La nicchia climatica umana

Fonte: la Rivista Terrestres che ringraziamo

L’emisfero settentrionale (dall’Europa al Nord Africa, passando per Cina e Stati Uniti) questa settimana vivrà un’ondata di caldo senza precedenti, con temperature comprese tra 35 e 50 °C. Se possiamo aggiungere strati per proteggerci dal freddo, quando il caldo diventa insopportabile, non ci resta che togliere la pelle. Ma fino a che punto e per chi il clima può diventare inadatto alla vita umana? Secondo uno studio, è possibile che in questo secolo più di 3 miliardi di persone saranno esposte a un clima invivibile.

Tempo di lettura: 18 minuti

Questo articolo è apparso originariamente il 17 giugno 2022.

Questa primavera, durante i mesi di aprile e maggio, un’ondata di caldo durata diverse settimane ha colpito l’India e il Pakistan . Questo periodo, che precede il monsone, è in genere il più caldo dell’anno, le piogge portano con sé un leggero raffreddamento. Con diversi giorni intorno ai 50°C, molte persone hanno dovuto lavorare durante la notte relativamente fresca. Non mancava solo l’acqua, a volte inquinata, ma anche l’energia: a diverse centinaia di migliaia di persone mancava l’elettricità per alimentare eventuali frigoriferi o condizionatori d’aria, disponibile solo per i più ricchi.Il caldo intenso è anche causa di decine di infarti al giorno, notevole mancanza di sonno, saturazione del sistema sanitario .

Leggi tutto

Il patto suicida

Fonte: Badiale & Tringali – 01.01.2023

Questo scritto è dedicato ad una riflessione su quale sia oggi la natura del patto sociale fra ceti dominanti e ceti subalterni.


 

 

1. Il patto sociale nelle società premoderne e nella modernità

In questo scritto espongo alcune riflessioni sulla situazione dello “spirito del tempo”. Il punto di partenza è la convinzione che la società attuale sia indirizzata verso un rovinoso crollo di civiltà, che sarà causato dal concorrere di una serie di crisi concomitanti, fra le quali la più significativa in questo momento è la crisi climatica. Ho argomentato tale mia convinzione in interventi passati [1] e non mi soffermerò su di essa in questo scritto, che è piuttosto dedicato ad esaminare le conseguenze di questa situazione sul piano della cultura e delle ideologie.

Il punto di partenza è una considerazione del tutto generale (e piuttosto banale): in ogni società umana che presenti un gruppo sociale dominante e uno o più gruppi sociali subalterni, esiste una qualche forma di “patto sociale”, non sempre chiaramente esplicitato, per il quale i ceti subalterni accettano il dominio dei ceti dominanti. Nessun dominio stabile può basarsi esclusivamente sulla forza bruta, ma deve prevedere un momento nel quale le istanze dei ceti subalterni sono considerate e almeno parzialmente soddisfatte; ovviamente questo avviene entro limiti ben precisi, compatibilmente cioè con la perpetuazione del potere e dei privilegi dei ceti dominanti [2]. Naturalmente, niente garantisce che il patto sociale funzioni: può succedere che i ceti dominanti falliscano nel tener fede al patto, per incapacità propria o per cause di forza maggiore (disastri naturali, sconfitte militari). Ma in tal caso il loro dominio è messo seriamente in pericolo, e se non viene ripristinato e reso storicamente efficace un patto sociale soddisfacente, i ceti dominanti vengono abbattuti e sostituiti da altri ceti dominanti.

Questo scritto è dedicato ad una riflessione su quale sia oggi la natura del patto sociale fra ceti dominanti e ceti subalterni. Per comprendere meglio il problema, possiamo iniziare tracciando una distinzione, anch’essa molto generale, fra le caratteristiche che le ideologie egemoniche assumono nelle società premoderne e quelle tipiche della modernità.

Leggi tutto

Agnoletto: in Lombardia la salute è stata trasformata in merce

Fonte Pressenza.com

Vittorio Agnoletto è stato inserito dalla rivistaSanità Informazione fra i 10 professionisti della scienza che nel 2021 hanno avuto un impatto nellalotta alla pandemia; è il portavoce italiano della campagna europea No profit on Pandemic; facciamo con lui il punto della situazione.

