra, allarmante lettura ritiene invece che all’origine del calo ci siano le milizie armate che controllano il nord della Libia, principale punto di partenza dei barconi. Qui facciamo luce sui numeri degli arrivi e verifichiamo le diverse ipotesi.

I numeri

Che un calo negli arrivi, e netto, ci sia stato, lo dicono i numeri. Se nel periodo gennaio-agosto 2016 in Italia sono arrivati 115.068 migranti, nello stesso periodo del 2017 il numero scende a 99.127 (fonte Unhcr). Un calo del 13,85 per cento.

Considerando solo i mesi di luglio e agosto, nel 2016 sono sbarcati in Italia 44.846 migranti, mentre nel 2017 sono stati 15.375: il 65,72 per cento in meno. Il calo, registrato già a luglio (-50 per cento su luglio 2016), è diventato più marcato ad agosto (-82 per cento). Quello che non cambia è il punto di partenza delle imbarcazioni: il 95 per cento di quelle dirette in Italia parte ancora dalla Libia. Cosa è cambiato negli ultimi mesi? Alcuni fanno notare come le condizioni meteorologiche nel mese di luglio siano state particolarmente sfavorevoli, impedendo ai barconi di partire. Un’ipotesi, a dire il vero, debole: perché mai i trafficanti che stipano centinaia di persone su un gommone di pochi metri dovrebbero preoccuparsi di effettuare viaggi in sicurezza? Secondo quanto dichiarato all’agenzia Reuters da Chris Catrambone, co-fondatore di Moas, anche quando il mare si presentava “piatto come un lago” c’erano poche barche pronte alla partenza.

Una prima spiegazione: il codice di condotta delle Ong

Per il premier Gentiloni, il massiccio calo negli arrivi sarebbe conseguenza diretta dell’applicazione del codice di condotta delle Ong voluto dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, e sottoscritto (ai primi di agosto) da cinque organizzazioni umanitarie che effettuano salvataggi nel Mediterraneo: Proactiva Open Arms, Save the Children, Moas, Sea-Eye e, da ultimo, Sos Mediterranée; qui la nostra intervista al direttore di Msf Italia sulle ragioni del “no” della sua organizzazione. Questo codice, si ragiona in ambienti di governo, previene le Ong dall’effettuare operazioni non autorizzate, quali recuperare i migranti in acque territoriali libiche, e pone il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso sotto un controllo più stringente. Le conclusioni del governo (più controllo sulle Ong = meno arrivi) sembrano accreditare l’equazione tra la presenza delle organizzazioni umanitarie nel Mediterraneo e l’aumento degli arrivi (e dei morti) nel 2016, criminalizzando l’operato delle Ong contro ogni evidenza.

Il discorso non regge: il codice è stato approvato a fine luglio, quando il trend degli arrivi aveva già iniziato a cambiare segno. A ben vedere, poi, il famoso e strategico codice contiene pochi interventi rilevanti (o nessuno): le novità principali, molto contestate, sono state poi ridimensionate grazie all’addendum proposto da Sos Mediterranée. Questa Ong, all’atto di sottoscrivere il codice, ha ribadito che “il codice di condotta non è legalmente vincolante e prevalgono le regolamentazioni e le leggi nazionali ed internazionali”. Il codice, a questo punto, è praticamente inutile.

A ridurre l’attività delle Ong, più che il codice, è stata invece l’improvvisa decisione della Libia di estendere la sua zona di ricerca e soccorso ben oltre il limite delle sue acque territoriali, di fatto escludendo le Ong (anche a colpi di mitraglietta) dall’attività di salvataggio in acque internazionali. Ed è proprio alla mancanza di sicurezza in mare che alcune Ong (Msf, Sea-Eye e Save the Children) hanno imputato la sospensione delle loro attività di ricerca e soccorso in mare.

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Lo sporco baratto italo-libico e il neo-genocidio liberista dell’UE – di Salvatore Palidda

