Il presente della sinistra è lastricato di tradimenti di Loris Campetti

 

Fonte  Il Manifesto in rete 

“La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno”. Una considerazione amara, un lamento triste, disperato e profetico. Così scriveva vent’anni fa Luigi Pintor sul manifesto. Parole che mi sono balzate alla mente leggendo le accuse e i nomi delle persone coinvolte nell’oscena vicenda che sta scuotendo il Parlamento europeo sui fondi nerissimi provenienti dal Qatar e dal Marocco e finiti, questa almeno è l’accusa, nelle tasche della vicepresidente dell’assemblea di Strasburgo, di assistenti ed ex europarlamentari, tutti, si fa per dire, di sinistra, italiana e greca, forse anche belga. Sacchi di banconote in casa o in un viaggio verso altri lidi interrotto dalla polizia, vacanze di Natale da 100mila euro, intere famiglie coinvolte nella mangiatoia. Prima ancora e aldilà delle rilevanze giudiziarie e dei reati contestati che ora la magistratura dovrà appurare, l’inchiesta di Bruxelles racconta la fine della politica, o meglio della – ora reale ora solo presunta o sbandierata – diversità con cui la sinistra in Italia e nel mondo si presentava all’elettorato, ai movimenti, alla società. Cioè al suo azionista di riferimento.

Del Qatar, recentemente l’Europarlamento aveva discusso a proposito della violazione dei diritti civili – chissà se anche i 6.500 operai morti ammazzati dal caldo, dagli infortuni e dalla fatica durante i lavori di costruzione delle mirabolanti strutture dei mondiali di calcio fanno parte dei diritti civili violati? Contro la risoluzione di condanna si era espresso e aveva chiesto ai suoi colleghi di partito di esprimersi l’europarlamentare del Pd Andrea Cozzolino. Non è reato, certo, ma si può dire che è indecente? Al centro dell’eurocamarilla c’è un ex segretario della Camera del lavoro di Milano, Pier Antonio Panzeri, ex europarlamentare del Pd poi passato ad Articolo 1 di Bersani, Speranza, D’Alema, lobbista per il Nordafrica e i paesi arabi. La moglie di Panzeri, che si lamentava per aver dovuto fare vacanze meno sfarzose delle precedenti costate 100mila euro, e la figlia appena rientrata dal Qatar sono state arrestate. Stesso trattamento è stato riservato al suo ex assistente Francesco Giorgi, compagno della vicepresidente Eva Kaili, socialista greca, e attuale assistente del suddetto Cozzolino amico del Qatar. In casa di Eva Kaili sono stati trovati sacchi pieni di banconote.

Sotto il termine “lobbista” compaiono altri nomi importanti della sinistra italiana. Mi ripeto: certo, non è reato, ma si può dire che non è un bel mestiere per uno di sinistra? Massimo D’Alema, solo per fare un nome, lobbista dalle Americhe all’Asia. Invece l’ex ministro degli interni Minniti, anche lui Pd, quello degli accordi con la Libia e della caccia alle navi umanitarie che salvano i migranti, ora lavora nell’industria bellica con la fondazione della Leonardo Spa, la Med-Or che si occupa di legami e scambi con i paesi del Mediterraneo, il Golfo persico, il Medio e l’Estremo Oriente. E come dimenticare il “Rinascimento” dell’Arabia saudita e la fratellanza di Matteo Renzi con il mandante dell’omicidio Khashoggi, il principe bin Salman?

Dalla lotta contro gli omicidi bianchi sul lavoro si passa impunemente al sostegno ai paesi che su quei crimini fanno la loro fortuna. E poi le vacanze col botto, le carte di credito intestate a un misterioso “gigante”, le ong di comodo con tanto di compartecipazioni di radicali e +Europa, affari e politica che si mescolano fino a diventare un tutt’uno. Affari di famiglia. E la memoria corre ancora ad altre vicende di questi giorni, come quella che ha coinvolto Aboubakar Soumahoro, eroe dei braccianti approdato in Parlamento con Sinistra italiana e Verdi, la cui moglie e la suocera gestivano, per conto della comunità, immigrati che venivano sfruttati, maltrattati e non pagati. Aboubakar ha varcato il tempio della politica italiana indossando stivali infangati per ricordare i braccianti immigrati e sfruttati, proponendosi come un novello Di Vittorio. Il quale, invece, in Parlamento era entrato con il vestito buono e le scarpe pulite, e non solo quelle. Questione di stile e di modestia.

Si potrebbe continuare a lungo con esempi e metafore sul degrado di una sinistra che, smarriti i suoi valori, l’etica, l’orizzonte, il sogno, la diversità, l’alternativa allo stato di cose presente, della destra ha assunto il punto di vista e la mentalità, come scriveva Pintor. Berlusconi ha fatto scuola anche comportamentale. Il presente della sinistra – non solo del Pd – è lastricato di tradimenti, i tradimenti dei sogni e delle speranze e battaglie per il lavoro, per i diritti, per l’eguaglianza, per la dignità delle persone. In tempi non sospetti e anche recenti ho fatto inchieste sul rapporto tra i lavoratori e la sinistra raccontando la fine di ogni legame. Chiedersi ancora oggi perché i lavoratori hanno rottamato la sinistra è come per un americano chiedersi, dopo l’11 settembre del 2001, “perché ci odiano tanto”?

Cosa significa la reintroduzione dei voucher

Fonte Sbilanciamoci

I voucher, una brutta parola, vengono reintrodotti dal governo Meloni. Unici dettagli conosciuti finora si riferiscono a una estensione dell’applicazione di questa forma di prestazione di lavoro a gettone iper precario, abolita nel 2017 perché la Cgil aveva già raccolto 1 milione di firme per un referendum.

Il governo del presidente del Consiglio Signor Giorgia Meloni è orwelliano, nel senso che introduce più che riforme e provvedimenti ex novo, aggiustamenti peggiorativi di una realtà già triste, stando però molto attento all’uso di parole per egemonizzare culturalmente l’opinione pubblica. “Signor presidente” ne è stato il primo esempio, volto a marginalizzare le battaglie per l’emancipazione femminile che stavano conquistando persino l’Accademia della Crusca, poi “rave” per criminalizzare la movida giovanile e magari introdurre surrettiziamente norme liberticide e intercettazioni generalizzate. Un’altra parola, che sdogana con una connotazione positiva di ritorno all’ordine e alla flessibilità sempre buona e giusta, ora è “voucher”.

La prima legge di bilancio del governo della destra più nera non poteva esimersi da intervenire nel mercato del lavoro toccando uno strumento simbolo come i “buoni lavoro”, inventati dalla Riforma Biagi del 2003 e introdotti per la prima volta nel 2008 dal governo Berlusconi. Quindi aboliti, ma solo formalmente, anzi nominalisticamente, dal governo Gentiloni nel 2017 per evitare il referendum che la Cgil stava per portare a segno. Ma solo per trasformarli, sotto altro nome e con più limiti, in Libretto di Famiglia per colf e badanti e Contratti di prestazione occasionale previsti dal Decreto Dignità per aziende del turismo, agricoltura e persino enti locali.

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La guerra come automatismo di de-globalizzazione

di Franco Berardi Bifo

fonte Altraparolarivista.it

 

Il nazionalismo come forma generale della de-globalizzazione

In un libro del 1946 Die Schuldfrage, Karl Jaspers, uno degli ispiratori del movimento esistenzialista, disse che dovremmo distinguere tra il nazismo come evento storico e il nazismo come corrente profonda della cultura europea, che può riemergere.

Le dinamiche sociali e culturali che hanno dato origine al nazismo nel secolo passato hanno qualcosa di simile alle dinamiche sociali contemporanee, ma il contesto storico, psichico, e soprattutto tecnico è molto differente.

Jaspers scrive in quel testo che la caratteristica per eccellenza del nazismo è il tecno-totalitarismo e sostiene che una piena manifestazione della natura del nazismo potrebbe riapparire in futuro.

Ci si può chiedere se quel futuro sia adesso, e la mia risposta è che le condizioni di una riproposizione su scala enormemente allargata del nazismo stanno emergendo dalla proliferazione di movimenti identitari, neo-reazionari, e nazionalisti che prendono forme diverse e anche tra loro conflittuali come nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, in cui due modelli ugualmente nazionalisti si scontrano militarmente.

Anche Timothy Snyder il quale, in Black Earth: The Holocaust as History and Warning, osserva che la l’impotenza e il terrore provocato da situazioni di emergenza di massa, come le catastrofi ecologiche o le prolungate crisi economiche sono le condizioni più inclini alla formazione di regimi totalitari.

Queste condizioni discendono dalla successione di traumi che l’umanità planetaria ha attraversato e sta attraversando: il trauma sanitario della pandemia, il trauma provocato dallo scatenarsi degli elementi nell’ambiente devastato, il trauma bellico che sta producendo effetti destabilizzanti ben al di là del territorio ucraino in cui la guerra si combatte.

Eppure, sebbene alcuni aspetti di quell’esperienza siano effettivamente riaffiorati negli ultimi anni il nazi-fascismo non riapparirà mai nella forma storica che conoscemmo nel ventesimo secolo.

Ripensiamo ai modi della soggettivazione negli anni ’20 del secolo scorso in Germania, dopo l’umiliazione e l’impoverimento imposti al Congresso di Versalles.

Umiliazione e impoverimento crearono le premesse psicologiche di una reazione aggressiva.

L’impoverimento dei lavoratori tedeschi e l’umiliazione della nazione tedesca furono la base psico-sociale su cui qualche anno più tardi Adolf Hitler costruì il consenso che gli permise di vincere elezioni democratiche.

