Dai raccoglitori di rifiuti ai riciclatori: reinventare un settore disprezzato

 

 

fonte  Znetwork  che ringraziamo 

Marisol Mendoza esce di casa in moto alle 5:45. Percorre una strada sterrata fiancheggiata da cespugli e attraversa un ruscello fino alla discarica, dove ha lavorato per quattro anni.

Ci sono migliaia di pepenadores, o raccoglitori di rifiuti, che si guadagnano da vivere differenziando e vendendo i rifiuti delle discariche a cielo aperto del Messico. Mendoza non è uno di questi. Ha uno stipendio mensile, un orario fisso, assistenza sanitaria, ferie retribuite, pause regolari e accesso a dispositivi di protezione. San Lorenzo Cacaotepec, una cittadina di circa 13.000 abitanti nello stato meridionale di Oaxaca, impiega formalmente Mendoza e altri 16 nella discarica locale, dove vengono chiamati riciclatori, non raccoglitori di rifiuti.

San Lorenzo Cacaotepec, che ha formalizzato questo lavoro nel 2016, è probabilmente l’unico comune del Messico ad averlo fatto. Ma altri potrebbero presto seguire l’esempio. Nel 2021, le autorità statali di Oaxaca hanno sviluppato un programma per incoraggiare altri comuni a emulare il sistema di successo. “Vogliamo mostrare agli altri comuni che è possibile, che una comunità con poche risorse federali… è riuscita a generare posti di lavoro e un’attività economica interessante”, afferma Helena Iturribarría, ministro dell’Ambiente, dell’Energia e dello Sviluppo Sostenibile.

I materiali riciclabili che Mendoza e i suoi colleghi raccolgono nella discarica generano tra gli 11.000 e i 13.000 pesos messicani (543 e 643 dollari) al mese per San Lorenzo Cacaotepec. Il lavoro dei riciclatori ha inoltre prolungato la durata di vita della discarica. Si prevedeva che lo spazio avrebbe raggiunto la capacità massima nel 2016, sette anni dopo la sua costruzione. Anche se dovrà essere ampliata a breve, la discarica rimane operativa sei anni dopo.

“Se non facessero la raccolta differenziata non ci sarebbe alcun guadagno per il Comune”, dice Perla Procopio, biologa dell’Assessorato alla Salute e all’Ecologia di San Lorenzo. “Senza di loro, affogheremmo nella spazzatura”.

I miglioramenti alla discarica hanno garantito la sicurezza di Mendoza e dei suoi colleghi. “Prima che iniziassi a lavorare qui, la discarica non aveva il tetto”, racconta. “Ora, l’area in cui differenziamo i rifiuti ha un tetto… il che ci aiuta davvero”.

Il suo collega Salvador Martínez, che lavora nella discarica da un anno e mezzo, è d’accordo: “Il nostro lavoro è pericoloso, ma con i dispositivi di sicurezza che utilizziamo mi sento molto più sicuro”. Il capo delle operazioni Pedro Díaz, che ha iniziato come riciclatore, afferma che l’orario fisso, dalle 6:00 alle 14:00, gli dà “abbastanza tempo per prendersi cura degli alberi di casa mia e stare con la mia famiglia”.

L’iniziativa a San Lorenzo Cacaotepec è stata ideata da  Sikanda , pluripremiata organizzazione no-profit di Oaxaca che sviluppa progetti di inclusione sociale per i raccoglitori di rifiuti. Fondata nel 2009, Sikanda ha formato più di 200 lavoratori nelle tecniche di riciclaggio e compostaggio e ha contribuito a costruire centri di riciclaggio. Ha donato un trituratore di plastica e mezzi di trasporto a San Lorenzo Cacaotepec, dove ha anche allestito un orto comunitario, un pollaio e un contenitore per l’organico per prevenire l’inquinamento del fiume, del sottosuolo e dell’atmosfera.

“Vogliamo che il loro lavoro venga riconosciuto, che ricevano salari con orari fissi e sicurezza sociale e che le loro esigenze specifiche siano affrontate direttamente”, afferma José Carlos León, fondatore di Sikanda.

La maggior parte dei 2.471 comuni del Messico non include la raccolta differenziata nella propria strategia di gestione dei rifiuti. Le discariche sono solitamente all’aperto e il riciclaggio è informale. “In questi [luoghi] ​​si sviluppa un mercato attorno ai rifiuti”, afferma Johannes Cabannes, professore dell’Università Nazionale Autonoma del Messico e dell’Università Iberoamericana specializzato in politica municipale. “Ci sono persone che vivono fisicamente in una discarica, nutrendosi di tutto ciò che riescono a processare. Raccolgono la spazzatura che sanno di poter vendere a intermediari o aziende che riciclano determinati materiali, e poi vivono marginalmente di quelle vendite.

Un raccoglitore di rifiuti, dice, può guadagnare tra 600 e 1.200 pesos (30 e 60 dollari) a settimana.

Non ci sono dati ufficiali sul numero di raccoglitori di rifiuti in Messico, o sulla quantità di denaro generata dalle loro attività. In uno studio del 2007 commissionato dalla International Finance Corporation, un’organizzazione sorella della Banca Mondiale, il ricercatore Martin Medina ha stimato il numero di raccoglitori di rifiuti in Messico a circa 100.000, di cui il 25% minorenni. Un rapporto del 2020 del Segretariato messicano per l’ambiente e le risorse naturali afferma che ci sono raccoglitori di rifiuti in tutti i siti di smaltimento finale del Messico. “Non vengono riconosciuti per questo e non vengono compensati sotto forma di salario o diritti per il lavoro che forniscono”, afferma León.

I comuni cambiano amministrazione ogni tre anni, il che complica gli sforzi per emulare il programma di San Lorenzo Cacaotepec. “Non ha senso iniettare risorse se un progetto verrà interrotto quando si insedierà il prossimo governo”, afferma Cabannes. León aggiunge che Sikanda deve negoziare gli obiettivi del progetto con ogni nuova amministrazione. “Quando incontriamo un’amministrazione apatica”, dice, “il progetto smette di funzionare come dovrebbe”.

Nonostante ciò, Díaz e Martínez affermano che il loro lavoro alla discarica ha insegnato loro l’importanza del riciclaggio, a partire dalle proprie case. “Questo lavoro è un modo per me di fare la mia parte per prendermi cura dell’ambiente”, afferma Mendoza. “È un modo per guadagnare un reddito e socializzare con i colleghi.”

Elezioni in Argentina, l’anomalia selvaggia

Fonte DinamoPress

La travolgente vittoria dell’ultra destra in Argentina ci conduce in pieno in un film distopico. Da questo manifesto del collettivo editoriale della rivista Crisis emergono alcuni elementi per una lettura urgente delle elezioni. La resistenza è un enorme campo di apprendimento e nella disperazione si annida il germe di una inedita lucidità

Nell’anniversario dei 40 anni dal ritorno della democrazia, l’estrema destra di Javier Milei vince con il 55,69% le elezioni presidenziali, contro il peronista Sergio Massa, fermo al 44,3%. La nuova vicepresidente, Victoria Villaruel, che si ispira a Giorgia Meloni, è una negazionista dei crimini della dittatura, avvocata dei genocidi della giunta militare condannati per crimini di lesa umanità. Il neo-presidente eletto annuncia una terapia di shock economy enza gradualismi fatta di dollarizzazione, tagli “più duri di quelli richiesti dal FMI”, privatizzazioni delle imprese pubbliche e repressione, con il sostegno nel prossimo governo di Mauricio Macri e Patricia Bullrich, l’istituzione del Ministero del Capitale Umano al posto di ben quattro ministeri, quelli di Lavoro, Istruzione, Salute e Sviluppo Sociale. Tempi durissimi si attendono per un paese in crisi da anni, con l’inflazione che ha raggiunto il 149% e quasi metà della popolazione in condizione di povertà. Il voto di rabbia contro l’impoverimento e la svalutazione senza fine della moneta di un paese indebitato da Macri per cento anni con l’FMI finisce a una estrema destra che raccoglie consensi contro “la casta” promettendo la libertà di impresa, difesa della proprietà privata, liberalizzazione delle armi e lotta contro la “giustizia sociale”. Si apre da oggi una difficile e inedita transizione dal governo attuale al prossimo governo ultra neoliberista e di estrema destra che annuncia una fase durissima di orizzonti oscuri per il paese [Nota della redazione]

La sensazione di essere entrati in un film distopico è travolgente, anche per quelli che negli ultimi anni avevamo compreso la rilevanza epocale di una formazione politica di ultradestra che per la prima volta nella nostra storia si è sintonizzata con il malcontento dei settori popolari ed è riuscita a esprimere il desiderio di cambiamento di una gioventù senza orizzonti. Siamo di fronte a un cambiamento storico dalle conseguenza insospettabili.

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Argentina: Milagro Sala, non c’è giustizia con un potere corrotto

Fonte: Pressenza 

Milagro Sala (Foto di Archivio Pressenza)

«Quello che stanno facendo con Milagro Sala è un’eresia» ha detto Papa Francesco quando Taty Almeida, dirigente storica delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, gli ha fatto visita il 27 maggio.

Sono più di sei anni e quattro mesi che Milagro Sala, dirigente sociale della provincia di Jujuy in Argentina, è detenuta a causa di processi legali manipolati, accuse con testimoni pagati, vessazioni a lei e alla sua famiglia; tutto dovuto al fatto di essersi ribellata al potere e di aver organizzato le persone più umili affinché reclamassero i propri diritti.

Papa Francesco non è l’unico a chiedere giustizia. Un gruppo di deputati argentini ha presentato un disegno di legge per intervenire sul potere giudiziario della provincia di Jujuy. L’obiettivo dell’iniziativa è garantire la forma repubblicana del governo, la divisione dei poteri e il sistema democratico. Così il disegno cerca la nomina di un Commissario federale e la dichiarazione di commissione dei membri del Tribunale Superiore di giustizia e del titolare del Pubblico Ministero di Accusa della provincia di Jujuy.

In sostanza, il disegno di legge spiega che da quando Gerardo Morales ha assunto il governo della provincia di Jujuy, ha modificato il potere giudiziario provinciale per controllare e intromettersi nella giustizia. Dice pure che non è garantita la separazione dei poteri. Infatti, tra i cambiamenti del governatore Morales ci sono l’ampliamento del Tribunale Supremo da cinque a nove membri. Questo è avvenuto grazie a una riforma legislativa particolare: due dei deputati che hanno votato la modifica, Pablo Baca e Beatriz Altamirano, sono diventati membri del tribunale. Cioè hanno votato se stessi. Il terzo, Federico Otaola, che è il presidente attuale del tribunale, era stato legislatore e candidato vicegovernatore con il gruppo di Gerardo Morales nel 2011.

Attualmente il governatore Morales continua ad approfondire tale progetto premeditato di cooptazione e assoggettamento sul potere giuridico dello Stato provinciale, configurando una situazione dalla gravità istituzionale intollerabile. In questo senso, ha forzato la dimissione di tre membri del Tribunale Supremo e vuole ottenere quella di altri tre con il chiaro obiettivo di imporre la sua maggioranza.

Al Papa si uniscono voci di prestigio che denunciano questa situazione inammissibile. All’inizio di maggio, l’ex giudice della Corte Suprema della Repubblica argentina, Raúl Zaffaroni, ha denunciato il governatore perché «Jujuy sta vivendo uno scandalo giuridico».

Tra i firmatari del disegno di legge ci sono i deputati Federico Fagioli, Itai Hagman, Natalia Zaracho, Leonardo Grosso, Verónica Caliva, Natalia Souto, Eduardo Toniolli e Juan Carlos Alderete.

«Se chiediamo l’intervento non è per Milagro Sala, ma è per tutti gli strati sociali che non possono uscire a chiedere un pezzo di pane perché hanno fame o a inoltrare un’istanza di femminicidio perché incorrono in contravvenzioni. C’è una forte complicità» tra i poteri di stato a Jujuy, ha denunciato Milagro Sala lunedì in videoconferenza durante una presentazione del disegno di legge.

Da quando Morales è diventato governatore nel dicembre 2015, circa due mila persone di svariate organizzazioni sociali e politiche sono state accusate di numerosi delitti poiché avevano protestato contro il regime autoritario e conservatore della provincia. A Jujuy chiedere cibo, un lavoro dignitoso o un alloggio decente è punibile con il carcere, sentenziato in anticipo da un governatore che controlla le forze repressive e il potere giuridico.

Lo stesso governatore ambisce a diventare presidente del Paese nel prossimo futuro e propone come programma la repressione dei poveri affinché gli altri possano vivere in “pace”. Papa Francesco lo sa – il governo di Jujuy sostiene un sistema sociale, economico e politico che silenzia e violenta gli esclusi, affinché i più potenti continuino a godere delle proprie ricchezze.

Milagro Sala, donna indigena e ribelle, è il simbolo del nemico che il governatore vuole eliminare e quindi è detenuta da sei anni. Viene usata come un esempio per far sì che gli altri tacciono e abbassano la testa. Nonostante tutto, Milagro non si arrende, non nasconde la sua rabbia, non copre il suo viso scuro, non fa tacere il suo grido di battaglia. Anche da detenuta continua a organizzare e a chiedere la costruzione di un mondo giusto e solidale per tutti e tutte, a Jujuy e in qualunque altro posto dove le ingiustizie si accaniscono contro la maggioranza.

La Rete internazionale per la libertà di Milagro Sala, che include cittadini argentini, brasiliani, canadesi, spagnoli, statunitensi, finlandesi, francesi, italiani, britannici, svedesi e svizzeri, sostiene il disegno di legge per promuovere l’intervento federale del potere giuridico della provincia di Jujuy.

Non c’è giustizia con un potere giuridico corrotto e controllato da chi difende gli interessi dei potenti.

Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid.

Quel effet de la gestion du président Bolsonaro sur la mortalité due au Covid-19 au Brésil ?

François Roubaud, Institut de recherche pour le développement (IRD) et Mireille Razafindrakoto, Institut de recherche pour le développement (IRD)

Le Brésil fait partie des trois pays, avec les États-Unis et l’Inde, les plus affectés par la pandémie de Covid-19, que ce soit en termes de décès ou de cas confirmés (660 000 et 30 millions respectivement). Les doutes qui subsistent quant à la fiabilité des données officielles (surtout pour les infections, mais également pour les morts) ne sont pas en mesure de remettre en question ce palmarès funeste.

Dans un article publié fin 2021, nous mettions en lumière les facteurs de risque associés à la probabilité d’y être contaminé par et de succomber au virus au cours de la première vague de la pandémie (octobre 2020). À côté des éléments de vulnérabilités socio-économiques communs avec d’autres pays et aujourd’hui bien documentés (pauvreté, informalité, résidence dans les favelas, identité ethnoraciale…), le Brésil se démarquait par le rôle néfaste joué par son président, Jair Bolsonaro, dans la diffusion de la pandémie et que nous avons qualifié d’effet Bolsonaro.

Deux vagues plus loin, qui se sont soldées par 500 000 décès et 20 millions de cas de contamination supplémentaires mais ont vu l’arrivée des vaccins, ces résultats tiennent-ils toujours ? S’il est évident que l’attitude négationniste du président a entravé la mise en place d’une stratégie efficace de lutte contre la pandémie, il est beaucoup plus ardu de montrer quelle a été sa traduction sur le terrain et d’en quantifier les effets. C’est ce que nous tentons de faire une nouvelle étude.

Comment évaluer un éventuel impact de l’action présidentielle

Pour tenter de répondre à cette question, deux approches sont en théorie envisageables, en fonction de l’unité d’analyse retenue : individuelle ou géographique.

Pour mettre en œuvre la première approche, il faudrait pouvoir disposer de données individuelles sur un échantillon représentatif de la population, qui à la fois informent sur le statut de chacun face à la maladie (décédé ou pas, contaminé ou pas), et de descripteurs sociopolitiques. Or d’une part, par définition, les enquêtes socio-économiques ne portent que sur les survivants (les morts ne parlent pas), tandis que les enquêtes et registres épidémiologiques sont en général très pauvres en information sur les caractéristiques individuelles (au mieux le sexe et âge, parfois les facteurs de co-morbidité), et n’incluent en aucun cas les préférences politiques.

La seule alternative possible consiste à mener l’analyse au niveau des localités. Si cette dernière ne permet pas de mesurer les risques individuels d’être affectés par la pandémie, elle présente de nombreux autres avantages.

Outre la possibilité de croiser un très large spectre d’indicateurs issus d’une multiplicité de bases de données indépendantes, cette approche se justifie pour trois autres raisons majeures :

  • Elle permet de couvrir de manière exhaustive l’ensemble du pays,
  • La diffusion du virus dépend largement des interactions sociales,
  • Face au déni du gouvernement Bolsonaro, les politiques ont été conduites à l’échelle locale (États, municipalités). L’analyse porte donc sur les 5 570 municipalités du pays et a mobilisé le traitement de dizaines de millions d’observations.

Le premier résultat clef est la confirmation que le Covid-19 a fait, toutes choses égales par ailleurs, plus de ravages dans les municipalités les plus favorables au président Bolsonaro (telles qu’appréciées à partir de ceux qui ont voté pour lui au premier tour de l’élection présidentielle de 2018, la dernière information disponible à ce niveau de détail).

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ARGENTINA: REPRESSIONE E GRILLETTO FACILE

Tra il 17 e il 21 novembre 2021 la polizia ha ucciso due giovani, vittime di razzismo e pregiudizio. Il mapuche Elías Garay lottava per il diritto alla terra della sua comunità. Lucas González era un ragazzo delle periferie che sognava di fare il calciatore.

di David Lifodi (*)

In Argentina non si placa la polemica sulle forze di sicurezza dal grilletto facile. Tra il 17 e il 21 novembre scorsi, a 1.700 chilometri di distanza, la polizia ha ucciso due giovani, il mapuche Elías Garay e Lucas González.Entrambi sono rimasti vittime del gatillo facil, una pratica che in Argentina non è mai terminata e mette di nuovo al centro dell’accusa le forze dell’ordine, troppo propense ad utilizzare le armi in loro dotazione anche quando non ce ne sarebbe motivo. Vittime dell’odio e del pregiudizio, Elías Garay e Lucas González rappresentano solo gli ultimi di una serie infinita di casi in cui a prevalere, nella gran parte dei casi, è l’impunità degli agenti coinvolti, che si tratti della Federal o della Bonaerense, che spesso agiscono sull’onda delle dichiarazioni della politica all’insegna del cosiddetto manodurismo.

Elías Garay era un militante mapuche di ventinove anni che si batteva per il diritto alla terra della comunità Quemquemtrew, zona di Cuesta del Ternero ( Rio Negro). Ferito a morte dalle pallottole sparate dalla polizia, il giovane ha pagato la violenta campagna antimapuche promossa dal governo di Arabela Carrera e sostenuta dai grandi mezzi di comunicazione, tutti schierati a favore dell’oligarchia terrateniente. L’omicidio di Elías Garay, che lottava pacificamente per il diritto alla terra ancestrale, rappresenta l’ennesimo episodio di criminalizzazione ai danni dei movimenti sociali, dei popoli originari e dei giovani delle periferie urbane.