FONTE EFFIMERA CHE RINGRAZIAMO

Dopo la scelta europea del 2015, la tragedia dei migranti in Grecia, poi i 6 miliardi offerti al neo-sultano fascista e affarista Erdogan per trattenerli a prescindere dalla schiavizzazione assicurata anche dei bambini tramite i circa 100 mila neo-padroni siriano-turchi, era apparso chiaro che si andava verso il massacro. Come si evince ora dalla “brillante” operazione realizzata dal fulgido ministro Minniti “tutto si tiene”: il demagogico stop degli arrivi in Italia passa per il “reclutamento” di una nota banda criminale che così diventa forza legittima dello stato libico e che –soprattutto- promette di garantire gli interessi e attività dell’ENI-Agip in Libia –fra cui lo stop dei furti e del contrabbando del petrolio e le minacce di sequestro di tecnici italiani- e anche di Finmeccanica e il mercato degli armamenti italiani. In altri termini siamo davanti alla stessa logica che governa la riproduzione delle guerre permanenti, dei disastri sanitari, ambientali ed economici, delle neo-schiavitù e lo sprezzo totale dei migranti disperati, siano essi scampati alle guerre, alla fame, alle epidemie, al disastro economico e a ogni sorta di violenza e dominio (tranne una piccola parte affidata al business di ONG embedded cioè dell’umanitario neoliberista[1]).

La documentazione che illustra i diversi aspetti e anche i dettagli dell’escalation è ampia e articolata. La sequenza comincia nel 1990 cioè dopo il crollo del socialimperialismo sovietico che evidentemente non regge la competizione neo-liberista giostrata dai think tanks statunitensi; ma va ricordato che la premessa è nel Fiscal Year di Weimberger nel 1979[2] quando afferma che gli USA non possono più tollerare la crisi della loro egemonia mondiale non tanto per opera del mondo “comunista”, ma soprattutto a causa dell’autonomizzazione di diverse aree nei Sud del mondo. E per giustificare il lancio delle guerre contro questi Sud i think tanks usa incitano alla guerra ai narcotrafficanti e a tutte le mafie, e agli “stati canaglia”. La pseudo bonifica delle terre dei narcos scalfisce poco questi mentre devasta la Colombia e fa sprofondare il centro America e parte dell’America latina nel disastro grazie alla guerra finanziaria e l’imposizione di misure che aumentano l’impoverimento[3]

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La Prefettura di Milano invita i Comuni milanesi a revocare le ordinanze sindacali anti-richiedenti asilo

FONTE  ASGI 

Dopo la segnalazione di ASGI e di altre associazioni, il Prefetto di Milano rende nota la lettera inviata alle amministrazioni rientranti nel territorio di sua competenza per segnalare i forti dubbi di legittimità delle ordinanze anti-richiedenti asilo.

Il Prefetto di Milano segnala ai Sindaci che le ordinanze pretendono di intervenire su una materia di competenza statale, sulla base di un presunto pericolo grave e imminente che non sussiste e che comunque sarebbe costituito, secondo le ordinanze stesse, dal generale fenomeno migratorio che palesemente non riguarda i singoli comuni e non determina emergenze socio sanitarie e di ordine pubblico di esclusiva rilevanza locale.

La lettera contesta inoltre le ordinanze nella parte in cui, prevedendo sanzioni amministrative e responsabilità penale in caso di inosservanza dei vincoli imposti, si pongono in contrasto con l’art.1 della legge n. 689 del 1981 (secondo la quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione) nonché con gli art. 3, 10, 25, comma 2 e 41 della costituzione.

Il Prefetto segnala infine che l’adozione delle ordinanze potrebbero esporre le amministrazioni a “responsabilità in sede giurisdizionale” di fatto invitando i sindaci alla revoca.

ASGI si augura che anche gli altri prefetti interessati (Brescia, Bergamo, Varese, Como, Vercelli, ma anche altri) si muovano tempestivamente nella stessa direzione e che i sindaci vogliano ottemperare all’invito e provvedere alla revoca di ordinanze che hanno il solo scopo di fomentare allarmismo nella popolazione e contrastare i piani di accoglienza.

Lettera ai prefetti

La lettera del prefetto di Milano al sindaco del comune di Cologno Monzese

RAPPORTO IOM SUI MIGRANTI MORTI “VIAGGI FATALI” SULLE ROTTE DELLA SPERANZA

 

FONTE NIGRIZIA CHE RINGRAZIAMO

Oltre 22.500 persone sono scomparse o decedute negli ultimi tre anni e mezzo, secondo gli analisti dell’Organizzazione per le migrazioni, ma nessuno conoscerà mai il numero reale, che è molto più alto. Un esercito di uomini, donne e bambini, destinati a restare senza nome e, spesso, senza nemmeno una degna sepoltura.

di Marco Cochi

 

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) ha pubblicato un nuovo rapporto sulle morti e le sparizioni di migranti in tutto il mondo. Nella relazione di 136 pagine intitolata “Viaggi Fatali” emerge che «dall’inizio del 2014 ai primi sei mesi del 2017, oltre 22.500 migranti sono deceduti o scomparsi nel tentativo di fuggire dalla guerra o dalla miseria».