Come sta andando la campagna e quali sono le prospettive?

La campagna nessun profitto sulla pandemia diritto alla cura si sta ampliando continuamente ed è sostenuta dalla società civile di tutta Europa. E’ evidente che oggi ha acquisito ancora maggiore importanza che nel passato; la vicenda della variante Omicron dimostra che lì dove non arrivano i vaccini è più facile che si sviluppi una variante maggiormente aggressiva che poi circola in tutto il mondo e noi non sappiamo quanto i vaccini che stiamo utilizzando saranno in grado di bloccare quella variante. Per esempio, oggi stiamo sperimentando che i vaccini disponibili sono efficaci in misura ridotta contro Omicron; sono migliaia e migliaia le persone vaccinate che comunque si sono infettate, anche se sembra fortunatamente che Omicron sia meno aggressivo della variante Delta. Ma questa situazione ci manda un segnale per il futuro: se arriveranno altre varianti maggiormente aggressive non è detto che i vaccini riusciranno a fermarle.

L’obiettivo che noi abbiamo adesso come campagna europea è lo stesso che hanno i movimenti di tutto il mondo: chiedere che l’Organizzazione Mondiale del Commercio si riunisca; la riunione prevista per il 30 novembre è stata rinviata a causa dell’impossibilità delle delegazioni di raggiungere Ginevra per via delle limitazioni sui voli a causa di Omicron; noi siamo sicuri che la decisione di sospensione momentanea dei brevetti possa essere assunta anche in una riunione online nella quale venga accolta la proposta di India e Sudafrica per una moratoria di tre anni. Nel frattempo, bisogna fare il possibile per modificare la posizione della Commissione Europea che è tale perché è sostenuta da diversi governi europei tra i quali Germania, Francia e Italia. Quindi il nostro governo ha un’enorme responsabilità e questo è il motivo anche dell’appello che, l’ultimo dell’anno, ho rivolto al Presidente del Consiglio Draghi chiedendogli un atto formale del Governo Italiano di appoggio alla proposta di moratoria, votato in Parlamento, approvato in Consiglio dei Ministri e formalizzato all’interno delle istituzioni europee.

A proposito del governo: un tuo commento sugli ultimi provvedimenti e sulla sua strategia generale.

Spesso sembra che le decisioni assunte dal governo rispondano a meccanismi di compatibilità politica dei partiti che formano il governo e alle pressioni di Confindustria ed altri settori economici.

Per esempio, la decisione di cancellare la quarantena per chi è venuto in contatto stretto con un positivo e ha fatto tre dosi di vaccino o greenpass rafforzato da meno di 4 mesi risponde a valutazioni politiche del governo ed è comprensibile che incontri il plauso di molte persone attualmente rinchiuse in casa. Ma dal punto di vista scientifico non ha alcuna giustificazione: gli oltre 126 mila positivi identificati qualche giorno fa, in sole 24h, non sono certamente stati tutti contagiati da non vaccinati e inoltre, a differenza di quanto avviene per i ricoverati in terapia intensiva e per i deceduti, per i positivi non vengano fornite le percentuali tra vaccinati e non vaccinati.

Ad infettarsi con la variante Omicron sono anche moltissime persone vaccinate tre volte, le quali, se è vero che raramente evolvono verso le fasi avanzate della malattia è altrettanto vero che diventano potenziali involontari propagatori dell’infezione. Con Omicron il massimo dell’infettività si ha nei 2-3 giorni precedenti alla comparsa dei sintomi e nei 2-3 giorni successivi; dal punto di vista scientifico avrebbe avuto quindi più senso ridurre il tempo di isolamento per chi è risultato positivo ma asintomatico e ridurre, senza azzerarla, la quarantena per i contatti. Ma a prevalere non sono state le considerazioni sanitarie ma le ragioni dell’economia o meglio dei padroni dell’economia e il rischio di veder crescere ulteriormente positivi e di conseguenza i ricoverati e i deceduti è concreto.