Il senso del suo discorso può ridursi a un’esortazione: “Non pensate a voi stessi come lavoratori sconfitti e impoveriti. Pensate a voi stessi come tedeschi, come guerrieri bianchi, e vincerete”.

Come sappiamo, non vinsero. Ma distrussero l’Europa.

Dalla Russia di Putin all’India di Modi all’Italia di Meloni il potere politico ripete oggi dovunque la stessa esortazione: “Non pensate a voi stessi come lavoratori sconfitti e impoveriti, pensate invece a voi stessi come guerrieri bianchi (o induisti, o islamisti), e vincerete.

Non vinceranno, ma stanno distruggendo il mondo. Per il momento infatti non è chiaro cosa possa fermare la tempesta perfetta che si è scatenata a partire dalla diffusione del virus, ma che andava preparandosi da almeno un decennio, da quando cioè la crisi finanziaria del 2008 scardinò il sistema economico internazionale e la crisi del sistema finanziario venne interamente scaricata sui lavoratori, mettendo in moto un processo di cui oggi cominciamo a vedere gli effetti.

Negli anni ’60 Gunther Anders, ebreo tedesco emigrato e poi rientrato in Germania, osservava che l’arma nucleare costituiva una novità tecno-militare destinata a produrre un effetto di impotenza, terrore e umiliazione i cui effetti possono manifestarsi attraverso l’emergere di quello che lui chiama il Terzo Reich a venire.

Il Nazismo futuro di cui Anders parla nasce dall’impotenza degli umani di fronte all’arma assoluta, che è un prodotto della loro intelligenza ma paralizza l’intelligenza. L’impotenza degli umani di fronte a questa concrezione ostile della loro potenza genererà, dice Anders una reazione aggressiva e gregaria.

Il passaggio finale verso la precipitazione che Anders presagiva potrebbe essere la guerra che la Russia ha scatenato con l’invasione del 24 febbraio, e che gli Stati Uniti avevano lungamente preparato e perfino preannunciato con un’intervista di Hilary Clinton in cui si parla dell’Ucraina come nuova Afghanistan per la potenza russa.

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Con il cambiamento del capitalismo internazionale, cambiano anche le risposte dei lavoratori

30 GIUGNO 2022
Del Professore Emerito David Peetz
 traduzione tramite google translator

 

 

Nonostante il declino dei sindacati, ci sono molti segnali di resistenza dei lavoratori. Ciò è correlato alla crescente disuguaglianza, alle incursioni sindacali in occupazioni e industrie apparentemente impenetrabili, allo sviluppo da parte dei sindacati di collegamenti internazionali e strumenti digitali e all’inevitabile pressione per la riforma del lavoro.

I sindacati sono in declino da circa quattro decenni e gran parte di questo può essere attribuito ai cambiamenti nel capitalismo stesso. Aziende e governi hanno perseguito fianco a fianco pratiche e leggi antisindacali. Sotto il controllo finanziario, le società pongono maggiore enfasi sulla riduzione dei costi e i governi hanno incoraggiato le riforme del mercato intensificando tale modello. Le aziende hanno stabilito fabbriche di alimentazione nei paesi in via di sviluppo con governi anti-sindacali e hanno chiuso i luoghi di lavoro sindacalizzati nei paesi sviluppati. Ciò ha coinciso con la creazione di nuove forme di lavoro che frammentano i lavoratori e rendono difficile la sindacalizzazione, e l’espansione esponenziale di occupazioni high-tech senza una storia di sindacalismo. In tutta l’OCSE, l’adesione media ai sindacati è scesa dal 37% della forza lavoro nel 1980 al 16% nel 2019.

Eppure, nel mezzo di tutto questo, abbiamo assistito a un’ondata di organizzazioni sindacali, con i lavoratori di parti di aziende come Apple , Amazon e Starbucks che perseguono la sindacalizzazione. È questo l’ultimo sussulto del movimento sindacale o qualcos’altro?

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Agnoletto: in Lombardia la salute è stata trasformata in merce

Fonte Pressenza.com

Vittorio Agnoletto è stato inserito dalla rivistaSanità Informazione fra i 10 professionisti della scienza che nel 2021 hanno avuto un impatto nellalotta alla pandemia; è il portavoce italiano della campagna europea No profit on Pandemic; facciamo con lui il punto della situazione.

Come sta andando la campagna e quali sono le prospettive?

La campagna nessun profitto sulla pandemia diritto alla cura si sta ampliando continuamente ed è sostenuta dalla società civile di tutta Europa. E’ evidente che oggi ha acquisito ancora maggiore importanza che nel passato; la vicenda della variante Omicron dimostra che lì dove non arrivano i vaccini è più facile che si sviluppi una variante maggiormente aggressiva che poi circola in tutto il mondo e noi non sappiamo quanto i vaccini che stiamo utilizzando saranno in grado di bloccare quella variante. Per esempio, oggi stiamo sperimentando che i vaccini disponibili sono efficaci in misura ridotta contro Omicron; sono migliaia e migliaia le persone vaccinate che comunque si sono infettate, anche se sembra fortunatamente che Omicron sia meno aggressivo della variante Delta. Ma questa situazione ci manda un segnale per il futuro: se arriveranno altre varianti maggiormente aggressive non è detto che i vaccini riusciranno a fermarle.

L’obiettivo che noi abbiamo adesso come campagna europea è lo stesso che hanno i movimenti di tutto il mondo: chiedere che l’Organizzazione Mondiale del Commercio si riunisca; la riunione prevista per il 30 novembre è stata rinviata a causa dell’impossibilità delle delegazioni di raggiungere Ginevra per via delle limitazioni sui voli a causa di Omicron; noi siamo sicuri che la decisione di sospensione momentanea dei brevetti possa essere assunta anche in una riunione online nella quale venga accolta la proposta di India e Sudafrica per una moratoria di tre anni. Nel frattempo, bisogna fare il possibile per modificare la posizione della Commissione Europea che è tale perché è sostenuta da diversi governi europei tra i quali Germania, Francia e Italia. Quindi il nostro governo ha un’enorme responsabilità e questo è il motivo anche dell’appello che, l’ultimo dell’anno, ho rivolto al Presidente del Consiglio Draghi chiedendogli un atto formale del Governo Italiano di appoggio alla proposta di moratoria, votato in Parlamento, approvato in Consiglio dei Ministri e formalizzato all’interno delle istituzioni europee.

A proposito del governo: un tuo commento sugli ultimi provvedimenti e sulla sua strategia generale.

Spesso sembra che le decisioni assunte dal governo rispondano a meccanismi di compatibilità politica dei partiti che formano il governo e alle pressioni di Confindustria ed altri settori economici.

Per esempio, la decisione di cancellare la quarantena per chi è venuto in contatto stretto con un positivo e ha fatto tre dosi di vaccino o greenpass rafforzato da meno di 4 mesi risponde a valutazioni politiche del governo ed è comprensibile che incontri il plauso di molte persone attualmente rinchiuse in casa. Ma dal punto di vista scientifico non ha alcuna giustificazione: gli oltre 126 mila positivi identificati qualche giorno fa, in sole 24h, non sono certamente stati tutti contagiati da non vaccinati e inoltre, a differenza di quanto avviene per i ricoverati in terapia intensiva e per i deceduti, per i positivi non vengano fornite le percentuali tra vaccinati e non vaccinati.

Ad infettarsi con la variante Omicron sono anche moltissime persone vaccinate tre volte, le quali, se è vero che raramente evolvono verso le fasi avanzate della malattia è altrettanto vero che diventano potenziali involontari propagatori dell’infezione. Con Omicron il massimo dell’infettività si ha nei 2-3 giorni precedenti alla comparsa dei sintomi e nei 2-3 giorni successivi; dal punto di vista scientifico avrebbe avuto quindi più senso ridurre il tempo di isolamento per chi è risultato positivo ma asintomatico e ridurre, senza azzerarla, la quarantena per i contatti. Ma a prevalere non sono state le considerazioni sanitarie ma le ragioni dell’economia o meglio dei padroni dell’economia e il rischio di veder crescere ulteriormente positivi e di conseguenza i ricoverati e i deceduti è concreto.

Il comitato tecnico-scientifico conosce queste evidenze e avrebbe dovuto considerarle; chi governa deve compiere delle scelte e assumersene le responsabilità senza però piegare la scienza ai suoi obiettivi.

Ma soprattutto è sbagliato pensare una strategia centrata solo sui vaccini: i vaccini svolgono un ruolo fondamentalema per bloccare o limitare la diffusione del virus da soli non sono sufficienti. E’ necessario insistere sul distanziamento, sull’uso delle mascherine che avevano raggiunto prezzi esorbitanti (prima che il governo finalmente stabilisse un prezzo fisso), rendere gratuiti i tamponi (il cui costo reale è di pochi euro) in modo tale che le persone possano sapere subito se sono infette. Sono misure di sanità pubblica fondamentali. Se invece i tamponi non si trovano e bisogna andare dai privati e pagarli 100-170€ e fare sei ore di coda in piedi al freddo, è evidente che meno persone andranno a fare il tampone e quindi rischieranno di infettare altri.

Ci sono anche altre misure di sanità pubblica che avrebbero dovuto essere praticate; hanno avuto un tempo lunghissimo per aumentare il numero dei mezzi di trasporto urbani e interurbani, ma nulla è stato fatto; avrebbero dovuto: potenziare il servizio di medicina del lavoro per andare almeno a verificare l’uso dei dispositivi di protezione individuale e il rispetto del distanziamento; incentivare lo smart working anziché criminalizzarlo; sdoppiare le classi pollaio, cercare altre aule, modificare gli orari. Nulla di tutto questo.

