La lotta per la sopravvivenza dei riders di Città del Messico

testo Caterina Morbiato foto Stefano Morrone -tratto da Altreconomia 229

Fonte Americalatina

 

Quando indossa caschetto e borsone termico per lanciarsi nel traffico di Città del Messico, Saúl Gómez ha una parola stampata in mente: guerra. In bicicletta ha distribuito tacos, hamburger e pizze per quasi ognuna delle piattaforme digitali di food delivery che esistono nella capitale messicana. Ha anche assistito colleghi feriti e abbracciato le famiglie di quelli che invece non ce l’hanno fatta. Nel 2018, insieme a una manciata di altri riders, ha fondato Ni Un Repartidor Menos (Non un rider in meno): il primo collettivo messicano di lavoratori di applicazioni. Hanno deciso di organizzarsi dopo la morte di José Manuel Matias Flores, rider di 22 anni investito da un camion dopo aver lavorato per appena tre giorni per la  piattaforma UberEATS.

“Qui prendi la patente senza l’obbligo di fare l’esame di guida, gli automobilisti non sono sanzionati quando uccidono qualcuno e le piste ciclabili vengono fatte senza nessuna pianificazione”, dice Gómez per cui il lavoro di rider non può che coincidere con un atto belligerante: la lotta per la sopravvivenza in una metropoli governata dalle quattro ruote, attraversata da camion con rimorchio e in cui, secondo i dati della Segreteria di sicurezza cittadina, 372 persone hanno perso la vita in incidenti stradali o automobilistici durante il 2019.

In un contesto così aggressivo, una delle prime attività del collettivo è stata la pubblicazione del “Diario di Guerra”, un registro degli incidenti che coinvolgono i fattorini, e la costruzione di un database che raccoglie informazioni utili in caso di incidente: nome del fattorino, codice di registro nell’applicazione, telefono, gruppo sanguigno, allergie o malattie specifiche, contatti di emergenza. Con strumenti limitati ma radicati nel mutualismo, i membri del collettivo suppliscono all’assenza delle imprese e rivendicano il proprio diritto alla sicurezza sul lavoro.

La piattaforma digitale UberEATS è stata la prima ad approdare a Città del Messico. Era il 2016 e da allora la concorrenza non si è fatta aspettare. Nel giro di quattro anni le strade della capitale hanno cambiato volto: borsoni termici arancioni, rossi e neri si sono aggiunti a quelli verdi di UberEATS, simbolo di nuove e agguerrite piattaforme come la colombiana Rappi e la cinese Didi. Il moltiplicarsi delle applicazioni ha significato un aumento dei posti di lavoro ma anche il peggioramento delle condizioni per i riders che hanno visto diminuire sia la quantità di lavoro sia il guadagno per ogni consegna fatta.

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Tutte le fandonie di Renzi e Lorenzin sulla sanità. Intervista al segretario dell’Anaao-Assomed Costantino Troise: “Il 28 a meno di fatti nuovi scenderemo in sciopero”

Recentemente nel rapporto del Censis, la spesa degli utenti nella sanità ammonta a oltre 34 miliardi. Secondo la ricerca Censis presentata a giugno 2016, liste d’attesa molto lunghe portano 10 milioni di italiani a rivolgersi soprattutto alla sanità privata e 7 milioni all’intramoenia perché non possono aspettare, mentre sono 26 milioni i cittadini che si dicono propensi ad aderire alla sanità integrativa.

Uno scenario completamente opposto a quello che Renzi e Lorenzin hanno spacciato con il varo della Legge di Bilancio 2016. La sanità non è salva, anzi. La stabilizzazione del Fondo sanitario nazionale come dato in sé non ha alcun significato. Tra le categorie che non hanno creduto al Governo c’è sicuramente quella dei medici ospedalieri. 

In questa intervista (qui) il segretario dell’Anaao-Assomed Costantino Troise dice chiaramente che senza una sterzata vera nella sanità pubblica presto sentiremo partire gli allarmi. Sullo stato della salute pubblica, ovviamente, e già se ne è avuta qualche avvisaglia, e sulla condizione dei medici, che non ce la fanno più a sopportare carichi di lavoro da catena di montaggio e un’età media che vede l’Italia agli ultimi posti nel mondo.

Brasile, il discorso di Dilma Rousseff al popolo: “Riforma politica ma nel nome della democrazia e della sovranità popolare”

 Pubblichiamo la traduzione integrale del messaggio letto dalla presidente del Brasile Dilma Rousseff di fronte a telecamere e giornalisti martedì 16 agosto 2016 nel Palazzo dell’Alvorada. Un messaggio da condividere e diffondere anche in Italia per fare chiarezza sul golpe in atto contro la legittima presidente nel paese che ospita le Olimpiadi. (trad. it. Teresa Isemburg).

“Mi rivolgo alla popolazione brasiliana e alle Signore Senatrici e ai Signori Senatori per esprimere ancora una volta il mio impegno per la democrazia e per le misure necessarie per superare l’impasse politico che ha già causato tanti pregiudizi al Paese.
Il mio ritorno alla Presidenza, per decisione del Senato Federale, significherà l’affermazione dello Stato Democratico di Diritto e potrà contribuire in modo decisivo al sorgere di una nuova e promettente realtà politica. La mia responsabilità è grande. Nel percorso per difendermi dall’impeachment mi sono ulteriormente avvicinata al popolo, ho avuto l’opportunità di ascoltare il suo riconoscimento, di ricevere il suo affetto. Ho ascoltato anche critiche dure al mio governo, agli errori commessi e a misure e politiche che non sono state adottate. Accolgo queste critiche con umiltà e determinazione perché si possa costruire un nuovo cammino. Abbiamo bisogno di rafforzare la democrazia nel nostro Paese e, per questo, sarà necessario che il Senato chiuda il processo di impeachment in corso, riconoscendo, in presenza di prove irrefutabili, che non vi è stato crimine di responsabilità, che io sono innocente.
Nel presidenzialismo previsto dalla nostra Costituzione non è sufficiente la sfiducia politica per allontanare un Presidente. Bisogna che si configuri un crimine di responsabilità. Ed è chiaro che non vi è stato tale crimine.
Non è legittimo, come vogliono i miei accusatori, allontanare il capo di Stato e di governo per “l’insieme dell’opera”. Chi allontana il Presidente per “l’insieme dell’opera” è il popolo, e solo il popolo, nelle elezioni.
Per questo affermiamo che, se l’impeachment fosse consumato senza crimine di responsabilità, avremmo un colpo di stato.
Il collegio elettorale di 110 milioni di elettori sarebbe sostituito, senza il dovuto sostegno costituzionale, da un collegio elettorale di 81 senatori. Sarebbe un indubbio golpe seguito da elezione indiretta. Viceversa, ritengo che la soluzione per le crisi politica ed economica che affrontiamo passi attraverso il voto popolare in elezioni dirette. La democrazia è l’unica strada per la costruzione di un Patto per l’Unità Nazionale, lo Sviluppo e la Giustizia Sociale. E’ l’unico cammino perché noi si esca dalla crisi.
Da qui l’importanza che noi si assuma un chiaro impegno per il Plebiscito e per la Riforma Politica.
Sappiamo tutti che vi è un impasse determinato dall’esaurimento del sistema politico, sia per il numero eccessivo di partiti, sia per le pratiche politiche discutibili che esigono una profonda trasformazione delle regole vigenti.
Sono convinta della necessità, e darei il mio appoggio incondizionato alla convocazione di un Plebiscito, con l’obiettivo di consultare la popolazione sulla realizzazione anticipata di elezioni, così come sulla riforma politica ed elettorale.
Dobbiamo concentrare sforzi per la realizzazione di un’ampia e profonda riforma politica che stabilisca un nuovo quadro istituzionale che superi la frammentazione dei partiti, moralizzi il finanziamento delle campagne elettorali, rafforzi la fedeltà partitica e dia maggior potere agli elettori.
Il pieno ripristino della democrazia richiede che la popolazione decida quale è il cammino migliore per ampliare la governabilità e perfezionare il sistema politico elettorale brasiliano.
Per questo fine dobbiamo costruire un ampio Patto Nazionale, basato su elezioni libere e dirette, che coinvolga tutti i cittadini e le cittadine brasiliane. Un Patto che rafforzi i valori dello Stato Democratico di diritto, la sovranità nazionale, lo sviluppo economico e le conquiste sociali.
Questo Patto per l’Unità Nazionale, lo Sviluppo e la Giustizia Sociale consentirà la pacificazione del Paese. Il disarmo degli spiriti e il raffreddamento delle passioni devono essere superiori a qualsiasi sentimento di disunione. La transizione per questo nuovo momento democratico esige che venga aperto un ampio dialogo fra tutte le forze vive della Nazione Brasiliana con la chiara coscienza che ciò che ci unisce è il Brasile.
Dialogo con il Congresso Nazionale affinché congiuntamente e con responsabilità da noi vengano cercate le migliori soluzioni per i problemi affrontati dal Paese. Dialogo con la società e i movimenti sociali, affinché le domande della nostra popolazione ottengano piena risposta da politiche consistenti ed efficaci. Le forze produttive, imprenditori e lavoratori, devono partecipare in forma attiva alla costruzione di proposte per la ripresa della crescita e l’innalzamento della competitività della nostra economia.
Riaffermo il mio impegno per il rispetto integrale della Costituzione Cittadina del 1988, con risalto ai diritti e alle garanzie individuali e collettive che essa stabilisce. La nostra parola d’ordine continuerà ad essere “nessun diritto in meno”. Le politiche sociali che hanno trasformato la vita della nostra popolazione, assicurando opportunità per tutte le persone e valorizzando l’eguaglianza e la diversità dovranno essere mantenute e rinnovate. La ricchezza e la forza della nostra cultura devono essere valorizzate come elemento fondativo della nostra nazionalità.
Generare un maggior numero e migliori posti di lavoro, rafforzare la sanità pubblica, ampliare l’accesso ed elevare la qualità dell’educazione, assicurare il diritto all’abitazione e migliorare la mobilità urbana sono investimenti prioritari per il Brasile.
Tutte le variabili dell’economia e gli strumenti della politica devono essere canalizzati affinché il Paese torni a crescere e a creare posti di lavoro. Questo è necessario perché, dall’inizio del mio secondo mandato, misure, azioni e riforme necessarie perché il Paese affrontasse la grave crisi economica sono state bloccate e sono state imposte le cosiddette liste-bomba, nella irresponsabile logica del “tanto peggio, tanto meglio”.
Vi è stato uno sforzo ossessivo per squalificare il governo, senza preoccuparsi delle dannose conseguenze imposte alla popolazione. Possiamo superare questo momento e, uniti, cercare la crescita economica e la stabilità, il rafforzamento della sovranità nazionale e la difesa del pré-sal e delle nostre ricchezze naturali e minerali.
Fondamentale è dare continuità alla lotta contro la corruzione. Questo è un impegno non negoziabile. Non accetteremo alcun patto a favore dell’impunità di coloro che, in modo comprovato, e dopo il pieno esercizio del contraddittorio e della difesa, abbiano praticato illeciti o atti di improbità.
Popolo brasiliano, Senatrici e Senatori, il Brasile vive uno dei momenti più drammatici della sua storia. Un momento che richiede coraggio e chiarezza di propositi da noi tutti. Un momento che non tollera omissioni, inganni o mancanza di impegno per il Paese. Non dobbiamo permettere che una eventuale rottura dell’ordine democratico fondata sull’impeachment senza crimine di responsabilità renda fragile la nostra democrazia, con il sacrificio dei diritti assicurati nella Costituzione del 1988. Uniamo le nostre forze e i nostri propositi nella difesa della democrazia, il lato giusto della Storia.
Sono orgogliosa di essere la prima donna eletta presidente del Brasile. Sono orgogliosa di dire che, in questi anni, ho esercitato il mio mandato in forma degna e onesta. Ho onorato i voti che ho ricevuto. In nome di questi voti e in nome di tutto il popolo del mio Paese, lotterò con tutti gli strumenti legali di cui dispongo per assicurare la democrazia in Brasile. A questo punto tutti sappiamo che non ho commesso crimini di responsabilità, che non vi è motivo legale per questo processo di impeachment, in quanto non vi è crimine. Gli atti che ho compiuto sono stati atti legali, atti necessari, atti di governo. Atti identici sono stati praticati dai presidenti che mi hanno preceduto. Non era crimine nella loro epoca, e parimenti non è crimine adesso.
Mai nella mia vita si troverà prova di disonestà, viltà o tradimento. Diversamente da coloro che diedero inizio a questo processo ingiusto e illegale, non ho conti segreti all’estero, mai ho distratto un solo centesimo del patrimonio pubblico per mio arricchimento personale o di terzi e non ho ricevuto tangenti da nessuno. Questo processo di impeachment è fragile, giuridicamente inconsistente, un processo ingiusto, scatenato contro persona onesta e innocente. Quello che chiedo alle Senatrici e ai Senatori è che non si faccia l’ingiustizia di condannarmi per un crimine che non commesso. Non vi è ingiustizia più devastante che condannare un innocente. La vita mi ha insegnato il significato più profondo della speranza. Ho resistito al carcere e alla tortura. Vorrei non dovere resistere alla frode e alla più infame ingiustizia. La mia speranza esiste perché è anche la speranza democratica del popolo brasiliano, che mi ha eletto due volte Presidente. Chi deve decidere il futuro del Paese è il nostro popolo. La democrazia deve vincere”. 