L’uccisione di Garay, provocata da due uomini armati vestiti in borghese entrati nella comunità mapuche Quemquemtrew, dove si trova un asentamiento destinato a recuperare un territorio ancestrale, è stato condannato dalla Liga Argentina por los Derechos Humanos, mentre il governo di Arabela Carrera il Cuerpo de Operaciones Especial de Rescate non avrebbe ricevuto alcun ordine di entrare in territorio mapuche, né era stata programmata un’operazione di questo tipo.

A smentire il governo sono state però le testimonianze di coloro che hanno denunciato l’isolamento e l’accerchiamento del territorio ad opera della polizia rionegrina, come riportato da Página/12. “La polizia pretende di entrare in territorio mapuche e questo provoca problemi di ordine pubblico, mentre il governo rifiuta qualsiasi forma di dialogo e continua ad uccidere chi si batte per rivendicare il diritto alla terra”, ha ribadito la comunità Quemquemtrew.

Dalla Casa Rosada, finora, non ci sono stati interventi significativi per risolvere il conflitto che vede opposto lo stato ai mapuche. Al dialogo i governi locali preferiscono rispondere con l’utilizzo della violenza, all’insegna dello slogan “los indios son todos terroristas”, come accadde nel 2017 quando a morire fu il militante mapuche Rafael Nahuel, raggiunto da un proiettile mentre fuggiva di fronte all’arrivo della polizia.

A Barracas (Buenos Aires), invece, è rimasto ucciso Lucas González, la cui auto è stata colpita dai proiettili sparati dalla polizia. Il ragazzo aveva terminato di allenarsi e si trovava all’interno della propria vettura insieme ad alcuni amici quando fu raggiunto dagli spari dell’ispettore Gabriel Isassi, dell’ufficiale maggiore Fabián López e dell’ufficiale José Nievas. Gli imputati, per discolparsi, avevano sostenuto di essersi identificati, con i loro giubbotti distintivi e la sirena, per effettuare un controllo sull’auto dei giovani.

I tre agenti sono indagati con accuse pesanti: omicidio aggravato, abuso delle loro funzioni, falso ideologico e privazione illegale della libertà. L’intervento era stato giustificato dai poliziotti nell’ambito di un’operazione antidroga.

Il filo rosso che lega l’omicidio del militante mapuche a quello del ragazzo che si allenava con il sogno di scendere in campo nella massima serie calcistica argentina sono il frutto di una società dove prevale la manipolazione dell’informazione e si giustificano violenza e razzismo.

Il paradosso dell’uccisione di Garay è che il fatto è avvenuto vicino ad una scuola intitolata a Lucinda Quintupuray, una donna uccisa a colpi di pistola perché aveva rifiutato di vendere la sua proprietà e su un terreno che era stato asseganto ai mapuche dall’Instituto Nacional de Asuntos Indígenas.
L’omicidio di Elías Garay e Lucas González è frutto del pregiudizio, quello dei “mapuche terroristi” e quello dei giovani delle periferie considerati loro malgrado dei “delinquenti” a prescindere. “Mi cara, mi ropa y mi barrio no son un delito” e la frase che è risuonata nei cortei di protesta per queste due morti assurde, insieme ad una domanda ormai fin troppo ricorrente: “chi ci protegge dalle forze di sicurezza?”

Nel solo 2020 la Coordinadora contra la Represión Policial e Institucional ha registrato oltre 400 morti provocate dalle forze dell’ordine. Per questo, a distanza di mesi, la società argentina si interroga e continua ad essere scossa dai troppi casi di gatillo facil.

José Mujica: “La civiltà digitale sta creando una vera malattia nella democrazia rappresentativa e non so quale sia la cura”

 

Fonte Equaltimes.org

Autore    Luis Curbelo

Traduzione automatica con Google Translator. Questa traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Equaltimes.org 

José Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, vive in completa isolamento nella sua casa di campagna a Rincón del Cerro (a 11 chilometri dal centro della città di Montevideo) dall’inizio della pandemia. A causa di una malattia immunologica a lungo termine, non può ricevere vaccinazioni e il suo unico modo per affrontare il coronavirus è esercitare estrema cura e precauzione.

Recentemente ha accettato di sedersi per una lunga chiacchierata con Equal Times che copriva molte aree di interesse internazionale. Ha condiviso con noi le sue opinioni sul fenomeno dei social network, i vantaggi e le insidie ​​della civiltà digitale e l’emergere di personaggi politici come Donald Trump negli Stati Uniti e Jair Bolsonaro in Brasile e le masse che li seguono.

Secondo Mujica, questa pandemia ha fatto emergere il lato peggiore dell’umanità accentuando l’egoismo dei paesi ricchi e mettendo a nudo la mancanza di solidarietà tra le persone. Dice che le classi medie, frustrate dalla concentrazione di ricchezza e potere e dalla loro incapacità di accedervi, si sono rivolte sempre più alla politica reazionaria. Sostiene che il vaccino contro il coronavirus è diventato incredibilmente politicizzato e incolpa il presidente russo Vladimir Putin per aver svolto un ruolo centrale in questo chiamando il vaccino prodotto nel suo paese Sputnik.

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Victoria non è morta, è stata uccisa dalla polizia

 

Fonte Americalatina 

Mérida, Yucatán, 31 marzo 2021.- Mentre l’intero stato di Quintana Roo attende l’inizio delle vacanze di Pasqua e le sue migliaia di turisti, lo scorso fine settimana ci sono stati omicidi di quattro donne, uno per mano di poliziotti.

Secondo le statistiche delle Nazioni Unite, in Messico vengono uccise più di 10 donne al giorno. Sabato, quattro di loro sono stati uccisi a Quintana Roo, un Gender Alert dal 2017 e dove lo scorso novembre la polizia di Cancun ha represso con proiettili la manifestazione che chiedeva giustizia per la morte di Alexis, un’altra vittima di femminicidio.

A Isla Holbox, Karla M., 29 anni, originaria di Progreso, Yucatán, tassista e madre di un bambino, è stata assassinata in modo estremamente violento. L’hanno trovata legata, con il seno tagliato, all’interno del suo golf cart, un veicolo che era in mare, tra Punta Coco e Punta Ciricote. È il primo femminicidio registrato nella storia dell’isola.

A Cancun, una donna è stata portata in un luogo disabitato vicino alla suddivisione di Kusamil, dove è stata trovata morta da un colpo di pistola alla testa e due al petto. Inoltre, una giovane donna è stata uccisa dandole fuoco, sebbene la famiglia non volesse fornire ulteriori informazioni su questo caso.
A Tulum, nel pomeriggio di sabato 27, Victoria Salazar, una donna di 36 anni di origine salvadoregna, madre single di due figlie e con un permesso di soggiorno umanitario nel paese, si trovava in Faisán Avenue quando è stata arrestata e uccisa dalla polizia municipale

Alcuni testimoni affermano che chiamava un taxi e fermava tutte le macchine per portarla via e che in ogni momento guardava indietro, come se la inseguissero. In questa è arrivata la pattuglia 9276 della Polizia Municipale, da dove sono scesi gli agenti Veronica Valdivia Cabrera, di Mérida; Juan Chan Uc, di Kantunilkín; Miguel Canché Castillo e Raul López Chan di Valladolid. L’hanno afferrata, ammanettata e sottoposta a terra, come si può vedere nel video che circola sui social, mettendole un ginocchio sul collo, atto che le ha fratturato la base del cranio (tra la prima e la seconda vertebra) e ha causato la morte, anche se in un primo momento si è parlato di soffocamento senza specificarne i motivi.

La Commissione nazionale per la prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne ha rilasciato una dichiarazione chiedendo che i responsabili siano puniti e la Commissione per i diritti umani di Quintana Roo ha riferito di aver aperto una denuncia d’ufficio contro agenti di pubblica sicurezza municipali a Tulum a causa della privazione della vita.

Le preoccupazioni del difensore civico Marco Antonio Toh Euán sono più che giustificate, visto che finora quest’anno ci sono state 335 denunce contro la polizia municipale, la maggior parte per detenzioni arbitrarie e trattamenti inumani.

A livello federale, secondo il Rapporto 2021 di Human Rights Watch, è normale che le vittime di crimini violenti e violazioni dei diritti umani non ottengano giustizia nel sistema criminale messicano. Da parte sua, l’organizzazione non governativa Impunidad Cero indica che solo l’1,3% dei crimini commessi in Messico è stato risolto. Ciò è dovuto a vari motivi, tra cui corruzione, mancanza di formazione e risorse sufficienti e complicità di agenti del Ministero pubblico e difensori pubblici con criminali e altri funzionari violenti.

Forse cercando di migliorare questa percentuale vergognosa, il procuratore generale dello Stato di Quintan Roo (FGE) ha dichiarato che sarà prepotente nel suo portafoglio, e di fatto la tempestività con cui hanno licenziato Nesguer Ignacio Vicencio Méndez, responsabile dell’unico comando a Tulum. In precedenza, i tre uomini e una poliziotta che hanno ucciso Victoria sono stati separati dalle loro accuse e che sono stati ammessi lunedì nel centro di detenzione di Playa del Carmen con l’accusa di omicidio e femminicidio aggravato.

Sicuramente la pressione del governo salvadoregno e le parole di López Obrador che, lunedì mattina, ha affermato che questo crimine “ci riempie di dolore, dolore e vergogna” che ha influenzato la tempestività della Procura, insieme alla rinnovata sensibilità al quale in tempi recenti i casi di violenza di genere vengono affrontati dai media nazionali e internazionali.

Inoltre, le reazioni dei cittadini che non si sono fatte attendere, a cominciare da Tulum. A poche ore dall’omicidio, centinaia di persone piene di indignazione, rabbia e coraggio sono scese in piazza chiedendo giustizia. Le manifestazioni sono iniziate in quel comune e successivamente si sono diffuse nelle principali città e paesi all’interno e all’esterno dello stato (una è prevista per venerdì 2 alle 18:30 in Plaza Grande de Mérida) con striscioni e slogan come “Polizia femminicida! “,” Non uno più ucciso! ” “Non è stata uccisa!” e “La polizia non si prende cura di me, i miei amici si prendono cura di me!” Sono gli stessi slogan con cui negli ultimi anni migliaia e migliaia di donne sono scese in piazza in Messico e nel mondo.

Perché le donne non si sentono curate dagli agenti? ma al contrario, molti tremano ogni volta che vedono una donna in uniforme.

L’incapacità, l’abuso e la violenza fisica, verbale o psicologica degli agenti di polizia messicani non sono una novità per nessuno di noi che ha avuto l’opportunità di trovare un agente per strada. Per coloro che non lo fanno, daremo alcune informazioni.

I primi provengono da Amnesty International, che ha appena pubblicato il rapporto intitolato “Messico: l’era delle donne. Stigma e violenza contro le donne che protestano ”in cui si legge che le autorità rispondono alle proteste delle donne e contro la violenza di genere con un uso eccessivo e non necessario della forza, con detenzioni illegali e arbitrarie, con abusi verbali e fisici basati sul genere contro le donne e con la violenza sessuale. E l’uso non necessario, eccessivo e sproporzionato della forza è costante come un modo per inibire il diritto di riunione pacifica, attraverso “detenzioni o assicurazioni preventive” per arrestare arbitrariamente coloro che desiderano partecipare a manifestazioni o per “sospetti” di voler trasportare un crimine “.

In questi giorni, il procuratore generale dello Stato ha affermato che “la manovra di sottomissione utilizzata è stata effettuata in maniera sproporzionata, smodata e con un alto rischio di vita”. E con lui, diversi rappresentanti del governo e dei media parlano di un “uso non necessario, eccessivo e sproporzionato” della forza e alcuni addirittura dicono semplicemente che “sono sfuggiti di mano”. Ma i dati ci parlano di una realtà diversa.

Quella manovra di sottomissione era la stessa tecnica che gli agenti di polizia americani di Minneapolis hanno usato per arrestare George Floyd e che ha causato la sua morte, così come le sue famose ultime parole che non riesco a respirare che hanno acceso la rabbia della popolazione afroamericana e del movimento BlackLiveMatters. Diverse forze di polizia hanno già posto il veto a questa manovra a causa dei suoi alti rischi per la vita del soggetto o l’hanno limitata a casi di estrema minaccia per gli agenti, situazione in cui la polizia ovviamente non si è trovata né nel caso di Floyd né nel caso di Victoria.
Eccesso di violenza quindi, come descritto dalla necropia tra le cause della morte di Victoria. Violenze inutili e immotivate, forse per l’incapacità di valutare il rischio secondo le direttive del Manuale per l’uso della Forza di SEGOB e CNS, a causa della scarsa o nulla formazione delle forze di polizia sui diritti umani, come dichiarato da un ex agente di polizia municipale di Tulum e conferma i dati.
In Quintana Roo, il 20 per cento degli agenti di polizia non ha la certificazione unica di polizia (CUP), che approva la preparazione e il profilo di ogni agente per coprire i propri compiti; anche peggio a Tulum, dove il 54 per cento non ha quel requisito obbligatorio a livello nazionale. Si parla di errori e persino di morte ingiusta, come se l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia fosse un errore, un fallimento di alcune mele marce, ma ancora una volta i dati ci danno un quadro diverso della realtà.

Perché così tante persone (il 70% della popolazione messicana secondo i dati INEGI) non si fidano della polizia? I rapporti internazionali e le cronache nazionali abbondano di casi di violenza perpetrata dalla polizia e dall’esercito. Disegnano un paese in cui la violenza è usata regolarmente e sistematicamente dallo Stato, che, secondo il sociologo Max Weber, detiene il monopolio della violenza che dovrebbe essere usata all’interno dei quadri costituzionali.
Secondo i dati del Rapporto 2021 di Human Rights Watch, la tortura è ampiamente praticata in Messico per estrarre prove o confessioni nonostante il fatto che una legge del 2017 impedisca l’uso di tali prove in tribunale. Secondo il CNDH, le indagini sui casi di tortura condotte dallo Stato erano solo 13 nel 2006 per passare a oltre 7.000 nel 2019. Il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha espresso la sua preoccupazione che pochissimi di questi casi si traducono in procedimenti giudiziari o arresti, dato che dei 3.214 registrati nel 2016 solo otto hanno portato all’arresto e ai relativi procedimenti penali.

L’uso della violenza è comune anche durante l’arresto: secondo INEGI, il 64% della popolazione carceraria ha subito violenze, come percosse, scosse elettriche e altre forme di tortura al momento del loro arresto.
Sperando che l’omicidio della polizia di Victoria venga completamente chiarito, voglio porre ai lettori due domande: cosa sarebbe successo se la donna fosse stata di pelle chiara o di un paese europeo? Cosa sarebbe successo se negli ultimi anni le donne non fossero scese in piazza esprimendo quella giusta rabbia che sta mettendo al bastone chi governa, costringendoli a cercare di dare risposte rapide ed efficaci alla violenza di genere? (Illustrazione tratta dai social network)

 

I leader indigeni hanno denunciato Bolsonaro alla Corte dell’Aia

FONTE LA NUOVA ECOLOGIA CHE RINGRAZIAMO

 

 

 

Accusato di crimini contro l’umanità. Ecocidio, sterminio, migrazione forzata, schiavitù e persecuzione contro gli indigeni

Il Presidente Jair Bolsonaro avrebbe commesso crimini contro l’umanità, con la sua politica ambientale rovinosa e i suoi attacchi continui ai popoli indigeni. Questa l’accusa dei leader indigeni brasiliani, concretizzata venerdì scorso quando il capo Raoni Metuktire, del popolo Kayapo, e Almir Narayamoga Surui, leader della tribù Paiter Surui, hanno presentato una denuncia ufficiale alla Corte penale internazionale dell’Aia (Paesi Bassi). Nel documento, Bolsonaro è accusato, tra gli altri, di morte, sterminio, migrazione forzata, schiavitù e persecuzione contro gli indigeni. I principali capi d’accusa sono i livelli crescenti di deforestazione in Amazzonia, l’aumento delle uccisioni degli indigeni brasiliani e la rimozione delle protezioni speciali per la foresta pluviale e le terre tribali, politiche che secondo i leader mirano a “sfruttare le risorse naturali dell’Amazzonia e colpire i diritti dei popoli nativi”.

“Livelli così intensi di ecocidio devono essere considerati crimini contro l’umanità” – William Bourdon

Nel documento sono citati anche alcuni ministri del governo brasiliano: Ricardo Salles (Ambiente), Tereza Cristina (Agricoltura), Sérgio Moro (Giustizia) e Paulo Guedes (Economia). I tassi di deforestazione nell’Amazzonia brasiliana erano già in aumento quando Bolsonaro è entrato in carica nel gennaio 2019, ma sono saliti alle stelle durante l’ultimo periodo. Anche gli incendi nella regione sono arrivati a livelli record. Più di 2,7 milioni di acri dell’Amazzonia sono stati abbattuti nel solo 2020, secondo i dati del governo brasiliano, mai così tanti negli ultimi 12 anni. Raoni, 90 anni, è stato rappresentato all’Aia dall’avvocato francese William Bourdon che ha dichiarato: “Livelli così intensi di ecocidio devono essere considerati crimini contro l’umanità”.

Il Presidente Bolsonaro ha anche rimosso il Funai (la Fondazione Nazionale per gli Indigeni) dalla funzione di supervisionare e gestire i territori indigeni, affidando questo ruolo al Ministero dell’agricoltura, con il fine di aprire l’Amazzonia e le riserve tribali all’agribusiness e ad altri interessi industriali. L’allentamento dei controlli e della protezione avrebbe causato picchi drammatici di incursioni nelle terre indigene negli ultimi anni e un aumento delle violenze. Nel 2019 le invasioni sono aumentate del 135%, mentre le sanzioni per crimini ambientali sono diminuite del 40%, nonostante la deforestazione sia aumentata.

Anche il modo in cui il governo ha gestito la pandemia di Covid-19 nelle terre indigene avrebbe provocato centinaia di vittime, lasciando i nativi senza soccorso. Inoltre gli incendi e il rifiuto di Bolsonaro di delimitare nuovi territori protetti hanno costretto le persone a lasciare le loro terre, generando una nuova migrazione forzata verso le città.

Milagro Sala: le organizzazioni sociali chiedono la liberazione

FONTE PRESSENZA.COM 

Organizzazioni politiche e sociali, sindacati e organizzazioni per i diritti umani si sono mobilitate nel centro di Buenos Aires, fino a Plaza Lavalle, per chiedere alla Corte Suprema di Giustizia di rilasciare Milagro Sala, leader sociale del gruppo Túpac Amaru, cinque anni dopo il suo arresto a Jujuy.

Milagro Sala è da cinque anni o in carcere o agli arresti domiciliari per una serie di accuse montate ad arte dal governatore di Jujuy Morales, suo nemico politico da sempre, portate avanti da giudici nominati dal governatore stesso al suo insediamento. Le cause in corso hanno avuto risultati controversi e hanno prodotto la paralisi di buona parte delle attività di Tupac Amaru in una delle regioni più povere del paese, dove l’organizzazione presieduta da Milagor Sala aveva realizzato, oltre alle case popolari per cui aveva ricevuto finanziamento, ospedali, scuole, ambulatori medici, parchi giochi e parchi acquatici per i bambini, in un rivoluzionario modello di riscatto sociale dei popoli originari e della gente poveraed emarginata.