Per non parlare del fatto che ormai da oltre un mese si è totalmente rinunciato al contact tracing, cioè si è rinunciato a inseguire il virus. Tutta l’attività di medicina territoriale è stata ridotta ai minimi termini, i medici di famiglia sono stati totalmente abbandonati a se stessi.

Si punta solo e unicamente sul vaccino, ma il vaccino moltiplicherebbe la sua utilità se fosse inserito in una complessiva strategia di sanità pubblica.

La pandemia ha messo in evidenza tutte le decadenze di un sistema sanitario privatizzato: dove chiediamo di intervenire con forza per evitare futuri disastri?

Il disastro che una regione come la Lombardia ha sperimentato nella prima fase della pandemia, ma che sta sperimentando anche adesso, non è un fatto isolato: la Lombardia è semplicemente una delle regioni in Europa dove maggiormente il liberismo è penetrato all’interno della sanità e dove la salute è stata trasformata in merce. Fino a prima della pandemia era il modello a cui guardavano alcune forze politiche non solo di destra, ma anche che si collocano nel centro-sinistra.

Perché c’è stato il fallimento del modello lombardo e si sono evidenziati enormi limiti anche a livello nazionale nelle strategie di contrasto alla pandemia? I motivi sono tanti.

Primo: la forte penetrazione delle strutture private all’interno del servizio sanitario pubblico attraverso i meccanismi di accreditamento; il privato quando interviene in sanità, come in qualunque altro settore, ha l’obiettivo di costruire i profitti e questi in sanità si costruiscono sui malati e sulle malattie non sulle persone sane e sulla salute. Ha quindi un obiettivo diverso da quello del servizio sanitario pubblico in cui più si riesce a prevenire, più si riduce il numero dei malati e delle malattie, più lo Stato, cioè noi, risparmiamo. La conseguenza di questa forte presenza del privato nel servizio sanitario pubblico è che quest’ultimo si è andato modellando sempre più a somiglianza del modello privato, scegliendo di abbandonare a se stessi i servizi di prevenzione e la medicina territoriale, ignorando l’epidemiologia, non aggiornando il piano pandemico e lasciando unicamente sulla carta, ma non nella realtà, un piano di allertche fosse in grado di attivare immediatamente le necessarie indagini sanitarie ogni volta che giungesse dai medici del territorio la segnalazione della comparsa di una nuova patologia o il moltiplicarsi, senza un’apparente ragione, di alcuni quadri clinici.

Secondo: noi abbiamo un servizio sanitario concentrato quasi unicamente sulla cura e con un approccio totalmente individualizzato; la prevenzione quasi non esiste. La medicina negli ultimi 30-40anni ha avuto come obiettivi fondamentali aumentare l’attesa di vita e il numero di giorni trascorsi senza malattia degli ultrasessantacinquenni. Si è cercato di realizzare questi obiettivi unicamente attraverso interventi personalizzati puntando sullo sviluppo della chirurgia e di nuovi farmaci. Oggi, di fronte a una pandemia si riduce il numero dei morti se si interviene il prima possibile per evitare che l’agente infettivo si diffonda, limitandone la diffusione; per fare questo è necessario un rapporto stretto tra il servizio sanitario e la popolazione, tra i professionisti della salute e le strutture sociali intermedie, perché se si devono modificare dei comportamenti dei cittadini è fondamentale un rapporto stretto con le strutture organizzate nella società. Questo riguarda la pandemia, ma anche l’impatto delle tematiche ambientali sulla salute, dei tumori ecc. E’ necessario cambiare il paradigma della medicina.

Oggi bisogna potenziare la medicina di comunità che è fondata sull’individuazione dei bisogni sanitari di ogni popolazione, l’elaborazione di un progetto sanitario, l’individuazione degli obiettivi prioritari con la conseguente capacità di andare a verificare se questi obiettivi sono raggiunti o meno. Riprendere per capirci alcune delle intuizioni di “Nemesi Medica di Ivan Illich.

Se tutto questo non ci sarà, e così sembra da come vengono individuate le priorità sanitarie con i fondi del PNRR, rischieremo, nel caso di una nuova pandemia, di trovarci una situazione molto simile a quella attuale.

E’ risultato molto controverso il tema della vaccinazione a adolescenti e bambini. Quale la tua opinione a riguardo?

Nell’ultimo mese è stata fatta una campagna a tamburo battente perché venissero vaccinati i bambini dai 5 agli 11 anni; a fronte di una posizione assolutamente decisa in questa direzione della Società Italiana di Pediatria altre società pediatriche come quelle francese, tedesca, norvegese e varie realtà scientifiche europee hanno assunto posizioni molto diverse. Qual è il punto? Di fronte ad ogni provvedimento si devono valutare i rischi e i benefici per ogni specifica popolazione: i bambini ad oggi certamente si infettano, ma è rarissimo che sviluppino dei sintomi ed è ancora più raro che possono evolvere verso malattia grave; dall’inizio della pandemia i bambini tra i 5 e gli 11 anni deceduti per Covid sono 9 e nella quasi totalità erano bambini con altre gravi precedenti patologie. L’infezione da Coronavirus-19 nei bambini si presenta in genere in modo completamente asintomatico e sono rarissime e comunque clinicamente trattabili, altre patologie infiammatorie che si potrebbero sviluppare nei bambini a causa del Covid.

D’altra parte, la sperimentazione presentata dalla Pfizer ha coinvolto un numero estremamente limitato di bambini, poco più di 2,000, ed è durato pochi mesi; infatti la stessa Pfizer in un suo documento afferma “Il numero di partecipanti all’attuale programma di sviluppo clinico è troppo piccolo per rilevare eventuali rischi potenziali di miocardite associati alla vaccinazione. La sicurezza a lungo termine del vaccino COVID-19 nei partecipanti da 5-12 anni di età sarà studiato in 5 studi sulla sicurezza dopo l’autorizzazione, compreso uno studio di follow-up di 5 anni per valutare a lungo termine sequele di miocardite/pericardite post-vaccinazione” ; queste frasi sono presenti nel documento che l’azienda farmaceutica ha consegnato a EMA e a FDA (gli enti che in Europa e negli USA approvano l’immissione sul mercato di farmaci e vaccini). Stiamo parlando di una popolazione, i bambini, il cui organismo è in una fase di grande crescita e sviluppo, con caratteristiche differenti dal corpo di un adulto; il principio di precauzione non può essere ignorato.

Non mi pare quindi che per la popolazione tra i 5 e gli 11 anni vi siano forti evidenze che i benefici superino i rischi.

Vari colleghi, pur condividendo queste mie perplessità, obiettano che si debbano vaccinare i bambini per evitare che costoro poi infettino gli adulti; ma in questo caso l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di raggiungere i milioni di adulti che non si sono vaccinati e di convincerli.

La logica di vaccinare i bambini per evitare che trasmettano l’infezione ad un adulto, al di là delle possibili valutazioni etiche, perde gran parte delle sue ragioni, di fronte ai i dati di questi giorni, con migliaia di persone vaccinate che si sono infettate. Il vaccino è invece estremamente utile nel bloccare la progressione della malattia nelle persone positive; per questo l’obiettivo prioritario deve restare quello di vaccinare tutti coloro che potenzialmente potrebbero evolvere verso le fasi avanzate della malattia e come abbiamo detto, i bambini sono quelli che rischiano molto meno di tutti gli altri.

Questo non significa rifiutare a priori la vaccinazione dei bambini, ma aspettare che siano pubblicati i risultati di ricerche più vaste e più approfondite.

Ad oggi si potrebbe proporre la vaccinazione a tutti i bambini che hanno delle fragilità o delle altre gravi patologie, per i quali il Covid potrebbe rappresentare un rischio significativo.

Resto perplesso quando vedo gran parte del mondo scientifico italiano invocare, senza porsi nessun interrogativo scientifico e senza valutare i pro e i contro, la vaccinazione dei bambini come una delle soluzioni alla situazione attuale, mentre mi pare evidente che le priorità per contrastare il virus, oggi dovrebbero essere altre.

Ultima questione. Sono fermamente convinto che tutte le società scientifiche che sono chiamate a pronunciarsi, a fornire indicazioni, ad elaborare linee guida sulle terapie non dovrebbero ricevere fondi da aziende farmaceutiche che producono farmaci relativi alle patologie delle quali loro si occupano. Sarebbe un importante contributo per un dibattito più trasparente al riparo da qualunque conflitto d’interesse.

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Draghi, lupi, faine e sciacalli – di Marco Revelli

FONTE VOLERELALUNA .IT

Questo articolo di Marco Revelli è stato pubblicato il 29 marzo 2020, Lo riprendiamo ora, per opportuna conoscenza 

 

“Meglio tardi che mai” verrebbe da dire a proposito dell’ormai celeberrimo intervento di Mario Draghi sul “Financial Times” del 25 marzo sotto il titolo potentissimo: We face a war against coronavirus and must mobilise accordingly. Ma cosa pensare davvero, di questo neopensionato governatore della Banca centrale europea che mette in campo un linguaggio di stampo keynesiano (il Keynes delle celeberrime considerazioni su Le conseguenze economiche della pace del 1919) dopo essere stato per decenni attento “custode dei cancelli” del credo ultraliberista egemone?
E’ un Draghi che ritorna alle origini, giovane assistente del prof. Federico Caffè, uno dei padri del keynesismo italiano, dopo una brillante tesi di laurea su “Integrazione economica e variazioni dei tassi di cambio” discussa con lui relatore alla Sapienza e premiata magna cum laude? O è il Draghi della sua seconda (molto più lunga) vita, spesa nel cuore delle roccaforti finanziarie globali? Certo, il suo curriculum accademico è ragguardevole (nel 1981 ad appena 33 anni è ordinario di Economia e politica monetaria a Firenze), ma è l’altro, quello finanziario, sicuramente molto più denso, e “visibile”, a segnarne il profilo. Ed è un profilo che sicuramente con gli ideali keynesiani della giovinezza ha assai poco a che fare.

