Cronache da Berlino. Lo sciopero globale per il clima – 25 settembre 2020 –

Nella mattinata del 25 settembre si è svolta a Berlino la prima manifestazione/sciopero del dopo lockdown contro il cambiamento climatico e per politiche ambientali e di sistema che impediscano i disastri ambientali cui rischiamo già di abituarci.
Alla Porta del Brandeburgo migliaia di ragazzi giovanissimi, più liceali che universitari si sono schierati con ordine distanziati di un metro e mezzo con i loro cartelli , con i volti coperti con mascherine.Gli organizzatori avevano già predisposto con piccoli cerchietti bianchi disegnati sull’asfalto le postazioni di ciascun manifestante…

 

Un severo servizio d’ordine svolto da ragazzine e ragazzini hanno fatto rispettare i distanziamenti tra i partecipanti, inflessibili e determinati a mantenere le promesse alle autorità di garantire una manifestazione senza assembramenti e conforme alle norme anti contagio.Era freddo stamane a Berlino e pioveva ma questa avversità non ha scalfito la determinazione di queste ragazze e ragazzi a fare sentire propria voce,a richiamare l’attenzione rispetto al futuro, al loro futuro, alle loro speranze per una vita che non sia ritmata dal susseguirsi di eventi ambientali catastrofici. C’era anche molta ironia nelle scritte in diversi cartelli….

 

 

Al contempo molte centinaia di ciclisti hanno sfilato per le vie di Berlino su velocipedi, tricicli ad energia solare, i mezzi più fantasiosi che si possa immaginare. Una manifestazione consapevole delle grandi difficoltà per il futuro rispetto ad una battaglia che sarà durissima e al contempo leggera, elegante e gioiosa.

Foto e articolo  di Gino Rubini 

 

 

Sindaci tedeschi ostaggi della destra: “Vicini ai migranti”

Servizio da Berlino di Tonia Mastrobuoni su Repubblica del 12 gennaio 2020

Crescono minacce e aggressioni ai primi cittadini che danno assistenza ai rifugiati: molti costretti alle dimissioni per paura

 

BERLINO – Andreas Hollstein è sindaco di Altena, piccolo borgo medievale cullato dalle campagne del Nordreno-Westfalia. Quando arrivò l’emergenza profughi, li accolse a braccia aperte. E quando gli arrivarono le prime minacce razziste, non si preoccupò. Ma un giorno, mentre stava ordinando un kebab, si ritrovò un coltello alla gola. È vivo per miracolo: due uomini ebbero una reazione fulminea e buttarono a terra l’aggressore. Un caso isolato? Neanche per sogno.

Da tempo si accumulano in Germania le dimissioni di sindaci che finiscono nel mirino dei neonazisti, il più delle volte perché si sono mostrati solidali o semplicemente non ostili con i migranti. E purtroppo, conquistano le prime pagine soltanto quando gettano la spugna. O quando dalle minacce si passa alle aggressioni fisiche, come nel caso più famoso, quello di Henriette Reker, la sindaca di Colonia che fu accoltellata cinque anni fa da un estremista di destra, durante un comizio. Di recente, quando è stata di nuovo minacciata da un gruppo di nostalgici del Reich che si firmano “Staatsreichorchester”, “Orchestra del colpo di Stato”, la notizia è scivolata tra le brevi. Così come è stato notato appena che il candidato della Cdu alle elezioni regionali della Turingia, Mike Mohring, ha ricevuto dallo stesso gruppo una mail in cui lo invitavano a ritirarsi dalla corsa o altrimenti lo avrebbero fatto saltare con un autobomba. Firmato “Sieg Heil”.

Non tutti alzano bandiera bianca. Nel caso di Christoph Landscheidt, primo cittadino di Kamp-Lintfort, molti politici si sono detti scandalizzati perché ha deciso di reagire. E sta facendo una battaglia per procurarsi un porto d’armi. Discutibile, ovvio, e lui stesso ha detto di non voler andare in giro come uno sceriffo texano ma di voler proteggere se stesso e la sua famiglia dalle continue minacce di morte. Ma in qualche caso, come ricorda il tragico caso di Walter Luebcke, il presidente del distretto di Kassel ucciso a giugno con un colpo di pistola sul suo terrazzo di casa da un neonazista, la protezione dello Stato è arrivata tardi.

Volker Bouffier ha definito Luebcke “un costruttore di ponti”, ed è ciò che accomuna questi sindaci di una resistenza diffusa ma irregolare, nascosta spesso nelle zone rurali, lontane dai riflettori. Dove i neonazisti stanno sistematicamente costruendo colonie hitleriane e terrorizzando chi vi si oppone.

