BRASILE: RAZZISMO E SFRUTTAMENTO NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE

Ringraziamo la Fonte : la bottega del barbieri 

Lo scorso 21 novembre ha fatto scalpore l’uccisione di João Alberto Silveira de Freitas ad opera di uomini della sicurezza privata di Carrefour e della polizia militare a Porto Alegre. Nel più grande paese dell’America latina sono molte le multinazionali della grande distribuzione, degli alimenti, delle bibite e della moda ad essere responsabili di episodi simili.

di David Lifodi

Lo scorso 21 novembre hanno fatto il giro del mondo le immagini delle videocamere di sicurezza di Carrefour che hanno ripreso un uomo del servizio di vigilanza mentre picchiavano, fino ad uccidere, João Alberto Silveira de Freitas, insieme a membri della polizia militare. Il fatto è accaduto in Brasile, a Porto Alegre, a seguito di una presunta lite tra l’uomo e un commesso del supermercato.

L’episodio ha fatto scalpore per tre motivi.

In primo luogo perché situazioni di questo tipo si ripetono spesso nelle favelas e nei quartieri più poveri delle grandi città brasiliane. Gli ultimi dati evidenziano che ogni 23 minuti, in Brasile, viene uccisa una persona di colore.

In secondo luogo, ha sottolineato il giornalista Eric Nepomuceno nel suo articolo Ser negro sul quotidiano argentino Página/12, in Brasile non è la prima volta che Carrefour è coinvolta in casi del genere.

Infine, in terza istanza, la stessa Carrefour, insieme alle altre due grandi catene della grande distribuzione tra le più diffuse in Brasile, Pão de Açúcar e Big-Walmart, vendono frutta raccolta sfruttando i lavoratori più poveri del paese, secondo quanto ha denunciato Oxfam Brasil, evidenziando condizioni di lavoro molto vicine alla schiavitù e particolarmente pericolose soprattutto per via delle sostanze agrotossiche presenti nei campi di raccolta.

Marques Casara, sul quotidiano on line Brasil de Fato, nell’articolo Racismo y muerte en Carrefour son la punta de iceberg que involucra multinacionales ha ripercorso i molteplici episodi di razzismo di cui si sono resi colpevoli i grandi marchi della grande distribuzione organizzata e non solo in Brasile, a partire proprio da Carrefour. Nel 2009 due dipendenti della catena francese, nella città di Osasco (stato di San Paolo), picchiarono un nero, Januário Alves de Santana, pensando che stesse cercando di rubare un’automobile, rivelatasi poi essere di proprietà dello stesso Januário.

E ancora, il 14 agosto 2020, a Recife, sempre in un supermercato Carrefour, la morte di uomo di colore che lavorava per una ditta a cui lo stesso marchio aveva appaltato alcuni lavori fu nascosta dietro una lunga fila di ombrelli aperti affinché il negozio potesse continuare a rimanere aperto.

Se nella sede principale di Carrefour, quella francese, il razzismo non è tollerato, perché in Brasile avviene il contrario? A chiederselo è proprio Marques Casara, giornalista specializzato nell’analizzare l’attenzione dei grandi marchi globali per il rispetto dell’ambiente, dei diritti umani e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tuttavia, Carrefour non è certo l’unica ad essere responsabile di episodi di questo tipo. L’utilizzo di lavoro schiavo e lavoro minorile, l’invasione di territori indigeni, la violazione dei diritti sindacali e la diffusione degli agrotossici accomunano tutte le grandi transnazionali presenti in Brasile, da Nestlé a Coca Cola, solo per citare alcuni dei marchi più noti.

È per questo che lo scorso 23 novembre, quando l’afrodiscendente João Alberto Silveira de Freitas, un saldatore di 40 anni, è stato ucciso da uomini della vigilanza privata di Carrefour e della polizia militare, centinaia di persone si sono radunate di fronte al supermercato di Porto Alegre per protestare al grido di “Vidas negras importam” e manifestazioni simili sono avvenute anche a Rio de Janeiro e San Paolo, ma il governo, come facilmente immaginabile, ha fatto di tutto per ridimensionare l’episodio e farlo passare sotto silenzio.

João Alberto Silveira de Freitas, bloccato da uno degli uomini della sicurezza, è stato picchiato per circa cinque minuti prima di essere immobilizzato e morire asfissiato.

Da parte sua Carrefour Brasile ha fatto sapere, tramite un comunicato, che si adopererà da ora in poi per combattere i pregiudizi e il razzismo strutturale presente nel paese e il direttore generale Alexandre Bompard, su twitter, ha definito quanto accaduto “un atto orribile” e le immagini delle videocamere di sorveglianza come “insopportabili”.

Spetta alla società civile e in particolare ai consumatori, scegliere cosa comprare e dove, ma gran parte dei grandi marchi, dalla grande distribuzione organizzata agli alimenti, dalla moda alle bibite, difficilmente deciderà di operare in maniera trasparente, equa e rispettando I diritti dei propri dipendenti e delle comunità su cui va ad impattare se l’opinione pubblica non chiamerà a fare “massa critica”.