Dilma: ‘devolver ao povo, o que só ao povo pertence, a escolha do futuro’

 

Mensagem da Presidenta Dilma Rousseff ao Senado e ao Povo Brasileiro.

 

Dilma Rousseff

 Dirijo-me à população brasileira e às Senhoras Senadoras e aos Senhores Senadores para manifestar mais uma vez meu compromisso com a democracia e com as medidas necessárias à superação do impasse político que tantos prejuízos já causou ao País.

 Meu retorno à Presidência, por decisão do Senado Federal, significará a afirmação do Estado Democrático de Direito e poderá contribuir decisivamente para o surgimento de uma nova e promissora realidade política.

 Minha responsabilidade é grande. Na jornada para me defender do impeachment me aproximei mais do povo, tive oportunidade de ouvir seu reconhecimento, de receber seu carinho. Ouvi também críticas duras ao meu governo, a erros que foram cometidos e a medidas e políticas que não foram adotadas. Acolho essas críticas com humildade e determinação para que possamos construir um novo caminho.

 Precisamos fortalecer a democracia em nosso País e, para isto, será necessário que o Senado encerre o processo de impeachment em curso, reconhecendo, diante das provas irrefutáveis, que não houve crime de responsabilidade. Que eu sou inocente.

No presidencialismo previsto em nossa Constituição, não basta a desconfiança política para afastar um Presidente. Há que se configurar crime de responsabilidade. E está claro que não houve tal crime. 

Não é legítimo, como querem os meus acusadores, afastar o chefe de Estado e de governo pelo “conjunto da obra”. Quem afasta o Presidente pelo “conjunto da obra” é o povo e, só o povo, nas eleições.

 Por isso, afirmamos que, se consumado o impeachment sem crime de responsabilidade, teríamos um golpe de estado. O colégio eleitoral de 110 milhões de eleitores seria substituído, sem a devida sustentação constitucional, por um colégio eleitoral de 81 senadores. Seria um inequívoco golpe seguido de eleição indireta.

 Ao invés disso, entendo que a solução para as crises política e econômica que enfrentamos passa pelo voto popular em eleições diretas. A democracia é o único caminho para a construção de um Pacto pela Unidade Nacional, o Desenvolvimento e a Justiça Social. É o único caminho para sairmos da crise.

 Por isso, a importância de assumirmos um claro compromisso com o Plebiscito e pela Reforma Política.

 Todos sabemos que há um impasse gerado pelo esgotamento do sistema político, seja pelo número excessivo de partidos, seja pelas práticas políticas questionáveis, a exigir uma profunda transformação nas regras vigentes.

 Estou convencida da necessidade e darei meu apoio irrestrito à convocação de um Plebiscito, com o objetivo de consultar a população sobre a realização antecipada de eleições, bem como sobre a reforma política e eleitoral.

Devemos concentrar esforços para que seja realizada uma ampla e profunda reforma política, estabelecendo um novo quadro institucional que supere a fragmentação dos partidos, moralize o financiamento das campanhas eleitorais, fortaleça a fidelidade partidária e dê mais poder aos eleitores.

 A restauração plena da democracia requer que a população decida qual é o melhor caminho para ampliar a governabilidade e aperfeiçoar o sistema político eleitoral brasileiro.

 Devemos construir, para tanto, um amplo Pacto Nacional, baseado em eleições livres e diretas, que envolva todos os cidadãos e cidadãs brasileiros. Um Pacto que fortaleça os valores do Estado Democrático de Direito, a soberania nacional, o desenvolvimento econômico e as conquistas sociais.

 Esse Pacto pela Unidade Nacional, o Desenvolvimento e a Justiça Social permitirá a pacificação do País. O desarmamento dos espíritos e o arrefecimento das paixões devem sobrepor-se a todo e qualquer sentimento de desunião.

 A transição para esse novo momento democrático exige que seja aberto um amplo diálogo entre todas as forças vivas da Nação Brasileira com a clara consciência de que o que nos une é o Brasil.

 Diálogo com o Congresso Nacional, para que, conjunta e responsavelmente, busquemos as melhores soluções para os problemas enfrentados pelo País.

 Diálogo com a sociedade e os movimentos sociais, para que as demandas de nossa população sejam plenamente respondidas por políticas consistentes e eficazes.

 As forças produtivas, empresários e trabalhadores, devem participar de forma ativa na construção de propostas para a retomada do crescimento e para a elevação da competitividade de nossa economia.

 Reafirmo meu compromisso com o respeito integral à Constituição Cidadã de 1988, com destaque aos direitos e garantias individuais e coletivos que nela estão estabelecidos. Nosso lema persistirá sendo “nenhum direito a menos”.

 As políticas sociais que transformaram a vida de nossa população, assegurando oportunidades para todas as pessoas e valorizando a igualdade e a diversidade deverão ser mantidas e renovadas. A riqueza e a força de nossa cultura devem ser valorizadas como elemento fundador de nossa nacionalidade.

 Gerar mais e melhores empregos, fortalecer a saúde pública, ampliar o acesso e elevar a qualidade da educação, assegurar o direito à moradia e expandir a mobilidade urbana são investimentos prioritários para o Brasil.

 Todas as variáveis da economia e os instrumentos da política precisam ser canalizados para o Paísvoltar a crescer e gerar empregos.

 Isso é necessário porque, desde o início do meu segundo mandato, medidas, ações e reformas necessárias para o País enfrentar a grave crise econômica foram bloqueadas e as chamadas pautas-bomba foram impostas, sob a lógica irresponsável do “quanto pior, melhor”.

 Houve um esforço obsessivo para desgastar o governo, pouco importando os resultados danosos impostos à população. Podemos superar esse momento e, juntos, buscar o crescimento econômico e a estabilidade, o fortalecimento da soberania nacional e a defesa do pré-sal e de nossas riquezas naturais e minerárias.

 É fundamental a continuidade da luta contra a corrupção. Este é um compromisso inegociável. Não aceitaremos qualquer pacto em favor da impunidade daqueles que, comprovadamente, e após o exercício pleno do contraditório e da ampla defesa, tenham praticado ilícitos ou atos de improbidade.

 Povo brasileiro, Senadoras e Senadores,

O Brasil vive um dos mais dramáticos momentos de sua história. Um momento que requer coragem e clareza de propósitos de todos nós. Um momento que não tolera omissões, enganos, ou falta de compromisso com o País.

 Não devemos permitir que uma eventual ruptura da ordem democrática baseada no impeachmentsem crime de responsabilidade fragilize nossa democracia, com o sacrifício dos direitos assegurados na Constituição de 1988. Unamos nossas forças e propósitos na defesa da democracia, o lado certo da História.

 Tenho orgulho de ser a primeira mulher eleita presidenta do Brasil. Tenho orgulho de dizer que, nestes anos, exerci meu mandato de forma digna e honesta. Honrei os votos que recebi. Em nome desses votos e em nome de todo o povo do meu País, vou lutar com todos os instrumentos legais de que disponho para assegurar a democracia no Brasil.

 A essa altura todos sabem que não cometi crime de responsabilidade, que não há razão legal para esse processo de impeachment, pois não há crime. Os atos que pratiquei foram atos legais, atos necessários, atos de governo. Atos idênticos foram executados pelos presidentes que me antecederam. Não era crime na época deles, e também não é crime agora.

 Jamais se encontrará na minha vida registro de desonestidade, covardia ou traição. Ao contrário dos que deram início a este processo injusto e ilegal, não tenho contas secretas no exterior, nunca desviei um único centavo do patrimônio público para meu enriquecimento pessoal ou de terceiros e não recebi propina de ninguém.

 Esse processo de impeachment é frágil, juridicamente inconsistente, um processo injusto, desencadeado contra uma pessoa honesta e inocente. O que peço às senadoras e aos senadores é que não se faça a injustiça de me condenar por um crime que não cometi. Não existe injustiça mais devastadora do que condenar um inocente.

 A vida me ensinou o sentido mais profundo da esperança. Resisti ao cárcere e à tortura. Gostaria de não ter que resistir à fraude e à mais infame injustiça.