“È proprio la Corte che deve risolvere l’apertura dei fascicoli e i ricorsi in appello che abbiamo presentato”, ha spiegato il coordinatore nazionale del Túpac Amaru, Alejandro Garfagnini “La Corte deve pronunciarsi sulla nullità delle cause”, ha detto chiarendo il motivo per cui ci si è rivolti alla Corte Suprema di Giustizia.

Anche a Jujuy una manifestazione analoga si è svolta con grande partecipazione popolare e si è conclusa con il discorso di Raúl Noro, compagno di Milagro Sala.

La lotta per la sopravvivenza dei riders di Città del Messico

testo Caterina Morbiato foto Stefano Morrone -tratto da Altreconomia 229

Fonte Americalatina

 

Quando indossa caschetto e borsone termico per lanciarsi nel traffico di Città del Messico, Saúl Gómez ha una parola stampata in mente: guerra. In bicicletta ha distribuito tacos, hamburger e pizze per quasi ognuna delle piattaforme digitali di food delivery che esistono nella capitale messicana. Ha anche assistito colleghi feriti e abbracciato le famiglie di quelli che invece non ce l’hanno fatta. Nel 2018, insieme a una manciata di altri riders, ha fondato Ni Un Repartidor Menos (Non un rider in meno): il primo collettivo messicano di lavoratori di applicazioni. Hanno deciso di organizzarsi dopo la morte di José Manuel Matias Flores, rider di 22 anni investito da un camion dopo aver lavorato per appena tre giorni per la  piattaforma UberEATS.

“Qui prendi la patente senza l’obbligo di fare l’esame di guida, gli automobilisti non sono sanzionati quando uccidono qualcuno e le piste ciclabili vengono fatte senza nessuna pianificazione”, dice Gómez per cui il lavoro di rider non può che coincidere con un atto belligerante: la lotta per la sopravvivenza in una metropoli governata dalle quattro ruote, attraversata da camion con rimorchio e in cui, secondo i dati della Segreteria di sicurezza cittadina, 372 persone hanno perso la vita in incidenti stradali o automobilistici durante il 2019.

In un contesto così aggressivo, una delle prime attività del collettivo è stata la pubblicazione del “Diario di Guerra”, un registro degli incidenti che coinvolgono i fattorini, e la costruzione di un database che raccoglie informazioni utili in caso di incidente: nome del fattorino, codice di registro nell’applicazione, telefono, gruppo sanguigno, allergie o malattie specifiche, contatti di emergenza. Con strumenti limitati ma radicati nel mutualismo, i membri del collettivo suppliscono all’assenza delle imprese e rivendicano il proprio diritto alla sicurezza sul lavoro.

La piattaforma digitale UberEATS è stata la prima ad approdare a Città del Messico. Era il 2016 e da allora la concorrenza non si è fatta aspettare. Nel giro di quattro anni le strade della capitale hanno cambiato volto: borsoni termici arancioni, rossi e neri si sono aggiunti a quelli verdi di UberEATS, simbolo di nuove e agguerrite piattaforme come la colombiana Rappi e la cinese Didi. Il moltiplicarsi delle applicazioni ha significato un aumento dei posti di lavoro ma anche il peggioramento delle condizioni per i riders che hanno visto diminuire sia la quantità di lavoro sia il guadagno per ogni consegna fatta.

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BRASILE: DEMOCRAZIA O BARBARIE

Fonte : La Bottega del Barbieri che ringraziamo 

Il 15 novembre nel più grande paese latinoamericano si vota per le municipali. Per le sinistre si tratta di una prova del fuoco: vincere significherebbe mettere un freno al fascismo bolsonarista. In molte città del paese è stato creato un fronte comune tra Partido dos Trabalhadores (Pt) Partido Socialismo e Liberdade (Psol) e partiti comunisti per arginare l’ultradestra

di David Lifodi

In Brasile il 15 novembre si terranno delle elezioni municipali che rappresentano, per le sinistre, la prima occasione per ridimensionare il bolsonarismo. È per questo motivo che intellettuali, docenti universitari, ex ministri sotto Lula e Dilma Rousseff e movimenti sociali hanno lanciato un appello a tutto l’universo progressista brasiliano invitandolo all’unità allo scopo di “cacciare l’ultradestra fascista dal governo”.

Prendendo atto della gestione irresponsabile e sconsiderata dell’emergenza sanitaria, che vede il Brasile tra i paesi più colpiti dal Covid-19, dell’impoverimento di ampi settori del paese dovuto alla crescente disoccupazione, del dilagare del paramilitarismo e dell’oscurantismo religioso (sono diverse centinaia i candidati evangelici in corsa per le municipali, in gran parte nelle file della destra bolsonarista), le forze di sinistra non possono permettersi ulteriori passi falsi: una nuova sconfitta nelle urne spalancherebbe ancora di più le porte alla pericolosa regressione già in corso sul fronte dei diritti civili, sociali e politici.

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Contattati e contagiati contro volontà

Fonte Unimondo che ringraziamo

Ci sono almeno 110 popolazioni indigene volontariamente isolate in tutto il mondo. La maggior parte di loro vive nel bacino amazzonico, tra Bolivia, Brasile e Perù e da decenni devono far fronte alla deforestazione e alle violenze provocate dal land grabbing e dallo sfruttamento delle risorse presenti nei loro territori, oltre che alla minaccia rappresentata dalle malattie infettive. In particolare in Brasile, dove, come avevamo già ricordato, oltre a sottovalutare il Covid-19 aumentando in tutto lo Stato il rischio di infezione, il presidente Jair Bolsonaro (anch’esso risultato positivo lo scorso mese) ha legittimato l’esproprio dell’Amazzonia limitando notevolmente le competenze e le capacità delle agenzie brasiliane di protezione ambientaleIl risultato è che le popolazioni indigene in Brasile soffrono ancora di più che in passato a causa degli invasori illegali che estraggono l’oro, disboscano le foreste per il legname o bruciano la foresta pluviale per l’allevamento del bestiame e la coltivazione della soia. Per questo lo scorso mese su richiesta dei popoli Yanomami e Ye’kwana, la Commissione per i diritti umani dell’Organizzazione degli Stati americani (OSA) chiede ora al governo brasiliano che intervenga con misure adeguate.

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Desaparecidos, catturato in Brasile uno degli ufficiali della Marina che partecipò al sequestro dello scrittore argentino Walsh

FONTE:  CONTROLACRISI.ORG

 

 

Uno degli ufficiali della Marina che partecipò nel 1977 al sequestro e all’uccisione dello scrittore e giornalista argentino Rodolfo Walsh, ricordato come un mito di resistenza alla dittatura (1976-1983), è stato catturato ieri in Brasile.
Si tratta di Gonzalo ‘Chispa’ Sánchez, che polizia brasiliana ha localizzato a Paraty, sul litorale di Rio de Janeiro, in esecuzione di un ordine di arresto internazionale firmato molti anni fa, nel 2009, dal giudice argentino Sergio Torres.
Autore di ‘Operación Masacre’, considerato come il primo romanzo di genere ‘No Fiction’, sorta di sintesi fra il romanzo tradizionale e la testimonianza storiografica, Walsh mostrò fin dall’adolescenza le sue propensioni letterarie.
Dopo una stagione vicina a movimenti di destra, viaggiò a Cuba, partecipando con Gabriel Garcia Marquez alla fondazione dell’agenzia di stampa Prensa latina, e segnalandosi come precursore di Wikileaks quandò intercettò e decifrò comunicazioni della Cia con agenti in Guatemala con cui era stata preparata la fallita invasione della Baia dei Porci a Cuba.
Negli anni ’70 aderì al movimento dei Montoneros e, dopo il golpe del generale Jorge Rafael Videla, creò l’agenzia di stampa Ancla, facendo circolare oltre 200 dispacci contro la dittatura.
In pericolo, Walsh rifiutò di esiliarsi come avevano fatto altri dirigenti dei Montoneros, e continuò l’attività clandestina. E il 24 marzo 1977, primo anniversario del colpo di Stato, pubblicò l’ultima sua opera, ‘La carta abierta de un escritor a la Junta militar’, in cui denunciò i tanti desaparecidos e criticò la politica neoliberalista governativa.
Il giorno dopo un ‘Grupo de tarea’ della Scuola di meccanica della marina (Esma), guidato dall”Angelo biondo’, Alfredo Astiz, e da Jorge ‘Tigre’ Acosta, e integrato dal ‘prefetto’ Sánchez arrestato ieri, gli tese una imboscata. Walsh morì in una sparatoria, ed il suo corpo non fu mai più ritrovato.

Santiago Arde

Dall’Agenzia cilena lavaca.org riprendiamo questo articolo: 

 

 

 

 

Come è stata vissuta e cosa ha detto ieri la massiccia mobilitazione a La Moneda, a Santiago, in Cile, dove il clima si riscalda sempre di più. Un uomo morto in Concepción, ferito da pallini che indicano gli occhi, insegnanti e operatori sanitari repressi ma ancora avanzando. Cronaca urgente dalle strade in cui è scritto il futuro latinoamericano.

Di Maxi Goldschmidt di Santiago per lavaca.org

Master fioriere represse. Così inizia martedì nelle strade di Santiago, dove si è svolta un’altra marcia massiccia, questa volta a La Moneda.

L’odore del bruciore si sente forte su La Alameda Avenue: le manifestazioni di lunedì si sono concluse con più incendi commerciali rispetto ad altri giorni e in alcuni casi si sono persino diffuse negli edifici che dovevano essere evacuati. Il tempo per le strade si riscalda di più, mentre le risposte ufficiali sembrano solo aggiungere più combustibile al fuoco.

-Vai, capre, non indietreggiare: devi arrivare a La Moneda.

Il motto di martedì era quello di manifestare in quel luogo storico, ma spostarsi attraverso le strade circostanti non era facile: gli agenti di polizia hanno difeso l’edificio con benzina e spari. Più tardi, il direttore generale dei Carabineros, Mario Rozas, dirà che la sua forza non ha commesso errori in questi giorni e che è “molto contento del lavoro svolto”.

Ieri, tra le nuove decine di feriti c’era un funzionario del National Institute of Human Rights (NHRI), che ha ricevuto sette pallottole nel suo corpo. Secondo quell’agenzia statale, fino a ieri sera c’erano 1233 feriti che venivano curati negli ospedali. Di questi, almeno 140 soffrono di danni agli occhi.

“I primi giorni in cui i pacos hanno sparato alle gambe, ora indicano la testa e gli occhi”, è la testimonianza ripetuta da medici e infermieri nelle postazioni sanitarie autogestite che continuano a spuntare in tutta la città. Uno striscione mostra un paio di occhi infranti. Si chiede: “Quanti altri per  aprire i tuoi ?”

La salute del modello

E come, come e come è il weá? I pazienti muoiono e nessuno fa nulla.

La canzone viene ascoltata attraverso il centro di Santiago, nel mezzo di una processione di cinque blocchi afflitta da entrambi i dottori di tutti i colori. Scendono in Mac Giver Street, dal Ministero della Salute a La Alameda.

“È la prima volta che tutti i settori sanitari sono uniti: medici, infermieri, studenti”, afferma Leonor Palma, entrambi fioriti, 42 anni, 15 infermieri di emergenza. Porta un cartello: “Per i miei pazienti ricoverati in ospedale nei corridoi”.

– Sono venuto per loro, che trascorrono fino a cinque o sei giorni in attesa di un letto. Le persone che muoiono senza essere curate, e questo non è detto, perché è vietato filmare, fare foto o diffondere ciò che accade negli ospedali pubblici.

Fischi e un suono di percussioni diverso: oltre alle pentole, vengono aggiunti vassoi d’argento che di solito contengono bisturi e altri strumenti chirurgici. Un gruppo di dentisti li colpisce con tazze in acciaio inossidabile e secchi di metallo per fare impronte dentali.

-Se ricevo un prematuro e non ho spazio in ospedale, ho l’obbligo di indirizzarti a una clinica privata. E lo Stato preferisce pagare i premi piuttosto che guadagnare più posti letto o investire nella sanità pubblica. Gran parte della risorsa va al servizio privato.

Irene è una neonatologa, lavora 39 anni fa in un ospedale pubblico e fornisce un esempio pratico di ciò che, a pochi metri dietro la lunga roulotte, ha appena spiegato Sebastian Wendt. “Lo Stato sovvenziona le aziende anziché le persone. E quello che vale, paga dieci. Ciò si ottiene grazie della porta girevole.  Gli uomini d’affari diventano legislatori, votano le leggi e poi divengono direttori di società sanitarie private finanziate da accordi con lo Stato. Ecco come viene gestito il neoliberismo ”, afferma Sebastian, uno psicologo, 40 anni, con un grembiule bianco e un megafono in mano.

“Violento è chiamare un paziente per la chemio due mesi dopo la sua morte”, dice un altro dei manifesti il ​​cui slogan, con diversi esempi, si ripete lungo la marcia che avanza lungo una delle corsie di La Alameda verso Piazza italia.

Nell’altra corsia, a passo lento e curvo su un medico di 77 anni, grembiule bianco, mezzo secolo di lavoro in un ospedale pubblico. Si chiama Andrés, è tossicologo e dice: «Per la prima volta nella mia vita vedo che è possibile un profondo cambiamento nel sistema sanitario. Dobbiamo cogliere questo momento, perché ora può essere raggiunto ».

Daniela Miranda è una sociologa, 34 anni. Tutto intorno c’è fumo nero, odore di gas, camion dei pompieri che passano a tutta velocità. Sirene, urla. Salutate e lasciate fluttuare un’altra frase che come “assassini” e “Cile si sono svegliati”, è una delle più sentite in strada: «Le persone non sono disposte a tornare indietro nelle loro richieste. C’è paura, ovviamente, ma la paura più grande è un’altra. La paura di molti è che questo sia finito e che nulla cambi.

Oggi c’è uno sciopero nazionale e fin dall’inizio nuove manifestazioni, che si replicano in altre città. Una carovana è partita ieri sera da Valparaiso e intende raggiungere La Moneda oggi alle 20.

Il governo e i media, nel frattempo, insistono nel concentrarsi sulla violenza dei manifestanti.

Daniela è una di queste, armata di padella e cucchiaio di legno. E dice:

-Se non ora, quando ?


Cos’è l’Agenzia lavaca.org ?

lavaca.org  è la casa virtuale della nostra cooperativa. Abbiamo abitato la rete dall’aprile 2002, ma la nostra nascita è avvenuta il 19 e 20 dicembre 2001, per strada e gridando “Lasciateli andare tutti”. È nata la nostra prima nota, che distribuiamo per posta tra i nostri contatti e con il motto “anticopyright”. Oggi fa parte del libro  Grandi cronache giornalistiche , curato dal Fondo de Cultura Económica, insieme a testi di José Martí, John Reed, Elena Poniatowska, tra gli altri classici.

Da allora fino ad oggi,  Lavaca  intende generare strumenti, informazioni, collegamenti e conoscenze che migliorano l’autonomia delle persone e delle loro organizzazioni sociali.

Comprendiamo per autonomia:

  • Autogestione di progetti di vita personali e collettivi.
  • Il libero flusso di nuovi modi di pensare e di agire.
  • L’esercizio della libertà, inteso come una forma di potere sociale.

PROSEGUE SU LAVACA.ORG

 

 

Argentina: Memoria e Unità

 

Il 43 ° anniversario del peggior colpo della storia argentina sarà ricordato da milioni di persone in tutto il paese. La memoria sarà legata all’angoscia della crisi sociale di oggi in un anno elettorale determinante

Di Ailín Bullentini

Ancora una volta Plaza de Mayo ei suoi dintorni diventeranno i luoghi questa domenica per esercitare la memoria quando organizzazioni per i diritti umani, sopravvissuti e parenti, gruppi politici e sociali ma, soprattutto, madri, padri, figli e figlie, gruppi di amici , fratelli e compagni convergeranno a ricordare le vittime dell’ultima dittatura militare, 43 anni dopo il suo inizio. La convocazione del consiglio nazionale delle organizzazioni per i diritti umani cita tutto e tutti a 14 nei pressi del Plaza con lo slogan “Con memoria e unità lotta per la patria che ha sognato i 30 mila”; lì, dove convergeranno con l’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, ore dopo leggeranno un documento. Il pomeriggio continuerà con la mobilitazione nello stesso luogo del Meeting della Memoria, Verità e giustizia e gruppi di sinistra. La Campora arriverà a Plaza de Mayo da La Esma.

“Non c’è modo di superare l’ipocrisia dei governi che voltano le spalle al popolo, non c’è modo di costruire la patria della giustizia sociale e una vita dignitosa per la quale i nostri figli e le nostre figlie hanno combattuto, senza essere uniti”, riflette Nora Cortiñas. , una delle Madri di Plaza de Mayo della Linea Fondatrice che entrerà in Plaza de Mayo tenendo la bandiera con le foto di “tutti i nostri dispersi”.

Il tavolo nazionale delle organizzazioni per i diritti umani chiede di partecipare alla Giornata nazionale della memoria per la verità e la giustizia a partire da 14. La bandiera blu con le foto delle vittime, mitico capo della marcia, sarà estesa a lungo l’Avenida de Mayo e avanzerà man mano che la strada si riempie di gente. “Memory” e “Unity” sono le due parole che suonano con forza nello slogan del convegno che hanno scelto per quest’anno. Sul concetto di “memoria”, Cortiñas ha coinciso con il presidente delle nonne, un altro degli organi di convocazione, in cui “la memoria non può mancare”. “La storia non è risolta. Perdere memoria significa permettere che le cose accadano di nuovo “, ha avvertito Carlotto durante le trasmissioni radiofoniche di ieri mattina.

Vedi L’ARTICOLO ALLA  FONTE >>>>  PAGINA12 

AMERICA LATINA: L’EGEMONIA E’ PENTECOSTALE

 

FONTE R/PROJECT

di Daniel Gatti

America latina: là dove i predicatori si impongono, l’egemonia é pentecostale

In guerra dichiarata contro qualsiasi movimento di emancipazione, l’evangelismo conservatore ha il vento in poppa sulla scena politica regionale. Capace di influire sull’agenda legislativa e sul dibattito politico attraverso tutto il continente, l’evangelismo non si limita a minacciare i diritti umani: é pure una sfida per una sinistra che non sa più rivolgersi alla sua propria base sociale.

“Esiste un nuovo intreccio tra il religioso ed il politico che la sinistra nel mondo e in modo particolare in America latina non sa cogliere. Il successo del neopentecostalismo conservatore é un esempio chiarissimo di questa nuova forma di intreccio che ha attecchito in modo assai importante nei settori popolari.” Per l’antropologo uruguayano Nicolàs Guigou, l’attuale successo di questi gruppi religiosi che si sono convertiti in poco tempo in protagonisti centrali della vita politica di tanti paesi di questa regione “é un fenomeno che dovrebbe interrogare a fondo i gruppi, le organizzazioni, i movimenti sociali che aspirano a cambiare le cose con la partecipazione dei settori popolari e di quelli più vulnerabili”. Lo stesso vale per il mondo accademico, “per esempio per i politologi”. La politica sta perdendo senso e significato in ampie frange della popolazione, dice Guigou a “Brecha”. “C’é un gran deficit del politico, un gran vuoto che, da qualche tempo in qua, i predicatori e le predicatrici pentecostali stanno colmando con il loro discorso”.