Un tragico resoconto che potrebbe diventare molto più alto, perché «il reale numero del totale di morti e dispersi non può essere calcolato con certezza», come sottolineano gli analisti del Global Migration Data Center (Gmdac) dello Iom, che hanno realizzato lo studio insieme ai ricercatori dell’Università di Bristol.

Il report rileva pure che dal 2000 al 2016 sono morti almeno 60mila migranti e che 15mila di essi sono scomparsi sulla rotta del Mediterraneo, balzata alle cronache internazionali per il tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013.

Ma quella mediterranea, che comprende ben 11 itinerari, è solo una delle 14 principali rotte migratorie, identificate nello studio, dove si registrano numerose perdite ogni anno. Tra queste, oltre al Mediterraneo, è risultata particolarmente pericolosa quella che dall’Africa occidentale e dal Corno d’Africa conduce verso Egitto e Libia. Mentre, dal 2014, migliaia di persone sono morte nel tentativo di attraversare il deserto del Sahara.

Il rapporto di Iom si focalizza anche su come migliorare la fruizione dei dati sui migranti scomparsi, per prevenire ulteriori decessi e consentire alle famiglie di conoscere il destino dei loro parenti. Molte famiglie, infatti, trascorrono anni in un limbo di incertezza senza sapere se i loro cari siano vivi o morti, poiché i corpi che riescono ad essere identificati sono una ristretta minoranza.

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Paghi Sarraj che paga i trafficanti che ora fermano i migranti

  

Foto: Remocontro.it

«Secondo un accordo sostenuto dall’Italia (‘backed by Italy’, sostenuto in senso diretto dall’Italia), il governo di Tripoli ha pagato le milizie che una volta erano coinvolte nel contrabbando di migranti ad impedire agli immigrati di attraversare il Mediterraneo verso l’Europa, una delle ragioni della drastica diminuzione del traffico, secondo milizie e funzionari della sicurezza». La conferma di quanto riferito ieri da Remocontro, nel riprendere un reportage del Times di Londra da Roma. Meno infiorettata e limitata ai fatti riscontrati, la cronaca del Washinghton Post.

Manca ad esempio il dettaglio dei 5 milioni di dollari che avrebbe pagato l’Italia, i suoi servizi segreti, per trasformare i trafficanti di esseri umani in neo sceriffi al servizio di chi li paga. Notizia che sarebbe stata smentita da una «Spokeswoman for the Italian intelligence services», che nessuno sapeva neppure che esistesse. Provate a trovare voi un telefono di Aise o Aisi, se ci riuscite. Per il resto, solo ulteriori dettagli rispetto alla cronaca di ieri.

Ad esempio, la notizia dei soldi italiani arrivati in qualche modo a trafficanti e scafisti per la loro ‘conversione’, hanno creato scontento tra alcune forze di sicurezza libiche e attivisti che si occupano di migranti.  ‘Attenti ad arricchisce le milizie, consentendo loro di acquistare più armi e diventare più potenti’, ammoniscono. «In the country’s chaos, the militias can at any time go back to trafficking or turn against the government, they say». Nel caos del paese, le milizie possono in qualsiasi momento tornare alla tratta o rivolgersi contro il governo, dicono. L’accordo continua a cementare il reale potere delle milizie, che dalla caduta di Gadhafi  hanno minato i governi successivi della Libia.

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Italia-Africa. Il nostro «aiuto» è la vendita di armamenti

FONTE: Francesco Vignarca,  IL MANIFESTO

Nel distorto e problematico dibattito pubblico italiano e non solo sull’epocale fenomeno migratorio il tentativo principale della politica è quello di allontanare dalla vista dell’elettorato i problemi e le responsabilità.Nelle poche occasioni in cui si è allargato lo sguardo verso i luoghi di provenienza delle migrazioni (in particolare penso all’Africa) lo si fa richiamando un retorico e qualunquista «aiuto a casa loro» che non ha nulla di concreto o fattivo.

LA ORMAI VECCHIE  promesse, sottoscritte a livello internazionale anche dall’Italia, di destinare almeno lo 0,7% del Pil all’aiuto pubblico allo sviluppo (diretto, indiretto e multilaterale) sono rimaste lettera morta. Nel 2015 l’Italia, pur con un trend in crescita, ha raggiunto solo lo 0,22% del Pil e una buona fetta dei quasi 4 miliardi impiegati è comunque rimasta nei nostri confini proprio per gestire il fenomeno migratorio.

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Emergenza, ordine pubblico, legalità: ecco il deserto!