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Aria di tempesta – di Gianni Giovannelli

Autore Gianni Giovanelli che ringraziamo

Fonte Effimera

Per questo bisognerebbe anzitutto

che le masse  europee

decidessero di svegliarsi,

si scuotessero il cervello e cessassero

di giocare al gioco irresponsabile

della bella addormentata nel bosco.

Frantz Fanon, I dannati della terra

(Traduzione di Carlo Cignetti, Einaudi, 1962, p. 85)

 

Accadono strane cose, contraddittorie e difficili da ricondurre all’interno di un disegno politico unitario, di un progetto complessivo capace di riunire l’intera compagine che detiene il potere. Certamente tuttavia, e sul punto non ci possono essere dubbi, siamo alla vigilia di un mutamento. La transizione era gia iniziata, con l’ingresso impetuoso della comunicazione informatica e la profonda modifica del tradizionale rapporto di forza che caratterizzava lo scontro di classe. La sempre più rapida diffusione della condizione precaria e il susseguirsi di crisi finanziarie, già negli anni scorsi, hanno poi reso visibile l’inadeguatezza delle strutture di gestione governativa, di controllo sociale nel territorio, di organizzazione produttiva, dei movimenti migratori. Dopo il crollo della vecchia Unione Sovietica il comunismo cinese è rimasto autoritario, ma si è sviluppato in una nuova forma di capitalismo ibrido, finanziario, manageriale, con un ramificato controllo statale di ogni comunità e di ogni territorio; altri paesi di minore dimensione hanno percorso strade analoghe. Nelle democrazie liberali del cosiddetto Occidente  sono comparsi movimenti reazionari, nazionalsovranisti, non di rado apertamente razzisti, con un notevole consenso elettorale che ha consentito il loro ingresso al governo; Trump negli Stati Uniti, Orban in Ungheria e Kaczynski in Polonia hanno vinto grazie al voto popolare ottenuto mescolando i sussidi alla xenofobia prepotente. In Asia, Africa e America Latina dittature, esperimenti fragili di socialdemocrazia, guerre, neocolonialismo feroce compongono nel loro insieme un variegato mosaico, mobile e senza coerenza. Nel gran disordine mondiale i progetti di un nuovo ordine erano davvero tanti, nascevano e morivano in breve volger di tempo, senza quasi lasciar traccia del loro effimero esistere.

 

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La destra avanza, il paese arretra

FONTE AREAONLINE.CH 

di Loris Campetti

E sette. Dalle politiche dello scorso anno le sconfitte accumulate dal centrosinistra nelle regionali aumentano, senza alcun segnale in controtendenza.

Dopo aver perso Friuli, Abruzzo, Sardegna, le province autonome di Trento e Bolzano, Molise, l’ultimo schiaffo al Pd è arrivato dalle urne della Basilicata, una regione da sempre governata dal centrosinistra, passata anch’essa alla destra trainata dal solito Salvini. Come in Sardegna, al boom della Lega fa da contraltare il crollo verticale del M5S i cui voti in 13 mesi sono più che dimezzati ovunque si sia votato, ma Di Maio si dice contento perché è cresciuto rispetto alle ultime amministrative, quando il cielo sopra l’Italia era di tutt’altro colore. Anche un Pd in viaggio verso l’estinzione finge di essere soddisfatto, il nuovo segretario Zingaretti, che pure non sembra far uso di allucinogeni, vede segnali di ripresa. C’è chi, a sinistra, si interroga amaramente: avremmo forse gioito se in Basilicata, invece della destra avesse vinto il candidato del centrosinistra, ex fascista ed ex Forza Italia che continua a bearsi riascoltando all’infinito i comizi del suo beniamino, Giorgio Almirante?

L’altra Italia, invece, lasciata sola dalla politica continua a lanciare segnali di vita. Una grande manifestazione a Verona, promossa dal movimento femminista, da molte associazioni della società civile e dalla Cgil scesa in piazza schierando l’intera nuova segreteria, ha detto che i diritti delle donne non si toccano e le conquiste civili, il divorzio e l’aborto, sono insindacabili. È stata una risposta imponente alla kermesse internazionale pro-vita e per la “famiglia tradizionale” lanciata dall’estrema destra americana ed europea, sostenuta persino da Forza Nuova, tenuta a battesimo da Salvini e altri due ministri leghisti. Il gadget distribuito ai congressisti era un feto di plastica. La risposta democratica di massa, animata da giovani donne e uomini di ogni tendenza sessuale, ha costretto i pentastellati a prendere le distanze dalla provocazione internazionale imponendo il ritiro del patrocinio all’iniziativa medievale da parte di Palazzo Chigi e a promettere il blocco della legge Pillon che vorrebbe riconsegnare al maschio tutto il potere in famiglia. Fra gli striscioni più applauditi quello ironico che recitava “Le famiglie a Verona rompevano i coglioni anche ai tempi di Giulietta e Romeo”, con riferimento alla storia d’amore, cantata da Dante e messa in scena da Shakespeare, stroncata dalle famiglie rivali dei Montecchi e dei Capuleti.

Le due Italie sono divise su tutto, cioè sull’idea stessa di società e relazioni umane. Peccato che la prima abbia in mano tutte le leve del comando in quella che il vecchio socialista Pietro Nenni chiamava la stanza dei bottoni. C’è un governo a due punte, una aguzza e l’altra spuntata, basato sul litigio continuo e tenuto in vita dal fascino del potere da spartirsi, auto blu comprese, e non c’è un’opposizione politica. Quando Di Maio crolla nei sondaggi viene difeso da Salvini che così protegge il suo portatore d’acqua e di voti. Ogni tanto il cavallo ruffiano si scuote e, dopo aver fatto passare il Far West in nome della difesa della proprietà dal nemico straniero, blocca la castrazione chimica e poco d’altro.

L’altra Italia

L’altra Italia si prepara invece a una grande manifestazione per l’introduzione dello jus soli, cioè il diritto alla cittadinanza per un milione di italiani nati da genitori stranieri. Per Salvini e a seguire Di Maio solo gli eroi tra questi giovani hanno diritto alla cittadinanza, togliendola in cambio a chi si macchia di reati. Tutti gli altri per il nostro governo continuano ad avere il sangue infetto.

Recessione e povertà

Per la maggioranza degli italiani, per qualsiasi delle due Italie facciano il tifo, la qualità della vita peggiora dentro una crisi economica interminabile. Il Pil crolla per motivi esogeni (il rallentamento della Cina e i dazi di Trump) ed endogeni (le politiche liberiste del governo giallo-verde in continuità con quelle dei governi precedenti), il paese è in recessione, la povertà cresce così come la disoccupazione che sfiora l’11 per cento, mentre quella giovanile è al 33 per cento. Aumentano i falsi autonomi e crollano i contratti a tempo indeterminato. Ma di questo sembrano preoccuparsi in pochi al governo e all’opposizione, l’impegno maggiore è alla formazione delle liste per le elezioni europee di maggio.

Le macerie della sinistra

Fonte: Sbilanciamoci

L’Italia del dopovoto/ La sinistra è stata sconfitta nelle urne perché non è stata credibile. LeU è progetto sconfitto, ma resta l’esigenza della costruzione di una forza unitaria di sinistra.

Alle elezioni del 4 marzo il 60% degli operai ha votato per la Lega e i Cinque Stelle, così come le zone del paese –tra tutte il Sud– che vivono condizioni di povertà, esclusione e disagio sociale. Il 90% di chi ha lasciato il Pd, si è rivolto ai Cinque Stelle e non a Liberi e Uguali. Le elezioni del 4 marzo ci consegnano una maggioranza: anti-establishment.

 Un paese, assediato dalla povertà e dalla paura – come ricorda Mario Pianta – ha scelto il cambiamento, che non è stato rappresentato dalla sinistra ma dalla Lega populista e da una nebulosa ambigua come i Cinque Stelle che mescolano messaggi di destra e di sinistra, di radicale innovazione e di rincorsa rancorosa dell’Italietta strapaese, di partecipazione dal basso e manipolazione dall’alto.
 
Il Mezzogiorno è da anni abbandonato a sé stesso e si è vendicato. Idem i giovani, e così gli operai. In un paese dove non ci sono più corpi intermedi capaci di avere antenne nella società e produrre consenso elettorale (e sociale) significativo – mentre i partiti sono comitati elettorali senza radici (partiti senza società direbbe Diamanti) – tutto diventa complicato.