Non sono una novità, ma…

“La presenza di chiese evangeliche in America latina non é una novità. Ciò che é nuovo é il successo, il radicarsi della loro versione pentecostale conservatrice”, sostiene come tanti altri il sociologo boliviano Julio Còrdova Villazòn, specialista di questo ramo del protestantesimo. In un articolo apparso nel novembre del 2014 sulla rivista “Nueva Sociedad”, Còrdova segnala i cambiamenti intervenuti dall’inizio del secolo scorso. A quell’epoca, la loro “agenda” era liberale ed essenzialmente improntata sulla questione della separazione della chiesa cattolica e dello stato secondo il principio dell’artigliere che deve trovare lo spazio per esistere. Oggi invece, in fase di crescita e con un cattolicesimo in crisi, gli evangelici cercano di conquistare sempre più peso sulla scena politica tramite la creazione di partiti propri, grazie ad alleanze con altri, con lo sviluppo di una fittissima rete di mezzi di comunicazione e la moltiplicazione dei movimenti di difesa dei “valori morali cristiani”. Il tutto agevolato da consistenti, anche se poco santi, capitali.

Cordòva individua quattro tappe dell’espansione evangelica in America latina: “la lotta per la libertà di coscienza alla fine dell’ottocento ed agli albori del novecento; la polarizzazione ideologica durante gli anni 1960 e 1970; l’emergenza di partiti evangelici nei due decenni successivi; quella della ri-democratizzazione e, quale quarta fase, l’apparizione di movimenti in favore della famiglia con principi morali molto severi all’inizio del ventunesimo secolo”.

Durante la seconda di queste tappe, una parte molto minoritaria degli evangelici raggiunse i settori cattolici progressisti che stavano sviluppando la teologia della liberazione ed alcuni di loro parteciparono a dei movimenti di guerriglia di sinistra. “Però, sostiene il sociologo, la maggioranza assunse un atteggiamento passivo che finì per legittimare le dittature militari, considerate come la migliore delle opzioni”.

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Il Brasile dopo l’omicidio di Marielle Franco – Intervista a Giuseppe Cocco

Fonte Effimera.org

Il Brasile dopo l’omicidio di Marielle Franco – Intervista a Giuseppe Cocco

Ringraziamo Giuseppe Orlandini per la traduzione dal portoghese.

Cosa significa in termini politici l’esecuzione della consigliera di Rio de Janeiro Marielle Franco?

In base a ciò che è stato scoperto dalle prime investigazioni, ci sono sufficienti elementi per dire che non è stata solo “una” esecuzione, ma una esecuzione politica, un attentato. Si tratta di una esecuzione la cui dimensione politica ha almeno tre elementi: il primo è che Marielle era una militante del PSOL (Partito Socialismo e Libertá, una dissidenza di sinistra del PT, creato nel 2004), in particolare del PSOL di Rio; il secondo è che Marielle era espressione di una generazione di “giovani poveri, neri e nere di favela” che hanno cominciato a fare politica in prima persona, autonomamente; il terzo è che l’omicidio avviene nell’ambito dell’intervento federale a Rio, decretato dal presidente Temer.

Com’è ovvio, ci sono molti altri elementi, ma per un primo approccio penso sia necessario ordinarli a partire da qui.

1)     Marielle era del PSOL di Rio de Janeiro. Il PSOL di Rio è stato capace di uscire dal ghetto nel quale si trova il PSOL nazionale e costituirsi come una forza elettorale con peso e consistenza. É importante comprendere come il PSOL di Rio abbia ottenuto questo ruolo da protagonista, in termini sia di attivismo che elettorali. Senza pretendere di essere esaustivo, credo ci siano tre principali spiegazioni: il PSOL a Rio è diventata l’unica opposizione al consorzio politico-mafioso comandato a livello federale dal PT e a livello fluminense e carioca dai compari del PMDB: se a livello nazionale il marketing lulista riusciva a non rendere esplicite le negoziazioni infami alle quali si associava (quando non le promuoveva), a Rio tutto questo è evidente perlomeno dal 2010.

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Argentina. Benetton denuncia la comunità mapuche, la polizia interviene ancora una volta con arresti e sequestro dei loro cavalli.

FONTE PAGINA12.AR.COM

 

Violento operativo de Gendarmería tras una denuncia de Benetton
En Cushamen siguen los atropellos

A seis meses de la represión que derivó en la muerte de Santiago Maldonado, efectivos de la Gendarmería ingresaron esta mañana en la comunidad mapuche. Maniataron a varios de sus miembros e incautaron los caballos, que luego se llevaron en una camioneta propiedad del empresario Luciano Benetton. Denunciaron que el operativo fue ilegal y no descartan que haya sido para “plantar pruebas”.

Integrantes de la comunidad mapuche Pu Lof en Resistencia Cushamen, en Esquel, denunciaron que esta mañana efectivos de la Gendarmería realizaron un nuevo allanamiento ordenado por la jueza Graciela Rodríguez y el fiscal Díaz Meyer tras una denuncia de la estancia Leleque, propiedad del magnate italiano Luciano Benetton. Según contaron los integrantes de la comunidad, los efectivos los maniataron con precintos durante el operativo y se llevaron incautados sus caballos, a los que subieron a una camioneta de la compañía Tierras del Sud, propiedad de Benetton. Hay una mujer herida, que debió ser trasladada al hospital. Ayer se cumplieron seis meses de la desaparición y muerte de Santiago Maldonado, víctima de la represión de la Gendarmería en esa misma comunidad.

El relato de los integrantes de la comunidad se difundió por medio de la Red de Apoyo a las Comunidades en Conflicto, donde relataron que los efectivos llegaron a la comunidad a primera hora de la mañana y “mantuvieron precintados a los miembros de la comunidad en el sector de la guardia sin dejarlos siquiera ir al baño”. Contaron que en el procedimiento los uniformados se llevaron incautados los caballos que había en la comunidad, que subieron a un camión de la compañía Tierras del Sud, propiedad de Benetton. Luego del operativo, una mujer llamada Vanesa Millañanco debió ser trasladada al hospital de Maitén y dese la comunidad sostuvieron que se desconoce cuál es su estado de salud.

“Denunciamos este nuevo atropello a Pu Lof Resistencia Cushamen como totalmente ilegal debido a que no se contó con testigos del procedimiento, es decir que las fuerzas represivas hicieron lo que quisieron durante el tiempo que estuvieron dentro de Pu Lof y no descartamos que puedan generar algún tipo de montaje para culpar a los miembros de la comunidad a través de implantar falsas pruebas”, sostuvieron desde la comunidad en el comunicado. Apuntaron también contra la ministra de Seguridad, Patricia Bullrich, como responsable de una “cacería contra el pueblo Mapuche y una campaña mediática de difamación verdaderamente sin escrúpulos”.

Milagro Sala, da due anni prigioniera politica: tuitazo internacional

 

FONTE PRESSENZA.COM 

15.01.2018 – Redazione Italia

Milagro Sala, da due anni prigioniera politica: tuitazo internacional

 

 

Il 16 di gennaio saranno due anni che Milagro sala è ingiustamente e illegalmente detenuta dalla magistratura di Jujuy per ordine di Macri e Morales. Nonostante le richieste di liberazione e di poter affrontare i processi da libera cittadina la deputata del ParlaSur è stata prima in prigione e poi agli arresti domiciliari (prolungati di un altro anno recentemente) e questi ultimi nemmeno a casa sua. Oltre a questo sono stati arrestati altri membri della sua organizzazione, la Tupac Amaru.

Per questo e per l’assoluta mancanza di garanzie costituzionali e giuridiche il Comitato per la Liberazione di Milagro Sala ha proposto per domani un tuitazo che in Argentina comincerà alle 9 ora locale e a cui si aggiungeranno tutti i Comitati nazionali che si sono formati in numerosi paesi del mondo end anche qui in Italia.

Gli hashtag sono:

#2AñosPresaPolítica
#LiberenAMilagro

 

e si consiglia di inviare copia a @mauriciomacri  e  @MoralesGerardo1

Il comitato prega di inviare il tweet anche a @ComitexMilagro

Qui di seguito esempi di tweet in spagnolo ma si suggerisce di scrivere nella propria lingua per far notare la solidarietà internazionale.

El Estado nacional sigue incumpliendo con las resoluciones de @ONU_es@CIDH y @CorteIDH entre otros organismos de derechos humanos #2AñosPresaPolítica #LiberenAMilagro

El Poder Judicial de Jujuy no solo incumple las resoluciones de organismos internacionales como @ONU_es @CIDH @CorteIDH y @amnesty, entre otros, sino también el fallo de @cortesupremaAR #2AñosPresaPolítica#LiberenAMilagro

Lo dijimos el primer día: “Hoy es Milagro, mañana podés ser vos”. Los presos políticos de @mauriciomacri son cada vez más. Exigimos el fin de la persecucion politica y la libertad de todxs lxs presxs politicxs. #2AñosPresaPolítica #LiberenAMilagro

La corporación judicial es cómplice de @MoralesGerardo1 que mantiene detenida ilegalmente a Milagro Sala #2AñosPresaPolítica #LiberenAMilagro

Milagro Sala está detenida ilegalmente por orden del gobernador @MoralesGerardo1 y del gobierno de @mauriomacri #2AñosPresaPolítica#LiberenAMilagro

La contestation sociale réprimée en Amérique latine

Mounted police keeping guard on University students protesting against corruption in the education sector, in front of the National Congress in Asuncion (Paraguay).   (Santi Carneri)

fonte equaltime.org

Le 17 octobre, jour de commémoration annuel en Argentine de Juan Domingo Perón, fut repêché dans le fleuve Chubut le corps sans vie de Santiago Maldonado, un jeune artisan porté disparu 80 jours plus tôt et aperçu pour la dernière fois au cours d’un affrontement entre la communauté Mapuche et les forces de sécurité de l’État.

Ces faits s’inscrivaient dans le contexte d’un conflit territorial de longue durée qui oppose les Mapuche à la multinationale Benetton. La disparition de Maldonado avait tenu en haleine la société argentine tout entière pour laquelle le terme de « disparu » évoque les victimes de la dictature civile-militaire de 1976-1983 et incité des centaines de milliers de personnes à se concentrer dans la Plaza de Mayo de la capitale argentine, au même endroit où, 40 ans plus tôt, les Mères de la Plaza de Mayo avaient commencé à effectuer leurs rondes hebdomadaires pour interpeller les autorités sur le sort des membres de leur famille.

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Anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani chiede la scarcerazione di Milagro Sala

fonte PRESSENZA.COM

 

28.11.2017 Redazione Italia

Quest’articolo è disponibile anche in: Tedesco

Anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani chiede la scarcerazione di Milagro Sala
(Foto di L’Impronta L’Aquila)

Dopo le numerose prese di posizione di organismi internazionali, associazioni, personalità ora anche la Corte Interamericana per i Diritti Umani ha emesso una risoluzione in cui chiede che Milagro Sala esca dal carcere e sia assegnata, a casa sua e non altrove, agli arresti domiciliari.

La risoluzione è stata diffusa agli organi di stampa e alle autorità competenti nella giornata di ieri; chiede anche che lo Stato Argentino si preoccupi di assicurare assistenza medica e psicologica alla dirigente sociale; chiede al più tardi per il 15 dicembre un rapporto dettagliato sulla realizzazione degli arresti domiciliari e che vi sia un rapporto alla Corte ogni tre mesi; chiede infine ai rappresentanti legali di Milagro Sala di fare le opportune osservazioni sull’applicazione di queste risoluzioni.

Il grido di Santiago per le comunità Mapuche

FONTE  LAVOROCULTURALE

L’ultima volta che è stato visto vivo, il ventottenne Santiago Maldonado stava partecipando a una mobilitazione della comunità in resistenza di Cushamen – provincia di Chubut, Argentina.

Santiago Maldonado

«… e sì, noi siamo coscienti che se fossimo stati mapuche, invece di un giovane come Santiago, tutto questo non avrebbe avuto una ripercussione del genere. Santiago ha lanciato quel grido di cui noi avevamo bisogno. È molto triste che sia toccato a lui».

Ivana Huenelaf, attivista mapuche, commentava così, lo scorso settembre, la desaparición di Santiago Maldonado. Lei stessa, nel mese di gennaio, era stata vittima della repressione scatenata dalla gendarmeria argentina contro la comunità (Pu Lof) in resistenza di Cushamen. Insieme ad altre cinque persone, è stata trattenuta per diverse ore nel commissariato locale, ferita – dopo che i gendarmi le avevano fratturato un polso –, incappucciata e isolata dal resto del mondo. Durante il fermo, ha sentito alcuni agenti negare, alle attiviste e agli avvocati venuti a cercarla, di averla trattenuta, mentre altri gendarmi le dicevano «los vamos a hacer desaparecer»: vi faremo scomparire.

Santiago

L’ultima volta che è stato visto vivo, il ventottenne Santiago stava partecipando a una mobilitazione della comunità in resistenza di Cushamen – provincia di Chubut, Argentina – che protestava per l’arresto del proprio lonko[1] e per la minaccia di sgombero da parte delle autorità locali. La manifestazione è stata duramente repressa dalla Gendarmeria nazionale[2]e le tracce di Santiago si sono perse durante le violenze, quando un testimone ha visto che veniva costretto a salire su un veicolo dei gendarmi. Da quel momento, per 81 giorni, di lui non si è saputo più nulla, finché il suo corpo non è stato ritrovato il 18 ottobre nel Río Chibut, in una parte poco profonda del fiume già ripetutamente setacciata nelle settimane precedenti.

La gestione del caso di Santiago, su cui sono intervenute anche l’ONU e la Commissione Interamericana per i Diritti Umani, ha registrato numerose negligenze da parte dell’apparato statale argentino: dalla lentezza con cui si è investigato circa il coinvolgimento della Gendarmeria – i veicoli usati durante la repressione, ad esempio, sono stati analizzati parecchi giorni dopo i fatti, quando ormai erano già stati lavati –, all’apparente svista con cui Patricia Bullrich, Ministra della Sicurezza, ha rivelato in una conferenza stampa il nome di un testimone protetto coinvolto nell’inchiesta, che aveva denunciato come, alcuni giorni dopo la scomparsa di Santiago, qualcuno avesse risposto al telefono del giovane desaparecido. Apparenti sviste e negligenze che hanno portato anche alla ricusazione e sostituzione del giudice responsabile dell’inchiesta.

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La memoria delle sparizioni in Argentina e la storia politica del “Nunca Más” nel libro di Emilio Crenzel

fonte CENTROTRAME

di Daniele Salerno

9788897826606_0_0_750_80Il 24 marzo ricorre il 41° anniversario del golpe che in Argentina portò al potere i militari. In questa giornata il paese sudamericano ricorda gli anni della dittatura e le vittime del terrorismo di stato. Tra queste i desaparecidos occupano un posto centrale e tragico. Nei sette anni della dittatura militare (1976-1983) migliaia di persone furono rapite, sequestrate nei centri clandestini del paese, uccise dai militari e i loro resti fatti sparire (per esempio nei tristemente noti voli della morte). È ormai comune parlare di circa trentamila omicidi: una cifra esibita in molte marce della memoria che il 24 marzo si tengono nel paese.

Al ritorno della democrazia in Argentina, il 10 dicembre 1983, la necessità di sapere la verità sulle sparizioni spinse il nuovo presidente eletto, Raúl Alfonsin, a nominare una commissione di notabili allo scopo di raccogliere, nello stretto giro di sei mesi, denunce e prove sulla sorte dei desaparecidos. Le denunce si sarebbero poi dovute consegnare alla giustizia mentre la commissione avrebbe dovuto elaborare una relazione finale da presentare al paese. La commissione, presieduta dallo scrittore Ernesto Sabato, venne chiamata CONADEP-Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas. La “relazione finale”, lungi dal diventare un mero testo burocratico, verrà pubblicata con il titolo Nunca Más (mai più). Il volume raccoglie le storie dei desaparecidos, ricostruendole a partire dalle testimonianze di parenti e sopravvissuti. Il libro è oggi un testo fondativo per la democrazia argentina e il suo titolo è icona della memoria del paese.

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Nuova Campagna internazionale per la liberazione di Milagro Sala

FONTE AGENZIA PRESSENZA.COM

03.07.2017 Redazione Italia

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Nuova Campagna internazionale per la liberazione di Milagro Sala
(Foto di Magalí Buj)

Inizierà oggi, 3 luglio, alle 11 di mattina, ora di Buenos Aires, con una conferenza stampa di fronte alla Corte Suprema, la nuova campagna per chiedere a Mauricio Macri, dall’Argentina ma da anche da tutto il resto mondo, la liberazione di Milagro Sala e di tutti i dirigenti sociali della Tupac Amaru e di quelli delle altre organizzazioni incarcerati a Jujuy, a Mendoza e in varie province dell’Argentina. Alle 11 si lancerà la campagna di raccolta di firme digitali internazionali sul nuovo sito liberenamilagro.org

Contemporaneamente inizierà il “twiteazo” su Twitter con questi tweet suggeriti:

Basta de presos políticos en Argentina. Firmá la petición para pedir que #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
Frenemos la violación de derechos humanos en Argentina. Basta de presos políticos #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
Presidente @MauricioMacri, basta de presos políticos en Argentina #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
Hoy es Milagro. Mañana podés ser vos. Firmá la petición para que #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
Sumate a la campaña internacional para pedir que #LiberenAMilagro dirigente social argentina detenida ilegalmente http://www.liberenamilagro.com/
Con presos políticos no hay democracia. Firmá la petición para que #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
Firmá para exigir que #LiberenAMilagro y a todos los presos políticos en Argentina: http://www.liberenamilagro.com/
Milagro Sala, mujer, negra, indígena. Presa por luchar #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
Exigimos a la @CorteSupremaAR poner fin a la violación de DDHH en Argentina #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
Milagro Sala está detenida ilegalmente desde hace mas de 500 días. Firmá para exigir que #LiberenAMilagro http://www.liberenamilagro.com/
PS: il sito per twitter cambia perché il sito .org è stato definito spam da Twitter.

La data è stata scelta in coincidenza delle sessioni straordinarie della CIDH, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, in corso da oggi a Lima.

Perché formare un comitato tedesco per la libertà di Milagro Sala?

FONTE PRESSENZA.COM

11.06.2017 – Germania Evelyn Rottengatter

Quest’articolo è disponibile anche in: Tedesco

Perché formare un comitato tedesco per la libertà di Milagro Sala?

Nell’ambito della campagna internazionale che si impegna per la liberazione di Milagro Sala in Argentina, si è appena formato anche un comitato tedesco, che si aggiunge alla lista sempre crescente dei diversi comitati in tutto il mondo. Essi sono presenti oltre che in Argentina anche in Brasile, Perù, Messico, Canada, Italia, Spagna, Francia, Olanda e nel Regno Unito, e probabilmente anche in altri luoghi.