 Minha esperança existe porque é também a esperança democrática do povo brasileiro, que me elegeu duas vezes Presidenta. Quem deve decidir o futuro do País é o nosso povo.

A democracia há de vencer

Dilma Rousseff


A Carta Testamento de Getúlio Vargas é uma arma contra o golpe atual

A Carta Testamento que Getúlio nos deixou é um dos mais importantes documentos de referência política e ideológica em defesa dos interesses nacionais.

Revisitemos a História. Com a palavra, Getúlio Vargas:

Carta Testamento

Mais uma vez, as forças e os interesses contra o povo coordenaram-se novamente e se desencadeiam sobre mim.
 
Não me acusam, me insultam; não me combatem, caluniam e não me dão o direito de defesa. Precisam sufocar a minha voz e impedir a minha ação, para que eu não continue a defender como sempre defendi, o povo e principalmente os humildes. Sigo o destino que me é imposto. Depois de decênios de domínio e espoliação dos grupos econômicos e financeiros internacionais, fiz-me chefe de uma revolução e venci. Iniciei o trabalho de libertação e instaurei o regime de liberdade social. Tive que renunciar. Voltei ao governo nos braços do povo. A campanha subterrânea dos grupos internacionais aliou-se à dos grupos nacionais revoltados contra o regime de garantia do trabalho. A lei de lucros extraordinários foi detida no Congresso. Contra a Justiça da revisão do salário-mínimo se desencadearam os ódios. Quis criar a liberdade nacional na potencialização das nossas riquezas através da Petrobrás, mal começa esta a funcionar, a onda de agitação se avoluma. A Eletrobrás foi obstaculada até o desespero. Não querem que o trabalhador seja livre. Não querem que o povo seja independente.
 
Assumi o Governo dentro da espiral inflacionária que destruía os valores do trabalho. Os lucros das empresas estrangeiras alcançavam até 500% ao ano. Nas declarações de valores do que importávamos existiam fraudes constatadas de mais de 100 milhões de dólares por ano. Veio a crise do café, valorizou-se o nosso principal produto. Tentamos defender seu preço e a resposta foi uma violenta pressão sobre a nossa economia a ponto de sermos obrigados a ceder.
 
Tenho lutado mês a mês, dia a dia, hora a hora, resistindo a uma pressão constante, incessante, tudo suportando em silêncio, tudo esquecendo, renunciando a mim mesmo, para defender o povo que agora se queda desamparado. Nada mais vos posso dar a não ser meu sangue. Se as aves de rapina querem o sangue de alguém, querem continuar sugando o povo brasileiro, eu ofereço em holocausto a minha vida. Escolho este meio de estar sempre convosco. Quando vos humilharem sentireis minha alma sofrendo ao vosso lado. Quando a fome bater à vossa porta, sentireis em vosso peito a energia para a luta por vós e vossos filhos. Quando vos vilipendiarem, sentireis no meu pensamento a força para a reação. Meu sacrifício nos manterá unidos e meu nome será a vossa bandeira de luta. Cada gota de meu sangue será uma chama imortal na vossa consciência e manterá a vibração sagrada para a resistência. Ao ódio respondo com o perdão. E aos que pensam que me derrotaram respondo com a minha vitória. Era escravo do povo e hoje me liberto para a vida eterna. Mas esse povo de quem fui escravo não mais será escravo de ninguém. Meu sacrifício ficará para sempre em sua alma e meu sangue terá o preço do seu resgate.
 
Lutei contra a espoliação do Brasil. Lutei contra a espoliação do povo. Tenho lutado de peito aberto. O ódio, as infâmias, a calúnia, não abateram meu ânimo. Eu vos dei a minha vida. Agora ofereço a minha morte. Nada receio. Serenamente dou o primeiro passo no caminho da eternidade e saio da vida para entrar na história.

 

http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2016/8/22/47847-brasile-il-discorso-di-dilma-rousseff-al-popolo-riforma/

 

 

“RIFORMA” DELLA COSTITUZIONE, BASTA CON GLI SLOGAN, LEGGIAMO IL TESTO DI QUESTO CAPOLAVORO DEL DIRITTO COSTITUZIONALE !!!

 

Lo spettacolo da curva nord o sud dello Stadio , promosso con particolare passione da diversi media e da alcuni esponenti del Governo non si addice a promuovere la conoscenza del testo della “Riforma della Costituzione” redatta sotto l’autorevole guida della chiarissima costituzionalista on. Maria Elena Boschi.
Invece di perdere tempo ad insultare e ad essere insultati sui social è più opportuno leggere con attenzione il testo vigente e i testi modificati degli articoli della Costituzione.
Solo con la lettura attenta dei testi si possono individuare i rischi presenti in questo elaborato scritto male, impreciso con il quale si vorrebbe “semplificare” e “modernizzare” l’Italia.
Non diciamo altro perchè ognuno possa, con alcune ore di studio, rendersi conto su cosa si va a votare in ottobre. Si tenga conto che il Testo di una Costituzione ha un ciclo di vita molto lungo e deve essere scritto con cura e con un orizzonte che va ben al di là del ciclo di vita di un Governo. Questo testo appare come il prodotto fatto su misura per le esigenze dell’attuale governo, non sulle prospettive di sviluppo della democrazia di medio lungo periodo della Repubblica Italiana che avrà, come in molti auspichiamo, vita molto più lunga dell’attuale esecutivo.

IL TESTO COMPARATO

Al renzismo non c’è mai fine

Dai diritti alle regalie ai poveri e ai giovani. È la filosofia di Matteo Renzi. Ma per le regalie servono soldi, dove va a cercarli il “sindaco d’Italia”? Nei patrimoni dei ricchi e dagli evasori fiscali, o rinunciando a Tav e ponte sullo Stretto? Macché, così si fermerebbe una crescita che solo Renzi vede. Meglio seguire altre strade: spremere i lavoratori bloccando i rinnovi contrattuali nel pubblico, cancellando il contratto nazionale nel privato e – riconsegnato con il jobs act tutto il potere ai padroni – puntando tutto sul secondo livello a cui una minoranza può accedere, sostituendo gli aumenti salariali nella parte fissa del salario con aumenti variabili, detassati, legati all’andamento aziendale; tagliando sanità, previdenza, istruzione e sostituendo l’universalità dei diritti con il welfare aziendale; colpendo ancora i pensionati – ultimo ammortizzatore sociale per i giovani senza lavoro e senza reddito di cittadinanza – già fatti a pezzi dalla Fornero, strizzando le pensioni di reversibilità ai coniugi dei lavoratori deceduti.
Eppure Renzi tiene, e se si crede ai sondaggi aumenta i consensi così come il Pd. Gli italiani sono matti? Più che matti sfiancati, paralizzati dalla crisi della rappresentanza politica e sociale. La forza di Renzi sta nell’assenza di alternative, e se la democrazia agonizza tanto vale tenersi l’uomo solo al comando, mica è la prima volta nel Belpaese. L’unico scontro in atto, dentro e fuori il Pd, è sulle unioni civili con il riemergere dell’eterna subalternità di tanta politica alle fatwe vaticane. Per il resto, basta guardare alle prossime comunali nelle principali città: a Roma, commissariata per Mafia capitale, dove l’impresentabile Pd va sfiduciato alle primarie mentre la destra si scanna sul Bertolaso dei grandi eventi, pupillo di Berlusconi, l’uomo dei massaggi speciali nei centri benessere e dello scandalo del G8 mancato all’Aquila terremotata; a Milano, drogata dall’Expo che dice addio al modello Pisapia anche grazie a Pisapia e ai suoi infedeli seguaci che si autocancellano e mette due figure identiche a combattere per la poltrona di sindaco, il neo-renziano Sala, già deus ex machina di Moratti, ex ad Pirelli e dg Telecom ed Expo per il Pd (te la do io la classe operaia) e Parisi, già deus ex machina di Albertini, già Cgil e Psi per la destra; Napoli, dove per battere il sindaco di sinistra De Magistris dal cappello del Pd esce un Bassolino d’annata sfidato da una ex bassoliniana, mentre la destra non si vede all’orizzonte; Bologna, dove il Pd spera che la maggioranza degli scontenti resti a casa e i pochi contenti possano confermarlo al potere, magari di nuovo con il 37% dei votanti, mentre si cerca un candidato che unisca quel che resta a sinistra; sembra resistere l’alleanza Pd-Sel solo nella Cagliari del sindaco di sinistra Zedda; infine Torino, dove il sindaco Fassino con azionisti di destra, pd e centro non ha rivali, salvo la buona candidata 5 Stelle e dove la sinistra si è unita intorno al nome di Giorgio Airaudo, un nome di qualità allevato in casa Fiom. Ma chi in alcune città rischia vincere è fuori dalla mischia, i 5 Stelle degrillizati (solo) nel simbolo, forti delle miserie altrui al punto da permettersi di schierare candidati sconosciuti ai più.
In attesa del braccio di ferro sulle unioni civili, Renzi sogna il miracolo a Milano mentre dà per quasi persa Roma e mette le mani avanti: chiunque vinca, hic manebimus optime e punta tutto sul referendum d’autunno sulle riforme istituzionali che smantellano Costituzione e democrazia parlamentare. Non senza aver prima impedito l’election day tra amministrative e referendum contro le trivellazioni del povero Adriatico, che si svolgerà prima al costo aggiuntivo di 300 milioni nella speranza che fallisca il quorum.fonte area7.ch

Il Rapporto sul terrorismo globale

 

report

Il Rapporto sul terrorismo globale

Maurizio Murru

Nel 2014, le vittime del terrorismo sono state 32.658, un aumento dell’80% rispetto alle 18.111 del 2013. Il 78% di esse è concentrato in cinque paesi: Afghanistan, Iraq, Nigeria, Pakistan e Siria. Dal 2000, quando furono 3.329, sono aumentate nove volte. Boko Haram, l’organizzazione terrorista più sanguinaria.