Per aver condannato il brutale pestaggio di un profugo iracheno da parte di quattro uomini, la sindaca di Arnsdorf Martina Angermann è stata subissata per mesi di insulti e minacce di morte. C’è un video che non lascia dubbi sulla violenza dell’azione contro il rifugiato, eppure gli aggressori si sono autobattezzati “difensori dei cittadini” e hanno persino sporto denuncia contro la sindaca. Che dopo essersi data malata per mesi, ha registrato un video in cui piange a dirotto spiegando i motivi della sua resa.   >>>

L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE SU REPUBBLICA.IT

I neonazisti tedeschi alla conquista dei lavoratori

fonte fiom.cgil.it

Guido Reil è un minatore come suo padre e suo nonno prima di lui. E’ entrato nel sindacato a 18 anni e nel partito socialdemocratico a 20. Parlatore rapido, è stato rappresentante sindacale da più di 10 anni. Ma due anni fa, dopo l’arrivo in Germania di centinaia di migliaia di rifugiati, Reil ha scelto il partito di strema destra Alternativa per la Germania. Partecipando per la prima volta come candidato alle elezioni del suo distretto nel maggio scorso, il partito ha ottenuto il 20% dei voti e socialdemocratici sono scivolati di 16 punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti. “Quelli sono i miei ex compagni” ha detto Reil. Sono venuti con me”.
Come fa un partito di estrema destra ad attirare elettori dal mondo del lavoro, un bastione tradizionale della sinistra? La domanda non è accademica. Va direttamente al cuore della emergente minaccia che AfD rappresenta per l’establishment politico tedesco, compresa la cancelliera Angela Merkel.

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Germania, l’ultima trattativa ventotto pagine prima del buio

 fonte strisciarossa.it

Ventotto pagine, buttate giù in cinque ore di negoziati tra gli sherpa. Questo, per ora, è l’esito delle difficili trattative tra il partito di Angela Merkel, la sua sorella bavarese CSU e la SPD per la formazione di un governo di grosse Koalition a Berlino. Il documento, che è stato annunciato insieme dai tre massimi capi dei partiti, la cancelliera, il cristiano-sociale Horst Seehofer e il presidente socialdemocratico nonché candidato (perdente) alla cancelleria nelle elezioni di settembre Martin Schulz, non è un programma. Il programma vero e proprio deve essere ancora negoziato e secondo le previsioni, se tutto va bene, non sarà pronto prima di marzo. Si tratta di una dichiarazione di intenti. I tre partiti hanno messo nero su bianco i punti più controversi sui quali hanno trovato un’intesa di massima. Sui dettagli, il che fare, quando e con quali strumenti legislativi, si discuterà dalla settimana entrante.

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The Hate Destroyer: a Kinodromo la donna che “cancella” i nazisti Lunedì 4 dicembre la proiezione del film di Vincenzo Caruso e l’incontro con regista e protagonista.

 Autore : Sandro Canella
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Irmela Mensah Schramm è un’anziana signora berlinese che da oltre trent’anni rimuove adesivi e manifesti e cancella dai muri simboli nazisti. Per la sua battaglia di civiltà è già stata minacciata di morte più volte. La sua storia viene raccontata da “The Hate Destroyer”, documentario di Vincenzo Caruso già vincitore di un premio al Biografilm Festival, che verrà proiettato lunedì a Loft Kinodromo.

Dal 1985, a Berlino, un’anziana signora cancella quotidianamente i simboli nazisti che appaiono nella città. Adesivi, manifesti e tag sui muri di svariate formazioni dell’estrema destra, vengono sistematicamente rimossi dalla determinata volontà di Irmela Mensah Schramm.
La sua storia viene raccontata dal documentario “The Hate Destroyer” di Vincenzo Caruso, che verrà proiettato lunedì 4 dicembre a Loft Kinodromo. A precedere la proiezione ci sarà un dibattito con la protagonista del documentario e il regista.

L’impegno civico di Irmela contro il nazismo e i suoi simboli le è già valsa numerose minacce di morte da parte di gruppi neonazisti. Le lettere minatorie, insieme a decine di migliaia di fotografie che documentano la sua opera di ripulitura, vengono catalogate in raccoglitori, che rappresentano una sorta di biografia e testamento della donna.
“Irmela non si rende nemmeno conto fino in fondo di quanto rischia – osserva ai nostri microfoni il regista – In Germania il neonazismo non è solo volantini: ci sono casi di violenza vera ed efferata”.

Il gesto all’apparenza semplice e simbolico di Irmela però, secondo Caruso, è importante perché rappresenta la volontà di dire no. “Oggi sappiamo indicare ciò che vogliamo, ma abbiamo smesso di lottare per ciò che non vogliamo – sottolinea il regista – Del documentario mi piacerebbe che passasse che non basta più prendere solo le distanze, ma bisogna trovare il proprio modo per intervenire“.
Un appello attraverso un documentario che, alla luce di quello che sta accadendo anche in Italia, con il moltiplicarsi delle iniziative neofasciste, è di un’attualità sconcertante.