“Inchiesta, ricerca, studio. Dalla ruota del criceto si può uscire”. Intervento di Gianni Marchetto

E adesso, che si fa? Aspettiamo il prossimo giro: tanto una volta l’anno si va a votare. A Venaria per avere 1 consigliere, 2 se ci va di culo…
Avete in mente un criceto. È un animaletto grazioso ma (forse) anche un po’ stupidello. Mettetelo all’interno di un “girello” e lui correrà come un matto, pur rimanendo sempre nello stesso posto.
A me sembra che la sedicente sinistra radicale sia un po’ come il criceto nel girello. Corre sempre (ad ogni appuntamento elettorale) ed è sempre ferma, inchiodata lì sul 3%, e questo da quel dì: dal 2008 (Lista Arcobaleno).
Essendo però affare di umani si potrebbe declinare tale comportamento utilizzando alcune categorie che ci può prestare la psicanalisi: “la coazione a ripetere”.
Epperò: essendo degli umani provvisti di cervello, memoria, cultura potremmo decidere di uscire fuori dal “girello” e guardarsi intorno per guardare alle cose, agli uomini e ai loro modelli culturali (accorgendosi che se non è già cambiato, questo mondo sta’ cambiando) e non avere sempre la “fissa” di riempire la testa dei nostri interlocutori delle nostre idee, quasi che queste teste siano delle “vasche vuote” in attesa di essere riempite con il nostro verbo di “sapienti”. Non è così. Le teste sono piene, magari di cazzate, ma occorre farci i conti con un salutare “corpo a corpo”.
Sapendo che (forse) la democrazia rappresentativa ha “esaurito la sua spinta propulsiva” dopo essere stata per un secolo un formidabile ascensore sociale specie per le classi meno abbienti. Può essere questo uno degli effetti della “globalizzazione” che ha messo in mano a tecnici e burocrati le sorti di milioni e milioni di persone il cui destino almeno nel breve periodo è di essere governati dai “piloti automatici” e/o da gabellieri eletti/nominati (gli attuali rappresentanti nei vari gradi delle assemblee elettive). Tutta gente che manco sappiamo dove abitano, dove non sappiamo più dove sono le loro finestre a cui lanciare le nostre sassate.

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Sergio Caserta: Sinistra anno zero. Dalla disfatta identitaria all’inizio di un dialogo per il futuro

FONTE INCHIESTAONLINE.IT

 

Diffondiamo da il manifesto bologna in rete del 9 maarzo 2018

La Waterloo elettorale del 4 marzo che ha travolto la sinistra italiana nel suo insieme apre la strada a scenari politici inediti e inquietanti. Per la prima volta dal dopoguerra non esiste in parlamento e nemmeno nel Paese una forza politica dichiaratamente di sinistra, in grado di esprimere alcuna rilevante influenza sulle scelte fondamentali. Gramsci coniò il termine “egemonia” per indicare quel processo fatto di lotta e di cultura che doveva portare “l’intellettuale collettivo” ovvero il Partito alla presa del potere.

Oggi assistiamo al suo opposto, alla disfatta identitaria: quel che ha smarrito la sinistra in capacità d’interpretazione e rappresentazione della realtà è perfino peggio dei milioni di voti persi. La sconfitta viene da lontano e non riguarda solo l’Italia, ma l’intera Europa e il mondo occidentale, nel nostro Paese però ha assunto i caratteri di una ritirata generale: la sinistra è prima scomparsa dai luoghi di lavoro, poi da quelli di cultura, dai suoi insediamenti tradizionali, dalle vecchie e nuove periferie, si è trincerata nei talk show e nei salotti della borghesia e della finanza fintanto che la finzione ha retto, ora il re è nudo e non c’è alibi che tenga.

I risultati elettorali suonano come una campana a morto, senza differenze nemmeno tra cosiddetti moderati e radicali. Il PD che non si definiva nemmeno più di sinistra, si riduce a giocare come terzo in parlamento tra M5S e Coalizione di destra, dovendo obtorto collo ingoiare, Renzi o non Renzi, il boccone amaro di reggere con i suoi voti per responsabilità verso il Paese il raggruppamento cui verrà conferito l’incarico di governo, pena elezioni anticipate.

Come paiono lontani i giorni dell’avvento del ragazzo di Firenze che doveva rottamare tutto il vecchio della politica a sinistra: come l’apprendista stregone, fagocitato dalla sua bramosia di potere, ha distrutto l’intera impalcatura su cui era poggiato e sopra di lui ora sono solo rovine.

Le altre compagini di sinistra animate dell’intento di costruire un’alternativa sono state bocciate dalle urne perché risultanti poco credibili, di fronte alla vera fame di cambiamento dell’elettorato, cosicché delle falangi in lotta non resta che un cumulo di macerie fumanti. Ora si tratta di compiere se possibile, chi ne avrà la capacità(?), un’approfondita analisi dei fatti, vestirsi dei panni autentici dell’umiltà e ricominciare se ci sarà la dignità, a lavorare veramente dal basso per ricostruire una tram.

Sembra impossibile perché un vuoto abnorme s’è aperto davanti alla sinistra, il vuoto della mancanza assoluta di riferimenti sociali, prima ancora che politici. Occorrerebbero dei Francesco, inteso come il papa, che riescano a riaprire un dialogo autentico, che vadano a vivere vicino dove la gente soffre e a occuparsi di loro, e poi studiare, cercare di capire cosa sta accadendo nel mondo per impossessarsi di un linguaggio autentico che non può essere più quello semplicisticamente mutuato dai social network con cui ha pensato di abbindolare il Paese l’autocrate fiorentino.

Insomma è sinistra anno zero, come il titolo dell’incontro promosso dal manifesto in rete a Bologna, lunedì 12 marzo al centro sociale Giorgio Costa, alle 20.45, con la partecipazione di Nadia Urbinati, eminente politologa e altri compagni per un primo confronto a più voci sul presente e sui difficili scenari del futuro.

Perché le proposte di Emma Bonino finirebbero per distruggere economia e diritti sociali

FONTE PRESSENZA.COM

La prima proposta, per ridurre addirittura di 22 punti percentuali il debito, è di bloccare “la spesa pubblica primaria nominale” al livello del 2017 per 5 anni.

Che cos’è la spesa pubblica primaria?
È la spesa pubblica al netto della spesa per interessi sul debito pubblico, cioè si tratta della spesa per far funzionare la macchina statale e distribuire servizi sociali e contributi alle famiglie. Che si tratti di spesa nominale vuol dire che non si considera l’aumento dovuto all’inflazione. In pratica, se blocco la mia spesa ai 100 euro del 2017, nel 2022 continuerò a spendere 100 euro, anche se con quella somma potrò comprare meno beni e servizi, perché nel frattempo il prezzo di acquisto è aumentato. È abbastanza semplice capire che, sebbene l’inflazione sia bassa, Bonino propone di diminuire l’importo reale della spesa, che già oggi è insufficiente a garantire adeguati servizi a tutti i cittadini, ad esempio nella sanità, nell’istruzione, nei trasporti, eccetera.
Ma c’è un’altra questione importante: la crescita del debito non dipende dalla spesa primaria.

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La sinistra candidata alla sconfitta certa

FONTE AREA7.CH

di Loris Campetti

Sesto San Giovanni, Monfalcone, Torino, Genova. Sesto con la Breda, la Falk, la Marelli era la Stalingrado d’Italia, Monfalcone con i suoi cantierini era più rossa della Jugoslavia di Tito, Torino era la classe operaia italiana per eccellenza, nord e sud uniti nella lotta e la croce su falce e martello. Genova e i camalli del porto che indossano ancora le magliette a strisce della rivolta antifascista del 1960. Le roccheforti della sinistra sono crollate alle ultime elezioni come castelli di sabbia, senza essere bombardate, il nord è smottato, il campo viene occupato dal nemico.

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Chi vota a sinistra aiuta la destra? Macché

fonte striscia rossa.it

Il Pd ha scelto di condurre la campagna elettorale per il voto del 4 marzo puntando sostanzialmente su due messaggi. Il primo racconta che nel favoloso mondo italiano va tutto bene, c’è lavoro e c’è benessere, grazie al governo Renzi e a quello Gentiloni (Letta, in castigo): ce lo dicono ogni giorno i volti dem mandati in tv a commentare ogni piccolo dato economico che abbia il segno più.
Il secondo racconta invece che per non far vincere gli altri (ma come, con una legge elettorale così bislacca?) c’è bisogno di fare scelte chiare, di non disperdere i voti, e insomma bisogna votare per il partito più grande perché chi vota a sinistra del Pd favorisce di volta in volta Berlusconi o Salvini e Meloni oppure Di Maio.

Sul primo messaggio qualunque bravo appassionato di comunicazione può spiegare a Renzi e ai suoi che raccontare un paese che non c’è è un madornale errore che può avere l’effetto contrario di quello che si vorrebbe. Perché se è vero che le cose vanno un po’ meglio (e un po’lo dice, con la sua tranquillizzante flemma, persino il presidente del Consiglio) c’è però ancora tanto da fare. E, per chi vive ancora con seri problemi sulle spalle – basti pensare a quei giovani sfruttati che lavorano per qualche centinaio di euro al mese e finiscono in blocco nel milione di posti creati da Renzi – sentirsi dire che stiamo tutti bene non deve essere così piacevole e forse può provocare anche un po’ di irritazione.

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La sinistra, la comparsa e scomparsa di formazioni: a che limite si è arrivati?

di Sergio Caserta

fonte ilmanifestobologna

Il ritiro dalla scena elettorale di Pisapia di “campo progressista”, tentennante fino dall’insorgere del suo “movimento” con le sembianze dell’anti leader che nel nostro paese non ha molta fortuna da una paio di decenni e più, segue quella altrettanto clamorosa dei due “costituenti” Anna Falcone e Tomaso Montanari, promotori “civici” della bella assemblea del Brancaccio, poi naufragata dopo incerta navigazione nell’arcipelago rosso della frammentata sinistra, irto di scogli e secche che metterebbe in difficoltà ben più esperti navigatori della politica nostrana.

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E’ uscito il numero 101 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui: 
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n101-s.pdf

In questo numero:

La verità sul sindacato e sulle tessere
di Mimmo Carrieri

Besostri: “Anche il Rosatellum è incostituzionale. Il voto non è libero, uguale e personale””
di Silvio Buzzanca

Rosatellum bis: la nuova legge elettorale. Ecco come funziona (la scheda)
di Alessio Sgherza

Intervista a Lee Carter. Il socialismo in America con Bernie Sanders
di Sara Ligutti

Buona lettura e diffondete!