Global Terrorism Index 2015

È da poco stato pubblicato il “Global Terrorism Index 2015”. Una analisi documentata e ad ampio raggio eseguita dall’Institute for Economics and Peace, un gruppo di studio senza scopo di lucro con sedi a Sidney, New York e Città del Messico (www.economicsandpeace.org). Questo studio esamina 162 paesi che, assieme, contengono il 99,6% della popolazione mondiale. Ne tentiamo una sintesi. Quando non altrimenti specificato, i dati citati provengono da questo documento che chiameremo, per semplicità, “il Rapporto”.

l’articolo segue alla fonte su saluteinternazionzale.info

Sinistra e PD. Un contributo d’analisi – di Carlo GALLI [relazione presentata alla Riunione delle sinistre Pd 21 marzo 2015]

Quella che un tempo si sarebbe detta la ‘fase’ ci mostra in atto, con le imponenti migrazioni tra gruppi parlamentari, e con lo sbando della destra, la decostruzione del sistema partitico, caratterizzata da un’intensità analoga a quella del biennio 1992-94; e al contempo l’affermarsi di un soggetto quasi post-partitico, il Pd di Renzi, che occupa una posizione centrale nel sistema politico, e vi funge, oltre che da architrave, anche da scambiatore di persone, di carriere, di poteri, in una prospettiva neo-trasformistica. Parallelamente a questo concorrere degli interessi forti, e di parte di quelli diffusi, verso il centro del sistema, si manifestano segnali crescenti di esclusione, sia nell’area istituzionale – dove all’esterno del Pd e delle forze che in vario modo e grado ne dipendono (il centro e il centro-destra; ma anche Sel non ha larghe prospettive autonome) c’è solo una protesta (Lega e M5S) che per la sua mancata spendibilità politica rafforza il Pd stesso – sia fuori dalle istituzioni, dove i cittadini non votanti sono ormai la maggioranza. Non è dunque ancora risolta la questione dei partiti, ovvero della rappresentanza e insieme della partecipazione, apertasi un quarto di secolo fa.

Eppure in questa debolezza della politica – troppo includente e al contempo troppo escludente – c’è evidentemente una forza, resa tale sia dallo stato di necessità, sia dall’abilità politica del leader del Pd e del governo, sia dall’assenza di alternative praticabili – in termini di personale politico e di programma –.
Una forza che fa sì che l’attuale fase veda anche operarsi, sia pure con fatica e in modo non ancora compiuto, una trasformazione della democrazia italiana: l’Italia sta infatti assumendo una nuova forma politica.
Sia chiaro che non si tratta di una forma di per sé autoritaria: l’alternativa fra democrazia e autoritarismo appartiene alla cattiva scienza politica e alla pigra filosofia politica. Fra i due corni di quell’alternativa c’è in realtà un vastissimo spazio di sfumature e di posizioni, in cui l’Italia sta occupando il quadrante di una speciale “democrazia d’investitura rafforzata” – rafforzata, s’intende, da un evento non formalmente costituzionale come l’appoggio quasi plebiscitario che i poteri economici e mediatici (peraltro largamente coincidenti) offrono al leader.

Le riforme in via di approntamento coinvolgono le tre facce dell’unico sistema di potere dei nostri giorni – la tripartizione di Montesquieu fra legislativo, esecutivo, giudiziario è infatti largamente obsoleta –: potere economico (qui si è intervenuti col jobs act sul mercato del lavoro, senza disturbare in alcun modo il capitale e la finanza), potere politico (riforma della costituzione e della legge elettorale), potere formativo e informativo (riforma della governance della Rai e della scuola).

I risultati sono, quanto al primo punto, la privatizzazione e la spoliticizzazione del lavoro (che divenendo affare personale – questo significano infatti la flessibilità e l’ideologia della protezione del lavoratore e non del posto di lavoro –, perde il rango di fondamento primario della democrazia repubblicana) e la sua subalternità reale al potere del capitale; durante la lunga fase delle tutele incomplete il lavoratore non sarà particolarmente combattivo, com’è ovvio supporre.

Quanto al secondo punto, la politicizzazione della Costituzione, che cessa di essere un’arena di istituzioni in cui, all’interno di un antifascismo originario e di un progressismo sistematico (l’art. 3 Cost.), le forze politiche si affrontano alla pari, e che – da una legge elettorale squilibrata e unica nel mondo occidentale – viene invece consegnata senza contrappesi significativi al vincitore delle elezioni politiche, organizzate come un breve duello che ha in palio il comando politico indisturbato fino alla scadenza della legislatura, quando si scatenerà una nuova resa dei conti per la successiva investitura.

E, quanto al terzo punto, si lascia invariato il dominio mediatico degli oligopoli economici, e anche la tendenza a trasformare la politica in spettacolo – in una logica di sistematico svilimento –, e sarà sottratta la Rai ai partiti e rafforzata la sua dipendenza dal potere politico, mentre la trasmissione scolastica di cultura si incentrerà sulle competenze, sulle abilità e sul problem solving. Come al primo punto si esclude il conflitto, e al secondo la politica in quanto attività complessa prolungata e diffusa, così al terzo punto si limita lo spirito critico: risolvere i problemi è importante, ma lo è ancora di più capire perché e come sono nati, a vantaggio e a svantaggio di chi.

A uno sguardo attento queste trasformazioni sembrano andare verso l’importazione in Italia dell’ideologia dei Trattati Ue, resa esplicita con la formula che vuole l’Europa impegnata a realizzare “un’economia sociale di mercato altamente competitiva” – l’esclusione del conflitto sociale, la costituzionalizzazione dell’equilibrio di bilancio, i parametri di Maastricht, l’orientamento all’esportazione, i bassi salari (gli 80 euro non invertono certo la rotta in modo significativo), vanno tutti in questa direzione -.

Un’ideologia moderata ma non certo autoritaria o antidemocratica, quindi; che si presenta in Italia con una curiosa e importante variante: i corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni economiche, burocrazie, Länder) che nello schema originario sono i perni strutturali della stabilità sistemica, da noi invece sono sotto attacco mediatico e politico, e pare prevalere un modello populista-democratico di leadership intensamente politica che fa appello direttamente al popolo scavalcando ogni mediazione, denigrata come ‘casta’. La differenza è grande, certo; e nasce dal fatto che, nonostante l’opera demolitoria di Berlusconi, per molti versi il lavoro di abbattimento delle strutture e delle mentalità ‘socialdemocratiche’ (partiti e sindacati) e ‘vetero-costituzionali’ (burocrazie e regolamenti) resta ancora da fare, ed ancora esige – agli occhi, ovviamente, di chi si assume l’onere politico di riformare l’Italia nella direzione indicata – un grande investimento di energia politica innovativa (impropriamente spesso elevata al rango di ‘decisionismo’, ma certamente debordante).

Resta da vedere, ed e’ un grande dilemma interpretativo e politico, se questo “quasi-decisionismo” sarà una fase transitoria, un accompagnamento verso la stabilità di un ordine nuovo, o se invece resterà la cifra di una politica restia (o inadatta) a precipitare in soluzioni ordinative, e tutta spostata verso l’attivismo e l’occasionalismo.

Se ci si chiede come si sia arrivati a ciò – al di là delle vicende più recenti, che hanno visto l’insuccesso elettorale del tentativo blandamente socialdemocratico di Bersani –, non si può non fare riferimento alla sconfitta storica della sinistra, maturata fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, a opera della rivoluzione neoliberista che ha chiuso il ciclo rooseveltiano (o, per dirla all’europea, i Trenta gloriosi); e anche all’introiezione, fortissima, da parte delle sinistre europee, delle logiche e delle categorie analitiche del mercatismo imperante.
Che continua a imperare nonostante le sue contraddizioni (soprattutto due: esige molta più energia politica di quanto abbia mai ammesso, e in nome dell’individualismo riduce i singoli soggetti, e i loro diritti, a irrilevanza sociale ed esistenziale) e nonostante le sue crisi, che si abbattono sulle società occidentali come calamità naturali a cui si fatica molto a rispondere (e particolarmente fatica il modello ordoliberista europeo).

Di fatto, sia quando funzionava a regime sia quando e’ entrato in crisi, il sistema neoliberista ha prodotto, in Occidente, un grave logoramento del legame sociale, generando disuguaglianza e insicurezza tanto gravi da mettere a rischio l’auto-identificazione democratica della cittadinanza. E per di più sembra oggi che il legame si possa ricostituire intorno alla paura dei conflitti e dei terrorismi che terribili squilibri geo-strategici hanno ormai portato alle soglie di casa. Un contesto di impoverimento e di paura che certo non aiuta la sinistra

Non facile, com’è evidente, individuare se non rimedi, se non un programma, almeno alcune strategie sensate e coerenti da parte di una sinistra che non pare godere, nemmeno a livello europeo, di particolare fortuna e consenso. E che nondimeno dovrà affrontare l’ experimentum crucis dell’identità, ovvero della contrapposizione consapevole allo stato di cose esistente, e della prassi, ovvero della responsabilità governante.

Tutto ciò esige che chi si oppone al ciclo politico in corso, e alle sue scelte qualificanti, sia prima di tutto all’altezza, intellettuale politica comunicativa, del compito. Ovvero che si renda ben conto della posta in gioco, tanto politica (la forma costituzionale del Paese) quanto sociale (l’esigenza di cambiare politiche economiche o inesistenti o finalizzate a parametri che non tengono conto dell’occupazione). E che si ponga apertamente l’obiettivo, l’unico che la sinistra può realisticamente darsi, di ricostruire il legame sociale e la tenuta democratica del Paese a partire dal lavoro, e dall’obiettivo dell’impiego produttivo di massa e, perché no, dalla difesa del sistema industriale italiano.

A tal fine si devono accettare alcune sfide.
La prima e’ quella delle riforme, la cui esigenza prescinde dall’Europa. E’ la storia delle nostre debolezze, della fase terminale della Prima repubblica e di gran parte della Seconda, che ce le impone. Ma se cambiare si deve, non si tratta però di cambiare per il gusto di cambiare (e’ già stato fatto) ne’ per adeguare il Paese a incomprensibili (o comprensibilissimi) diktat transalpini. Il fatto è che ‘riforme’ e ‘innovazione’ sono termini ambigui: ogni riforma può essere impostata secondo direzioni diverse, e ha conseguentemente costi sociali diversamente distribuiti: e finora i costi sono stati pagati dai deboli, che lo sono divenuti ancora di più. La coppia oppositiva vecchio/nuovo non può sostituire quella di destra/sinistra. Quindi, e’ ora di chiedersi apertamente “quali riforme”? “Riforme per chi?”.
La seconda sfida consiste nell’uscire dal concetto di ‘minoranza’, che è solo numerico e aritmetico, e non ha rilievo qualitativo, politico. Devono cessare le ambiguità e le incertezze della politica (delle sinistre) intesa come proclamazione di penultimatum, come posizionamento interno, come contrattazione degli emendamenti (in certi casi utili, non lo si nega, ma confinati per loro natura in un’ottica di riduzione del danno, di male minore). La sinistra deve unirsi, almeno a livello di un tavolo permanente di coordinamento, per prendere l’iniziativa, individuando un diverso orizzonte culturale e sociale. Il reddito di cittadinanza, nelle forme appropriate, può essere un’occasione di nuovo protagonismo. Ma lo dovrà essere anche un’elaborazione sul Ttip, snodo strategico a cui non si riflette a sufficienza, e sulla scuola, altrettanto centrale e urgente. E, non ultimo, una battaglia critica e culturale per ridisegnare linguaggi, concetti e categorie (senza ambire all’egemonia, ma per costruire un pluralismo reale).