L’esigenza di questo comitato è dovuta in parte alle già note ragioni per le quali l’incarcerazione della deputata, che continua fino a oggi, va contestata e condannata. Tra queste ragioni ci sono l’arbitrarietà dell’arresto (confermato dal gruppo di lavoro ONU per l’arresto arbitrario) e anche il modo con cui si tenta di screditare e distruggere Sala e il movimento sociale Tupac Amaru, da lei stessa fondato. Ciò è avvenuto e continua ad avvenire ancora con delle imputazioni false, testimonianze comprate, intimidazione e repressione da parte delle forze di sicurezza statali.

Una vera e propria caccia alle streghe messa in atto dai media argentini e da una giustizia prevenuta, che non sembra proprio per nulla distanziarsi dalla scelta politica del governo neoliberale.

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Omicidi di stato sottaciuti dai media

Autore Franco Cavalli
fonte area7.ch
Recentemente sono stato per quasi due settimane in quattro paesi del Centro America e poi a Cuba. Su tutto ciò riferirò più ampiamente nel prossimo numero dei Quaderni del Forum Alternativo e nelle pubblicazioni dell’Associazione per l’aiuto medico al Centro America (Amca), dato che lo scopo principale del mio viaggio era appunto quello di visitare i progetti di questa associazione. Qui mi limito a raccontare soltanto una delle impressioni forti vissute durante questo viaggio.

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La CIDH sta prestando profonda attenzione al caso Milagro Sala

FONTE PRESSENZA.COM

24.05.2017 – Buenos Aires Redacción Argentina

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La CIDH sta prestando profonda attenzione al caso Milagro Sala

Questo pomeriggio, più di 10 mila persone si sono mobilitate presso l’Hotel Sheraton a Retiro, per ringraziare la Commissione Interamericana dei Diritti Umani della visita effettuata nel paese. La Segreteria Esecutiva, capitanata da Paulo Abrao, ha ricevuto una delegazione del Comitato per la Liberazione di Milagro Sala, con cui si è intrattenuta per più di un’ora. La CIDH è stata una dei molti organismi che, nel dicembre dello scorso anno, ha imposto al governo di rispettare il mandato del Grupo de Trabajo de Detenciones Arbitrarias dell’ONU per “l’immediata liberazione” di Milagro Sala. Gli slogan della mobilitazione di massa sono stati: “Basta prigionieri politici in Argentina. Libertà ai prigionieri politici di Tupac a Jujuy e Mendoza”.

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Brasile, massacro di dieci lavoratori dell’agricoltura SEM TERRA nello stato del Parà da parte della polizia militare

 fonte  RACISMO AMBIENTAL

Traduzione di editor

Dieci operai agricoli sem-terra ( senza terra ) e una donna sono stati uccisi dalla Polizia Militare in Redencao. Le vittime facevano parte della Lega dei contadini poveri (LCP). L’informazione è stata confermata dalla Commissione Pastorale della Terra (CPT) che ha denunciato questo massacro a Brasilia.
Secondo le prime informazioni questi lavoratori agricoli avevano reagito ad un’azione violenta di sgombero della polizia militare  di un’area della Fazenda Santa Lucia, dove vivevano decine di famiglie.
Il massacro ha avuto luogo al mattino quando, a Brasilia, nel pomeriggio, è stata dichiarata l’occupazione della capitale da parte delle truppe dell’esercito, dopo una brutale repressione della manifestazione indetta dai sindacati contro Temer e le riforme; Nel frattempo, a Rio, c’era stata una forte repressione delle proteste dei dipendenti pubblici contro la demolizione dello stato e contro il passaggio di un disegno di legge in Assemblea legislativa per fare pagare ai dipendenti pubblici il conto del deficit della Previdenza

Massacre em Pau D’Arco (PA): dez mortos pela PM

Por Mauro Lopes, no Outras Palavras

Dez sem-terra -nove homens e uma mulher- foram mortos pela PM na manhã desta quarta (24) em Redenção (PA). Eles são ligados à Liga dos Camponeses Pobres (LCP). A informação foi confirmada pela Comissão Pastoral da Terra (CPT) da CNBB, que lançou ontem em Brasília, com mais 18 entidades, a Carta do ato denúncia – Por Direitos e contra a Violência no Campo.

Segundo as primeiras informações, os agricultores reagiram a uma ação violenta de desocupação de uma área da fazenda Santa Lúcia, onde viviam dezenas de famílias.

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Milagro Sala: Mariano Miranda contro l’ONU

FONTE PRESSENZA.COM

21.05.2017 Francesco Cecchini

Milagro Sala: Mariano Miranda contro l’ONU

Mariano Miranda è il Procuratore Generale di Jujuy, in prima linea, assieme al Pubblico Ministero  Sergio Lello Sáncheza, nella repressione di Milagro Sala, leader della Tupac Amaru; tutto questo agli ordini del Governatore Gerardo Morales. Tutti e tre sono dirigenti locali della UCR (Unión Cívica Radical). Raul Alfonsin si starà rivoltando nella tomba.

Lo scorso 18 maggio in Buenos Aires, dopo una settimana di riunioni  e visite a diverse prigioni dell’ Argentina, il Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie  della Commissione dei Diritti  Umani dell’ONU ha dichiarato che continua ad essere fermamente convinto che l’ imprigionamento di Milagro Sala sia arbitrario e ha inviato la sua opinione alle Autorità argentine, invitando alla sua liberazione.

Il Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie aveva precedentemente visitato, ben due volte, la  prigione di Alto Comedero a Jujuy, intervistato  donne detenute e incontrato  Milagro Sala e le altre militanti Tupac Amaru che sono in stato di detenzione preventiva. Ha ascoltato da parte di Milagro e  di tutte le detenute gravi accuse di seri maltrattamenti ricevuti da autorità e da carcerieri che si sono comportati in maniera criminale.

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E’ uscito il numero 86 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

In questo numero:

Di sinistra, forte e rossoverde
di Enrico Rossi

O nuova lista a sinistra del Pd o rosatellum.
Di due l’una. Le due cose insieme generano sospetti.
di Roberto Mapelli

La “madre di tutte le bombe” serviva a sdoganare la guerra nucleare?
di Mario Agostinelli

Venezuela, la stampa internazionale ha deciso: Maduro va destituito
di Fabio Marcelli

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n86-s.pdf
Buona lettura e diffondete!

Il Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie ha incontrato Milagro Sala

FONTE PRESSENZA.COM

12.05.2017 Redacción Argentina  di Pressenza.com 

Il Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie ha incontrato Milagro Sala
(Foto di Tupac Amaru)

Ieri, 11 Maggio, nel corso del primo giorno della sua  permanenza a Jujuy, una delegazione del Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie dell’ONU ha visitato il carcere femminile di Alto Comedero e si è riunito con  Milagro Sala. Più tardi, in una riunione con membri della società civile, il presidente Sedonji Roland Adjovi ha confermato che l’Opinione 31 del 27 Ottobre 2016, che ordina allo Stato Argentino l’immediata liberazione della deputata del  Parlasur, non è soggetta a revisione e che è una risoluzione presa e che lo scopo del viaggio è quello di valutarne il compimento da parte del governo.

Nell’incontro con le detenute si sono denunciate le torture, l’utilizzo di celle di punizione e la perenne persecuzione di cui è oggetto Milagro Sala. Anche Mirta Aizama, Gladys Diaz, Mirta Guerrero e Graciela Lopez hanno denunciato le condizioni di detenzione facendo vedere ai membri della commissione come siano stati cambiati i materassi a tutte le detenute proprio ieri, prima della visita.

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Milagro Sala: interpellanza Martelli e risposta del governo

FONTE PRESSENZA.COM

09.05.2017 – Roma Redazione Italia

Milagro Sala: interpellanza Martelli e risposta del governo
(Foto di streaming Camera dei Deputati)
L’Onorevole Giovanna Martelli del gruppo Articolo 1 MDP ha svolto oggi in aula l’interpellanza volta a chiarire la posizione italiana sulla detenzione della leader sociale argentina Milagro Sala che è stata ritenuta arbitraria dalle Nazioni Unite. In particolare l’interpellanza, firmata anche dagli onorevoli Nicchi, Melilla, Palazzotto, Fratoianni, Ricciatti, Duranti, Pannarale, Scotto, Galli,  Kronbichler e Bordo, ha chiesto al Governo quali siano i motivi del ritardo nel prendere coscienza della vicenda e nel sostenere le risoluzioni che difendono i diritti umani richiedendo al Presidente Macrì l’immediato rilascio di Milagro Sala affinché possa difendersi da persona libera e quali iniziative di competenza abbia intrapreso o intenda intraprendere affinché i diritti umani, quelli delle donne e dei più poveri siano rispettati e difesi in Argentina.

Argentina, torna l’impunità per i militari degli anni ’70

FONTE PRESSENZA.COM

05.05.2017 Olivier Turquet

Argentina, torna l’impunità per i militari degli anni ’70
(Foto di Milenio)

Con una sentenza che ha già suscitato diffuse proteste in tutto il paese, la Corte suprema argentina ha equiparato i delitti di lesa umanità ai crimini comuni, concedendo il beneficio del cosiddetto 2 per 1. Tale misura consente di ridurre la pena considerando doppi gli anni trascorsi in prigione prima della sentenza definitiva. In questo modo molti genocidi potrebbero uscire dal carcere. La norma era stata derogata nel 2001.

LE ABUELAS de Plaza de Mayo hanno convocato d’urgenza una conferenza stampa e dichiarato insieme a Taty Almeida, di Madres di Plaza de Mayo, Horacio Verbitsky, del Centro de Estudios Legales y Sociales e altri organismi di diritti umani, il loro ripudio alla misura che potrebbe trasformarsi a breve in un’amnistia verso i militari responsabili del terrorismo di stato nell’ultima dittatura (1976-1983).

«QUESTA SENTENZA conferma il cambio di paradigma che si vive nel paese da quando si è insediato Mauricio Macri e apre alla possibilità d’incontrarsi per strada con gli assassini dei nostri genitori. Noi non lo consentiremo», ha dichiarato Carlos Pisoni, rappresentante di Hijos, i figli dei desaparecidos.

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ARGENTINA:RIQUEZAS NATURALES OFRECIDAS COMO AVAL DE LA DEUDA EXTERNA. RENUNCIA A LA INMUNIDAD SOBERANA

Commento
Senza limiti, questa classe dirigente argentina non si ferma davanti a nulla: la cessione di beni comuni indisponibili è il primo passo verso il baratro. A quando la vendita degli umani in eccedenza come schiavi ??  editor
FONTE PAGINA12
RIQUEZAS NATURALES OFRECIDAS COMO AVAL DE LA DEUDA EXTERNA. RENUNCIA A LA INMUNIDAD SOBERANA
Denuncian a Macri por abuso de garantías
Por dos decretos de este año, el Ejecutivo habilitó a que las riquezas y recursos naturales puedan ser considerados como garantía del pago de la deuda externa. Tres letrados denunciaron al Presidente por defraudación y abuso de autoridad.Los recursos hidrocarburíferos, el litio, otros recursos minerales estratégicos y las empresas del Estado quedaron fuera de la protección de inmunidad soberana contemplada en las emisiones de deuda externa y, por lo tanto, pasaron a ser pasibles de embargo y ejecución en una hipotética disputa legal con acreedores externos. Los abogados Eduardo Barcesat, Jorge Cholvis y Arístides Corti sostienen que esa posibilidad quedó habilitada por los decretos 29 y 231 de 2017. “Son precisamente esos recursos y riquezas naturales los que resultan la garantía del pago de la deuda externa que se contrae por los decretos impugnados, traicionando la manda de la Ley Suprema de la Nación”, advierten los letrados en el texto de la denuncia que realizaron contra el presidente Macri por defraudación contra la administración pública y abuso de autoridad. La demanda, que recayó en el Juzgado Federal Nº1 a cargo de María Romilda Servini de Cubría, también alcanza al jefe de Gabinete, Marcos Peña, y el titular de Finanzas, Luis Caputo. “Ni la dictadura se atrevió a tanto”, advirtió el bloque de diputados del Frente para la Victoria ayer a través de un comunicado. 

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Diritti Umani: dall’Italia un ponte verso l’Argentina

Diritti Umani: dall’Italia un ponte verso l’Argentina

fonte PRESSENZA.OM

20.04.2017 Federico Palumbo

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Diritti Umani: dall’Italia un ponte verso l’Argentina
(Foto di Manuela Pita)

Parte il corso di formazione per Osservatori dei Diritti Umani

A seguito dell’aggravarsi della situazione dei Diritti Umani in Argentina, con l’arresto di militanti dell’organizzazione Tupac Amaru a Mendoza e le ulteriori accuse rivolte alla loro leader indigena Milagro Sala, partirà a Roma un corso di formazione per osservatori di Diritti Umani con il fine di formare un gruppo di lavoro e dar vita ad alcune missioni in Argentina coordinando il lavoro con le organizzazioni locali impegnate sul fronte dei Diritti Umani.

L’iniziativa è sorta durante le riprese del documentario sulla Tupac Amaru “Welcome to the Cantri” girate lo scorso febbraio in Argentina per opera di un gruppo di attivisti del Nuovo Umanesimo.

I realizzatori, insieme al Comitato italiano per la Liberazione di Milagro Sala, promuovono così un corso aperto a tutti gli interessati che si svolgerà ogni lunedì dalle 18 alle 20 in Via degli Equi 45 (San Lorenzo, Roma), presso la sede di Energia per i Diritti Umani.

Durante il corso sono previsti interventi di esperti e giornalisti per i Diritti Umani e la collaborazione dell’agenzia stampa internazionale Pressenza. Verrà presentato il contesto argentino e la sua critica situazione in merito al rispetto dei diritti. Ci saranno anche delle lezioni e degli approfondimenti sulla lingua spagnola e anche della formazione ai partecipanti per muoversi in situazione di conflitto sociale.

L’invio di osservatori dei Diritti Umani in Argentina è quanto mai urgente considerando che organizzazioni come Amnesty International, Human Right Watch e anche il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria dell’ONU sono intervenute ripetutamente sulla questione.

Per partecipare: fedepalu2@gmail.com – Tel. 3891494050 – Facebook: welcometothecantri

“I Diritti Umani non appartengono al passato, stanno nel futuro attraendo l’intenzionalità, alimentando una lotta che si ravviva ad ogni nuova violazione del destino dell’essere umano. Pertanto, qualunque rivendicazione di tali diritti è sempre valida giacché mostra che gli attuali poteri non sono onnipotenti e che non controllano il futuro…”  (Silo)

E’ uscito il numero 82 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

E’ uscito il numero 82 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n82-s.pdf

In questo numero:

Giorni di festa ma non per tutti. L’illusione del commercio senza limiti
di Enrico Rossi

Pensioni in Brasile
a cura di Teresa Isenburg

“Il mondo al tempo dei quanti”. Perché il futuro non è più quello di una volta
Recensione del libro di Mario Agostinelli e Debora Rizzuto di Luigi Mosca,
direttore laboratorio Fisica delle Particelle di Modane (France)

Milagro, y el blanco y negro ( da Pagina 12 )

FONTE PAGINA12  CHE RINGRAZIAMO

La media cara de Milagro Sala que circula por este país y el mundo –se la pudo ver en las calles de Roma, Madrid, París, y Amsterdam esta semana– fue hace siete años la cara completa de una dirigente social de rasgos coyas, la cara morena y latinoamericana que el relato de la Argentina “normal” había desplazado y reemplazado por otros rasgos étnicos, fabricando la falsedad de que los argentinos somos un subderivado europeo en una región donde el hedor de América, como entendió Rodolfo Kusch, está controlado, disciplinado y colocado en el altar subterráneo del vencido.

Esa cara completa es la que el fotógrafo Seba Miquel retrató en Rosario, en 2010, cuando dos columnas de diversos antiguos pueblos se encontraban y fundían en el recorrido de lo que fue la Marcha de los Pueblos Originarios, que el 10 de mayo de aquel año cubrió la Plaza de Mayo de un paisaje sobrecogedor. Miquel ya había llevado a cabo su ensayo sobre la Tupac Amaru, AbyaYala, Los hijos de la tierra. Pude ver ese magnífico trabajo cuando unos meses después se expuso en el Palais de Glace. Yo venía de trabajar en el libro Jallalla, que se publicó ese mismo año, y lo primero que me estremeció fue el blanco y negro. Porque en esas fotos sobre Milagro y sobre los oficios de los tupaqueros, sobre su modo de vida comunitaria y su mística política que hace confluir al Che, a Evita y a Tupac Amaru, Miquel hacía que el blanco y negro funcionara además en otro plano agregado a los que sostienen al blanco y negro como una posición estética.

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Intellettuali e artisti di tutto il mondo preoccupati per gli abusi di Macri

fonte PREESSENZA.COM

Più di un centinaio di intellettuali, artisti difensori dei Diritti Umani, comunicatori e personalità politiche e associative di tutto il mondo aderiscono alla dichiarazione in cui manifestano “la pienissima e totale solidarietà al popolo argentino, che si trova ad affrontare le politiche neoliberali del governo di Mauricio Macri”.

Tra i primi a firmare il documento spicca il filosofo statunitense Noam Chomsky, la colombiana Piedad Córdoba, attivista per i Diritti Umani, l’attore nordamericano Danny Glover, il giornalista brasiliano Emir Sader, il filosofo italiano Domenico Losurdo e, tra gli altri, l’eminente professore dell’Università del Sussex, István Mészáros.

Nel documento i firmatari sottolineano che “l’Argentina è balzata agli onori della cronaca internazionale per diversi casi di corruzione in cui sono indagati il presidente e ciò che lo vede implicato: Panamá Papers, Odebrecht, Avianca, Correo Argentino”.  Successivamente, si contesta la detenzione di Milagro Sala, sottolineando leprese di posizione dell’ONU, del Parlasur, dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) e di Amnesty, in relazione “all’arbitraria” incarcerazione.

“Dall’inizio del mandato di Macri, in Argentina vi sono un milione e mezzo di nuovi poveri, il che dimostra in cifre la gravità della situazione,” dicono, manifestando la propria solidarietà anche all’ex presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, che “sta affrontando un’aggressione giuridica e mediatica ogni volta sempre più marcata, che finisce per delineare un quadro di grave aggressione alla democrazia”.

I firmatari rappresentano una ventina di paesi: Stati Uniti, Canada, Italia, Svizzera, Francia, Regno Unito, Portogallo, Cile, Messico, Colombia, Perù, Venezuela, Cuba, Bolivia, Puerto Rico, Paraguay, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Uruguay e Brasile. Al termine del comunicato, affermano che “contro gli abusi del governo di Macri, diciamo: il mondo sta a fianco dell’Argentina”.

COMUNICATO COMPLETO

CONTRO GLI ABUSI DI MACRI
IL MONDO STA A FIANCO DELL ‘ARGENTINA

I firmatari e le firmatarie che seguono, intellettuali, artisti, difensori dei Diritti Umani, comunicatori e personalità politiche e associative di tutto il mondo, vogliono manifestare la piena e totale solidarietà al popolo argentino che si trova ad affrontare le politiche neoliberali del governo di Mauricio Macri.