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Sul SITO di PUNTO ROSSO
puoi scaricare il dibattito “Dove va il Brasile? E la sinistra brasiliana?”
con Armando Boito (Università di San Paolo) che si è svolto l’11 ottobre 2017
http://www.puntorosso.it/dibattiti.html

PERCHÈ SIAMO TUTTI IN PERICOLO

 

Pier Paolo Pasolini a Furio Colombo

 

Il suo testamento, le sue parole che oggi pesano come macigni.
Quelle che pronunciò nelle ultime ore della sua vita.
Era Furio Colombo a raccoglierle per un’intervista che non fu mai completata e che oggi ci racconta di noi stessi.
Solo con 42 anni di anticipo.

 

 

Nel pomeriggio del  1° novembre 1975 Pasolini rilasciò a Furio Colombo un’intervista di cui pensò anche il titolo: “Siamo tutti in pericolo”. Avrebbe dovuto rivederla il giorno dopo, ma il destino volle diversamente. L’intervista, uscita poi l’8 novembre 1975  su “La Stampa-Tuttolibri”, fu riproposta con una premessa di Furio Colombo su “l’Unità” del 9 maggio 2005. Il testo è leggibile anche nel volume Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti e S. De Laude, “Meridiani” Mondadori, Milano 1999, pp. 1723-1730)

“Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre, fra le 4 e le 6 del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato.
Voglio precisare che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è suo, non mio. Infatti alla fine della conversazione, che spesso, come in passato, ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista.
Ci ha pensato un po’, ha detto che non aveva importanza, ha cambiato discorso, poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento di fondo che appare continuamente nelle risposte che seguono. «Ecco il seme, il senso di tutto – ha detto – Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo tutti in pericolo”».” (Furio Colombo)

Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il discorso io dirò «la situazione», e tu sai che intendo parlare della scena contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La «situazione» con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della «situazione». Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi? Intendo mezzi espressivi, intendo…

Sì, ho capito. Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro, ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso). In grande l’esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, «assurdo», non di buon senso. Eichmann, caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici: a me quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina. Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu dici, «la situazione», e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo.

Ecco, descrivi allora la «situazione». Tu sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere (o capire) poco.

Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di li, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E facile, è semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi ci organizzeremo e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo so che quando trasmettono in televisione Parigi brucia tutti sono lì con le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta, bella, pulita (un frutto del tempo è che «lava» le cose, come la facciata delle case). Semplice, io di qua, tu di là. Non scherziamo sul sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato per «scegliere». Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia). Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora» (mettiamo alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa dal «potere»?

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Intervista di Roberto Giovannini della Rivista Italiani Europei a Maurizio Landini

Su Italianieuropei sterminata e interessante intervista di Roberto Giovannini a Maurizio Landini

Roberto Giovannini: Maurizio Landini, dopo tanti anni in FIOM – tante discussioni, tante polemiche, tante prese di posizione, tante con­troversie – adesso lei è segretario confederale della CGIL. Ma la CGIL, e il sindacato così come lo conosciamo in Italia, esisterà ancora tra dieci anni, nel 2027?

Maurizio Landini Sono in crisi tutte le organizzazioni di rappresen­tanza sociale, sia quelle politiche che quelle sindacali, e sta cambian­do in modo radicale il modo in cui operano imprese e produzione. Nulla sarà più come prima. Mai come oggi abbiamo tanta precarietà del lavoro, tanta diseguaglianza, tanta frammentazione sociale, tanta competizione tra le persone. E dall’altra parte – questo è il tema – non c’è più un punto di vista del lavoro, una visione alternativa della società, mentre c’è e predomina il punto di vista del mercato e della finanza. In prospettiva, certamente il sindacato ha un futuro; ma deve avere un modello sociale di riferimento. Se chiediamo ai lavoratori di organizzarsi in sindacato, non basta dire che il sindacato serve per tutelare le loro condizioni di lavoro. Bisogna proporre anche un progetto di trasformazione sociale, un’idea diversa di giustizia so­ciale, di eguaglianza. Bisogna avere un’idea del perché e del come si lavora e si produce; bisogna avere un’idea di reale coinvolgimento e partecipazione delle persone. Si è scelta la strada di lasciar fare al mercato; si è lasciata vincere – nella cultura e nella politica – l’idea che al centro di tutto ci sono il mercato e la finanza. Questo ha fat­to scomparire la soggettività delle persone che lavorano, e dunque ha cancellato ogni punto di vista diverso e di trasformazione. Sono convinto, sinceramente, che il sindacato possa avere un futuro; ma lo avrà solo se sarà anche un soggetto politico, cioè se avrà valori e proposte di trasformazione sociale in autonomia e indipendenza da politica e governi.

R. G. Una storia, quella del sindacato in Europa, che da sempre si è intrecciata a quella del movimento socialista. Che oggi appare ovunque in grave crisi.

M. L. È così. Dopo la fine dell’esperienza “comunista”, oggi siamo alla fine anche dell’esperienza della socialdemocrazia, ovvero di quel modello di mediazione sociale tra imprese e lavoro che aveva dato vita allo Stato sociale. Lo dimostra il fatto che siamo di fronte a un arretramento senza precedenti delle condizioni di vita delle persone che lavorano. Per avere un futuro, il sindacato deve tornare a rap­presentare e unire tutto il mondo del lavoro, e costruire su questa base una cultura politica e sociale alternativa all’attuale modello che ha al centro mercato e finanza. Per farmi capire meglio vorrei citare la vicenda dell’approvazione nel 1970 dello Statuto dei lavoratori. La legge 300 non venne approvata perché sostenuta dalle forze di sinistra – il Partito comunista si astenne – ma perché votata da DC, PSI, PLI, PRI e PSDI, che avevano una larga maggioranza in Parla­mento. Nel 1970 anche le forze politiche di destra e di centro votano lo Statuto dei diritti dei lavoratori perché riconoscono che uno dei nostri principi costituzionali, la centralità dei diritti della persona che lavora, è un interesse generale da riconoscere e tutelare. E solo successivamente si articola la politica, a destra, a sinistra o al centro. Oggi siamo al paradosso che un partito come il PD, che fa parte dell’Internazionale socialista, sancisce che la cosa più di sinistra che può fare è il Jobs Act, una legge che smantella lo Statuto dei diritti dei lavoratori. E mentre nel 1970 si affermava che si poteva licen­ziare solo se c’era una giusta causa, si riconosceva che il lavoro aveva bisogno di tutele, e che il ruolo sociale dell’impresa doveva essere temperato dal rispetto dei diritti di chi lavora, oggi si giunge quasi a teorizzare che va tutelata l’impresa che licenzia. Prima il lavoratore veniva tutelato dal licenziamento ingiusto; oggi viene tutelata l’im­presa, che può disporre un licenziamento ingiusto sborsando un po’ di soldi. Un cambiamento culturale davvero drammatico.

R. G. Dunque, il sindacato secondo lei ha un futuro; ma deve riuscire a unificare il mondo del lavoro, ed elaborare un progetto di trasformazione della società. Non sembra affatto un compito facile: il lavoro e la società sono frantumati e disarticolati, e l’esperienza socialdemocratica – che è stata il suo punto di ancoraggio tradizionale – è tramontata. Il sinda­cato confederale resta impostato su un modello novecentesco e datato. La CGIL ha le risorse per fare il salto di qualità che lei indicava come indispensabile per poter sopravvivere?

M. L. Credo di sì, purché si cominci ad agire sin dal Congresso che avremo tra un anno. Non basta un rinnovamento delle persone che dirigono la CGIL, ma serve anche un rinnovamento delle pratiche sindacali, partendo dal rafforzamento di alcune caratteristiche im­portanti del sindacato italiano, che hanno fatto sì che ancora oggi – mentre un po’ dappertutto il tasso di sindacalizzazione è in forte calo – nel nostro paese i numeri sulle adesioni siano migliori. Da noi le cose vanno meglio perché il sistema di relazioni industriali si basa su una struttura contrattuale fondata sui contratti nazionali di categoria e sulla contrattazione aziendale. Sappiamo molto bene che questo modello contrattuale è minacciato dalla frammentazione del processo lavorativo: penso alle esternalizzazioni, al sistema degli appalti e dei subappalti, al proliferare di cosiddette “cooperative”. Al fatto che le tecnologie che intrecciano il digitale e la manifattura cambiano il perimetro delle tradizionali categorie produttive sulla cui base è ancora oggi organizzato il sindacato. Per reggere a questo cambiamento, dobbiamo essere in grado di riunificare in capo alle persone i diritti di chi lavora. Non basta immaginare una nuova le­gislazione sul lavoro e un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori, che pure dobbiamo conquistare.

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Jeremy Corbyn: “E’ vero, i laburisti minacciano di distruggere l’attuale modello economico”

 

FONTE PRESSENZA.COM

 In un discorso tenuto sabato scorso alla “Cooperative Party Conference” Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista britannico, ha toccato molti importanti temi di politica nazionale e internazionale. Il testo completo si può leggere qui.

Riportiamo di seguito le parti più significative del suo discorso.

“Abbiamo bisogno di valori cooperativi nel paese e all’estero” ha detto. “Viviamo in un mondo lacerato dai conflitti, spronato dall’ego e da ambizioni neo-imperiali. Non è mai stato così importante ribadire la nostra adesione alla Carta delle Nazioni Unite, la cui terza clausola sostiene l’obiettivo di risolvere i problemi internazionali attraverso la cooperazione internazionale.