La terza sfida consiste nel declinare la necessaria centralità della politica (a ogni pulsione antipolitica che si realizza un esponente dei poteri forti si frega le mani) articolandola su tre livelli. Quello del leader (che a sinistra c’è sempre stato), quello della individuazione di un’area sociale di riferimento (la sinistra non può coincidervi, ma non può prescinderne) e quello del partito.
A proposito del quale ci si deve chiedere come una prospettiva di sinistra possa manifestarsi efficacemente in un partito a vocazione maggioritaria se questo anziché essere una delle due grandi forze in campo (secondo i canoni della democrazia competitiva) e’, come oggi avviene del Pd, l’unica forza politica di rilievo, circondato da partiti anti-sistema sotto il 20%. Il che lo porta appunto alla condizione descritta in apertura, di essere cioè un partito pigliatutti, progressivamente sempre più centrista, che si autoproclama partito della Nazione mentre della Nazione non rappresenta che un quarto.
Alla sinistra, dunque, il compito di includere efficacemente il lavoro e i giovani in un orizzonte più vasto e più connotato.

fonte essereasinistra.it

Vincenzo Comito: Quando la Germania era un debitore flessibile

Diffondiamo da www.sbilanciamoci.info del 23 febbraio 2015

 

 

 

Tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio lo stato tedesco ha fatto default o ha ottenuto degli alleggerimenti dei suoi debiti ben otto volte

È ben noto come la Germania abbia assunto un atteggiamento intransigente sulla questione del debito pubblico all’interno dell’eurozona e come essa tenda a spingere duramente perché i vari paesi adottino, per risolverlo, delle strette politiche di austerità, politiche che peraltro rischiano di uccidere il malato. Ne abbiamo avuto ancora una riprova con l’attuale crisi greca; nel corso dei negoziati i responsabili del paese teutonico sono stati i capifila e i portabandiera del partito dell’intransigenza, sino ad arrivare all’insulto verso un governo democraticamente eletto.

Ma da diverse parti, negli ultimi tempi, si tende a sottolineare come in passato il paese non sia stato quel campione di virtù che oggi cerca di apparire; in effetti, alcuni studiosi si sono chiesti quale sia stato in concreto, nel corso del tempo, il curriculum di tale paese sulla stessa questione ed hanno trovato degli elementi interessanti.

Si può cominciare ricordando come, certo, la gran parte dei paesi in tutte le regioni del globo sia passata attraverso una o più fasi di default, o comunque di ristrutturazione del proprio debito, nei confronti dei prestatori esteri, ma anche come la Germania sia stata tra i più assidui ad incappare in tale problema.

Apprendiamo così (Reinardt & Rogoff, 2009) che tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio lo stato tedesco, in effetti, ha fatto defaulto ha ottenuto degli alleggerimenti dei suoi debiti ben otto volte nel periodo, come del resto la Francia e contro una sola volta per l’Italia e cinque per la Grecia. Va peraltro riconosciuto che i campioni europei in questo sport sono stati gli spagnoli, con ben tredici volte. I tedeschi hanno comunque conquistato un brillante secondo posto a pari merito con il paese transalpino.

La rivalità franco-tedesca e le riparazioni dopo la grande guerra

In un certo senso, la Germania ha cercato di sottoporre la Grecia allo stesso trattamento inflitto alla Francia dopo la guerra franco-prussiana del 1870, quando i cittadini transalpini, dopo la veloce sconfitta, furono obbligati a pagare un grande volume di danni di guerra, 5 miliardi di franchi, pari al 20% del pil di allora del paese; esso dovette inoltre cedere l’Alsazia, una parte della Lorena e dei Vosgi, ai vincitori, che comunque occuparono una vasta area della Francia sino a che non fu effettuato l’intero pagamento del debito, ciò che avvenne, con molta solerzia, nel 1873. Sempre i francesi furono inoltre obbligati a concedere ai nemici la clausola della nazione più favorita.

E viene la prima guerra mondiale. Come è noto, questa volta, alla fine, si rovesciano le parti, la Francia si trova nel rango dei vincitori e la Germania invece in quella degli sconfitti.

L’obiettivo fondamentale del primo ministro francese del tempo, Georges Benjamin Clemenceau, fu allora quello di vendicarsi della sconfitta del 1870 e di annullare praticamente i progressi economici fatti dalla Germania dopo quella data. Egli riuscì ad imporre rilevanti perdite territoriali al paese nemico e cercò parallelamente, nella sostanza, di distruggere, o quantomeno di danneggiare al massimo, il suo sistema economico.

Ecco che lo statista francese riesce ad imporre alla Germania anche il pagamento di danni di guerra molto ingenti. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti si accodarono alla fine alle richieste dell’alleato.

Il problema finanziario che si poneva era comunque abbastanza complesso. Da una parte stavano i prestiti interalleati fatti prevalentemente per acquistare le armi e gli equipaggiamenti relativi (la Gran Bretagna aveva preso a prestito dagli Stati Uniti, la Francia dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti), dall’altra il problema delle riparazioni tedesche a Francia e Inghilterra. Le somme in gioco erano enormi: i debiti interalleati erano stimati in circa 26,5 miliardi di dollari, la gran parte dei quali dovuti agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, mentre la commissione per le riparazioni del 1921 fissò in maniera definita, dopo vari summit preliminari che andavano più o meno nello stesso senso, il debito della Germania in 33 miliardi di dollari, la gran parte dovuti a Francia ed Inghilterra (Aldcroft, 1993). Tali riparazioni avrebbero dovuto essere regolate in rate trimestrali a cominciare dal gennaio del 1922.

Mentre la Francia legava le due questioni, dichiarando che il paese avrebbe ripagato i suoi debiti quando gli sarebbero stati versati i proventi delle riparazioni, la Gran Bretagna e gli Usa avevano chiaro che gli indennizzi non potevano superare certi limiti.

I dubbi di Keynes e i vari tentativi di ristrutturazione del debito

Nel 1919 Maynard Keynes aveva 36 anni e aveva partecipato alla conferenza di pace come rappresentante del governo inglese per le questioni finanziarie. Ma egli si dimise presto, essendosi trovato in totale disaccordo con l’impostazione che gli alleati stavano dando alla sistemazione dell’Europa dopo la guerra.

Egli pubblicò così subito dopo “Le conseguenze economiche della pace”, un saggio molto polemico contro la follia della “pace cartaginese” che i vincitori della guerra stavano, a suo dire, imponendo alla Germania. Le riparazioni avevano un onere finanziario, affermò l’autore, che la Germania non era in grado di sostenere (egli calcolò a questo proposito che il paese avrebbe potuto restituire, grosso modo, solo un quarto della somma stabilita) e previde lucidamente che le conseguenze del trattato di pace sarebbero state molto dannose per il futuro del continente.

I tedeschi cominciarono a versare le prime rate, ma nel corso del 1922 la situazione economica del paese si deteriorò rapidamente, con l’accelerazione dei processi di inflazione e di svalutazione della moneta; i tedeschi chiesero dunque una moratoria dei pagamenti, ma essa fu loro negata. Ma la Germania non era più in grado di pagare (Aldcroft, 1993) e, comunque, non fece nessuno sforzo per tentare.

Nel gennaio del 1923, i francesi e i belgi, di fronte al fatto che i tedeschi non pagavano le somme richieste, decisero di occupare la Ruhr. Ma tale mossa concorse a completare il collasso economico e finanziario della Germania.

Si stabilì, a questo punto, di convocare una conferenza internazionale, che si tenne a Londra nel 1924 e che diede origine al piano Dawes, dal nome del presidente della conferenza, un banchiere americano. Secondo questo piano, la moneta tedesca avrebbe dovuto essere stabilizzata dopo l’enorme livello raggiunto dall’inflazione e le truppe francesi avrebbero dovuto essere ritirate dalla Ruhr. Un flusso di aiuti americani alla Germania avrebbe permesso a quest’ultima di rimborsare i suoi creditori. L’importo totale dei debiti della Germania veniva lasciato quale fissato nel 1921, ma venivano allungati i tempi di pagamento.

Così nel periodo 1924-1930 la Germania prese a prestito soprattutto dagli Stati Uniti circa 28 miliardi di marchi e ne restituì ai paesi alleati come danni di guerra circa 10,3 (Aldcroft, 1993).

Ma, quando nei tardi anni venti, i prestiti statunitensi smisero di arrivare e molte banche straniere richiesero la restituzione di prestiti precedenti, la situazione si fece di nuovo difficile.

Un ulteriore accordo venne così negoziato nel 1929; era il piano Young, dal nome di un altro plenipotenziario statunitense. Il piano proponeva ormai una riduzione del totale del debito tedesco e degli importi da pagare annualmente.

La situazione economica internazionale intanto non fece funzionare l’accordo che per due anni. Nel 1931 la moratoria Hoover sospese per un anno i pagamenti, ma di fatto si trattò di una moratoria definitiva.

Alla fine gli Stati Uniti avevano ricevuto in restituzione dagli alleati circa 2,6 miliardi di dollari, contro crediti per prestiti ed interessi di 22 miliardi. La Francia a sua volta aveva ricevuto in pagamento dalla Germania circa un terzo dell’importo stimato dei danni di guerra (Aldcroft, 1993).

Le riparazioni dopo la seconda guerra mondiale

E viene poi la seconda guerra mondiale. Anche in questo caso, dopo la fine delle ostilità, si trattava di sistemare la questione delle riparazioni.

La conferenza di Postdam nell’agosto del 1945 fissò subito il principio delle restituzione dei danni di guerra e un accordo di base in proposito venne ipotizzato per le zone occidentali del paese nel 1950. Intanto era stato avviato il piano Marshall, con il quale gli Stati Uniti concessero al paese rilevanti somme di denaro per far ripartire la loro economia.

Furono gli Stati Uniti a guidare tutta l’operazione dei risarcimenti nel 1953, consci che fosse necessario aiutare la ripresa della Germania e dell’Europa dopo una guerra devastante, evitando di commettere gli stessi errori del primo dopoguerra. Pesava fortemente, peraltro, anche la volontà degli Stati Uniti di fare della Germania Occidentale un baluardo contro il blocco sovietico.

Così nell’agosto del 1953, dopo trattative durante diversi mesi, ventuno paesi firmarono a Londra un trattato, noto come London Debt Agreement, che consentì alla Germania di suddividere la questione in due parti. La prima corrispondeva ai debiti accumulati fino al 1933, stimati in 16 miliardi di marchi; fu consentito di rateizzare il loro pagamento in 30 anni, a tassi di interesse molto bassi, ciò che equivaleva alla pratica cancellazione dello stesso. L’altra parte, corrispondente ad altri 16 miliardi di marchi e che faceva riferimento ai debiti dell’epoca nazista e della guerra, avrebbe dovuto essere ripagata, secondo modalità da concordare, dopo l’eventuale riunificazione del paese. Ma nel 1990, a processo di unificazione concluso, il governo tedesco si oppose alla rinegoziazione dell’accordo, a ragione in particolare dei costi che sarebbero stati necessari per risollevare economicamente la parte est del paese.