In appena quindici mesi, Macri ha licenziato migliaia di persone, sia nel pubblico che nel privato, ha svalutato la moneta, ha eliminato i diritti dei lavoratori con la nuova legge dell’ART, ha eliminato il diritto dei pensionati alle cure gratuite e ha cercato di mettere un tetto ai reclami salariali di fronte a un’inflazione che non diminuisce. La profonda caduta dell’attività economica, in particolare dell’industria, è evidenziata dal profondo depauperamento sociale: in Argentina vi sono un milione e mezzo di nuovi poveri, il che dimostra in cifre la gravità della situazione.

In questi mesi, l’Argentina è balzata agli onori della cronaca internazionale per diversi casi di corruzione in cui sono indagati il presidente e ciò che lo vede implicato: Panamá Papers, Odebrecht, Avianca, Correo Argentino, tra i tanti. A questo, si aggiunge l’ingiusta detenzione della dirigente sociale Milagro Sala, nella provincia di Jujuy; fatto, questo, che ha portato diverse organizzazioni internazionali (ONU, Parlasur, OEA, Amnesty, tra le altre) a qualificare come “arbitraria”, la detenzione, chiedendo l’immediata scarcerazione della parlamentare di Mercosur.

Manifestiamo, al tempo stesso, la nostra piena e totale solidarietà con l’ex presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, che sta affrontando un’aggressione giuridica e della comunicazione ogni volta sempre più marcato, che finisce per delineare un quadro di grave aggressione alla democrazia.

Contro gli abusi del governo di Macri, diciamo: il mondo sta a fianco dell’Argentina.

Primi Firmatari:

Noam Chomsky (Filosofo, USA); István Mészáros (Filosofo. Università del Sussex, Regno Unito); Danny Glover (Attore, USA); Roberto Fernández Retamar (Presidente Casa de las Américas, Cuba); Domenico Losurdo (Filosofo, Italia); Atilio Boron (REDH Argentina); Piedad Córdoba (Poder Ciudadano, Colombia); Emir Sader (Giornalista, Brasile); Miguel d’Escoto Brockmann (ex Cancelliere del Nicaragua); Paulo Pimenta (Deputato PT, Brasile); Roy Chaderton Matos (Diplomatico, Venezuela); Carmen Bohórquez (REDH Venezuela); Ángel Guerra (REDH Messico); Fernando Buen Abad (Fiosofo Messico); Gilberto López y Rivas (La Jornada, Messico); Stella Calloni (Giornalista, Argentina); Luis Britto García (Scrittore, Venezuela); Alfredo Serrano Mancilla (Direttore CELAG); Juliana Marino (Ex Ambasciatrice dell’Argentina a Cuba); Telma Luzzani (Giornalista, Argentina); Fernando Rendón (Poeta, Colombia); Katu Arkonada (REDH Bolivia); Alicia Castro (Ex Ambasciatrice dell’Argentina nel Regno Unito); Vilma Soto Bermúdez (MINH Puerto Rico); Omar González (REDH Cuba); Gayle McLaughlin (Consigliere di Richmond, California, USA); Hugo Urquijo (Psichiatra, Argentina); Rosario Cardenas (Coreografa, Cuba); Horacio López (CCC, Argentina); Aurelio Alonso (Casa de las Américas, Cuba); Juan Manuel Karg (REDH Argentina); Paula Klachko (Undav, Argentina); Wilma Jung (Giornalista, Svizzera); Luis Cuello (Otra Prensa, Chile); Winston Orrillo (Premio Nacional de Cultura, Perù); Ammar Jabour (Venezuela); Volker Hermsdorf (Giornalista, Germania); Alicia Jrapko (REDH USA); Ricardo Canese (Parlamentare Parlasur, Paraguay); José Steinsleger (Giornalista, Messico); Homero Saltalamacchia (UNTREF, Argentina); Márgara Millán (UNAM México); Saúl Ibargoyen (Poeta, Uruguay); Francisco José Lacayo (REDH Nicaragua); Liliana Duering (Pittrice, Messico); Pablo Vilas (Segretario Política Internacional La Cámpora, Argentina); Bruce Franklin (Scrittore, USA); Cristina Steffen (UAM, Messico); Marta de Cea (Promotrice cultura, Messico); Luigino Bracci Roa (Comunicatore, Venezuela); Pablo Imen (CCC, Argentina); Modesto López (Documentarista, México); Antonio Eduardo Soarez (Portogallo); Rino Muscato (Italia); Pedro Véliz Martínez (Presidente Sociedad Cubana de Medicina, Cuba); Sofia M. Clark d’Escoto (Politologa, Nicaragua); Jane Franklin (Storiografa, USA); Judith Valencia (Economista, Venezuela); Joan Brown Campbell (Ex Segretaria General de Consejo Nacional de Iglesias, USA); Graylan Hagler (Pastore Congregación de Iglesias Unidas de Cristo, Washington, USA); Luis Suárez Salazar (Instituto Superior de Relaciones Internacionales, Cuba); Gonzalo Gosalvez Sologuren (Economista, Bolivia); Arturo Corcuera (Premio Poesia Casa de las Américas, Perú); Hildebrando Pérez Grande (Premio Poesia Casa de las Américas, Perú); Iván Padilla Bravo (Giornalista, Venezuela); Diana Conti (Deputata, Argentina); Jorge Barrón (Direttore Videoteca Barbarroja, Bolivia); Julio Escalona (Scrittore, Venezuela); Chiqui Vicioso (Scrittrice, República Dominicana); Ariana López (REDH Cuba); Hernando Calvo Ospina (Scrittore, Francia); Farruco Sesto (Professore, Venezuela); Jorge Ángel Hernandez (Cuba); Pedro Calzadilla (Ex Ministro dell’Istruzione, Venezuela); Vicente Otta (Sociologo, Perù); Bruno Portuguez (Pittore, Perù); Juan Cristobal (Premio Nacional de Poesía, Perù); Alirio Contreras (Scrittore, Venezuela); Carlos Aznarez (Giornalista, Argentina); María do Socorro Gomes Coelho (Presidente Consejo Mundial de la Paz); Jorge Drkos (Ex Senatore Argentina, FPV); Néstor Francia (Comunicatore, Venezuela); Verónica González (Consigliere Río Grande, Tierra del Fuego, Argentina); Roger Landa (REDH, Venezuela); Alejandro Dausá (Teologo, Bolivia); Liliana Franco (Disegnatrice, Uruguay); Reynaldo Naranjo (Poeta, Perù); Ana María Intili (Poeta, Perù); Rosina Valcárcel (Poeta, Perú); Fanny Palacios Izquierdo (Poeta, Perù); Jorge Luis Roncal (Editore, Perù); Julio Dagnino (Educatore, Perù); Feliciano Atoche (Architetto, Perù).

 

Milagro Sala e la perseverante ostilità dello Stato argentino – intervista a Paola García Rey di Amnesty International

fonte pressenza.com

Milagro Sala e la perseverante ostilità dello Stato argentino – intervista a Paola García Rey di Amnesty International

Amnesty International Argentina è stata una tra le primissime organizzazioni di Diritti Umani a interessarsi del caso di Milagro Sala e ad agire con determinazione e risolutezza per richiedere da un lato la sua immediata scarcerazione e dall’altro per denunciare la criminalizzazione della protesta e della libertà di espressione portate avanti sistematicamente dal governo di Gerardo Morales nelle provincia di Jujuy.

Contestualmente, insieme al CELS (Centro de Estudios Legales y Sociales) e a ANDHES (Abogados y Abogadas del Noroeste Argentino en Derechos Humanos y Estudios Sociales), Amnesty ha reso possibile l’internazionalizzazione della vicenda di Sala grazie alle istanze presentate alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH). La convergenza di tali forze ha così permesso che le Nazioni Unite si esprimessero molto nettamente in merito alla vicenda sollecitando lo Stato argentino all’immediata liberazione di Milagro Sala.

La sua detenzione e la grave situazione di violazione dei diritti umani diventano sempre più tristemente note su scala mondiale e permettono di tenere alta l’attenzione e la pressione sul governo di Mauricio Macri. Ma con che risultati? E quali sono le azioni e le misure prese più recentemente da Amnesty International?

Nell’intervista rilasciataci da Paola García Rey, direttrice di Protezione e Promozione dei Diritti Umani di Amnesty Argentina, abbiamo ripercorso la vicenda di Milagro e fatto un punto sulla situazione ad oggi.

Tra attese, speranze e pressioni nazionali e internazionali sia il governo di Jujuy che quello nazionale di Mauricio Macri non solo sembrano sordi e indifferenti, ma perseverano in comportamenti di ostilità nei confronti degli organismi dei diritti umani

L’intervista a Paola García Rey di Amnesty International

MILAGRO SALA DENUNCIÓ A GERARDO MORALES POR CONSPIRAR CON LA JUSTICIA

Fonte pagina12.ar.com  che ringraziamo

A través de sus abogados, Milagro Sala presentó una denuncia penal en los Tribunales Federale S de Retiro contra el gobernador de Jujuy, Gerardo Morales, el representante de Cancillería para los Derechos Humanos, Leandro Despouy y la presidenta del Superior Tribunal de Justicia de Jujuy, Clara Langhe de Falcone, entre otros. La denuncia es por los correos electrónicos que se enviaron el 9 de enero para coordinar la preparación de testigos y engañar a la Comisión Interamericana de Derechos Humanos en su próxima visita prevista para mayo. Los mails que fueron denunciados y publicados por Horacio Verbistky en este diario el 15 de enero pedían “aprovechar todos los recursos disponibles” para justificar la prisión preventiva de Milagro Sala. La abogada de la dirigente social, Elizabeth Gómez Alcorta, acompañó la presentación con una copia de los correos y pidió la declaración del periodista. “Esta ausencia total de división de poderes evidencia que el Estado Derecho se encuentra mutilado en la provincia de Jujuy, por obra de sus máximas autoridades”, señaló.

La presentación fue realizada ayer por la mañana y recayó en el juzgado federal de Julián Ercolini. Alcanza, además, al Fiscal de Estado de Jujuy, Mariano Miranda y al apoderado de Morales, Federico Wagner. El escrito fue acompañado por un artículo de Infobae con declaraciones de Miranda en las que reconoce la existencia de los correos.

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Sandra Russo: “il caso della Tupac è un laboratorio di esperimenti del neo liberismo

 

Fonte Pressenza.com

Quello che sta accadendo a Jujuy, quello che sta accadendo alla Tupac Amaru, a Milagro Sala non è un fenomeno isolato; è parte di un laboratorio politico con cui il nuovo neoliberismo vuole mettere in silenzio le organizzazioni sociali”.

“Le organizzazioni sociali, Tupac Amaru in argentina come i Sim Terra in Brasiele sono state la risposta sociale alla crisi della politica istituzionale; organizzazioni che hanno ridato dignità ai popoli, alle frange discriminate della società. Questo risulta intollerabile ai grandi poteri trnsazionali, al neoliberismo attuale, diverso da quello degli anni ’90”.

“In questo laboratorio ci sono tre pilastri: un potere politico corrotto, una magistratura senza indipendenza e la grande concentrazione dei media che cerca di stabilire un pensiero unico; il giornalismo come lo abbiamo conosciuto non esiste più, c’è solo la verità della propaganda del potere”.

Questi alcuni dei topici dell’incontro con Sandra Russo che si è svolto a Roma alla Città dell’Altra Economia . La giornalista argentina, ha coinvolto un pubblico attento e pieno di domande in una conversazione collettiva in cui si sono coinvolti anche i membri del Comitato per la Liberazione di Milagro Sala presenti che, insieme a Pressenza, erano gli organizzatori dell’incontro.

Alla fine l’ormai tradizionale selfie di protesta e solidarietà.

#LiberenAMilagro

Sito del Comitato per la Liberazione di Milagro Sala

Macri tuvo que dar explicaciones en España El precio de tener presa a Milagro Sala

Macri tuvo que dar explicaciones en España
El precio de tener presa a Milagro Sala
Como en cada lugar al que va, el Presidente se vio obligado a responder por la detención de la dirigente social. Insistió en que el caso “está en manos de la Justicia de Jujuy”, a la que consideró “un Poder independiente”. Macri no contestó el petitorio de Podemos en favor de la líder de la Tupac Amaru.

(Imagen: DyN)

En su visita a España Mauricio Macri sigue pagando un alto precio por mantener presa a Milagro Sala. Además de los reclamos de la oposición española y las protestas que hubo en Madrid por la liberación de la dirigente social, el Presidente se vio obligado hoy a dar explicaciones durante la conferencia de prensa conjunta que brindó con el primer ministro de ese país, Mariano Rajoy. “Es un tema que está en manos de la Justicia de Jujuy, que es un poder independiente”, recurrió a su habitual latiguillo para tratar de quitarle toda connotación política a la detención de la líder de la Tupac Amaru. Eso sí, cuando le preguntaron por el venezolano Leopoldo López, afirmó que es un preso “político” y que en Venezuela “no se respetan las garantías individuales”, y hasta llegó a decir que la defensa de los derechos humanos es una de “las banderas en las que creemos”.

Por segundo día consecutivo, el tema de la detención de Sala se coló en la agenda de la visita de Macri a Madrid y no de la mejor manera. Ayer el Presidente no tuvo la mejor de las recepciones en el Congreso de los Diputados de España.  Algunos legisladores lucieron allí una remera con la inscripción “Liberen a Milagro” en la sesión especial en la que dio su mensaje y diputados del bloque le entregaron una carta en la cual le pidieron una reunión para que informe sobre la situación de la dirigente social que lleva más de un año presa a pesar de las resoluciones de la ONU y de la OEA a favor de su liberación.

Macri no tuvo que lidiar sólo con el reclamo por la liberación de Sala, sino también con la denuncia que la cúpula de la fuerza progresista Podemos hizo en el Parlamento español sobre los ajustes, despidos masivos y persecución política impulsados durante su gestión. “En vez de combatir la pobreza, combate a los pobres”, advirtió el diputado y secretario de esa fuerza, Iñigo Errejón.

La conferencia de prensa con Rajoy le deparó otro mal trago. “El único ruido que tenemos es que nos saquen sistemáticamente los mejores jugadores y entrenadores de fútbol”, arrancó Macri con una de sus ya recurrentes apelaciones futboleras, en referencia a la relación con España, pero a poco de andar se enfrentó a la pregunta sobre la situación de Sala. Es algo que le pasa en cada lugar al que va desde que la ONU instaló en caso en el plano internacional al advertir en una resolución que el arresto de la dirigente social jujeña es “arbitrario” y que debe ser puesta en libertad.

Del reclamo de Podemos por Sala, Macri se limitó a decir que “me entregó una petición un integrante del partido muy educadamente en un sobre”. Pasó por alto que no contestó esa petición, como reveló en diálogo con la AM 750 el eurodiputado de esa fuerza Xabier Benito Ziluaga, quien remarcó que “la mejor respuesta que puede dar es la liberación de Milagro Sala”.

Macri tampoco respondió la pregunta sobre Sala que le hicieron en la conferencia. O mejor dicho, contestó lo de siempre: “Es un tema que está en manos de la Justicia de Jujuy, que es un poder independiente, que por suerte ha tramitado una apelación, y se la han concedido, a la Corte Suprema de Justicia de la Nación, mientras se tramitan una cantidad de juicios y denuncias que tiene la señora Milagro Sala.”

Sin apartarse de su libreto habitual, el Presidente explicó que “también hemos invitado a organizaciones de derechos humanos que tenían dudas a que vengan” que “han aceptado y van a venir en mayo”. “Se reunirán con las autoridades judiciales de Jujuy y mirarán ellos con sus propios ojos qué es lo que se está haciendo”, agregó Macri y, en una primera persona que se contrapone con la declamada independencia de la Justicia jujeña, remató: “Espero que todas estas cosas que hemos hecho den tranquilidad de que en la Argentina la Justicia funciona y en forma independiente.”

Venezuela

Macri, en cambio, consideró sin tapujos que Leopoldo López es un preso “político”.  Fue cuando preguntaron si con Rajoy habían hablado de que el Mercosur le aplique la “cláusula democrática” a Venezuela. “Hemos compartido la enorme preocupación de lo que está sufriendo el pueblo venezolano, que cada día las cosas están peor. No se respetan los derechos humanos, las libertades individuales, como hemos visto con la condena a Leopoldo López y tantos otros presos políticos”, manifestó el Presidente.  “Seguiremos batallando para intentar defender el legítimo derecho que tiene el pueblo venezolano para elegir a sus autoridades”, prometió luego, como si en Venezuela no hubiera elecciones, y añadió: “Esperamos seguir intentando levantar las banderas en las cuales creemos, de los derechos humanos y la libertad, que hoy en Venezuela han sido cercenadas.”

Paritarias

A horas de la reunión paritaria entre las autoridades y los docentes bonaerenses, Macri defendió la propuesta de aumento del 18 por ciento que hizo la gobernadora María Eugenia Vidal. “Es un punto arriba de la meta del Banco Central”, argumentó.

Macri explicó que “el Banco Central se ha comprometido con metas de entre el 12 y el 17 por ciento para este año”. Aseguró que “las paritarias son libres y cada uno acordará en su sector lo que decida”, pero no dejó de señalar: “Yo les digo a todos tengamos en cuenta esas metas.”

A propósito de metas, esta vez no fijó una semestral –como aquella de que a partir del segundo semestre del 2016 pasado todo sería mejor- sino a dos décadas. “Todos tenemos que ayudar a reducir el déficit fiscal. Ese es el camino que nos va a llevar a crecer durante 20 años. Si crecemos durante 20 años ahí realmente vamos a estar cerca de terminar con los argentinos que estén en la exclusión e incluirlos dentro de un sistema que dé oportunidades de progreso para todos”, planteó. Lo de la pobreza cero que prometió en campaña quedará entonces para más allá del 2037.

fonte pagina12.ar.com

Applicano la Legge Bavaglio a manifestanti pacifici, che denunciavano Macri

fonte PRESSENZA.COM 

Applicano la Legge Bavaglio a manifestanti pacifici, che denunciavano Macri

22.02.2017 Redacción Madrid

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Applicano la Legge Bavaglio a manifestanti pacifici, che denunciavano Macri
(Foto di Pressenza)

Il governo spagnolo riceve Mauricio Macri con tutti gli onori, mentre i deputati di En Comú Podemos eprimono la loro protesta non applaudendo il presidente argentino, e gli consegnano una lettera in cui si chiedono spiegazioni sul caso di Milagro Sala. Nel frattempo in strada, a un piccolo gruppo di manifestanti vengono chiesti i documenti e vengono identificati in base alla legge bavaglio.

Il presidente Macri ha iniziato oggi la sua visita ufficiale a Madrid. Mentre veniva ricevuto al Congresso dei Deputati con tutti gli onori, Irene Montero, portavoce di Podemos, indossava una maglietta che chiedeva la liberazione di Milagro Sala. Contemporaneamente il suo gruppo parlamentare ha fatto pervenire a Mauricio Macri una lettera, inviata anche all’ambasciata di Argentina di Madrid, in cui si chiedono spiegazioni circa il rispetto dei diritti umani in Argentina e l’attuazione delle risoluzioni dei diversi organismi che esigono la liberazione della leader della Tupac Amaru e dei suoi compagni detenuti.