ASCOLTA L’INTERVISTA A VINCENZO CARUSO:

NoG20 Hamburg: Iniziato il processo a Fabio Vettorel. La dichiarazione resa in Tribunale da Fabio

Iniziato, al Tribunale di Altona ad Amburgo,  il processo a Fabio Vettorel, l’attivista italiano da 4 mesi in carcere. Nell’udienza di oggi Fabio ha rilasciato una dichiarazione che riportiamo. Nuova udienza il 14 novembre

Signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori,

Voi oggi siete chiamati a giudicare un uomo. Lo avete chiamato “aggressivo criminale” e “irrispettoso della dignità umana”. Personalmente non mi curo degli appellativi che mi attribuite. Io sono solo un ragazzo di buona volontà.

Prima di tutto vorrei dire che probabilmente i signori politicanti, i signori commissari di polizia e i signori magistrati pensano che incarcerando e arrestando qualche ragazzetto si possa fermare il dissenso nelle strade. Probabilmente lor signori pensano che le prigioni bastino a spegnere le voci ribelli che dovunque si alzano. Probabilmente lor signori pensano che la repressione fermerà la nostra sete di libertà. La nostra volontà di costruire un mondo migliore.

Ebbene, essi si illudono. Ed è la storia che dà loro torto.

Perché innumerevoli ragazzi e ragazze come me sono passati per un tribunale come questo.

Infatti oggi è Amburgo, ieri era Genova, prima ancora era Seattle.

Voi cercate di arginare le voci di rivolta che ovunque si alzano con ogni mezzo “legale”, con ogni mezzo “procedurale”.

Comunque sia, qualunque sarà la decisione di questo tribunale, essa non inciderà sulla nostra protesta. Ancora tanti ragazzi e tante ragazze, mossi dai medesimi ideali, scenderanno nelle strade d’Europa. Incuranti delle prigioni che con tanto affanno vi sforzate di riempire di detenuti politici.

Ma veniamo al dunque, signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori.

Veniamo al dunque.

Come potrete immaginare io oggi voglio avvalermi del mio diritto di non rilasciare dichiarazioni in merito allo specifico fatto di cui sono imputato. Tuttavia vorrei porre l’attenzione su quali siano le motivazioni che spingono un giovane operaio originario di una remota cittadina delle Prealpi orientali a venire ad Amburgo.

Per manifestare il proprio dissenso contro il vertice del G-20.

G-20. Solo il nome ha in sé qualcosa di perverso.

Venti tra uomini e donne esponenti dei venti paesi più ricchi e industrializzati del globo si siedono attorno a un tavolo. Si siedono tutti insieme per decidere il nostro futuro. Sì, ho detto bene: il nostro. Il mio, come quello di tutte le persone sedute in questa stanza oggi, come quello di altre 7 miliardi di persone che abitano questa bella Terra.

Venti uomini decidono della nostra vita e della nostra morte.

Ovviamente a questo grazioso banchetto la popolazione non è invitata. Noi non siamo che lo stupido gregge dei potenti della Terra. Succubi spettatori di questo teatro dove un pugno di uomini tengono in mano un’umanità intera.

Io, signora giudice, ho pensato molto prima di venire ad Amburgo.

Ho pensato al signor Trump e ai suoi Stati Uniti d’America che sotto la bandiera della democrazia e della libertà si ergono poliziotti del mondo intero. Ho pensato ai tanti conflitti accesi dal gigante americano in ogni angolo del pianeta. Dal Medio Oriente all’Africa. Tutti per accaparrarsi il controllo di questa o quella risorsa energetica. Poco importa se poi a morire siano sempre i soliti: civili, donne e bambini.

Ho pensato anche al signor Putin. Nuovo zar di Russia. Che nel suo paese viola sistematicamente i diritti umani e si fa beffe di qualunque opposizione.

Ho pensato ai Sauditi e ai loro regimi fondati sul terrore, con cui noi occidentali facciamo affari d’oro.

Ho pensato a Erdogan che tortura, uccide, imprigiona i suoi oppositori.

Ho pensato anche al mio paese, dove a colpi di decreti legge ogni governo cancella senza tregua i diritti di studenti e lavoratori.

Insomma, eccoli qui i protagonisti del sontuoso banchetto che si è tenuto ad Amburgo lo scorso luglio. I più grandi guerrafondai e assassini che il mondo contemporaneo conosca.

Prima di venire ad Amburgo ho pensato anche all’iniquità che flagella oggi il pianeta. Mi sembra quasi scontato infatti ribadire che l’1 % della popolazione più ricca del mondo detiene la stessa ricchezza del 99% più povero. Mi sembra quasi scontato ribadire che gli 85 uomini più ricchi del mondo detengono la stessa ricchezza del 50% della popolazione mondiale più povera. 85 uomini contro 3 miliardi e mezzo.

Queste poche cifre bastano a rendere l’idea.

E poi, signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, prima di venire ad Amburgo ho pensato alla mia terra: a Feltre. Il luogo dove sono nato, dove sono cresciuto e dove voglio vivere. La cittadella medioevale è incastonata come una gemma nelle Prealpi orientali. Ho pensato alle montagne che al tramonto si tingono di rosa. Ai bellissimi paesaggi che ho la fortuna di vedere dalla finestra di casa. Alla bellezza che travolge questo luogo.