Il comitato tecnico-scientifico conosce queste evidenze e avrebbe dovuto considerarle; chi governa deve compiere delle scelte e assumersene le responsabilità senza però piegare la scienza ai suoi obiettivi.

Ma soprattutto è sbagliato pensare una strategia centrata solo sui vaccini: i vaccini svolgono un ruolo fondamentalema per bloccare o limitare la diffusione del virus da soli non sono sufficienti. E’ necessario insistere sul distanziamento, sull’uso delle mascherine che avevano raggiunto prezzi esorbitanti (prima che il governo finalmente stabilisse un prezzo fisso), rendere gratuiti i tamponi (il cui costo reale è di pochi euro) in modo tale che le persone possano sapere subito se sono infette. Sono misure di sanità pubblica fondamentali. Se invece i tamponi non si trovano e bisogna andare dai privati e pagarli 100-170€ e fare sei ore di coda in piedi al freddo, è evidente che meno persone andranno a fare il tampone e quindi rischieranno di infettare altri.

Ci sono anche altre misure di sanità pubblica che avrebbero dovuto essere praticate; hanno avuto un tempo lunghissimo per aumentare il numero dei mezzi di trasporto urbani e interurbani, ma nulla è stato fatto; avrebbero dovuto: potenziare il servizio di medicina del lavoro per andare almeno a verificare l’uso dei dispositivi di protezione individuale e il rispetto del distanziamento; incentivare lo smart working anziché criminalizzarlo; sdoppiare le classi pollaio, cercare altre aule, modificare gli orari. Nulla di tutto questo.

Per non parlare del fatto che ormai da oltre un mese si è totalmente rinunciato al contact tracing, cioè si è rinunciato a inseguire il virus. Tutta l’attività di medicina territoriale è stata ridotta ai minimi termini, i medici di famiglia sono stati totalmente abbandonati a se stessi.

Si punta solo e unicamente sul vaccino, ma il vaccino moltiplicherebbe la sua utilità se fosse inserito in una complessiva strategia di sanità pubblica.

La pandemia ha messo in evidenza tutte le decadenze di un sistema sanitario privatizzato: dove chiediamo di intervenire con forza per evitare futuri disastri?

Il disastro che una regione come la Lombardia ha sperimentato nella prima fase della pandemia, ma che sta sperimentando anche adesso, non è un fatto isolato: la Lombardia è semplicemente una delle regioni in Europa dove maggiormente il liberismo è penetrato all’interno della sanità e dove la salute è stata trasformata in merce. Fino a prima della pandemia era il modello a cui guardavano alcune forze politiche non solo di destra, ma anche che si collocano nel centro-sinistra.

Perché c’è stato il fallimento del modello lombardo e si sono evidenziati enormi limiti anche a livello nazionale nelle strategie di contrasto alla pandemia? I motivi sono tanti.

Primo: la forte penetrazione delle strutture private all’interno del servizio sanitario pubblico attraverso i meccanismi di accreditamento; il privato quando interviene in sanità, come in qualunque altro settore, ha l’obiettivo di costruire i profitti e questi in sanità si costruiscono sui malati e sulle malattie non sulle persone sane e sulla salute. Ha quindi un obiettivo diverso da quello del servizio sanitario pubblico in cui più si riesce a prevenire, più si riduce il numero dei malati e delle malattie, più lo Stato, cioè noi, risparmiamo. La conseguenza di questa forte presenza del privato nel servizio sanitario pubblico è che quest’ultimo si è andato modellando sempre più a somiglianza del modello privato, scegliendo di abbandonare a se stessi i servizi di prevenzione e la medicina territoriale, ignorando l’epidemiologia, non aggiornando il piano pandemico e lasciando unicamente sulla carta, ma non nella realtà, un piano di allertche fosse in grado di attivare immediatamente le necessarie indagini sanitarie ogni volta che giungesse dai medici del territorio la segnalazione della comparsa di una nuova patologia o il moltiplicarsi, senza un’apparente ragione, di alcuni quadri clinici.