In ambedue le occasioni tra i creditori c’era anche la Grecia, che dovette accettare molto a malincuore tali decisioni.

La stessa Grecia ha sollevato a più riprese, ma invano, la questione dei danni di guerra subiti da parte della Germania. Tra l’altro, in effetti, nel corso delle vicende belliche il paese, occupato dai tedeschi, era stato costretto a prestare al Reich 476 milioni di reichsmark senza interessi. Tale somma corrispondeva ormai nel 2012, secondo alcuni calcoli, a circa 14 miliardi di dollari e a circa 95 miliardi se si calcolavano anche degli interessi al tasso molto ragionevole del 3% annuo. A fine 2014 la cifra totale dovrebbe aver superato i 100 miliardi di dollari.

La Germania si rifiuta a tutt’oggi di prendere in considerazione l’intera partita.

 

Testi citati nell’articolo

-Reinardt C. M., Rogoff K. S., This time is different, Eight centuries of financial follies, Princeton University Press, Princeton, N. J., 2009

-Aldcroft D. H., The european economy 1914-1990, Routledge, Londra, 3a ed., 1993

 

Podcast Audio Diario Prevenzione – Ambiente Lavoro Salute – 27 febbraio 2015 – puntata n° 26

 
 
In questa puntata parliamo di:
 
– Guariniello e la sentenza Eternit: quando si consuma il reato di disastro? una intervista a Punto Sicuro
 
 
– JOBS ACT : COSA CAMBIA NELLA GESTIONE SALUTE E SICUREZZA NEL LAVORO 
 
 
– Primi risultati della seconda indagine Osha Eu su scala europea sulle imprese 12/02/2015
 
 
– Le iniziative programmate il 13 marzo 2015 a Ravenna  in occasione dell’anniversario della tragedia della Mecnavi
 
 
– Jobs act, Poletti: “Smantellare articolo 18? Un anno fa non lo avrei immaginato”
 
 
– Frittura mista – notizie in breve
 
 

 

LE RAGIONI DI LANDINI

 

di Paolo Ciofi – 25 febbraio 2015

Ricapitoliamo i fatti. Il segretario della Fiom Maurizio Landini, in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, dichiara che siamo alla «fine di un’epoca» e che pertanto «è venuto il momento di sfidare democraticamente Renzi». Per questo, precisa, «il sindacato si deve porre il problema di una colazione sociale più larga e aprirsi a una rappresentanza anche politica». Il quotidiano diretto da Marco Travaglio traduce e strilla un titolo a tutta pagina «Landini: ora faccio politica». Si scatena una indecente bagarre mediatica. E sebbene lo stesso Travaglio riconosca che quelle parole messe tra virgolette Landini non le ha mai pronunciate, il capo del governo le brandisce come un’arma impropria per mettere fuori gioco il segretario del principale sindacato operaio di questo paese, con l’obiettivo di delegittimarlo anche moralmente. Come se fare politica sia diventato un peccato mortale: per gli altri naturalmente, non per chi il potere politico lo detiene.

Il repertorio di frasi ad effetto del governante di Rignano, che come al solito si spoglia di ogni responsabilità pubblica, è abbondante. Ma la qualità è nettamente al di sotto del livello medio di alfabetizzazione politica: «Landini sceglie la politica perché ha perso con Marchionne»; «non è Landini che abbandona il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini»; «sul Jobs Act ognuno può avere l’opinione che vuole (bontà sua), ma è difficile pensare che tutte le manifestazioni non fossero propedeutiche all’entrata in politica». E così via. Senza alcun riferimento ai contenuti della materia del contendere. Perché, essendo stati imposti da colui che comanda, i contenuti sono per definizione giusti e «di sinistra». Dunque, indiscutibili.

In questa logica è addirittura inconcepibile che un sindacalista possa organizzare la protesta popolare e di massa contro l’eliminazione di diritti fondamentali come quelli sanciti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Se lo fa non è per difendere un principio costituzionale, e perché crede nella giustizia sociale, nella solidarietà e nella democrazia, ma perché motivi loschi lo spingono a «entrare in politica». E se i sindacati protestano contro una patente violazione dei diritti del lavoro che moltiplica la precarietà, vanno ricondotti all’ordine. Meglio ancora se diventano una protesi dell’impresa, cioè del capitale, eliminando qualsivoglia rappresentanza generale e cancellando la contrattazione collettiva.

Insomma, un inguacchio retrogrado che guarda al passato. E che però è la dimostrazione inconfutabile della validità delle ragioni di Landini, quando denuncia che oggi il lavoro non ha rappresentanza politica, e che il sindacato deve coinvolgere tutti coloro che «per vivere devono lavorare». Dal sistema dei media l’attenzione viene invece strumentalmente concentrata sul dilemma se il segretario della Fiom scenderà o no in politica, nel tentativo finora riuscito di oscurare la sostanza del problema. In verità sono ormai molti anni che la classe operaia tradizionalmente intesa, i nuovi lavoratori generati dalla rivoluzione digitale, i precari e le partite iva, donne e uomini, giovani e anziani, non dispongono di un’autonoma e libera rappresentanza politica, che ne tuteli i diritti e la dignità, la condizione materiale e morale di fronte allo strabordante potere del capitale.

In questa area largamente maggioritaria sta la massa crescente degli elettori che non si sente più rappresentata dal sistema politico nel Parlamento della repubblica democratica fondata sul lavoro. Come dimostrano, tanto per stare ai dati più recenti, il successo di Grillo nelle elezioni politiche e l’astensione di oltre il 60 per cento degli elettori nel voto regionale dell’Emilia-Romagna. Landini dunque, sebbene con ritardo, enuncia una verità solare quando dice che in Italia il lavoro non ha rappresentanza politica. È un problema che dovrebbe agitare il sonno e turbare la coscienza di ogni democratico, perché il lavoro senza rappresentanza equivale a un’amputazione della democrazia. E proprio in questa amputazione risiede la causa più profonda della crisi democratica che stiamo vivendo, dalla quale certo non si esce con le (contro)riforme sociali e costituzionali del governo.

Non aiutano a chiarificare il quadro le filosofiche bubbole di Scalfari, per usare un termine a lui caro. Il quale prima ci fa sapere che «la definitiva attuazione del Jobs Act è un elemento molto positivo della politica economica renziana, anche se la fisionomia “classista” non sfugge a nessuno». E poi si rammarica osservando che se «la democrazia partecipata […] è in forte declino», «la causa si chiama indifferenza, soprattutto dei giovani». Come a dire: chi ti dovrebbe rappresentare non lo fa e anzi ti bastona, ma per non essere indifferente tu lo devi comunque votare.

Nel vuoto di rappresentanza che dura da anni, e che genera crescente indifferenza, c’è oggi però una novità rispetto al passato che Landini descrive così: «Renzi ha preso il programma di Confindustria e lo sta applicando», perdipiù «senza che nessun italiano abbia potuto votarlo». In altre parole, Renzi, che si proclama di sinistra, sta attuando il programma della destra e sta facendo ciò che neanche Berluscuni, il padre-padrone della destra, era riuscito a fare. Il massimo del trasformismo, che da una parte umilia il Parlamento esautorato della sua funzione legislativa, e dall’altra adotta un linguaggio menzognero e insultante degradando la politica a pura irrisione dell’avversario. Chi è Landini, se non uno sfigato, un povero perdente che vuole entrare in politica per scopi poco chiari? È dunque del tutto legittimo esporlo al pubblico ludibrio.

Nella sostanza si delinea una forma dura di autoritarismo, che punta al massimo di personalizzazione della politica, e quindi all’ascesa non effimera dell’uomo solo al comando. Con l’intento di consolidare un nuovo sistema di potere, conformando a questo fine l’insieme delle istituzioni e dei corpi dello Stato, dal parlamento alla magistratura. Su un aspetto Scalfari coglie nel segno: dal punto di vista sociale, questa è una fisionomia tipicamente classista, senza virgolette. In altre parole, siamo di fronte a un tentativo di modernizzazione capitalistica feroce, che cerca di farsi largo nella dimensione europea puntando tutto su un consenso trasformistico e mediatico. Ed è contemporaneamente la sepoltura senza onore della sinistra che sarebbe dovuta nascere dalla svolta della Bolognina di Occhetto.

Se ancora con Bersani l’ideologia prevalente nel Pd tendeva a conciliare il conflitto tra capitale e lavoro, fino a negarlo in una immaginaria visione buonista del liberismo dominante, con Renzi l’incantesimo si rompe. Lui sta con Marchionne contro Landini senza se e senza ma, vale a dire dalla parte del capitale contro il lavoro. E ci sta in modo ostentatamente dichiarato. Così il conflitto, che è organico al capitale come rapporto sociale, e che perciò non era mai scomparso in presenza di una la lotta di classe condotta con spietatezza dall’alto verso il basso, riappare alla luce del sole in una dimensione dichiaratamente politica. Fino a diventare un asse portante del governo e a mettere in discussione i principi della Costituzione, che fonda sul lavoro l’Italia democratica

da paolociofi.it

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Jobs act, Poletti: “Smantellare articolo 18? Un anno fa non lo avrei immaginato”

 

“Abbiamo bisogno di cambiare radicalmente” “Quando siamo partiti c’era un ragionamento che diceva abbiamo bisogno di cambiare radicalmente. Non avevamo puntualmente definito tutti i punti su cui intervenire e i singoli problemi”, continua il ministro. “Non era possibile andare avanti” “La situazione di oggi – aggiunge – non è quella di 20 anni fa: era maturata la consapevolezza in Italia che c’era la necessità di un cambiamento radicale. I cittadini hanno realizzato che così non era possibile andare avanti”. fonte rainews

Come dire, questo signore dall’aria mansueta un anno fa non si immaginava neppure che avrebbe “smantellato” l’art.18. Come giustificazione allo scippo di diritti dei lavoratori,  la cui mancanza si comincerà a vedere a livello sociale e molecolare nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro tra non molto, afferma ” non era possibile andare avanti…” i cittadini hanno realizzato che così non era possibile andare avanti…”

A quali cittadini si riferisce il nostro amabile conterraneo ? Ai lavoratori precari che rimarranno precari ? A quei lavoratori che saranno “demansionati” perchè non sono simpatici al padrone ? Ai genitori con figlioli trentenni che non trovano lavoro , che sanno che non avranno mai un lavoro vero se non precario e malpagato magari in una delle fantasiose cooperative sociali romane che tanto  piacevano al nostro ministro…

Questo ministro signorsì, mansueto e obbediente pilastro del leader autoritario e avventuriero Signor Renzi, si comporta come un apprendista stregone che manipola senza troppa contezza miscele umane, sociali e professionali pericolose.