Poi ho pensato ai fiumi della mia bella valle violentati dai tanti imprenditori che vogliono le concessioni per costruire centrali idroelettriche. Incuranti dei danni alla popolazione e all’ecosistema.

Ho pensato alle montagne colpite dal turismo di massa o diventate luogo di lugubri esercitazioni militari.

Ho pensato al bellissimo posto dove vivo che sta venendo svenduto ad affaristi senza scrupoli. Esattamente come tante altre valli in ogni angolo del pianeta. Dove la bellezza viene distrutta nel nome del progresso.

Sulla scia di tutti questi pensieri ho deciso dunque di venire ad Amburgo a manifestare. Per me venire qui è stato prima un dovere che un diritto.

Ho ritenuto giusto oppormi a queste scellerate politiche che stanno spingendo il mondo verso il baratro.

Ho ritenuto giusto battermi perché qualcosa sia almeno un po’ più umano, dignitoso, equo.

Ho ritenuto giusto scendere in piazza per ribadire che la popolazione non è un gregge, e nelle scelte essa deve essere interpellata.

La scelta di venire ad Amburgo è stata una scelta di parte. La scelta di stare dalla parte di chi chiede diritti e contro chi li vuole togliere. La scelta di stare dalla parte di tutti gli oppressi del mondo e contro gli oppressori. La scelta di combattere i potenti grandi e piccoli che usano il mondo come fosse un loro gioco. Incuranti che poi a farne le spese sia sempre la popolazione.

Ho fatto la mia scelta e non ho paura se ci sarà un prezzo da pagare ingiustamente.

Tuttavia c’è anche un’altra cosa che voglio dirvi, che voi mi crediate o meno: a me la violenza non piace. Però ho degli ideali e per questi ho deciso di battermi.

Non ho finito.

In un’epoca storica in cui dovunque nel mondo si alzano nuove frontiere, si stende nuovo filo spinato, si alzano nuovi muri dalle Alpi al Mediterraneo, trovo meraviglioso che migliaia di ragazzi da ogni parte d’Europa siano disposti a scendere insieme nelle strade di un’unica città, per il proprio futuro. Contro ogni confine. Con l’unico comune intento di rendere il mondo un posto migliore di come l’abbiamo trovato.

Perché signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, perché noi non siamo il gregge di venti signorotti. Siamo donne e uomini che vogliono avere il diritto di disporre delle proprie vite.

E per questo combattiamo e combatteremo.

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Ambasciata italiana a Berlino oggi: seconda iniziativa di protesta finalizzata a fare pressione per modificare l’iniqua e vessatoria legge sull’IMU per gli emigrati italiani pensionati

 

In una Berlin fredda e assolata, seconda iniziativa di protesta, finalizzata a fare pressione per modificare l’iniqua e vessatoria legge sull’IMU per gli emigrati italiani pensionati, in occasione della discussione parlamentare sul Documento di Economia e Finanza. Una legge (80/2014) iniqua nella prima parte perchè esonera dal pagamento dell’IMU sulla seconda casa tutti gli emigrati italiani con pensione estera, senza alcuna distinzione di reddito, e immotivatamente vessatoria nell’art. 9 bis che impone ai pensionati italiani emigrati il pagamento dell’IMU sulla seconda casa solo perchè percettori di pensione italiana.

Un’assurdità, quest’ultima, tanto evidente che perfino una parte dei parlamentari che hanno votato la legge si sono sentiti in dovere di presentare un PdL (n. 3691 del 2016) per modificarne il contenuto.

Una assurdità priva di alcuna ratio giuridica, tanto che nemmeno le autorità competenti interpellate fino ad ora hanno avuto la correttezza democratica di motivarne le ragioni, come sarebbe loro dovere nei confronti dei cittadini.

L’iniziativa al momento ancora piuttosto solitaria del sottoscritto, che si rivolge in primis al Parlamento ma anche ai pensionati emigrati, ai fini della diffusione della conoscenza del problema, ha permesso di:

– sensibilizzare sul tema diversi concittadini giovani che si recavano presso i servizi consolari e che hanno manifestato la loro solidarietà

– raccogliere adesioni via mail

– di apprendere che il CGIE (Consiglio Generale degli immigrati all’estero) ha recentemente posto all’ordine del giorno dei propri lavori la questione dell’IMU seconda casa.

Va infine rilevato che l’iniziativa odierna si aggiunge a quelle di molti emigrati che hanno promosso ricorsi amministrativi per poter tutelare i loro diritti.