Secondo: noi abbiamo un servizio sanitario concentrato quasi unicamente sulla cura e con un approccio totalmente individualizzato; la prevenzione quasi non esiste. La medicina negli ultimi 30-40anni ha avuto come obiettivi fondamentali aumentare l’attesa di vita e il numero di giorni trascorsi senza malattia degli ultrasessantacinquenni. Si è cercato di realizzare questi obiettivi unicamente attraverso interventi personalizzati puntando sullo sviluppo della chirurgia e di nuovi farmaci. Oggi, di fronte a una pandemia si riduce il numero dei morti se si interviene il prima possibile per evitare che l’agente infettivo si diffonda, limitandone la diffusione; per fare questo è necessario un rapporto stretto tra il servizio sanitario e la popolazione, tra i professionisti della salute e le strutture sociali intermedie, perché se si devono modificare dei comportamenti dei cittadini è fondamentale un rapporto stretto con le strutture organizzate nella società. Questo riguarda la pandemia, ma anche l’impatto delle tematiche ambientali sulla salute, dei tumori ecc. E’ necessario cambiare il paradigma della medicina.

Oggi bisogna potenziare la medicina di comunità che è fondata sull’individuazione dei bisogni sanitari di ogni popolazione, l’elaborazione di un progetto sanitario, l’individuazione degli obiettivi prioritari con la conseguente capacità di andare a verificare se questi obiettivi sono raggiunti o meno. Riprendere per capirci alcune delle intuizioni di “Nemesi Medica di Ivan Illich.

Se tutto questo non ci sarà, e così sembra da come vengono individuate le priorità sanitarie con i fondi del PNRR, rischieremo, nel caso di una nuova pandemia, di trovarci una situazione molto simile a quella attuale.

E’ risultato molto controverso il tema della vaccinazione a adolescenti e bambini. Quale la tua opinione a riguardo?

Nell’ultimo mese è stata fatta una campagna a tamburo battente perché venissero vaccinati i bambini dai 5 agli 11 anni; a fronte di una posizione assolutamente decisa in questa direzione della Società Italiana di Pediatria altre società pediatriche come quelle francese, tedesca, norvegese e varie realtà scientifiche europee hanno assunto posizioni molto diverse. Qual è il punto? Di fronte ad ogni provvedimento si devono valutare i rischi e i benefici per ogni specifica popolazione: i bambini ad oggi certamente si infettano, ma è rarissimo che sviluppino dei sintomi ed è ancora più raro che possono evolvere verso malattia grave; dall’inizio della pandemia i bambini tra i 5 e gli 11 anni deceduti per Covid sono 9 e nella quasi totalità erano bambini con altre gravi precedenti patologie. L’infezione da Coronavirus-19 nei bambini si presenta in genere in modo completamente asintomatico e sono rarissime e comunque clinicamente trattabili, altre patologie infiammatorie che si potrebbero sviluppare nei bambini a causa del Covid.

D’altra parte, la sperimentazione presentata dalla Pfizer ha coinvolto un numero estremamente limitato di bambini, poco più di 2,000, ed è durato pochi mesi; infatti la stessa Pfizer in un suo documento afferma “Il numero di partecipanti all’attuale programma di sviluppo clinico è troppo piccolo per rilevare eventuali rischi potenziali di miocardite associati alla vaccinazione. La sicurezza a lungo termine del vaccino COVID-19 nei partecipanti da 5-12 anni di età sarà studiato in 5 studi sulla sicurezza dopo l’autorizzazione, compreso uno studio di follow-up di 5 anni per valutare a lungo termine sequele di miocardite/pericardite post-vaccinazione” ; queste frasi sono presenti nel documento che l’azienda farmaceutica ha consegnato a EMA e a FDA (gli enti che in Europa e negli USA approvano l’immissione sul mercato di farmaci e vaccini). Stiamo parlando di una popolazione, i bambini, il cui organismo è in una fase di grande crescita e sviluppo, con caratteristiche differenti dal corpo di un adulto; il principio di precauzione non può essere ignorato.