Il risultato di queste misure sarà quello di rendere inappetibile in tutte le sue forme il lavoro dipendente: un giovane o una ragazza con talento non avranno di certo nel loro orizzonte la meta di un lavoro dipendente, senza diritti e demansionabile a piacimento del padrone, licenziabili ad nutum con una manciata di spiccioli.

Cercheranno altro, faranno altro con micro aziende di servizi, piccoli bar e trattorie, con la fuga all’estero. Sarà l’impresa ad elevata tecnologia e complessa che farà fatica a trovare tecnici e operai specializzati, ma questi scenari non sono nella mente del nostro mansueto e obbediente ministro.

Gli effetti del Job Acts nel ricambio generazionale dei lavoratori si vedranno tra qualche anno quando avremo un paese pieno di resturant e bettole e le aziende ad alta vocazione specialistica e tecnologica se ne saranno andate a cercare lavoro di elevata qualità altrove.

Sia pure agnostici non ci resta che dire : ” Perdonali perchè non sanno quello che fanno”

 

La Ditta PD ha cambiato azionista di riferimento ……

Ci capita di vedere Taddei per tv con lo sguardo fisso e un pò allucinato che recita un sermoncino propagandistico decantando le magnifiche qualità delle condizioni di lavoro post Jobs Act. Una nuova ideologia, quella tardoliberista ha trovato uno zelante novizio ….

Da marzo vedremo i primi impatti di questa operazione che consegna il futuro di migliaia di lavoratori al potere unilaterale delle imprese di tenerli o di metterli alla porta. Lavoratori anziani non più prestanti ma ancora lontani dalla pensione, ammalati o con ridotte capability lavorative saranno in testa alle liste “Jobs Act” dei licenziamenti economici collettivi.
Qualche dirigente del Partito della nazione, già PD, si dirà amareggiato per questi “effetti collaterali” spiacevoli ma necessari come sacrificio per il bene della nazione.
Vedremo tra non molto ancora Taddei con lo sguardo fisso e un pò allucinato in tv affermare che …. le imprese non sono state ai patti ?

Sì perche la strategia del Renzi è quella della scommessa basata sul fatto che una volta spogliati i lavoratori dei diritti di base indispensabili per una condizione dignitosa di vita nel luogo di lavoro ( dal licenziamento facile al demansionamento ) le imprese dovrebbero rispondere con la ripresa delle assunzioni.

In questo caso il Presidente del Consiglio si sta comportando come quei broker che si fanno dare tutti i risparmi dai poveracci a volte un pò creduloni con la promessa di guadagni strepitosi per bruciarli in operazioni di borsa disastrose…
Questa è la “Ditta” che storicamente aveva come azionisti di riferimento i lavoratori ora ha le associazioni dei padroni, Confindustria in testa. Spiace che una persona perbene come Bersani stia a questo gioco: la “Ditta” ha cambiato padrone e amministratore delegato e Bersani e Cuperlo che non contano più nulla se ne stanno ancora lì ad aspettare Godot. Ma non per molto, dopo il Job Act i licenziamenti saranno più facili anche dentro la Ditta PD 🙂

Rimarranno invece alcuni zelanti novizi come Taddei che recitano con lo sguardo rivolto al cielo sermoncini apologetici sul Job Acts in tv: ecco i nuovi ideologi del pensierino tardo liberista

RENZI A EXPO15 UN DISCORSO DA MODESTO PROPAGANDISTA MENTRE IN EUROPA SI RISCHIA LA GUERRA

RENZI A EXPO15 UN DISCORSO DA MODESTO PROPAGANDISTA MENTRE IN EUROPA SI RISCHIA LA GUERRA

Mentre l’Europa è in fibrillazione per il rischio che la guerra “a bassa intensità” che si sta consumando in Ucraina si trasformi in guerra globale che potrebbe coinvolgere l’Europa il premier Matteo Renzi dal podio dell’Hangar Bicocca esordisce con queste frasi : ” Il 2015 è un anno felix per l’Italia” , “un anno” –  continua il premier ” nel quale ci sono tutte le condizioni per tornare a correre….”

Un intervento quello del Presidente del Consiglio di basso profilo, propagandistico,  avulso dalla realtà del momento. Mentre Merkel e Hollande erano al Cremlino per ricercare di allacciare un esile filo di comunicazione e medazione per evitare il baratro della guerra in Europa il nostro Presidente del Consiglio si prodigava a spargere ottimismo e a dipingere un mondo che non c’è o che rischia di non esserci più a breve.

Un richiamo ai rischi per la pace, un segnale che manifestasse attenzione e preoccupazione per la gravità della situazione in Europa avrebbe reso più credibile il discorso di lancio di EXPO 15.

Purtroppo la levatura politica modesta a livello internazionale del Presidente Renzi è apparsa anche oggi quando ha preferito rivolgere più attenzione ad un eventuale rischio di sciopero alla Scala  il primo maggio prossimo venturo che al rischio di una guerra sul suolo d’Europa.

La foga del propagandista non sostituisce l’inconsistente spessore politico a livello internazionale del Presidente del Consiglio italiano. Di ben altro spessore e complessità è stato il video messaggio del Papa che lanciato un messaggio importante  all’altezza della drammaticità della situazione internazionale che l’Europa e il mondo stanno vivendo.

Il dramma surreale degli ‘esuberanti’ dipendenti provinciali.

Il dramma surreale degli ‘esuberanti’ dipendenti provinciali di Fausto Anderlini ( da facebook )

Invertendo la consuetudine per la quale i crocchi operai delle fabbriche in crisi erano dirottati sotto Palazzo Malvezzi questa volta sono i dipendenti provinciali che si sono recati a Palazzo D’Accursio. In un triste venerdì prenatalizio in gran numero si sono assiepati sullo scalone che conduce al piano nobile. Il cui caratteristico pavimento dicono fosse così concepito per far transitare i cavalli. Sicchè le foto ce li restituiscono, questi lavoratori che la legge di stabilità del governo Renzi-Berlusconi-Napolitano considera come ‘esuberi’, come una torma recalcitrante e stranita di bestie a fine corsa. Animali destinati al macello che si mettono in posa. Srotolano gli striscioni con le loro pregevoli quanto patetiche realizzazioni, scuole, strade ecc. La vicenda delle Province è una classica situazione dove si mescolano l’improvvida sciatteria di un branco irresponsabile di pseudoriformatori e una volontà lucida e dichiarata. Perfettamente luciferina. Forse dandosi la mano l’una con l’altra.
Durante il prolungato decorso della legge Del Rio, lo statista di Reggio Emilia, nulla è stato apprestato per implementare la trasformazione con un minimo di razionalità. Gli enti sono stati abbandonati alla deriva rinviando agli improvvisati neo-consigli di amministratori comunali auto-eletti l’onere di provvedere come per incanto a un ‘nuovo inizio’. Ancora più colpevole la situazione delle ‘città metropolitane’ che almeno sulla carta avrebbero dovuto godere di una qualche spinta propositiva. A Bologna il Sindaco futuro Presidente metropolitano ha impegnato il suo tempo per dileggiare il morituro e la sua classe politica caduta in disgrazia, con la Presidente in testa. Puro marranismo. Avendone in cambio uno sdegnato non collaborazionismo. Il gruppo dirigente del Pd era nel frattempo occupato a brigare per la propria collocazione. Pur stante la mediocrità della ‘riforma’, nessuno s’è impegnato, come avveniva in altri tempi, a mettere a punto un piano di fattibilità che ne reinterpretasse i farraginosi contenuti. Tutto ciò che è stato elaborato è un documento cartaceo paradossale, gratuitamente consegnato dal genio frusto ma creativo del Prof. Vandelli che la conventicola chiama col nome di Statuto Quando i provinciali in disgrazia hanno occupato il consiglio metropolitano il Sindaco s’è commosso per solidarietà e ha invocato la buona fede progressista del governo Renzi. Poi i consiglieri metropolitani hanno preso posto sui banchi assieme ai dipendenti loro affidati e si son messi a discutere dello statuto. Col Vandelli. Una situazione surreale che neanche nei film di Bunuel…. Si oensi che prima di recarsi in massa sulle scale di Palazzo D’Accursio gli stessi dipendenti han brindato presso la sala rossa assieme al loro comandante Schettino, cioì il Direttore Generale che ha pensato bene d’andare in pensione appena intuita la mala parata. Nessuno responsabile di alcunchè in questo mondo del cazzo. Niente partito, che è nelle manoi degli arrampicatori di cariche, istituzioni allo sbando con una classe politica ormai rimbecillita. Il Bonacini appena intronato è da un mese ormai che si occupa di sanità e di equilibri di giunta coinvolgenti i territori e le diverse anime dorotee del Pd. Il quale, tutto intero, ha subito un infarto ma prosegue come se niente fosse. Come i funzionari dell’impero ottomano spersi nelle isole dell’Egeo che mandavano rapporti a un imperatore decaduto da dieci anni. Ma non c’è solo sciatteria. Magari fosse solo questa. C’è scienza e coscienza. Le province sono state usate (coram populo) come l’anello debole della catena per condurre un esperimento di decostituzionalizzazione politica per decretazione, deforestazione traumatica dello Stato decentrato (nel quale è incorporata larga parte del welfare) e, dulcis in fundo, di abbattimento del tabu del pubblico impiego. Ovvero della non licenziabilità per via ordinaria. Monetà molto popolare nella meschinità generale prodotta dalla crisi. Non esistono più diritti acquisiti. Tutto è revocabile. Come l’articolo diciotto. I vincitori dei concorsi già sono in agitazione per evitare d’essere messi in stand bay dagli ‘esuberati’. E’ la guerra fra i poveri, nella quale sguazzano le vere élites finanziarie e patrimoniali. Il Pd segue la sua ‘tera via’, e tratta la sua vecchia base sociale – operai sindacalizzati e operatori istituzionali- come la Tatcher trattò i minatori inglesi. Con la sicumera dell’ultimo arrivato sta cercando un’altra base sociale, dopo aver buttato a mare la propria. Novità che però è un’araba fenicia, perchè è una balla che lo stritolamento dei cd. ‘garantiti’ aprirà la strada ai precari, ai meritevoli abbandonati e alla nuova classe media in ascesa (è persino comico evocarla, quest’ultima). L’esito di questa crisi sociale sarà una drammatica fascistizzazione di massa. Come già sta avvenendo in molte parti d’Europa. A meno che non si alzi per tempo una forza di sinistra che getti alle ortiche questo sciagurato PdR ed eviti che il paese sia fagocitato da una qualche ‘Alba dorata’ a far luce su un oscuro tramonto.