Berlin, 9 ottobre 2017

Franco Di Giangirolamo

Andreasstrasse, 22 – 10243 Berlin

Franco Di Giangirolamo: Tag der Deutschen Einheit

fonte  Inchiestaonline.info

Franco Di Giangirolamo: Tag der Deutschen Einheit

Nelle immagini marionette giganti per la festa di riunificazione della Germania a Berlino

Oggi, tre ottobre, si festeggia la riunificazione della Germania. I risultati delle elezioni politiche, sarebbero già sufficienti a fotografare „lo Stato dell’Unione“. Senza entrare nella complessa disamina del voto, basti dire che , nelle 6 regioni della ex DDR, i partiti che alcuni vorrebbero definire come rappresentanti degli opposti estremismi (Die Linke e AfD) rappresentano il 40% dell’elettorato, una consistenza elevatissima rispetto ai Laender occidentali. Inoltre, in non pochi collegi elettorali entrambe i partiti hanno raggiunto percentuali del 30, 35%. A Berlin, che non perde mai il palma res di metropoli di sinistra, i Die Linke toccano il 18,8% e sono il secondo partito dopo la CDU (22.7%) e lasciano al terzo posto la SPD che arriva a poco meno del 18%, pur essendo il partito che esprime il Sindaco Metropolitano.

In questa colorazione elettorale, dominata dal Nero di quelli che noi chiameremmo „democratici cristiani“, e da concentrazioni di rosa socialdemocratico, di verde ambientalista e di giallo liberale, le regioni dell’Est hanno una connotazione del tutto anomala e specifica che lasciano pensare ad esperienze fallite.

Se il reddito procapite all’Est è di 18.465 euro e all’Ovest è di 22.312 euro, se all’Est la disoccupazione è al 7,1% (non tenendo conto della precarietà dilagante) e all’Ovest è al 5,1%, se i centri di ricerca sono in occidente il triplo che all’oriente, se il pendolarismo da Est verso Ovest è il triplo di quello inverso, se all’Est l’età media degli abitanti è più alta di 4-5 anni, solo per citare alcuni dati, parlare di festa dell’annessione (Anschluss) non è del tutto fuori luogo.

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GERMANIA: TRA MINIJOB E AFD –

FONTE  R/PROJECT   CHE RINGRAZIAMO

il modello a cui si ispira Macron

 

https://www.facebook.com/rprojectAnticapitalsta/photos/a.176177035922198.1073741827.175912932615275/787695538103675/?type=3

 

di Olivier Cyran* dal numero di settembre del mensile francese Le Monde Diplomatique.

I tedeschi, chiamati alle urne il 24 settembre, non hanno mai avuto un numero così basso di persone in cerca di occupazione. E nemmeno così tanti precari. Lo smantellamento della previdenza sociale avvenuta a metà degli anni 2000 ha trasformato i disoccupati in lavoratori poveri. Queste riforme hanno ispirato la revisione del codice del lavoro che il governo cerca di imporre per decreto.

Ore 8: il Jobcenter (Agenzia per l’impiego N.d.T.) del quartiere berlinese di Pankow ha appena aperto i battenti che già una quindicina di persone fanno la coda davanti allo sportello dell’accettazione, ciascuna rinchiusa in un ansioso silenzio. “Perché sono qui? Perché, se non rispondi alla loro convocazione, ti tolgono quel poco che ti danno”, sbotta a bassa voce un cinquantenne, “comunque non hanno niente da proporre, a parte, forse, un lavoro da venditore di mutandine borchiate, chissà”. L’allusione gli strappa un leggero sorriso. Un mese fa, una madre sola di 36 anni, insegnante disoccupata, ha ricevuto unalettera dal Jobcenter di Pankow che la invitava, a pena di sanzioni, a candidarsi per un posto di rappresentante di commercio di un sexy shop. “Ne ho passate di tutti i colori con il mio Jobcenter, ma questo è il colmo”, ha risposto via internet l’interessata, prima di annunciare la sua intenzione di sporgere denuncia per abuso d’ufficio.

All’esterno, nel parcheggio del blocco di case popolari, l’“unità mobile di sostegno” del centro disoccupati di Berlino ha già iniziato l’attività. La signora Nora Freitag, 30 anni, sistema sul tavolo pieghevole, piazzato davanti al minibus degli operatori, un pacco di opuscoli intitolati Come difendere i miei diritti nei confronti del Jobcenter.

“Questa iniziativa è stata organizzata nel 2007 dalla Chiesa evangelica: c’è molta disperazione, e anche molta impotenza, davanti a questo mostro burocratico che i disoccupati percepiscono, non a torto, come una minaccia”.

Una signora, sessant’anni suonati, si avvicina con passo esitante, sembra molto infastidita di doversi presentare a degli estranei. La sua pensione, inferiore a 500 euro al mese, non le basta per vivere, riceve un’integrazione versata dal suo Jobcenter. Poiché fatica comunque a sbarcare il lunario, fa da poco un lavoro precario part-time (“minijob”) come donna delle pulizie in una casa di cura che le garantisce un salario netto mensile di 340 euro. “Figuratevi”, dice con una vocina agitata, “la lettera del Jobcenter mi dice che non ho dichiarato i miei redditi e che devo rimborsare 250 euro, ma questi soldi, io non li ho! Per giunta, li ho dichiarati fin dal primo giorno, i miei redditi, come potete immaginare; ci deve essere un errore…”. Uno degli operatori la prende sottobraccio per darle dei consigli in disparte: a chi indirizzare un ricorso, a quale porta bussare per sporgere denuncia se il ricorso ha esito negativo, ecc. Talvolta il minibus serve da rifugio per trattare un problema in maniera riservata. “È uno degli effetti di Hartz IV”, osserva la signora Freitag, “la stigmatizzazione dei disoccupati è così pesante che molti provano vergogna perfino a parlare della loro situazione di fronte ad altri”.