Non mi pare quindi che per la popolazione tra i 5 e gli 11 anni vi siano forti evidenze che i benefici superino i rischi.

Vari colleghi, pur condividendo queste mie perplessità, obiettano che si debbano vaccinare i bambini per evitare che costoro poi infettino gli adulti; ma in questo caso l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di raggiungere i milioni di adulti che non si sono vaccinati e di convincerli.

La logica di vaccinare i bambini per evitare che trasmettano l’infezione ad un adulto, al di là delle possibili valutazioni etiche, perde gran parte delle sue ragioni, di fronte ai i dati di questi giorni, con migliaia di persone vaccinate che si sono infettate. Il vaccino è invece estremamente utile nel bloccare la progressione della malattia nelle persone positive; per questo l’obiettivo prioritario deve restare quello di vaccinare tutti coloro che potenzialmente potrebbero evolvere verso le fasi avanzate della malattia e come abbiamo detto, i bambini sono quelli che rischiano molto meno di tutti gli altri.

Questo non significa rifiutare a priori la vaccinazione dei bambini, ma aspettare che siano pubblicati i risultati di ricerche più vaste e più approfondite.

Ad oggi si potrebbe proporre la vaccinazione a tutti i bambini che hanno delle fragilità o delle altre gravi patologie, per i quali il Covid potrebbe rappresentare un rischio significativo.

Resto perplesso quando vedo gran parte del mondo scientifico italiano invocare, senza porsi nessun interrogativo scientifico e senza valutare i pro e i contro, la vaccinazione dei bambini come una delle soluzioni alla situazione attuale, mentre mi pare evidente che le priorità per contrastare il virus, oggi dovrebbero essere altre.

Ultima questione. Sono fermamente convinto che tutte le società scientifiche che sono chiamate a pronunciarsi, a fornire indicazioni, ad elaborare linee guida sulle terapie non dovrebbero ricevere fondi da aziende farmaceutiche che producono farmaci relativi alle patologie delle quali loro si occupano. Sarebbe un importante contributo per un dibattito più trasparente al riparo da qualunque conflitto d’interesse.

Categorie: contenuti originaliEuropaInternazionaleIntervistePoliticaSalute
Tag: 

Draghi, lupi, faine e sciacalli – di Marco Revelli

FONTE VOLERELALUNA .IT

Questo articolo di Marco Revelli è stato pubblicato il 29 marzo 2020, Lo riprendiamo ora, per opportuna conoscenza 

 

“Meglio tardi che mai” verrebbe da dire a proposito dell’ormai celeberrimo intervento di Mario Draghi sul “Financial Times” del 25 marzo sotto il titolo potentissimo: We face a war against coronavirus and must mobilise accordingly. Ma cosa pensare davvero, di questo neopensionato governatore della Banca centrale europea che mette in campo un linguaggio di stampo keynesiano (il Keynes delle celeberrime considerazioni su Le conseguenze economiche della pace del 1919) dopo essere stato per decenni attento “custode dei cancelli” del credo ultraliberista egemone?
E’ un Draghi che ritorna alle origini, giovane assistente del prof. Federico Caffè, uno dei padri del keynesismo italiano, dopo una brillante tesi di laurea su “Integrazione economica e variazioni dei tassi di cambio” discussa con lui relatore alla Sapienza e premiata magna cum laude? O è il Draghi della sua seconda (molto più lunga) vita, spesa nel cuore delle roccaforti finanziarie globali? Certo, il suo curriculum accademico è ragguardevole (nel 1981 ad appena 33 anni è ordinario di Economia e politica monetaria a Firenze), ma è l’altro, quello finanziario, sicuramente molto più denso, e “visibile”, a segnarne il profilo. Ed è un profilo che sicuramente con gli ideali keynesiani della giovinezza ha assai poco a che fare.