Con i problemi che ci troviamo davanti – proliferazione nucleare, cambiamento climatico, crisi globale dei rifugiati, crisi umanitarie in Siria, Yemen e Myanmar con i Rohingya – una visione  globale basata sui principi cooperativi è oggi più necessaria che mai. Che si tratti di Donald Trump o di Kim Jong, le posizioni da macho devono lasciare il posto a una collaborazione calma e razionale. In tutto il mondo le cooperative svolgono un ruolo fondamentale per stimolare lo sviluppo, dare potere alle donne e unire le comunità. Oggi oltre un miliardo di persone ne fanno parte e io sono fiero di essere uno di loro”.

Ha poi riconosciuto che l’accusa del Cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond è vera. Sì, i laburisti minacciano di distruggere l’attuale modello economico, un sistema che sfrutta la maggioranza per i profitti di una minoranza, che i conservatori vogliono difendere per mantenere i privilegi di pochi.

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Riccardo Petrella: C’è vita a sinistra? Immaginazione e utopia lasciate all’avversario

 

Diffondiamo da ilmanifesto.it del 16 ottobre 2017

 

 

 

 

Autore Riccardo Petrella

fonte INCHIESTAONLINE.INFO

C’è vita a sinistra? C’è vita se  c’è capacità utopica, dove per utopia s’intende anche l’immaginazione di “luoghi di vita” buoni, desiderati, da realizzare. La sinistra – l’insieme delle forze sociali organizzate anche piano politico al servizio dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani rispetto a diritti e dignità – ha purtroppo sperimentato a sue spese la perdita di immaginazione e capacità utopica.

I gruppi dominanti sono riusciti, a partire dagli anni ’70, ad imporre nuovamente la loro narrazione della vita, della società e del mondo. E per due ragioni principali. Da un lato, ritornati al potere all’epoca di Reagan e Thatcher, hanno operato una massiccia de-costruzione ideologica e sociale dello Stato del welfare. Dall’altro, non avendo sviluppato una visione politica autonoma della scienza e della tecnologia, la sinistra non ha potuto giocare alcun ruolo innovatore influente sulle strategie di controllo ed uso delle nuove tecnologie del vivente, cognitive, dell’informazione e della comunicazione, energetiche e delle tecnologie dei materiali, sulla base delle quali l’economia mondiale e le società “sviluppate” sono state profondamente ristrutturate.

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E’ uscito il numero 95 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n95-s.pdf

In questo numero:

Le false illusioni del mercato del lavoro
di Ciccio De Sellero

Il capolavoro di Minniti
di Alessandro Giglioli

L’estate in cui l’Italia oltrepassò il Rubicone del razzismo
di Peppino Caldarola

Gli accordi di Parigi e la scomparsa dei cambiamenti climatici
di Raffaele Salinari

Venezuela, l’opposizione si spacca e fa arrabbiare El País
di Gennaro Carotenuto

Buona lettura e diffondete!

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Referendum “autonomista” in Lombardia, federalismo fiscale, regionalismo.
Milano 24 luglio 2017. Interessante seminario di Articolo 1 Lombardia con una introduzione di Onorio Rosati sull’iter del referendum, del prof. Alessandro Santoro sul cosiddetto federalismo fiscale e della prof.essa Maria Agostina Cabiddu sugli aspetti costituzionali e giuridici. Molto utile per orientarsi in vista della data del 22 ottobre quando in Lombardia e Veneto ci sarà il referendum…
http://www.puntorosso.it/seminari.html

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NUMERO 3 della RIVISTA di Punto Rosso-Lavoro21 – LUGLIO 2017
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-rivista-numero3-s.pdf

Ultimo treno a sinistra: Anna Falcone risponde a Norma Rangeri

FONTE NUOVATLANTIDE

 

Anna Falcone ha risposto sulla propria pagina facebook all’editoriale di Norma Rangeri su Il Manifesto di oggi “Ultimo treno a sinistra”

Cara Norma, è proprio durante l’incontro promosso dal Manifesto che ho lanciato la proposta di una grande assemblea programmatica della Sinistra, quella che non c’è ancora e che avrebbe davanti a sé praterie di consensi, se solo si concentrasse su: attuazione della Costituzione, superamento delle diseguaglianze, lavoro, “golden rule” e piano di innovazione e riconversione energetica del Paese promosso dallo Stato, l’unico soggetto che può farci uscire dalla crisi investendo sulle risorse, il territorio, le eccellenze, il futuro dell’Italia. Passaggio essenziale ed ineliminabile anche per la ripresa degli investimenti privati. Su tale proposta attendiamo ancora risposta. Senza polemiche e senza pregiudizi. Credo che agli italiani importi solo questo: obiettivi e credibilità della proposta politica. È per questo che volutamente non entro e non entrerò in nessun dibattito che riguardi i presunti leader o le beghe personali o di partito che oscurino le vere priorità politiche del Paese: uscire dalla crisi con un “upgrade” della democrazia e dei diritti. Noi stiamo lavorando per questo. Le assemblee locali sono in corso e aperte a tutti coloro che intendano contribire con le loro idee e proposte. E sono sempre di più. Avanti con costruttività e senza personalismi. Grazie.

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L’articolo di Norma Rangeri su Il Manifesto del 27 luglio:

https://ilmanifesto.it/ultimo-treno-a-sinistra/

In questo momento vorrei non essere un’elettrice o un elettore di sinistra. Chi appartiene a questa «specie» tribolata – e anche temeraria – si trova nella scomoda e frustrante condizione di intravedere la propria estinzione politica. Qualunque altra categoria di elettori, al confronto, ha davanti a sé una prospettiva migliore.

Chi vota 5Stelle, con tutti gli alti e i bassi delle sindache star, con gli sbalzi d’umore del vecchio comico/politico, con le insondabili nuvole telematiche del giovane imprenditore Casaleggio, sa comunque di combattere, se non per governare, sicuramente per tentare di vincere la sfida delle urne.

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Montanari: Una casa per la sinistra sommersa, ma senza Pd

di Tomaso Montanari – 25 luglio 2017

L’analisi di Massimo Giannini sulla sinistra divisa e minoritaria è, come sempre, impietosamente lucida. Eppure credo che non sia l’unica lettura possibile.

Essa appare, ed è, realistica, se diamo per scontato, come sempre si fa, un dato di fondo: e cioè che i rapporti di forza tra destra, sinistra e pentastellati siano, sul breve periodo, stabili. Ma se proviamo a pensare che cambi la base elettorale attiva, anche questo scenario può cambiare. In altre parole, Giannini fa quello che fanno i leaders di tutti i partiti: dà per scontato che continuerà a votare circa la metà del Paese. E che l’altra metà sia sostanzialmente perduta alla vita della democrazia italiana.

Quello che Anna Falcone ed io abbiamo provato a proporre è di cambiare occhiali: e di provare a svegliare quest’altra metà del Paese. Perché noi due, che non siamo politici, né tantomeno leaders? Perché durante la campagna referendaria del No abbiamo visto con i nostri occhi questa altra Italia, quella che non vota: l’abbiamo vista partecipare a riunioni e assemblee. E poi il 4 dicembre l’abbiamo ritrovata nelle urne.

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E’ uscito il numero 92 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n92-s.pdf

In questo numero:

Nuovi voucher: la truffa e l’inganno
di Maurizio Landini

Populismo d’establishment: Renzi non è Macron
di Carlo Formenti

Il papa: abbassare l’età pensionabile, il sindacato torni a rappresentare gli esclusi
di Gabriele Polo

Le contraddizioni del reddito di cittadinanza
di Giovanni Mazzetti

Cinquant’anni di bugie sull’occupazione israeliana
di Gideon Levy

Buona lettura e diffondete!

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PROSSIME INIZIATIVE DI PUNTO ROSSO
http://www.puntorosso.it/iniziative.html

E’ uscito il numero 88 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n88-s.pdf

In questo numero:

È giunta l’ora di un processo democratico per il nuovo centrosinistra
di Enrico Rossi

A sinistra del Pd: una questione di pratiche
di Alessandro Giglioli

Scheda: Che cos’è il “sistema tedesco”

Bivio Europeo
di Luigi Vinci

Voucher: non basta cambiare nome
Volantino di Art1

Buona lettura e diffondete!

Una forza vulnerabile: il malessere come energia per la trasformazione sociale – di Amador Fernández-Savater

FONTE EFFIMERA CHE RINGRAZIAMO 

Ci sono storie che sintetizzano intere epoche. Una di queste ce la racconta Willy Pelletier in una recente edizione di Le Monde Diplomatique. Titolo: “Il mio vicino vota per il fronte nazionale”.

Pelletier è un attivista delle organizzazioni anti-razziste radicali, e nell’articolo racconta varie azioni contro il Front National. Il suo racconto però è legato a un dubbio e a un’autocritica: in fondo queste mobilitazioni sono state inutili per fermare la crescita del FN. Tra le linee si offre una spiegazione: nessuna di queste azioni ha influito sui simpatizzanti del Fronte, perché si sono sempre svolte dentro circuiti chiusi, fra attivisti che vivono in certi quartieri, parlano in un certo modo hanno certi valori e così via.

Pelletier incontra Eric, un simpatizzante del FN quando, semi-ritirato dall’attivismo, se ne va a vivere in campagna nell’aria di Aisne in Piccardia.

Eric è un operaio specializzato nel packaging industriale. Diventano grandi amici, e un giorno, dopo avere un po’ bevuto, Eric confessa di aver votato per  Marine Le Pen. “Quando la ascolto mi viene la pelle d’oca, il modo in cui parla dei francesi mi rende orgoglioso. Inoltre, il Fronte ha aiutato un sacco di gente da queste parti.”