Una delle normative più vincolanti d’Europa

Hartz IV: questo marchio sociale deriva dal processo di deregolamentazione del mercato del lavoro, chiamato Agenda 2010, messo in essere tra il 2003 e il 2005 dalla coalizione del cancelliere Gerhard Schröder tra il Partito socialdemocratico (SPD) e i Verdi. Battezzata con il nome del suo ideatore, Peter Hartz, ex direttore del personale della Volkswagen, il quarto e ultimo pacchetto di queste riforme ha unificato i sussidi sociali e le indennità dei disoccupati di lungo termine (senza impiego da oltre un anno) in un unico sussidio forfettario, versato dal Jobcenter. Il presupposto è che lo scarso importo di questa somma – 409 euro al mese nel 2017 per una persona sola (1) – dovrebbe motivare il beneficiario, ribattezzato “cliente”, a trovare o a riprendere al più presto un impiego, anche mal retribuito e poco aderente alle sue attese o alle sue competenze. Il riconoscimento del sussidio è subordinato a un programma di controlli tra i più vincolanti d’Europa.

Alla fine del 2016, l’ambito di applicazione di Hartz IV coinvolgeva circa 6 milioni di persone, di cui 2,6 milioni di disoccupati ufficiali, 1,7 milioni di disoccupati sommersi non contabilizzati dalle statistiche attraverso la trappola dei “dispositivi di avviamento al lavoro” (formazione, addestramento, impieghi da 1 euro, minijobs, ecc.) e 1,6 milioni di figli di beneficiari del sussidio. In una società strutturata sul culto del lavoro, queste persone sono spessodescritte come scoraggiate o come bande di fannulloni e talvolta anche peggio. Nel 2005, in un opuscolo del ministero dell’economia, con la prefazione del ministro Wolfang Clement (SPD) e intitolata Priorità alle persone oneste. Contro gli abusi, le truffe e il fai da te nello Stato sociale, si poteva leggere: “I biologi sono concordi nell’utilizzare il termine ‘parassita’ per designare gli organismi che si sostentano a spese di altri esseri viventi. Ovviamente, sarebbe totalmente fuori luogo estendere agli esseri umani nozioni proprie del mondo animale”. E, ovviamente, l’espressione “parassita Hartz IV” è stata abbondantemente ripresa dalla stampa scandalistica, Bild in testa.

La vita dei beneficiari dei sussidi è uno sport da combattimento.

Quando la somma percepita, a livello di sussistenza, non consente al beneficiario di pagarsi un affitto, il Jobcenter se ne fa carico, a condizione che l’affitto non superi il tetto massimo fissato dall’amministrazione a seconda delle zone geografiche. “Un terzo delle persone che vengono da noi, lo fanno per problemi legati all’abitazione”, dichiara la signora Freitag, “nella maggior parte dei casi perché il rialzo degli affitti nelle grandi città, in particolare a Berlino, ha fatto loro superare i massimali del Jobcenter; allora i beneficiari dei sussidi devono traslocare, ma senza sapere dove, poiché il mercato delle case in affitto è saturo, oppure devono pagare di tasca propria la differenza eccedente il massimale, tagliando le spese alimentari”. Dei 500.000 “Hartz IV” che vivono a Berlino, il 40% paga un affitto che supera il limite normativo.

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Crollo Spd, Merkel si salva  La destra vince  sul terreno della sinistra

FONTE STRISCIAROSSA.IT  CHE RINGRAZIAMO

La CDU di Angela Merkel crolla di 8 punti, la SPD precipita nel disastro, col peggior risultato da quando esiste la Repubblica federale, e l’estrema destra di Alternative für Deutschland diventa il terzo partito della Germania e porta nel Bundestag il vento dell’intolleranza e del risentimento, con un risultato che cambia radicalmente lo scenario politico del paese più importante d’Europa. Dalle urne tedesche esce un panorama pieno di incognite e con due sole certezze. La prima è che la groβe Koalition è finita. Lo ha certificato, tre minuti dopo il primo exit-poll, la Ministerpräsidentin socialdemocratica del Meclemburgo Manuela Scheswig, impietosamente spedita in tv a commentare risultati che nelle ultime ore s’era capito sempre più che sarebbero stati disastrosi. All’alleanza degli elefanti con la CDU/CSU la SPD ha sacrificato troppo: non solo programmi ed elettori ma anche la propria anima. Quando Martin Schulz lo ha confermato alla folla che si era raccolta nella Willy-Brandt-Haus la depressione generale s’è sciolta in un’esplosione di applausi. Parevano abbastanza incongrui, considerato il miserevole 20,8% che in quel momento le prime proiezioni indicavano sugli schermi, ma dicevano una cosa chiara: si torna all’opposizione. Con un sentimento di liberazione che era quasi fisicamente percepibile.


