FONTE EFFIMERA 

 

Questo appello esce in contemporanea su Euronomade.

A Torino, pochi giorni fa, la polizia ha pesantemente caricato con gli idranti una manifestazione antifascista. Alcune riprese video hanno inquadrato un’insegnante che gridava davanti alle forze dell’ordine: la sua immagine, accortamente selezionata e decontestualizzata, è stata catapultata nello spazio virtuale, fatta oggetto di insulti, incitamento alla gogna e strumentalizzazioni politico-elettoralistiche, nonché di sanzioni disciplinari e forse penali in via di definizione.

L’obiettivo politico, alle soglie di una vigilia elettorale esasperata e imbarbarita, è fin troppo semplice: provare a neutralizzare quell’ampio spazio di mobilitazioni democratiche che, lontane dall’ostruzionismo governativo nei confronti del corteo di Macerata e dalle retoriche false e liturgiche che l’hanno seguito, hanno dato nuova vitalità all’antifascismo non istituzionale come pratica concreta dell’antirazzismo e dell’antisessismo grazie in primo luogo al nuovo protagonismo delle soggettività dei migranti e delle donne.

La campagna di linciaggio massmediatico dell’insegnante e le successive puntuali dichiarazioni di diversi esponenti politici sono perfettamente connesse con le recenti politiche basate sull’ossessione per la sicurezza e il decoro, di cui è espressione emblematica il Decreto Minniti: che ha puntellato le città di dispositivi normativi funzionali al controllo e alla repressione delle condizioni di vita più disagiate e dei comportamenti sociali giudicati non conformi, lasciando spazio alle più sfacciate espressioni dell’estremismo di centro-destra (con tutta evidenza indisponibile ad “abbassare i toni” di odio ringhioso nei confronti dei capri espiatori da sacrificare alla crescente sofferenza sociale prodotta da una crisi economica e finanziaria senza credibili vie d’uscita).

Così, il marginale episodio di intemperanza verbale contro il dispositivo di polizia schierato a difesa dell’assembramento di un piccolo gruppo di nazifascisti (peraltro, vietato  dalla – disapplicata – legge penale 645/1952 e dalla Costituzione) è stato immediatamente amplificato e  interpretato all’interno di una logica e di una retorica sessiste che tendono a promuovere un’idea docile e normalizzata delle donne nello spazio pubblico. E a propugnare il disciplinamento della professione di insegnante con l’intento non tanto sottaciuto di conformare il ruolo della cultura e della scuola pubblica ai nefasti principi totalitari dello “stato etico”, restituendo un’immagine tutta ideologica del corpo insegnante da assoggettare a controllo “morale” anche fuori dal suo contesto professionale e lavorativo, in quanto suddito della legalità vigente e di uno Stato che lo vuole svincolato da ogni definizione contrattuale del suo lavoro. Il compito delle e degli insegnanti dovrebbe avere perciò sempre meno a che fare con la formazione culturale e la costruzione di una cittadinanza attiva e ridursi al dovere di vigilanza sulla riproduzione della futura forza-lavoro, da addomesticare alla precarietà e al ricatto dettati dalla gestione neoliberale della crisi economica.

Perciò siamo convinti che in questo momento sia necessario denunciare con forza le retoriche e le  politiche che stanno producendo indagini penali e sanzioni disciplinari, e lanciamo questo appello di solidarietà per Lavinia Flavia Cassaro con la convinzione che il suo caso sia paradigmatico di un attacco alla libertà di tutte e tutti e alla democrazia. Chiediamo pertanto, alle istituzione scolastiche che stanno procedendo contro Lavinia, di sospendere tali iniziative in quanto lesive della sua dignità e dei suoi diritti, riconoscendo che il ruolo di insegnanti non può essere ridotto a quello di chierici moralizzatori, né venire sottoposto alle necessità della propaganda elettorale, del controllo politico e degli inconfessabili interessi cui accetta di assoggettarsi il sistema dei media.