Podcast Diario Prevenzione – Ambiente Lavoro Salute – 19 dicembre 2014 – puntata n° 23

Podcast Diario Prevenzione – Ambiente Lavoro Salute – 19 dicembre 2014 – puntata n° 23

In questa puntata:

– Scenari salute e sicurezza del lavoro in Italia e in Europa. Note e commenti rispetto al Seminario internazionale promosso da Ministero del Lavoro e Inail in occasione della conclusione della Presidenza italiana del Consiglio dei Ministri della UE il 4 e 5 dicembre a Roma.

– Il punto di vista dei sindacati europei: l’urgenza di rivitalizzare la politica comunitaria in materia di salute e sicurezza sul lavoro

– Bruxelles, la crociata contro la burocrazia. Attenzione!

– La medicina del lavoro in Europa tra crisi e crescente dipendenza dai poteri forti. Il numero della Rivista HESAMAG sulla medicina del lavoro in Europa.

– Le “politiche di prevenzione” dell’Inail dai finanziamenti alle imprese alle verifiche sui risultati….

– Curiosità storiche: la Britihis Asbestos Company cita in giudizio il direttore del giornale il Progresso di Nole Canavese che aveva pubblicato un’inchiesta in cui si diceva che l’amianto era letale per i lavoratori di Nole…. Era il 1906 … Chi vinse la causa ?

– Auguri per il 2015

– Fritto misto e contorni

IL NOTIZIARIO ( 33 MINUTI )

 

Bruxelles, la crociata contro la burocrazia. Attenzione!

Diffondiamo da www.sbilanciamoci.info del 9 dicembre 2014 questo intervento di Federica Martiny, Dottoranda di ricerca, responsabile Ufficio stampa GFE (Gioventù Federalista Europea) presso l’Università di Pisa

E se la crociata della Commissione Europea contro la burocrazia di Bruxelles mascherasse solo l’intento di promuovere quella deregolamentazione auspicata dai grandi gruppi economici, capaci di fare lobby meglio di chiunque altro?

Si tratterebbe di una spinta neoliberista che, sotto la bandiera ingannevole del tentativo di salvaguardare la competitività e mettere un freno alla mostruosa macchina burocratica comunitaria, sarebbe pensata per indebolire la nuova legislazione e “rottamare” le norme europee esistenti, in materia soprattutto ambientale e di protezione sociale. Ce lo dicono il Corporate Europe Observatory (CEO), un’organizzazione no-profit che si propone di esporre gli effetti di lobbying aziendale sui processi decisionali dell’UE, e Friends of the Earth Europe (FoEE), una ONG internazionale che si occupa di tematiche ambientali, accesso e distribuzione delle risorse e giustizia ambientale nel report “La crociata contro la burocrazia”, pubblicato l’ottobre scorso.

La famigerata burocrazia di Bruxelles, un esercito di 60 mila persone, in realtà, ha praticamente lo stesso numero di dipendenti del Comune di Roma, tra i dipendenti diretti che sono 25 mila e i 32 mila delle aziende partecipate (fra Ama, Atac e Acea e altre) a cui sono state affidate le esternalizzazioni dei servizi. Questo dato da solo basta a porre un dubbio sulla grande importanza data alla lotta alla burocratizzazione comunitaria dalla Commissione Barroso prima e da quella Juncker oggi.

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Neutralità della rete e diritti umani

I tentativi di colpire la “neutralità” della rete e  la sua “indifferenza” rispetto al trattamento dei contenuti che debbono “passare” dai produttori agli utenti  senza tagliole discriminazioni e barriere o peggio censure  si stanno moltiplicando. Anche il Governo italiano ha comportamenti ambigui rispetto alla difesa e  promozione della neutralità della rete. Segnaliamo questo importante articolo apparso su punto informatico.

World Wide Web, la grande livella

Il Web ha un enorme potenziale per abbattere le disparità che dividono il mondo a livello economico, politico e sociale, mostra uno studio della World Wide Web Foundation: per questo Sir Berners-Lee invoca i diritti umani fondamentali.

Leggi articolo alla fonte

 

Podcast Diario Prevenzione – Ambiente Lavoro Salute – 3 dicembre 2014 – puntata n° 22

Podcast Diario Prevenzione – Ambiente Lavoro Salute – 3 dicembre 2014 – puntata n° 22

In questa puntata:

– Il Seminario su salute e sicurezza nel lavoro che conclude a Roma il 4 e il 5 dicembre  il semestre europeo a presidenza italiano. Dal programma si annuncia una celebrazione formale stanca, speriamo di essere smentiti. Le forze sociali in una tavola rotonda in coda con una ammucchiata di “interventi – slogan” di pochi minuti ciascuno……..

– Il lavoro per tutelare i lavoratori in una fase di crisi. Intervista a Ivano Pioppi dell’Ufficio tutela della Cgil di Bologna.

– ETERNIT: UNA SENTENZA IN NOME DELLA LEGGE CHE SOPPRIME L’IDEA DI GIUSTIZIA

– Job Act come licenziabilità dei lavoratori over 55 – 60 ? Un rischio da prevenire, come ?

– Recensione . Santé au travail : le retour de l’Europe ? par Martin Richer

– Fritture

 

Formazione delle attuali elites dirigenti e del personale politico in Italia

Come si forma una classe dirigente ? Come si sedimenta il sistema di valori che divengono il punto di riferimento per il leader e per lo stato maggiore di una nuova classe dirigente ?
Questi interrogativi sono più che mai opportuni rispetto alla vicenda politica italiana. Come sta avvenendo il ricambio generazionale della classe dirigente e su quali valori si fonda la vision e le strategie di questa classe dirigente?
Per un osservatore esterno ai giochi di potere e , per quanto possibile, vaccinato rispetto alle nostalgie del tempo passato e senza ambizioni politiche personali , decifrare il profilo culturale e politico di questa nuova generazione e’ una sfida utile e stimolante.
Il primo aspetto che emerge dai comportamenti e’ l’ energia vitale di questo personale politico giovane .
L’ascesa rapida non resistibile del leader e l’aggregazione di uno stato maggiore composto da giovani donne e uomini che usano linguaggi, rappresentazioni del mondo e di se’ che sono una frattura con il sentire e la visione del mondo delle generazioni precedenti sono davanti agli occhi di tutti.
Per trovare una spiegazione su questa ascesa rapida e irresistibile di questa nuova elite oltre alle tradizionali chiavi interpretative ispirate alla sociologia ritengo utile utilizzare l’etologia, lo studio dei comportamenti degli animali.
Dopo anni di immobilismo e di palude berlusconiana, emerge una leadership tutta centrata sulla tecnica della conquista del potere, sul potere come elemento fondante ed esaustivo dell’agire politico.
Emerge il leader , in etologia il il capo branco, l’uomo che promette di sbloccare l’Italia, di garantire la governabilità.  Rottamazione di uomini e donne politici del secolo scorso e di formule e linguaggi della politica, queste sono le promesse mantenute  che smuovono a livello diffuso, tra le generazioni più giovani, il desiderio di cambiamento e e alimentano l’avidità di potere. In questo senso il leader capo branco ha uno straordinario istinto per interpretare la voglia di potere  dei componenti e dei candidati a fare parte del branco…

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Emilia Romagna nella post democrazia

Ce l’hanno fatta.

Ce l’hanno fatta a disgustare più del 60% dei cittadini rispetto alla partecipazione alla politica tramite il voto. Un vero capolavoro politico, avviato da tempo, con la fine della “diversità positiva, con la regione trasformata in un centro distribuzione risorse ai vari potenti del territorio, associazioni datoriali, lobbies . La Regione era divenuta una specie di prefettura senza un progetto di governo del territorio. Il culmine di questo processo entropico l’ha concluso i PdR, un partito che si tiene lontano dalla partecipazione, dai lavoratori che mettendo in opera la più grande spoliazione dei diritti dei lavoratori ha l’impudenza di chiamarla “riforma di sinistra”. Jobs Act  più che una riforma del lavoro di sinistra è una operazione sinistra …. I politici da Bonaccini a tutti gli altri non diano la colpa  ad altri che a se stessi. Il PD ha insultato per ,mesi i lavoratori e i loro sindacati. Cosa s’aspettavano i Bonaccini un lancio di bon bon dalla mongolfiera ? Questa sconfitta della democrazia va presa sul serio. Le istituzioni sono per davvero in pericolo di essere delegittimate dalla mancanza di consenso.

Un presidente eletto con il 48 % del 38% degli aventi diritto al voto ha un consenso concreto del 18,24% , il resto sono bubbole. Quindi si riparte con Presidente della Regione  azzoppato…

A domani

 

Il lavoro di tutela dei lavoratori in una fase di crisi lunga – Invervista audio a Ivano Pioppi dell’Ufficio tutela della CAMERA del LAVORO di Bologna

Il lavoro di tutela dei lavoratori in una fase di crisi lunga

Invervista audio  a Ivano Pioppi dell’Ufficio tutela della CAMERA del LAVORO di Bologna

Con questa intervista ha inizio una ricerca sui lavori difficili, di coloro che sono  a contatto quotidiano con il dolore sociale di quest’epoca di crisi lunga. In questa puntata intervistiamo Ivano Pioppi dell’Ufficio Tutela dei lavoratori della Camera del Lavoro di Bologna.
E’ il lavoro di operatori come Ivano Pioppi che da una risposta a persone, lavoratori e lavoratrici in grande difficoltà che hanno perso o stanno perdendo il lavoro, persone che stanno male o che si sono ammalate a causa del lavoro…. lavoratori e lavoratrici che trovano una persona competente che li ascolta e costruisce assieme a loro un percorso per la soluzione dei loro problemi. Abbiamo rivolto a Ivano queste domande:

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ETERNIT: UNA SENTENZA IN NOME DELLA LEGGE CHE SOPPRIME L’IDEA DI GIUSTIZIA

ETERNIT: UNA SENTENZA IN NOME DELLA LEGGE CHE SOPPRIME L’IDEA DI GIUSTIZIA

   

Rabbia dolore e indignazione sono i sentimenti condivisi tra i famigliari delle migliaia di vittime dell’amianto per una sentenza quasi inaspettata che annulla la condanna a 18 anni al magnate svizzero Stephan Schmidheiny titolare della Eternit, già riconosciuto colpevole in due gradi di giudizio.

Rabbia e indignazione sono nello stato d’animo di chi scrive che come sindacalista ha conosciuto decine di persone, lavoratori delle OGR, delle Officine Casaralta che non ci sono più perchè uccisi dall’amianto.

E’ necessario tuttavia non farsi travolgere dall’orgia di retorica dei media e mantenere la mente lucida per comprendere per davvero da dove ha origine questa sentenza della Corte di Cassazione.

Una sentenza quella della Corte di Cassazione che mette in luce le deboli fondamenta del sistema normativo in materia di reati ambientali.

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