La seconda certezza è che c’è una sola coalizione che, spazzata via dal tavolo l’alleanza tra i due partiti (nonostante tutto) più grandi, ciò che è uscito dalle urne rende numericamente possibile. E’ la cosiddetta “coalizione Jamaica” formata dai tre colori della bandiera di quel paese: il nero di CDU/CSU, il giallo dei liberali e il verde dei Verdi. I liberali della FDP tornano nel Bundestag, dopo quattro anni di astinenza perché nel 2013 avevano mancato la soglia fatidica del 5%, e tornano con un buon risultato, intorno al 10%. I Verdi, intorno al 9%, hanno riguadagnato un po’ di quel che avevano perso quattro anni fa.

In queste ore tutti dànno per scontato che si dovrà cominciare da qua. Ma appare un’impresa titanica: i programmi dei liberali e dei Verdi sono uno l’opposto dell’altro in materia economica e sociale. La FDP vuole un radicale abbattimento delle tasse, un’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro, sostegni alle imprese e alle esportazioni, una politica europea molto meno accomodante verso i paesi dal debito alto; i Grünen propongono una supertassa sui redditi più alti, misure contro la povertà, più apertura verso l’integrazione europea e misure di condivisione del debito. E dopo la svolta a destra imposta al partito dai nuovi dirigenti liberali capitanati da Christian Lindner neanche delle antiche consonanze sul terreno dei diritti civili c’è più traccia. Pure sul problema dell’accoglienza si capisce già che il dialogo sarà molto difficile. La segretaria generale della FDP Nikola Beer ha già annunciato che il suo partito vuole nuove norme per regolare il diritto di asilo. E che indirizzo dovrebbero avere

L’ARTICOLO SEGUE ALLA FONTE SU STRISCIAROSSA.IT

 

Berlino, una campagna noiosa

SEGNALIAMO LA NASCITA DI STRISCIAROSSA.IT, UN SITO DELLA SINISTRA CUI COLLABORANO PRESTIGIOSE FIRME DEL DEFUNTO QUOTIDIANO L’UNITA’ “KILLERATO ” DALL’ATTUALE DIRIGENZA PD (EDITOR ONDE CORTE )

Autore dell’articolo Paolo Soldini

fonte strisciarossa.it

Berlino, in questo scorcio d’estate, è come il salotto di casa: accogliente, comodo, prevedibile, benevolmente consueto. Il 24 settembre è vicinissimo, ma la campagna elettorale vivacchia sotto traccia. La sobrietà dei grandi partiti tedeschi, d’altronde, è proverbiale: qualche manifesto di candidati appeso ai lampioni o appiccicato alle colonnine della pubblicità (non sui muri, per carità!), qualche manifestazione pubblica, preferibilmente al chiuso, su cui le tv di stato riferiranno con esemplare imparzialità, qualche ragionato endorsement sui giornali. Se fosse un film, questa campagna, sarebbe noioso come tutti quelli il cui finale si intuisce dall’inizio. Mancano i cattivi. O meglio ci sono ma fanno le comparse: rumorosi, fastidiosi, ma mai al centro della scena. I fascistoidi di Alternative für Deutschland (chiamiamo le cose col loro nome) hanno avuto i loro exploits e in una elezione regionale nel lontano e negletto Meclemburgo hanno pure sorpassato la Cdu. Hanno inquietato un po’ tutti, ma è acqua passata. Oggi la loro capa Frauke Petry non è più la Marine Le Pen dei tedeschi: d’altronde non ha mai avuto la verve demagogica della francese. E poi s’è visto che fine ha fatto l’originale. Quelli di AfD hanno avuto il loro momento d’oro quando al comando c’era l’economista Bernd Lucke, il quale predicava l’uscita dall’euro ed altre eresie con l’aria di uno che comunque se ne intende e anche per questo incassava la simpatia di una parte del mondo industriale più aggressivamente nazional-egoista. La signora Petry invece è un’estremista pura e dura che non parla d’economia, cavalca le paure dell’immigrazione e della “islamizzazione”e tiene nel suo partito loschi figuri che vorrebbero demolire i monumenti all’Olocausto e cocotteggiano con i neonazisti. AfD prenderà l’8-9% dei voti, dicono i sondaggi. È molto, è troppo, ma non servirà a nulla, se non a segnalare che anche in Germania come in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale c’è uno zoccolo di elettori esposti alla demagogia più primitiva. Ci sono ma, come succede in Francia, nei Paesi Bassi, in Belgio e non (purtroppo) in Italia, non entrano nel gioco del potere. Nessuno li corteggia, nessuno li insegue: restano lì a segnalare disagi, fallimenti della politica, rovine della cultura popolare. Materia per i sociologi.
L’insidia che si nasconde sotto le acque chete di questa campagna tedesca è, semmai, un’altra. Se un cattivo c’è è la FDP, il partito liberale, che si è risollevato dal baratro in cui era caduto quattro anni fa, quando nella costernazione generale mancò la soglia per entrare nel Bundestag. Stavolta i liberali entreranno, ristabilendo la classica costellazione parlamentare della Germania. Ma sotto la guida del giovane e spregiudicato presidente Christian Lindner la FDP ha cambiato pelle. Dire che è diventato un partito antieuropeo forse sarebbe troppo, ma certo s’è allontanato parecchio dalla tradizione dei grandi liberali europeisti, i Genscher, gli Scheel, i Lambsdorff. Nell’alleanza di governo con la CDU, tra il 2009 e il 2013, fu l’ispiratore più coerente della politica di austerity che la Germania impose a Bruxelles, con tutti i guai che ne derivarono. E da allora le posizioni della FDP, che si è fissata come specifico compito quello di recuperare, inseguendoli, i voti “antieuropei” scivolati su AfD, si sono ulteriormente irrigidite. Al punto da giudicare troppo morbido verso i paesi dal debito alto perfino il durissimo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Insomma, dietro l’anima nera dell’austerity ultraliberista made in Germany si profilano anime ancor più nere.