Leggi tutto

Un’arma potenziale uccide oltre 1,5 milioni in tutto il mondo, senza che venga sparato un solo colpo

Fonte Ipsnews 

NAZIONI UNITE, 20 novembre 2020 (IPS) – Le maggiori potenze militari del mondo esercitano il loro dominio principalmente a causa dei loro enormi arsenali di armi, inclusi sofisticati aerei da combattimento, droni, missili balistici, navi da guerra, carri armati, artiglieria pesante e armi nucleari di distruzione di massa (WMD).

Ma l’improvviso aumento della pandemia di coronavirus la scorsa settimana, in particolare negli Stati Uniti e in Europa, ha fatto risorgere la domanda persistente che grida una risposta: la potenza di fuoco travolgente e le armi di distruzione di massa diventeranno obsolete se le armi biologiche, attualmente vietate da una convenzione delle Nazioni Unite, saranno utilizzato nelle guerre in un lontano futuro?

Secondo gli ultimi dati di Cable News Network (CNN), le tristi statistiche della pandemia di coronavirus includono 56,4 milioni di infezioni e 1,5 milioni di morti in tutto il mondo.

A partire dalla scorsa settimana, solo gli Stati Uniti hanno stabilito record: oltre 11,5 milioni di casi di pandemia e oltre 250.500 morti dallo scorso marzo, con più di 193.000 infezioni ogni giorno.

Il New York Times ha citato esperti anonimi che prevedono che gli Stati Uniti presto riferiranno oltre 2.000 morti al giorno e che nei prossimi mesi potrebbero morire da 100.000 a 200.000 americani in più. Una previsione prevedeva un numero di morti negli Stati Uniti di 471.000 entro marzo prossimo, in assenza di un vaccino efficace.

La pandemia ha anche destabilizzato l’economia globale con la povertà e la fame nel mondo che sono salite alle stelle a nuovi massimi. E tutto questo, senza sparare un solo colpo in una guerra di otto mesi contro un virus in diffusione.

La dott.ssa Natalie J. Goldring, ricercatrice senior e professore ordinario a contratto con il programma di studi sulla sicurezza presso la Edmund A. Walsh School of Foreign Service della Georgetown University, ha detto all’IPS che il mondo deve affrontare molteplici crisi “con il potenziale di devastare le nostre comunità, comprese la minaccia del cambiamento climatico e il rischio di una guerra nucleare ”

E il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ha detto, ha avvertito di un’altra potenziale crisi, ovvero che i terroristi potrebbero usare armi biologiche per produrre risultati disastrosi. Ha sottolineato che questo tipo di utilizzo di armi potrebbe essere ancora più dannoso del COVID-19.

“Se un gruppo terroristico fosse in grado di svolgere i complessi compiti di creazione e utilizzo di armi biologiche, il rilascio intenzionale di un’arma biologica potrebbe essere ancora più mortale di COVID-19”, ha affermato il dottor Goldring, che è anche professore ospite della pratica nel programma Washington DC della Duke University e rappresenta l’Istituto Acronimo presso le Nazioni Unite sulle questioni relative alle armi convenzionali e al commercio di armi.

Ha detto che Guterres sottolinea il punto importante che “dobbiamo concentrarci immediatamente sulla prevenzione di questo tipo di sviluppo. Dobbiamo anche aumentare notevolmente la capacità delle nostre comunità di rispondere alle malattie infettive “.

Leggi tutto

Cronache da Berlino. Lo sciopero globale per il clima – 25 settembre 2020 –

Nella mattinata del 25 settembre si è svolta a Berlino la prima manifestazione/sciopero del dopo lockdown contro il cambiamento climatico e per politiche ambientali e di sistema che impediscano i disastri ambientali cui rischiamo già di abituarci.
Alla Porta del Brandeburgo migliaia di ragazzi giovanissimi, più liceali che universitari si sono schierati con ordine distanziati di un metro e mezzo con i loro cartelli , con i volti coperti con mascherine.Gli organizzatori avevano già predisposto con piccoli cerchietti bianchi disegnati sull’asfalto le postazioni di ciascun manifestante…

 

Un severo servizio d’ordine svolto da ragazzine e ragazzini hanno fatto rispettare i distanziamenti tra i partecipanti, inflessibili e determinati a mantenere le promesse alle autorità di garantire una manifestazione senza assembramenti e conforme alle norme anti contagio.Era freddo stamane a Berlino e pioveva ma questa avversità non ha scalfito la determinazione di queste ragazze e ragazzi a fare sentire propria voce,a richiamare l’attenzione rispetto al futuro, al loro futuro, alle loro speranze per una vita che non sia ritmata dal susseguirsi di eventi ambientali catastrofici. C’era anche molta ironia nelle scritte in diversi cartelli….