Che razza di posto è Aisne? È uno scenario tipico della crisi: quasi cadente, quasi del tutto privo di servizi per il trasporto e la salute, privo di luoghi di incontro perché i bar e anche le parrocchie stanno chiudendo. Non c’è lavoro, tutti sono indebitati, i giovani se ne vanno, la violenza contro le donne aumenta come il senso generale di insicurezza, anche se le rapine sono rare.

Ma nell’area ci sono anche dei ghetti per ricchi: degli impiegati o professionisti che arrivano da Parigi e comprano una casa decente o delle fattorie abbandonate per prezzi molto bassi.

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Cacciari: la sinistra in Europa è morta per ragioni strutturali

FONTE NUOVATLANTIDE.ORG

Intervista a Massimo Cacciari di FRANCESCA PACI – 10 maggio 2017

La crisi della sinistra è venuta a noia a Massimo Cacciari, che pure l’ha indagata a fondo come pochi. Ma, nella difficoltà di afferrare il nuovo ordine (o disordine) globale, il Novecento si prende la rivincita sulla Storia e ci riporta sempre al punto di partenza, tornando a proporre le logiche politiche di ieri.

Cosa possiamo dedurre dal trionfo di Hamon, la sinistra della sinistra francese?

«Ma di quale trionfo parliamo? Di quale vittoria parliamo? Il problema, in Francia e nel resto d’Europa, non è quale sinistra o cosiddetta sinistra vinca le elezioni interne ma se la sinistra ce la fa poi alle elezioni che contano. E la risposta è no. È già capitato che alle primarie del centro-sinistra, anche alle primarie locali, prevalesse la sinistra sinistra. Come Hamon a Parigi, a Venezia a suo tempo passò Casson. Ma poi si perde regolarmente. Nessuna sinistra, socialdemocratica o meno, può vincere oggi in Europa».

Allora rovesciamo la domanda: perché la sinistra non vince più?

«Ecco la domanda giusta. E la risposta è che ci sono ragioni storiche e strutturali, ragioni obiettive. Da una parte è venuta meno la classe operaia, il suo blocco sociale di riferimento, dall’altra la sinistra non ha capito la crisi fiscale dello Stato. Non c’è più spazio per la sinistra tradizionale, che si ricicli o meno. Certamente non c’è più spazio per i D’Alema e i Bersani. Ma in realtà non ce ne sarebbe neppure per i grandi leader socialdemocratici del passato come Willy Brandt, e non solo perché sono morti ma perché il mondo è cambiato e la sinistra tradizionale appartiene al mondo di ieri. Esattamente come la destra».

La destra, no. Altrimenti come spieghiamo l’elezione di Trump? 

«Trump non viene dalla destra tradizionale, tanto che i repubblicani non lo volevano. La destra tradizionale non c’è più, non vengono da quella esperienza né i Grillo, né i Salvini e neppure i pro Brexit del Regno Unito, dove i Tory erano piuttosto europeisti come Churchill. L’unica forza politica un po’ riconducibile al passato è Fratelli d’Italia, che però, non a caso, conta il 2%. Allo stesso modo Renzi non viene dalla sinistra tradizionale. Tutto questo è il mondo di ieri. Basta pensare che la prima clamorosa mossa di Trump è stata riavvicinarsi a Putin e che nel frattempo Putin si è ancor più clamorosamente avvicinato alla Turchia per intuire la portata del cambiamento rispetto al quale i concetti di destra e sinistra non spiegano più niente. O capiamo che i parametri del passato sono finiti, e non per incultura ma per motivi strutturali, o andremo incontro alla catastrofe».

I nuovi populismi intercettano il cambiamento in corso: saranno anche in grado di governarlo?

«La parola populismi dice poco o nulla. Sono forze a volte più di destra, a volte più di sinistra e di sicuro non si oppongono al cambiamento in corso e non sono in grado di interpretarlo. Ma almeno rappresentano la testimonianza della fine delle politiche tradizionali e dei mutamenti radicali di questi anni. Oggi diciamo “populismi” come le antiche carte geografiche dicevano “hic sunt leones” per indicare le zone inesplorate: ci sembra che il problema siano loro ma il problema è capire dove andiamo smettendola di ragionare con gli schemi del passato».

Gli schemi del passato comprendono le probabilmente obsolete categorie destra e sinistra ma comprendo anche il rapporto tra capitale e lavoro, che invece sembra ancora piuttosto attuale. O no?

«Anche il capitale e il lavoro non sono più gli stessi. Il capitalismo si è deterritorializzato, lo Stato nazionale non ha più la sovranità politica sui flussi di capitale, il lavoro dipendente è ormai polverizzato e non si organizza più come faceva nell’800 e nel ’900 nei grandi opifici. In realtà sarebbe bastato leggere Marx con attenzione per capire come sarebbe andata a finire, ma ormai ci siamo. Le diseguaglianze globali crescono a dismisura e in modo intollerabile. Questo è un colossale problema che prima o poi potrebbe far scoppiare tutto anche perché le grandi potenze politiche non sono per loro natura capaci di affrontarlo».

Cosa potrebbe fare la politica se, come suggerisce, decidesse di togliersi gli occhiali del passato? 

«Dovrebbe provare a capire e soprattutto dire la verità. Oggi il massimo che un politico può fare è essere onesto. Bisogna smetterla con le chiacchiere e invece elencare le poche cose che si possono fare illustrando come potrebbero funzionare meglio coordinandosi con altri. È assurdo continuare a sbandierare la sovranità illimitata che i politici non hanno più. Sono personalmente molto felice di questo intermezzo di Gentiloni in Italia, perché non dice un gran ché ma almeno non promette nulla».

Per quanto sia ancora una volta il mondo di ieri: ha ragione il filosofo sloveno Slavoj Žižek, quando sostiene che la destra cresce cavalcando i temi che un tempo appartenevano alla sinistra?

«In qualche modo sì. Bisogna guardare ai problemi con modestia. Il lavoro non è più “massa” come quello del passato e i politici non l’hanno capito. I sindacati, per esempio, dovrebbero iniziare a occuparsi del lavoro dipendente disperso, della galassia del lavoro giovanile, del precariato a 500 euro al mese, dei cosiddetti voucher».

A onor del vero qualcuno in Europa ci prova. Il francese Hamon ne parla e anche Martin Schulz si è candidato contro la Cancelliera Merkel per recuperare terreno con le classi operaie migrate dalla socialdemocrazia alla nuova destra. Non è così?

«Sinceramente mi auguro che in Germania vinca la Merkel, speriamo che prevalga alle elezioni e diventi leader: all’orizzonte la Cancelliera tedesca è l’unica che possa farlo. Lo ripeto: nessun partito socialdemocratico può oggi vincere in Europa. È passato il tempo. Vent’anni fa Tony e Blair e Clinton interpretarono la svolta epocale accodandosi al flusso egemonico della globalizzazione vincente senza alcuna critica. Da allora è andata sempre peggio, le sinistre hanno fatto tutti gli errori possibili, dal seguire l’America nelle sue scellerate guerre alla risposta, quella risposta, alle primavere arabe. E poi ancora, la Grecia, la Brexit, una sequenza di scelte sbagliate. Accodarsi come fecero Blair e Clinton non è una scelta politica ma sub-politica».

C’è ancora spazio per l’ambizione dei giovani ad avere un sogno?

«Poco. Ma è pessimo che i politici facciano finta di niente promettendo loro la sovranità illimitata che non hanno, come avvenuto in Italia negli ultimi tempi. Bisogna spiegare ai giovani come stanno le cose invece di elargire elemosina, come nel caso degli 80 o i 500 euro».

Il reddito di cittadinanza è un buon punto di partenza?

«Quella è la strada giusta. Se ci illudiamo che ci sarà di nuovo uno sviluppo capace di produrre più lavoro sbagliamo. È ancora il mondo di ieri, quello in cui si credeva che la rivoluzione tecnologica avrebbe aperto nuovi settori. È un fatto: sebbene in occidente la ricchezza continui a crescere si riducono le chance per il lavoro. Ma non per questo bisogna lasciare la gente senza le risorse minime. È una delle poche cose serie e vere dette dal Movimento 5 Stelle: bisogna sganciare le aspettative di vita dal fatto che si lavori, non è impossibile da fare né disastroso. Il reddito di cittadinanza o come altro viene chiamato passa per un’utopia mentre è un approccio pragmatico, solidale e può ricostruire una comunità».

Solidale, comunità: non sono parole del mondo di ieri?

«Da Aristotele a oggi non esiste comunità che possa esistere funzionando solo come un condominio. È razionale, logico. In un condominio, ammesso che sia vero, puoi startene chiuso in casa ma in un Paese, a livello nazionale, è difficile. L’America non funziona come un condominio e neppure la Russia e la Cina: o l’Europa lo capisce e smette di comportarsi come fosse un condominio dove si fanno solo i conti comuni o ci faranno il mazzo. Dobbiamo ragionare per provare a evitare il disastro oppure siamo finiti. Parlo dell’Europa ma anche dell’Italia. Ci sono già delle avvisaglie per noi, abbiamo votato no per salvare la Costituzione e adesso sarà tutto più difficile, ci chiederanno una manovrina, vedremo. Dovremmo ricordarci della Grecia, ho letto che in tre anni di Troika la ricchezza è diminuita del 35%. E voi credete che qui potremmo reggere misure di austerità del genere imposte ad Atene? Pensate che in Italia passerebbero senza sparare? I greci hanno retto ma le condizioni sono diverse, e non parlo solo di dimensione: se cadi dal primo piano puoi sperare di salvarti ma se cadi dal terzo piano crepi».