FONTE MELTINGPOT.ORG CHE RINGRAZIAMO 

Intervista a Luca Blasi di InterSOS, ONG attiva a Roma a sostegno dei migranti

Il ruolo delle ONG si fa sempre più centrale nella gestione degli interventi che riguardano i migranti, in particolare InterSOS aveva attivato parecchi percorsi di sostegno a favore dei rifugiati che occupavano il palazzo di via Curtatone. In questa conversazione con Luca Blasi cerchiamo di tracciare un quadro della situazione nella Roma degli sgomberi.

Luca, perché questo sgombero che trova tutti impreparati?
In realtà da parecchio tempo circolavano voci di un possibile sgombero, il 19 agosto abbiamo avuto la prova della fondatezza di queste voci. Si sapeva che l’operazione era stata decisa dal Tavolo per l’Ordine e la Sicurezza, non erano però note le modalità ed i tempi dell’attuazione. Sulla situazione generata ora si rimpallano le responsabilità tra Prefettura, Questura e Comune; noi come operatori umanitari e come InterSOS non entriamo nel tema del ripristino della legalità sul palazzo, ma possiamo affermare che mentre si cercava di ripristinare la legalità rispetto all’occupazione si è colpita la legalità del rispetto dei diritti dei migranti. Lo Stato italiano ha accettato ed accolto queste persone come rifugiati politici, e quindi godono del massimo della tutela prevista dai trattati internazionali. Oggi invece questo problema, che non era un’emergenza, è stato spostato sul piano dell’ordine pubblico e della gestione di un’ emergenza, in un contesto in cui diritti e dignità vengono completamente lesi.

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Migranti, il naufragio Pd e la scelta di Lerner

 

Autore: Gad Lerner

FONTE NIGRIZIA  CHE RINGRAZIAMO

Correva l’anno Duemila, lo stesso anno in cui ho cominciato a scrivere Giufà, la rubrica per Nigrizia, quando ho sentito per la prima volta un noto leader politico italiano proporre al telegiornale: “Dobbiamo sparare sulle imbarcazioni degli scafisti, affondiamole!”. In quel momento dirigevo il Tg1 e mi toccò dargli qualche minuto di gloria, pur sapendo entrambi che la sua sparata avrebbe lasciato il tempo che trovava. Nei diciassette anni successivi, tale ideona bellicosa è stata replicata infinite volte, sempre con la medesima prosopopea e in favore di telecamera, da leader di opposti schieramenti (dal centrodestra, al centrosinistra, ai grillini). Non mi stupisce, dunque, se quest’estate un tipo come Salvini, che sempre deve manifestarsi il più assatanato di tutti, sia giunto a chiedere anche l’affondamento delle navi delle organizzazioni non governative (ong), colpevoli di supportare gli scafisti.

La falsa emergenza che descriveva la penisola italiana invasa da orde incontenibili di migranti, smentita dalle cifre ma alimentata dai giornaloni che si trincerano dietro alla scusa del “percepito”, e così manipolano la realtà, si rivela per quello che è: non una “emergenza migranti”, ma una “emergenza elezioni”. Se i giornaloni e le televisioni fanno da megafono a chi sproloquia di invasione, e gli italiani si sentono invasi, ahimè in automatico i politici di ogni ordine e grado innescano il refrain “stop all’invasione”.

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Quattro domande cruciali sulla Libia a Nancy Porsia

11 agosto 2017 – Fonte Open Migration che ringraziamo
Il 10 agosto 2017, nel bel mezzo del tormentone contro la presunta disobbedienza delle Ong al codice di condotta del Viminale, la Marina libica, per voce del generale Abdelhakim Bouhaliya, comandante della base navale di Tripoli di Abu Sitta, annuncia di voler allargare il divieto di ingresso alle Ong di decine di chilometri oltre le canoniche 12 miglia nautiche nazionali, quindi in acque internazionali, istituendo una propria zona di “Search and rescue” per intercettare e riportare i migranti in Libia. Si presume si tratti del ripristino della zona Sar imposta a suo tempo da Muammar Gheddafi – una decisione unilaterale la cui legalità è dubbia. La Guardia Costiera italiana chiede alle Ong di arretrare le operazioni per la loro sicurezza.
Il 12 agosto SOS Mediterranee ottiene che il famoso “codice di condotta” venga modificato fino a riprendere praticamente la forma della legislazione già vigente e già rispettata dalle Ong, e lo firma, ma intanto prima Msf con la sua nave Prudence, poi la Sea-Eye, poi anche Save The Children annunciano la sospensione del soccorso, perché la Guardia Costiera italiana non è più in grado di garantire operazioni in sicurezza, e perché quelle operazioni le renderebbero complici della Guardia Costiera libica notoriamente collusa con i trafficanti. Msf e Sea-Eye avvertono: così si apre una falla mortale nella solidarietà nel Mediterraneo. Intanto, chi viene respinto dalla Guardia Costiera libica in questi giorni finisce di nuovo nei famigerati campi di detenzione da cui era partito. Abbiamo chiesto alla giornalista specializzata Nancy Porsia di spiegarci com’è la situazione in Libia.