 

 

Al contempo molte centinaia di ciclisti hanno sfilato per le vie di Berlino su velocipedi, tricicli ad energia solare, i mezzi più fantasiosi che si possa immaginare. Una manifestazione consapevole delle grandi difficoltà per il futuro rispetto ad una battaglia che sarà durissima e al contempo leggera, elegante e gioiosa.

Foto e articolo  di Gino Rubini 

 

 

Quando le decisioni sul lavoro vengono prese dalla macchina

FONTE CONTRETEMPS.EU

Tuttavia, nonostante l’ondata di Trump, nessun segnale viene registrato sul lato aziendale, il che mostrerebbe una diminuzione dell’outsourcing della produzione verso paesi con bassi costi del lavoro. Al contrario, l’aumento delle competenze delle aziende in questi paesi consente loro di migliorare la propria offerta di servizi verso prodotti di fascia alta. D’altra parte, l’automazione influisce su tutte le attività, ma su lavori specializzati più fortemente intermedi. Questi sono caratterizzati da un lavoro di routine che coinvolge compiti intellettuali e manuali, eseguiti secondo un insieme esplicito di regole: industria manifatturiera (dagli elettrodomestici alle automobili) e attività di servizio (contatore, consulente clienti). Questa esternalizzazione e automazione sono le due principali cause identificate come che portano alla polarizzazione dei lavori che sembra preoccupare così tanto il FMI e l’OCSE. Questi fenomeni sono stati identificati in molti paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti[3] , Germania [4] e Francia [5] .

La polarizzazione dei posti di lavoro e i crescenti fenomeni che la accompagnano, come la flessibilità e la precarietà, in particolare attraverso lo sviluppo del subappalto di attività dalle più grandi aziende alle più piccole, portano a ciò che David Weil designa con il termine di luoghi di lavoro fessurati [6]  : un luogo in cui la diversità dello status dei lavoratori, una concorrenza sfrenata organizzata tra loro o tra i subappaltatori minano i salari, le condizioni di lavoro e la solidarietà. Phoebe Moore era particolarmente interessata all’influenza della digitalizzazione ( digitalizzazione) attività come strumento che accompagna (e consente in larga misura) questa destrutturazione del lavoro umano per profitti sempre maggiori per le aziende che avviano catene di valore con in cambio attività più vincolate e meno remunerate per la maggioranza dei lavoratori [7 ] .

Questo articolo fa parte di questa logica. Usando esempi concreti tratti dagli eventi attuali degli ultimi due anni, mostra la crescente tentazione che alcune persone sentono di considerare il lavoratore come un sostituto dell’automa: che è virtuale quando è è un algoritmo o nella forma molto reale di un robot nel settore.

 

Tanto lavoro umano il cui merito va all’algoritmo

Nel frattempo i robot. Indagando sul lavoro a click [8] , Antonio Casilli ha dimostrato quanto l’apprendimento, ma anche il funzionamento quotidiano dell’intelligenza artificiale, dipenda ancora dagli umani. Spesso il lavoro ripetitivo e poco remunerato, la mancanza di protezione sociale, l’isolamento professionale, lo status di lavoratore autonomo di questi lavoratori a scatto contribuisce a minare le basi della regolamentazione dell’organizzazione del lavoro attuata dalla fine del XIX secolo grazie le lotte dei lavoratori e quelle dei sistemi di protezione sociale.