Come gesto di fronte alla politica di austerità e di mancato rispetto dei diritti umani del governo di Macri, i deputati di En Comú Podemos non hanno applaudito il presidente argentino.

In strada, intanto, un piccolo gruppo di manifestanti che chiedeva la libertà di Milagro Sala e tutti i prigionieri politici argentini, sono stati identificati e dispersi dalla polizia,nonostante si fossero spostati in una vicina piazza secondo le indicazioni di altri agenti. Si tratta ancora una volta dell’applicazione della cosiddetta Legge Bavaglio.

“Il gioco è tra governi che danno priorità agli amici anziché difendere il proprio popolo”,  ci ha spiegato uno dei manifestanti.

Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella

Aziende di Morales dietro l’arresto di Milagro Sala

Aziende di Morales dietro l’arresto di Milagro Sala
06.02.2017 – Redazione Italia

Aziende di Morales dietro l’arresto di Milagro Sala
(Foto di ideasGraves via Flickr.com)
di Horacio Verbitsky per Pagina12 – Traduzione di Pressenza

Il potente segretario generale del governatorato Freddy Morales e undici legislatori (sette radicali, tre peronisti e un conservatore popolare) hanno acquistato 150 ettari di terreno dalla Banca di Jujuy per 720 mila pesos e alcuni mesi dopo li hanno rivenduti al governo provinciale per un programma di costruzione di alloggi a 30 milioni. Gerardo Morales fa autorizzare le lottizzazioni al suo vice. Per coloro che traggono profitto dalla speculazione edilizia l’opera sociale di Milagro Sala è un esempio intollerabile che deve essere punito.

Milagro Sala è conosciuta in tutto il paese per la costruzione di alloggi sociali nel quartiere di Alto Comedero, lo stesso sobborgo di San Salvador nel cui penitenziario, in maniera illegale, è privata della sua libertà da un anno. Molto vicino a lì, nello stesso Alto Comedero, l’uomo forte del governo di Jujuy, Freddy Morales, insieme a sette dirigenti dell’Unione Civica Radicale, a tre del peronismo e a uno del populismo jujeño dell’ex governatore Horacio Guzman e di sua figlia Maria Cristina, ha realizzato un grande affare immobiliare. La prigionia di Sala e gli affari di Morales e dei suoi soci sono un’eccellente espressione del sistema politico di Jujuy, il cui asse resta la Ingenio Ledesma, che è il principale proprietario terriero nel NOA.

Servizio comunitario

L’organizzazione di quartiere Tupac Amaru ha costruito unità popolari a basso costo grazie al lavoro in cooperativa di chi avrebbe occupato gli alloggi. Dei fondi ricevuti per il Programma Federale di Emergenza Abitativa (PFEH), una parte si assegnava all’acquisto di materiali e infrastruttura, un’altra a fornire reddito ai lavoratori della cooperativa e un residuo si reinvestiva in infrastrutture per il quartiere e in opere sociali: un parco acquatico delle dimensioni del Parco Nord di Buenos Aires e piscine affinché i bambini potessero intravedere che una vita degna è possibile; una piscina coperta climatizzata con attrezzatura che consente l’accesso a disabili in sedia a rotelle; scuole dei tre livelli di insegnamento, centri sanitari, fabbriche e anche luoghi cerimoniali come una replica del tempio del Tiahuanaco boliviano, dove statue di Tupac Amaru e di Micaela Bastidas presiedono le cerimonie spirituali dei popoli originari. La riduzione dei tempi di costruzione e l’economia sui materiali grazie all’acquisto all’ingrosso hanno generato eccedenze che i contratti firmati dalle cooperative permettevano di disporne ad altri scopi. Nel caso delle cooperative della Tupac, quelle eccedenze furono destinate alle infrastrutture del quartiere e alla fornitura di servizi di base ad accesso libero per tutta la sua popolazione. In queste opere, che non erano contemplate nei programmi nazionali, provinciali e municipali di alloggi assunti dalle cooperative, sono state riversate le risorse che il contabile Gerardo Morales pretende essere state “rubate” da Milagro e dall’organizzazione di quartiere Tupac Amaru. Il governo provinciale ha abbandonato e lasciato al degrado queste opere, finché il confronto con il revanscismo dei generali del ’55, che ha riempito di cemento le piscine della Fondazione Eva Perón, lo ha indotto a cambiare tattica, riabilitarne alcune e utilizzarle per la propria propaganda politica.

In contrasto con questa concezione comunitaria della Tupac, l’imprenditorialità di Freddy Morales e dei suoi soci politici ostenta le caratteristiche della tradizionale speculazione immobiliare, in cui terreni pubblici vengono acquistati da dirigenti politici a prezzi irrisori e poi rivenduti allo stesso Stato a prezzi astronomici, o lottizzata per costruire abitazioni di alto livello. Questa differenza concettuale, organizzativa ed etica è alla base dell’esasperata persecuzione contro Milagro Sala, venuta a sconvolgere affari sicuri realizzati dal potere alle spalle delle necessità popolari, vera ragione per la quale si trova in carcere.

Nel 2009, con la richiesta di rapporto nella quale dichiarò guerra a Milagro Sala, l’allora senatore Morales la accusò di “mettere nell’agenda pubblica della provincia di Jujuy la legge di riforma edilizia, anche con il rifiuto dell’allora governatore e delle organizzazioni dei professionisti del settore”. Questa legge, alla quale si sono opposti l’UCR e il Fronte di Rinnovamento che oggi governano Jujuy, ha aperto alle cooperative di lavoratori la riserva chiusa dei grandi costruttori che ora la recuperano, con il terzo fratello, Walter Morales, a capo dell’Istituto per le abitazioni e l’urbanizzazione provinciale, IVUJ.

Dove c’è una necessità

Il 21 luglio 2011, durante la classica Marcia del Apagón che commemora i sequestri e gli assassnii del 1976 all’Ingenio Ledesma, 3.500 persone guidate dalla Corrente Classista Combattiva occuparono 15 ettari di terra dell’Ingenio Ledesma, il principale proprietario terriero della provincia con 157.556 ettari. Dopo dieci giorni di tensione due giudici provinciali ordinarono la repressione e la polizia locale, insieme alle forze di sicurezza private dell’Ingenio, aprirono il fuoco sugli occupanti. Quando già si contavano quattro morti e 50 feriti, Milagro Sala e la Rete delle Organizzazioni Sociali fecero un giro persuadendo gli occupanti a ritirarsi e chiedendo al governo una soluzione razionale.Il governatore peronista Walter Barrionuevo creò, con decreto-accordo 9190-H-11 del 7 agosto 2011, il piano “Un lotto per ogni famiglia che ne ha bisogno”, per il cui fine autorizzò l’espropriazione o l’acquisto diretto di terre. Questa emergenza fu un’opportunità su misura per Freddy Morales e una dozzina di dirigenti radicali, peronisti e appartenenti all’estinto Movimento Popolare di Jujuy, che avevano accumulato centinaia di ettari in attesa di un’occasione. Quelle terre avevano acquistato valore grazie alla loro prossimità con il quartiere El Cantri della Tupac Amaru, che aveva realizzato complesse opere di ingegneria civile per stabilizzare un terreno dalla base mobile prima di procedere alla sua urbanizzazione.

Il decreto n. 9861 che il governatore Barrionuevo firmò tre mesi dopo, il 22 novembre 2011, dice che il dirigente radicale René Jesús El Jadue e il populista jujeño Martín Durbal Jorge offrirono “in vendita una frazione di ripartizione dei beni posseduti in comproprietà individuati come Anagrafe A-96881, Matricola A-73230, Lotto 1156, Circ. 5, Sez. 2, del dipartimento Dr. Manuel Belgrano” e che la Corte di Valutazione l’aveva stimata in 240 mila pesos per ettaro, nelle condizioni in cui si trovava. Il governo provinciale gli propose quindi l’acquisto di 150 ettari divisi da quella comproprietà, “individuati come Circ. 5, Sez. 2, Lotto 1170, Anagrafe A-98566”. Ma invece dei 240 mila pesos per ettaro della valutazione, la provincia ne offrì 200 mila e la trattativa si chiuse per un totale di 30 milioni di pesos. I venditori erano gli ex legislatori provinciali Freddy Morales, Miguel Angel Giubergia, Facundo René Giubergia (tramite la moglie Teresa Sadir), Carlos Alberto Toconas, Hugo Daniel Zamar, Raul Alberto García Goyena, Mario Ramón Puig e René Jesús El Jadue (tutti radicali, diversi dei quali testimoni nella causa contro Milagro Sala, funzionari del governo nazionale di Maurizio Macrì, di quello provinciale di Gerardo Morales o giudici); Pedro Teófilo Lozano, Luis de la Zerda e Daniel Almirón (peronisti di diverse linee) e Martín Durbal Jorge (del Movimento Popolare Jujeño dei Guzmán). Ma li avevano acquistati nove mesi prima per 727.540 pesos dal contabile Luis Miguel Jiménez, come registrato nell’atto pubblico n. 26 del registro del Notaio C.R. Frías, datato 15 febbraio 2011, e come rilevato nel blog El Disenso dai giornalisti Mariana Escalada e Agustín Ronconi. Nessun affare decente consente un guadagno superiore al 4000 per cento in nove mesi.

Ma come sono arrivati al possesso di quelle terre i dodici apostoli legislativi e chi è il contabile Jiménez? La versione che è sempre circolata tra i politici di Jujuy è che avevano fatto causa alla provincia per una questione salariale, dato che non gli era stato pagato un aumento a causa della crisi finanziaria cronica della provincia. Il Banco residuale di Jujuy (un ente provinciale rappresentato dall’allora vice governatore e senatore Guillermo Jenefes, che amministrava i contenziosi dopo la privatizzazione del 1998 a favore del Banco Macro di Jorge Brito) decise di confiscare 350 ettari che erano stati ipotecati da un’impresa fallita con la banca della provincia di Jujuy e con questi pagare il debito ai legislatori. Questa indulgente versione nasconde una storia più interessante.

Per essere Franco

Il 20 ottobre 2013 il giornalista Franco Mizrahi citò, in un’inchiesta pubblicata dal quotidiano Tiempo Argentino, il procedimento A-61817/92, cominciato presso la 7° Corte Civile e Commerciale di San Salvador de Jujuy dall’allora giudice María González de Prada. Un’azienda della famiglia Bustamante Pérez offrì un terreno ubicato in Alto Comedero, Los Alisos, a garanzia di un prestito del Banco di Jujuy. Quando l’azienza di famiglia fallì, le terre ipotecate cambiarono di mano. Secondo la documentazione della causa, che Mizrahi mi ha gentilmente concesso, il 29 maggio 1997 i Bustamante Pérez firmano un contratto di acquisto con il commercialista Luis Miguel Jiménez in base al quale “vendono, cedono e trasferiscono al compratore una frazione rurale di trecento cinquanta ettari (350 Hs), parte del lotto rurale n. 48-I1 con Anagrafe A-53849, ubicato nel distretto Los Alisos del dipartimento Dr. Manuel Belgrano”. Il mese successivo, il 2 giugno 1997, la giudice María González de Prada, tramite la segreteria di Marisa Rondón de Dupont (che oggi sono state elevate, rispettivamente, al ruolo di membro della Camera e a giudice civile e commerciale) autorizzò la vendita pattuita con il commercialista Jiménez, che a pagina 471 di quel procedimento viene citato come “prestanome”. Cioè non agiva per proprio conto bensì in nome di uno o di vari clienti fino ad allora non identificati.

Mizrahai, nel suo articolo del 2013, aggiunse che Jiménez cedette i diritti e le azioni su quelle terre ai legislatori perché la legge di etica pubblica provinciale gli proibiva di fare affari con lo Stato. Altre fonti sostengono che Jiménez acquistò anche delle terre vicine alle stesse eccezionali condizioni. Terre che si vendono a nuovi progetti immobiliari nella misura in cui si valorizzano e cresce la domanda.

Secondo la documentazione del Registro Immobiliare della Direzione Provinciale degli Immobili, la proprietà originale, identificata con il citato Anagrafe A-53849, era costituita da 849,6 ettari. Nel 2005 venne suddivisa in altri lotti, di 385 e 463 ettari. Uno di questi, identificato con la matricola A-73230, è quello che poi originerà i 305,3 ettari della matricola A-76611, lotto 1254, Anagrafe A-98960, che appare nella dichiarazione giurata del Fratello Freddy. Nel Registro compare la comproprietà dei dirigenti del bipartitismo jujeño, grazie all’acquisto da Jiménez per 727.540,97 pesos, realizzato il 15 febbraio 2011, “a perfezionamento del contratto preliminare del 29.05.97”. E’ notevole che un contratto preliminare di compravendita sia perfezionato appena 14 anni più tardi, proprio quando appare la possibilità di guadagno speculativo, grazie alle necessità insoddisfatte di migliaia di persone senza alloggio, l’aumento di valore della zona grazie all’azione dei tupaqueros e alla generosità dello stato con i legislatori. Nel caso di Freddy il registro dice che la sua partecipazione ha avuto origine come “PAGAMENTO A SALDO PART. INDIV. $70.000- EP N. 30, datato 16/02/2011” (il giorno successivo alla compravendita degli altri undici), con iscrizione definitiva il 15/4/2011. Inoltre appaiono come comproprietari vari membri delle famiglie Palomares e Abud, storici compagni e amici del Fratello Freddy durante i suoi vari periodi nella Ragioneria Generale della Provincia.

Firmerò e guadagneranno Millone

L’acquisto da Jiménez passò senza scandalo, ma la rivendita al governo provinciale fu contestata dal Procuratore dello Stato, invocando l’art. 64 della Costituzione Provinciale che proibisce a “ogni pubblico ufficiale di ricevere, direttamente o indirettamente, vantaggi originati da contratti, concessioni, franchigie o assegnazioni posseduti o concessi dallo Stato”. Nel gennaio 2012 neppure il Consigliere contabile della Corte dei Conti, René Barrionuevo, approvò la vendita. Invece la Consigliera legale Mariana Bernal (sorella dell’allora deputata nazionale del PJ María E. Bernal), diede l’interpretazione secondo cui il vantaggio citato dalla Costituzione non sussisteva perché la terra era stata venduta a 200 mila pesos per ettaro anziché a 240 mila. Omette però che lo stesso anno dell’operazione quello stesso ettaro era stato pagato 4.850 pesos. Lo spareggio venne fatto dalla presidente della Corte dei Conti nominata dal governatore Eduardo Fellner, Nora Millone Juncos. Secondo il quotidiano “El Libertario”, che intitolava il suo articolo del 3 febbraio 2012 “Affari immobiliari dei deputati di Jujuy”, per Millone Juncos “la Costituzione non proibisce al funzionario di commerciare con lo Stato” se i venditori non ottengono benefici attraverso l’operazione. Hanno accettato di guadagnare solo 41 volte quello che avevano pagato. Se questo non è un vantaggio bisognerebbe ridefinire il vocabolo. Millone venne riconfermata in carica dal governatore Gerardo Morales, che inoltre mise a libretto paga l’opportuno commercialista Jiménez come Segretario della Spesa Pubblica.

L’anno scorso il governatore Morales ha annunciato che il piano “Un lotto per ogni famiglia jujeña che ne ha bisogno” si sarebbe chiamato “Jujuy Habitat”, e che i lotti sarebbero stati aggiudicati tramite sorteggio a coloro che si fossero iscritti a partire dal 2011. Il processo di aggiudicazione è gestito dall’Istituto di Abitazione e Urbanesimo di Jujuy, il cui titolare è Walter Morales, il fratello di Gerardo e Freddy. Il ministro delle infrastrutture, Jorge Rizzotti, ha affermato di aver “disarticolato gli affari di intermediari senza scrupoli che cercano di trarre profitto dallo stato e dalle necessità dei cittadini”. Ottimo.

Lottizzazioni all’Alba

Il decreto di acquisto del terreno dei legislatori è stato firmato il 22 novembre 2011. Il 4 agosto, Freddy Morales aveva registrato, insieme a sua moglie Patricia Reyna, il marchio “L’Alba” presso l’Istituto Nazionale della Proprietà Industriale, all’interno della classe 36, che consente, tra le altre cose, la realizzazione di affari finanziari e immobiliari. Ma questa relazione non risultò evidente perché il decreto del governatore Barrionuevo venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale solo nel maggio 2012, un lasso di tempo meno dilatato dei 14 anni intercorsi tra il contratto preliminare e la scrittura, ma in ogni caso fuori dal comune.

Quell’articolo di Tiempo Argentino elencava quattro immobili iscritti da Freddy Morales nel Registro della Proprietà di Jujuy, secondo le sue stesse dichiarazioni giurate.

– Anagrafe 57033; matricola 48844.

– Anagrafe 98962; matricola 76613.

– Anagrafe 82973; matricola 59939 (in comproprietà con la moglie).

– Anagrafe 98960; matricola 76611.

I colleghi de “El Disenso” hanno pubblicato il decreto 1234-ISPTYvV/2016, del 11 maggio 2016, che approva la misura e il progetto preliminare di lottizzazione dell’ultimo di quei terreni, lo stesso che comprarono e vendettero i legislatori, su richiesta del procuratore Miguel Giubergia, attuale segretario del Comitato Nazionale della UCR (Unione Civica Radicale), direttore dell’Ente Nazionale di Comunicazioni che ha sostituito l’AFSCA (Autorità Federale dei Servizi di Comunicazione Audiovisiva) una volta abrogato per decreto la legge audiovisiva, e uno dei testimoni offerti da Gerardo Morales nel giudizio contro Milagro Sala. Un’ulteriore curiosità è che il decreto che autorizza la lottizzazione non è stato firmato da Morales, bensì dal suo vicegovernatore Carlos Guillermo Haquim. In questo modo è stata rispettata la formalità per cui non fosse direttamente Gerardo ad autorizzare l’affare di Freddy, cosa che ha tranquillizzato il selettivo ufficio anticorruzione dell’ex deputata macrista Laura Alonso. La sorella del vice, Susana Haquim, è la segretaria dei Diritti Umani di Morales, che ha giustificato la detenzione di Milagro Sala di fronte agli organismi nazionali che le hanno fatto visita.

Cosa vi serve ancora per convincervi che è una ladra? – gli ha chiesto infastidita.
Una condanna certa e un giudizio con garanzie del dovuto processo – hanno risposto.
Due culture incompatibili, tra cui il dialogo è improbabile.

“El Disenso” continua con una domanda retorica: “Sapete chi si sta dedicando a commercializzare lotti a Los Alisos? Si… indovinato”, e continua con il logo de L’Alba, tanto reminescente da identificare l’IVUJ di Walter Morales. L’offerta del Progetto Alba nel Quartiere Alto Comedero dice che le abitazioni saranno appaiate e/o duplex con due camere da letto, cucina, stanza da pranzo e bagno, tra i 45 e i 50 mq e un’“eccellente qualità nei materiali e nel disegno costruttivo”. Aggiunge che usufruiranno di acqua potabile, servizi igienici, gas naturale, energia elettrica, illuminazione pubblica, strade asfaltate, spazi verdi, spazi pubblici e centro commerciale. Alba Solidale è una cooperativa con sede a Balcarce 128, lo stesso ufficio in cui operano altre aziende di Freddy Morales, come Viaggi del Capricorno Srl o VC Turismo, un’ovvia facciata per altre attività: quando Mizrahi ha chiesto informazioni su un tour a Purmamarca, non hanno saputo dirgli se fosse possibile e gli hanno chiesto di ritornare in un altro momento.