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Una conversazione con Maria Rocco, una delle compagne arrestate durante le mobilitazioni contro il G20 tenutesi ad Amburgo lo scorso luglio

NoG20 Amburgo: Dal carcere Billwerder non è tutto.

FONTE LAVOROESALUTE.ORG

Pubblicato da

fabio vettorel

Riportiamo in questo articolo le riflessioni che abbiamo fatto qualche giorno fa in compagnia di Maria, del Postaz di Feltre, una delle compagne arrestate durante le mobilitazioni contro il G20 tenutesi ad Amburgo lo scorso luglio.

Questo approfondimento nasce dal fatto che abbiamo registrato un oggettivo accanimento nei confronti dei manifestanti arrestati, in particolare di quelli non tedeschi, sia da parte della polizia in piazza, sia da parte dei giudici.  Questo è stato testimoniato qualche settimana fa dalla condanna a due anni e mezzo di un attivista olandese per disturbo aggravato della quiete pubblica, avvenuta solamente sulla base di testimonianze, tra l’altro contraddittorie, da parte dei poliziotti.

Partiamo dal fatto che poche sono le informazioni a disposizione degli arrestati sulla burocrazia giuridica tedesca; l’unica cosa certa sembra essere lo svolgimento del processo entro il limite massimo di sei mesi dall’avvenuto arresto. Gli avvocati del legal team hanno più volte sostenuto che ci sono state e continuano ad esserci delle palesi violazioni dei diritti umani.

Ma andiamo con ordine e ripercorriamo le giornate di Maria dal fermo all’arresto.

Maria è stata fermata il 7 luglio alle 6.30 del mattino e condotta in container organizzati apposta per il G20; l’agglomerato di prefabbricati in cui i fermati venivano trascinati porta l’inquietante nome di GeSa.

Maria viene appunto condotta nel GeSa e non ha possibilità di incontrare il suo avvocato sino alle 23.30 del 7 luglio; in quelle ore viene negata ai fermati qualsiasi informazione che fosse loro utile per difendersi o semplicemente per capire cosa stesse accadendo.

Arrivati al GeSa ci racconta: «venivamo perquisite (lei e le altre 5 fermate che erano insieme a lei ndr), alcune di noi hanno subito anche una pesante perquisizione corporale e siamo state condotte nel nostro container con la porta blindata; nessuna finestra e solo la luce di un neon sempre accesa per non farci percepire nulla di ciò che accadeva all’esterno». Là dentro hanno aspettato il primo pasto arrivato solo la sera: «nel frattempo si poteva chiedere solo acqua e per accedere al bagno bisognava essere schedate e accompagnate con gli agenti che ci scortavano tenendoci con le braccia aperte, pronti a spezzarle al primo movimento sospetto».

Il sabato sera Maria ed altre sette ragazze sono state tradotte, dopo aver subito il processo per la convalida dell’arresto, la fotosegnalazione e la presa delle impronte, a Billwerder, il carcere di Amburgo.

Ricordiamo che lo stato di arresto, anche in questo caso, viene confermato dai giudici solo ed esclusivamente grazie alle testimonianze vocali degli agenti presenti nelle strade della cittadina tedesca durante il vertice. I giudici e l’accusa non si sono avvalsi di alcuna testimonianza video in quanto le indagini erano ancora in corso e i filmati non erano ancora stati esaminati tutti.

Nella giornata di domenica tre delle otto ragazze, ovvero le cittadine tedesche, sono state rilasciate e le altre cinque, tra cui Maria, dovranno aspettare il 14 luglio, ovvero l’udienza di ricorso in primo grado, per sperare nella liberazione.

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