Analogamente, negli ultimi anni è stato osservato che lo sviluppo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) in forme sempre più avanzate può avere l’effetto di degradare significativamente le condizioni di lavoro e aumentare i rischi. professionisti, mentre l’automazione sotto controllo sociale potrebbe avere risultati opposti: riduzione delle difficoltà fisiche e intellettuali, riduzione dell’orario di lavoro, ecc.

La cosa più sorprendente in questo caso è che sembra accadere in una relativa indifferenza del corpo sociale (a parte alcune lotte dei lavoratori), come se la presenza di software, algoritmo, automa eliminasse le abitudini datore di lavoro delle sue responsabilità in termini di salute e sicurezza sul lavoro e anestetizzato la risposta della società, anche degli Stati e degli organi competenti in materia di regolamentazione e controllo del lavoro e delle sue condizioni. Certo, i sindacati organizzano la risposta, ma sembra avere meno peso (o anche meno legittimità) che se si trattasse di aziende convenzionali e non di imprese dell’economia digitale.

La situazione è tanto più impegnativa in quanto la porosità sta aumentando di giorno in giorno tra le cosiddette compagnie classiche e quelle dell’economia dei concerti , i metodi di lavoro di questi ultimi percorrono sempre più verso i primi, in un momento in cui si stanno formando alleanze. , dove vengono organizzati i buyout e vengono create filiali comuni. Cosa sta succedendo allora? Come è cambiata la situazione negli ultimi anni che giustificherebbe prestare meno attenzione alla persona umana?

Leggi tutto

Distopia high-tech: la ricetta che si sta sviluppando a New York per il post-coronavirus. Di Naomi Klein

Fonte La Vaca

In questo articolo rivelatore di The Interccept, la giornalista canadese Naomi Klein analizza la firma dell’ex CEO di Google Eric Schmidt a capo di una commissione per “reimmaginare la realtà post-Covid” a New York dove, dice, inizia a prendere forma un futuro dominato dall’associazione degli Stati con gli Stati Uniti. Giganti della tecnologia: “Ma le ambizioni vanno ben oltre i confini di qualsiasi stato o paese”. Klein definisce una Dottrina di Pandemic Shock, che definisce la Nuova Alleanza o New Screen Deal. Pone il chiaro e semplice rischio che questa politica aziendale minacci di distruggere il sistema educativo e sanitario. Tracciamento dei dati, commercio senza contanti, telehealth, scuola virtuale e persino palestre e carceri, parte di una proposta “senza contatto e altamente redditizia”. Quarantena come laboratorio dal vivo, uno “specchio nero” e l’accelerazione di questa distopia dal coronavirus: “Ora, in un contesto straziante di morte di massa, ci viene venduta la dubbia promessa che queste tecnologie sono l’unico modo possibile per proteggere la nostra vita da una pandemia ” Quali sono i (sempre) dubbi e come, sotto il pretesto dell’intelligenza artificiale, le corporazioni lottano di nuovo per il potere di controllare le vite.(Tradotto da Agencia Lavaca.org).

Di Naomi Klein per The Intercept

Eric Schmidt, un dirigente di Google, era stato osservato dal governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo.

Durante il briefing quotidiano sul coronavirus del Governatore di New York Andrew Mercoledì, la triste smorfia che ha riempito i nostri schermi per settimane è stata brevemente sostituita da qualcosa di simile a un sorriso.

L’ispirazione per queste vibrazioni insolitamente buone è stata un contatto video dell’ex CEO di Google Eric Schmidt, che si è unito al briefing del governatore per annunciare che sarà a capo di una commissione per reinventare la realtà post-Covid dello Stato di New York , con enfasi integrare in modo permanente la tecnologia in tutti gli aspetti della vita civile.

“Le prime priorità di ciò che stiamo cercando di fare”, ha affermato Schmidt, “sono incentrate sulla telehealth, sull’apprendimento remoto e sulla banda larga … Dobbiamo trovare soluzioni che possano essere presentate ora e accelerare l’uso della tecnologia per migliorare le cose”. Per non dubitare che gli obiettivi dell’ex CEO di Google fossero puramente benevoli, il suo background video presentava un paio di ali d’angelo d’oro incorniciate.

Leggi tutto