Colpi e minacce

L’articolo di Mizrahi è stato pubblicato il 20 ottobre 2013. Lunedì 21, un atto del Fronte Unito e Organizzato per la Sovranità Popolare (FUYO), con cui Milagro Sala si presentò per la prima volta alle elezioni legislative di quell’anno e ottenne il 14 per cento dei voti, venne attaccato con colpi di arma da fuoco in un’imboscata che il procuratore Aldo Hernán Lozano qualificò come un tentativo di omicidio contro Milagro Sala. Secondo l’avvocato della Tupac, Luis Paz, “i militanti fecero da scudo a Milagro” e due dei suoi membri furono feriti dalle pallottole. Uno degli aggressori, Cristian Mario Llanes, era un impiegato del municipio, già nelle mani dell’UCR. Nell’ottobre 2015 venne condannato a cinque anni e mezzo di prigione, per la stessa ragione, Alejandro Sequeiros, cognato dell’ex deputata radicale Natalia Sarapura, che organizzò le cerimonie alla Pachamama per Morales e Macrì a Humahuaca e a Purmamarca, e oggi è Segretaria delle Questioni Indigene di Jujuy. Martedì 22 ottobre 2013 Freddy Morales pubblicò una dichiarazione sulla stampa jujeña, nella quale qualificò l’articolo di Mizrahi come “diffamatorio, malintenzionato e chiaramente supportato da informazioni false”. Aggiunse che aveva “incaricato i suoi legali affinché procedessero a intentare le azioni legali e penali necessarie a chiarire ciascuna delle ingiurie e delle calunnie sostenute nell’articolo citato”. A quanto pare non gli interessava perché quattro anni dopo né Morales né i suoi undici soci nell’affare del traffico di terre pubbliche hanno iniziato alcuna azione legale contro Mizrahi, o spiegato quali fossero le informazioni false, le calunnie o le ingiurie.

L’articolo prosegue alla  fonte : Qui il link all’articolo originale

Aziende di Morales dietro l’arresto di Milagro Sala

Milano, libertà per Milagro Sala!

 

Sabato 4 febbraio ore 17

Casa dei Diritti -Via E. De Amicis, 10 Milano

Proiezione del documentario “Tupac Amaru, algo està cambiando” di Magali Buj e Federico Palumbo.

Il film documentario racconta la storia, il lavoro e il percorso di rivendicazione di diritti umani di una comunità nativa del nord dell’Argentina e della sua leader Milagro Sala, donna aborigena, attivista sociale e deputata eletta del ParlaSur, che dal gennaio 2016 è in carcere come detenuta politica, con l’accusa di “promuovere il disordine sociale”.

Illustri personalità mondiali, il Parlamento Europeo e l’ONU stanno da tempo esercitando pressioni sul governo argentino per chiedere la liberazione di questa donna esemplare.

Programma dell’evento:

17:00 Saluto di Benvenuto e Ringraziamenti.

Presentazione dell’Associazione “Argentinos para la Victoria”

Introduzione di Diana Caggiano del Comitato Italiano per la Liberazione di Milagro Sala (Roma)

18:00 Proiezione del Documentario “Tupac Amaru, algo està cambiando”.

19:00 Pausa caffè.

19:15 Saluto e Intervento di Federico Palumbo, regista italiano del documentario.

Dibattito e Riflessioni.

20:00 Saluti finali

Come argentini residenti fuori dal paese, abbiamo la responsabilità di denunciare la violenza e gli abusi esercitati dal nuovo governo Macri.

La dittatura militare degli anni ’70 ha provocato più di 30.000 Desaparecidos che non possiamo dimenticare. Per questo alziamo la voce e diciamo Nunca Mas! Mai più!

Mai più terrorismo di Stato e libertà per Milagro Sala.

Argentinos para la Victoria

RAGIONARE PER SCENARI PER SCONFIGGERE LA ROZZA “VISION” DEL SIG. TRUMP

La capacità di analizzare e ragionare in anticipo per scenari è decisiva per chi opera nei vasti campi della prevenzione. Di questa capacità di analisi e di prefigurazione di scenari vi è estremo bisogno in questa epoca.
Sono in atto cambiamenti geopolitici che avranno profonde ripercussioni sul lavoro, sulle condizioni di vita, sulle generazioni future…

La discontinuità rappresentata dalla elezione di Donald Trump a Presidente degli USA sta sconvolgendo molte delle certezze date per acquisite nel campo dei diritti umani, del necessario impegno per arrestare o mitigare il cambio climatico con la produzione di energia con fonti rinnovabili, del fatto che l’amianto, bianco o blu che sia, non “è sicuro al cento per cento ” come afferma invece il neo presidente degli USA.
La risposta che viene data da Trump ai problemi sociali generati da una globalizzazione out of control rischia di produrre ancor più danni della globalizzazione stessa.

La chiusura delle frontiere ai cittadini di sette paesi di religione mussulmana, con un decreto esecutivo che ha bloccato negli aeroporti, residenti da tempo negli USA, muniti di Carta verde, studenti , professori, professionisti, dirigenti d’impresa e loro famigliari rappresenta pienamente la vision rozza semplicistica di questa amministrazione che sceglie con ostinazione la chiusura e l’isolamento dal mondo.

Un isolamento che è fuori da quest’epoca, impossibile da gestire se non a prezzo di una regressione a modelli primitivi del funzionamento della società. Il discorso del Sig Trump può apparire convincente agli avventori di uno dei tanti saloon disseminati lungo le strade blu, mentre gareggiano a chi beve più boccali di birra….
Quali saranno le difficoltà che potrà creare questa Amministrazione degli USA per chi si occupa di ambiente, salute e sicurezza ed organizzazione ecologica della vita delle città ?
Il primo impatto cui sarà necessario fare fronte derivante dalla scelta di “chiusura” degli USA all’interno dei propri confini riguarderà il destino delle istituzioni e degli Enti di ricerca in materia di ambiente, salute e sicurezza nel lavoro e oltre il lavoro, federali e internazionali. Per gli Enti USA, come EPA, OSHA è prevedibile che vengano a breve “cloroformizzati” dai nuovi dirigenti che , con lo spoils system, verrano posti al vertice da Trump. Per le grandi Agenzie internazionali delle Nazioni Unite come IARC , OMS , i rischi sono rappresentati da una preoccupante ipoteca: qualora operino in autonomia tecnico scientifica con la produzione di risultati di ricerca oggettivi che contraddicano il rozzo assunto che i problemi ambientali non esistono, saranno neutralizzate con la sospensione dei finanziamenti….
Questi sono gli scenari attesi, questo è il momento per l’Europa, quella vera, di alzare la testa e contrastare questi tristi scenari che l’Amministrazione Trump si predispone a rendere concreti. L’Europa per ora dispone di valide Agenzie scientifiche (AEA,ECHA , EFSA,OSHA, ecc ), la loro efficientizzazione sarebbe la prima risposta alla scelta regressiva messa in atto dagli USA, continuando il finanzamento delle Agenzie delle N.U.

Gino Rubini, editor di Diario Prevenzione

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Notizie Salute Sicurezza
Lavoro Ambiente
Gennaio 2017
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Tupac Amaru, la solitudine e il dolore della distruzione

24.01.2017 – San Salvador de Jujuy Dario Lo Scalzo

Fonte Pressenza che ringraziamo

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Tupac Amaru, la solitudine e il dolore della distruzione
(Foto di Dario Lo Scalzo)

Sono giorni difficili quelli che trascorrono gli attivisti dell’organizzazione della Tupac Amaru. Ad un anno dalla detenzione della leader Milagro Sala le attività della sede centrale di San Salvador de Jujuy sono quasi del tutto ferme.

All’interno della sede centrale vi sono diverse strutture e vari servizi. Oltre al museo sui popoli indigeni sito all’ingresso, esistono diverse aree ricreative, padiglioni in cui si svolgono attività culturali e artistiche ed ancora alcune strutture sportive (campetti di basket, pallavolo e calcetto e piscina) e delle altre votate a offrire dei servizi per la salute con una farmacia e vari ambulatori (radiologia, TAC, analisi di laboratorio, dentista, ginecologo, ecc).

Esiste anche una radio e un’area stampa così come degli uffici che si occupano di diritti umani, di accoglienza agli immigranti e di assistenza agli anziani, di assistenza giuridico-fiscale e sociale. E ancora una biblioteca e vari altri spazi di ricezione e assembleari.

Oggi girando per l’imponente immobile tutto è fermo, vuoto. S’incontrano pochissime persone mentre si può facilmente immaginare il grande flusso di beneficiari che lo frequentava soli pochi mesi fa. Per i corridori e per le stanze le sedie sono accatastate negli angoli, i materassi posti l’uno sopra l’altro e molti altri oggetti assemblati alla meno peggio nelle sali e nelle stanze più grandi.

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Mapuche vs. Benetton: i colori della resistenza indigena

foto da sobreamericalatina.com

25.01.2017 – Michela Giovannini Unimondo  che ringraziamo

Il 10 gennaio scorso duecento agenti della Gendarmería Nacional hanno lanciato un’offensiva contro un piccolo gruppo di indigeni mapuche nella provincia di Chubut, nella Patagonia argentina. Un’azione sproporzionata nel dispiegamento di forze in cui, con la scusa di abilitare la ferrovia per il passaggio di un treno turistico, la piccola comunità mapuche è stata attaccata ed isolata completamente, impedendo così il sostegno da parte di organizzazioni e movimenti sociali che operano a sostegno del popolo indigeno. Sono stati sparati proiettili di gomma, impiegati droni ed un uso brutale della forza contro una comunità di molto inferiore nei numeri rispetto alle forze dell’ordine. Il giorno seguente la polizia di Chubut è tornata a colpire, questa volta impiegando non solo proiettili di gomma ma anche proiettili regolari, lasciando sul terreno almeno due feriti gravi e ha proceduto all’arresto di sette persone della comunità. Anche Amnesty International ha denunciato l’accaduto, sottolineando come non sia ammissibile l’azione repressiva da parte dello Stato, soprattutto per quanto riguarda le violenze contro donne, bambini e bambine. Mariela Belski, direttrice di Amnesty Argentina, ha evidenziato l’opacità e la mancanza di trasparenza dell’operazione di polizia e la totale sproporzione fra la realtà dei fatti e la reazione delle forze dell’ordine. Già l’anno scorso Amnesty ed altre organizzazioni per i diritti umani ed organizzazioni indigene avevano denunciato la preoccupante escalation di stigmatizzazione e persecuzione nei confronti del popolo mapuche.

Ma cosa spiega lo scatenarsi di una tale violenza da parte dello Stato argentino contro un piccolo gruppo di indigeni inermi? Forse la statura (economica, non certo morale) del contendente. L’intervento è stato infatti eseguito in seguito alla richiesta della Compañía de Tierras Sud Argentino, che appartiene a Luciano e Carlo Benetton, del Benetton Group, arcinota multinazionale italiana del tessile. La Compañía si è rivolta alla giustizia con il pretesto di ripulire le piccole barricate di rami e tronchi di alberi posizionate dagli indigeni che ingombravano i binari del treno patagonico “La Trochita”. L’utilizzo di questo treno è impedito ai mapuche, ed essi reclamano di poter usufruire del servizio, per uscire dall’isolamento in cui si trovano a vivere. Questa parte di territorio apparteneva a Benetton, ma nel marzo 2015 è stato recuperato dalla comunità mapuche, in quanto parte del proprio territorio ancestrale.

Benetton possiede nella Patagonia argentina, attraverso la citata Compañia de Tierras Sud Argentino, oltre 900.000 ettari di terra, un’estensione pari a 45 volte la superficie della capitale federale Buenos Aires. Tale area è utilizzata prevalentemente per l’allevamento intensivo di capi di bestiame, principalmente ovini, destinati alla produzione di lana (circa 500 tonnellate all’anno). Gli interessi di Benetton ricadono però anche sulla coltivazione intensiva di cereali e produzione di carne bovina e ovina, nonché secondo alcunefonti sull’estrazione mineraria, attraverso l’azienda Minera Sud Argentina Sa, dove i Benetton sarebbero azionisti di maggioranza.

Come accennato, le terre su cui la comunità vive nel dipartimento di Cushamen sono terre recuperate dai mapuche in virtù del fatto che si tratta di territori ancestrali, da loro abitati nel corso dei secoli secoli. I mapuche erano infatti presenti ancora prima che quelle terre venissero donate a dieci cittadini inglesi nel 1896 dall’allora presidente argentino. Si trattava di 900.000 ettari di terra donate in violazione delle leggi vigenti all’epoca, che impedivano donazioni così ingenti nonché una tale concentrazione di terreno nelle mani di una sola società o persona. Nel 1994 il presidente Carlos Menem, protagonista delle dissennate politiche economiche che contribuirono pesantemente alla crisi che si abbatté sul paese tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del decennio successivo, vendette a Benetton quelle terre ad un prezzo irrisorio e gli abitanti mapuche vennero relegati in zone marginali e improduttive, o costretti alla migrazione verso i centri urbani.

La riforma costituzionale del 1994 prevede il riconoscimento del diritto alla proprietà e al possesso delle terre tradizionalmente occupate dalle popolazioni indigene, la personalità giuridica delle comunità che si riconoscono come tali e la partecipazione delle stesse alla gestione delle risorse naturali. L’Argentina ha anche ratificato la Convenzione n. 169 dell’ILO sui diritti dei popoli indigeni e tribali, che all’art. 14 recita: “I diritti di proprietà e di possesso sulle terre che questi popoli abitano tradizionalmente devono essere loro riconosciuti”, nonché, al secondo comma: “I Governi devono adottare misure adeguate per l’identificazione delle terre tradizionalmente occupate dai popoli interessati, e per garantire l’effettiva tutela dei loro diritti di proprietà e di possesso.”

Nonostante questa convenzione sia legalmente vincolante, molto scarse sono le misure politiche intraprese dal governo argentino per garantire l’effettività di queste enunciazioni di principio, che restano pertanto largamente inapplicate, come testimoniato anche da questa specifica vicenda, che non è certo isolata. I diritti dei popoli indigeni riportati nella costituzione e nella convenzione ILO non fanno altro che prendere atto del particolare legame che queste comunità hanno con le loro terre ancestrali e con le risorse naturali, dettate da una specifica cosmovisione che vede la reciprocità come principio fondante nelle relazioni tra natura ed essere umano. I popoli indigeni sono considerati veri e propri custodi delle foreste, delle risorse naturali, del territorio in generale. I metodi tradizionali indigeni di coltivazione e utilizzo delle risorse non sono basati sull’estrattivismo, ossia l’indiscriminato e massivo utilizzo di risorse naturali, ma su di un uso razionale e rinnovabile, sulla rotazione delle colture, sul rispetto globale del territorio che assume valenza anche spirituale nella forma di un attaccamento specifico e sacro alla terra, considerata come madre, come colei che dona la vita agli esseri umani. La difesa dei diritti di questi popoli ha dunque un impatto che va molto al di fuori e molto più lontano rispetto alle loro singole comunità.

In Patagonia, tanto quella argentina quanto quella cilena, i conflitti per la terra si sono inaspriti negli ultimi decenni, parallelamente ad una forte presa di coscienza e rivendicazione da parte del popolo mapuche. L’aumento del conflitto è dovuto principalmente agli interessi economici a causa delle risorse presenti nei territori ancestrali, sia in termini di possibilità turistiche, che immobiliari, che di coltivazione e allevamento intensivo, sia per l’ingresso delle compagnie petrolifere e minerarie decise a sfruttare i giacimenti di materie prima presenti in quelle aree e a fare dell’estrattivismo il loro credo assoluto, in barba alle vite di donne, uomini e bambini che da secoli abitano quei territori.

Donald Trump dijo que hará “lo necesario para mantener a Estados Unidos seguro” “La tortura funciona”

Después de firmar el decreto que pone en marcha la creación del muro con México, el presidente de Estados Unidos, Donald Trump, ratificó otra de sus propuestas de campaña y se volvió a manifestar a favor de la aplicación del “submarino” (“waterboarding” en inglés) como método de interrogatorio en la llamada “guerra contra el terrorismo”, a pocas horas de que los diarios The New York Times y The Washington Post hicieron público un supuesto borrador para reabrir las cárceles secretas y revisar los métodos de interrogación.

“Voy a hacer lo necesario para mantener a nuestro país seguro”, argumentó Trump durante una entrevista a la candena norteamericana ABC frente a la consulta sobre aquella promesa de campaña de restablecer prácticas de tortura. “Cuando digo que ellos hacen cosas que nadie escuchaba desde tiempos medievales y podemos sentirnos fuertes con el submarino es porque considero que tenemos que pelear de igual a igual a partir de ahora”, continuó su argumentación a favor de la tortura.

El presidente de Estados Unidos subrayó que confía en su Gabinete y aseguró que “confiará” en sus consejos para tomar la decisión de permitir abiertamente el uso de la tortura al Ejército norteamericano. “Hablé hace menos de 24 horas con personas de alto nivel de inteligencia y les pregunté: ‘¿La tortura funciona?’ Y su respuesta fue: ‘Sí, absolutamente’.

“Usted es ahora el presidente. Quiere el submarino…”, le insistió el periodista de ABC. “No quiero que le corten la cabeza a nadie en Medio Oriente porque sea cristiano, musulmán o lo que fuere… Mire, ellos le cortan la cabeza a alguien en cámara y se lo mandan a todo el mundo. Tenemos eso y no tenemos permitido hacer nada… No planeamos llevarlo al campo, pero lo que digo es que voy a confiar en mi gabinete y lo que ellos quieren hacer estará bien, y si ellos quieren hacerlo, vamos a trabajar en eso. Quiero hacer todo lo que esté en el marco de lo legal, pero sí creo que funciona. Absolutamente creo que funciona”, afirmó el mandatario norteamericano.

Las palabras de Trump fueron adelantas por la cadena ABC, que realizó una entrevista mano a mano con el presidente, mientras el vocero presidencial Sean Spicer aseguraba que no era un documento de la Casa Blanca el supuesto borrador publicado por los diarios The New York Times y The Washington Post acerca de la reinstauración de las detenciones ilegales en cárceles secretas.

El texto divulgado por los diarios propone revisar las reglas con las que el gobierno estadounidense pelea la llamada “guerra contra el terrorismo”, un conflicto con alcance global que inició el ex presidente George W. Bush y continuó, con algunas modificaciones, su sucesor, Barack Obama. Entre esas reformas del presunto borrador de decreto presidencial, titulado “Detención e interrogatorios de combatientes extranjeros”, se destaca la reapertura de las cárceles secretas de la CIA y la revisión del manual de operaciones, que establece qué métodos de interrogación son legales y cuáles son considerados tortura.

fonte pagina12.ar.com