Nancy, Msf, Sea Eye e Save The Children si fermano, perché nell’attuale progetto militare italiano nel Mediterraneo si collabora con una Guardia Costiera libica pericolosa e collusa con i trafficanti e si respingono i migranti verso “campi” in Libia in cui il rispetto dei diritti umani venga garantito dall’Onu – ma lo stesso Unhcr dice che campi del genere non esistono e non possono esistere. Che destino avrebbero le persone che vengono trattenute in Libia senza più poter partire?

Parto dalle informazioni che sto raccogliendo in questi giorni sul campo, nel contesto della ricerca che mi è stata commissionata da Cini e Concord, network di Ong italiane ed europee, nell’ambito di un monitoraggio sull’impatto degli EU Trust Funds in Libia sulla stabilità del paese e la tutela dei diritti umani dei migranti. In questi giorni sto conducendo interviste con vari second player – sia gli international implementer (i.e., quelli che di fatto hanno accesso agli EU Trust Funds e poi aprono bandi a cui partecipano Ong e altri soggetti della rete territoriale libica), come l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e Ong e istituzioni libiche – coinvolti nell’istituzione del “nuovo” sistema di accoglienza/detenzione in Libia.

Confermo che questi campi non esistono e non possono esistere. Di fatto, questi famosi campi non sono mai stati un’opzione reale, e quello su cui si sta lavorando è piuttosto il miglioramento dell’assistenza dei migranti nel contesto del sistema di detenzione già esistente, attraverso la fornitura di vari servizi – dalla messa a disposizione di kit di beni di prima necessità ai controlli medici e al supporto psicologico, che però non viene espletato da personale esperto: il personale che opera nei centri è e resta, infatti, libico e decisamente poco specializzato, e non c’è una presenza fisica di personale internazionale. Questo fa sì che la situazione resti statica perché non agevola il percorso di sensibilizzazione sui diritti umani che dovrebbe essere condotto con i libici. Sostanzialmente è questo, che gli europei hanno pensato per ottenere un miglioramento delle condizioni nel sistema di detenzione pre-esistente.

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L’ultima provocazione: multata la Ong Proactiva Mediterraneo . Sanzione da seimila euro

 

Daniela Padoan
il manifesto, 20 agosto 2017

Il 14 agosto la nave Golfo azzurro della Ong spagnola Proactiva Open Arms, tra quelle che hanno firmato il codice di condotta imposto dal governo italiano, è salpata da Malta per la ventiseiesima missione di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale. Dal luglio 2016 ha tratto in salvo 21mila persone e ha a raccolto cadaveri di uomini, donne, bambini, portandoli a riva perché potessero avere sepoltura. Giunta nelle acque internazionali di fronte alla Libia, il 15 agosto è stata intercettata dalla C-Star, la “nave nera” noleggiata dal gruppo di attivisti di estrema destra Defende Europe che vaga in mare da settimane, dapprima sul punto di naufragare ed essere soccorsa da una Ong, poi respinta dai pescatori tunisini con cartelli antirazzisti, infine a corto di carburante al largo di Creta e diffidata dall’attraccare dalla Capitaneria di porto ellenica.

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UNA DECISIONE POLITICA, SI TRATTA DI UN GENOCIDIO di Raniero Lavalle

 

 

Avendo come mandante l’Italia e l’Europa la Marina libica si annette un pezzo di Mediterraneo e minaccia e spara, per allontanare le ONG e impedire i soccorsi. Infatti le ONG sotto la minaccia delle armi – che abbiano firmato o no il codice ministeriale – hanno interrotto le operazioni di salvataggio. Noi ripariamo, finanziamo, armiamo e aumentiamo di numero le navi militari libiche, senza neanche sapere in mano a chi andranno a finire. Il ministro Minniti è molto contento e dice di vedere la luce in fondo al tunnel.
Ma la luce, che non è più quella dei Lumi, è il buio del rifiuto che noi protetti opponiamo al diritto al movimento e alla vita di un intero popolo di molte nazioni, il popolo dei migranti, che fuggendo da molti aguzzini cerca invano il suo posto nel mondo.

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