Colpi di Stato permanenti di Quentin Hardy

Fonte Terrestres 

Abbiamo tratto questo articolo dalla Rivista Terrestres: riteniamo che le riflessioni contenute nell’articolo ci riguardino …..editor ( traduzione automatica google )

 

Cosa ci sta succedendo politicamente? Soffia un brutto vento e giorni felici non tornano. All’orizzonte, le promesse di autogoverno, di miglioramento della vita quotidiana, di emancipazione dal dominio, di godimento del presente svaniscono nella nebbia. Dopo il tempo dell’indignazione, della rabbia, ecco quello della paura. Ma inevitabilmente tornerà il tempo della rabbia politica.

 

 

Tre eventi significativi si sono verificati recentemente in tre paesi dell’Europa orientale. La Polonia ha votato con urgenza una legge che punisce l’occupazione delle università con 3 anni e una multa di 5.000 euro, attaccando duramente le libertà accademiche. Il potere della polizia in Bielorussia reprime ferocemente una rivolta estremamente popolare nel Paese: in quattro mesi, 24 feriti, 5 mani strappate e 2.500 feriti. In Ucraina, un doppio attacco islamista ha scosso profondamente il Paese; lo shock nell’opinione pubblica è stato seguito da un’offensiva senza precedenti dei media e del governo che ha aperto la strada a misure fasciste. In questi tre paesi, tre decenni di neoliberismo hanno amplificato le disuguaglianze e brutalizzato la società.

Dove sta andando questa parte del continente, a forza di approfondimenti autoritari e misure eccezionali? La valanga di leggi liberticide, le coperture date alla polizia e la circolazione accelerata dei discorsi marziali producono una nuova normalità politica. Come qualificare questo stato sociale e questo regime di esistenza che non sappiamo ancora nominare, se non con quello del liberalismo autoritario1 – un termine che a sua volta può sembrare impotente per spiegare la specificità dell’attuale sequenza politica? L’osservatore onesto deve ammettere questa prova: con questo nuovo irrigidimento, questi paesi si stanno allontanando ulteriormente dallo stato di diritto nell’Europa occidentale e stanno senza dubbio sprofondando nelle società pre-fasciste.

In realtà, queste tre situazioni sono concentrate all’interno di un altro Paese, in forma esagonale e con il motto repubblicano libertà-uguaglianza-fraternità. I fatti riportati si sono verificati tutti nel prossimo passato sul nostro suolo repubblicano2 .

Abbiamo saputo da Montesquieu e dalle sue Lettere persiane (1721) che ciò che più fuorvia il nostro giudizio politico è la falsa familiarità con la nostra condizione e l’abitudine che indebolisce tutto. Interpretando un viaggiatore straniero a Parigi per descrivere la società francese nel XVIII secolo, il filosofo offre uno sguardo distante che porta verità politiche. Rendendo l’ordinario esotico, riuscì a un sottile attacco al sistema monarchico denunciando in particolare la concentrazione dei tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) nella persona del re.

VIVERE SOTTO IL TRIPLO DOMINIO

Trecento anni dopo, il regime politico è cambiato così come le principali istituzioni. Ma, sotto il nostro cielo repubblicano, le nostre esistenze rimangono poste sotto una triplice dipendenza macro-strutturale: potere della polizia di stato, potere tecnologico-digitale, potere del capitale.

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Centinaia di europei, tra cui vigili del fuoco e sacerdoti, arrestati per “solidarietà” ai rifugiati: lo rivelano i dati

May Bulman, Independent – Sabato 18 Maggio 2019
– Link all’articolo originale (ENG)

Stando ad alcune ricerche, sono in netto aumento le persone incriminate per aver fornito cibo, riparo, trasporti ed altri “gesti elementari di gentilezza umana” ai richiedenti asilo in tutta Europa.

Traduzione a cura di: Giuseppina Ferrari, Alessandro De Blasio

Fonte: Meltingpot.org

Vigili del fuoco, sacerdoti e donne anziane sono tra le centinaia di europei arrestati, o indagati, per aver dimostrato “solidarietà” ai rifugiati e ai richiedenti asilo negli ultimi cinque anni. Casi del genere sono nettamente in aumento negli ultimi 18 mesi, lo dimostrano nuove ricerche.

Un database realizzato da openDemocracy, sito web su temi di attualità mondiali, rivela che 250 persone, in tutta Europa, sono state arrestate o incriminate, a vario titolo, per aver fornito cibo, riparo, trasporti e altri “gesti elementari di gentilezza umana” ai migranti.

Il numero di questi casi è aumentato notevolmente nel 2018, con oltre 100 casi registrati lo scorso anno: il doppio rispetto al 2017. Nella maggior parte dei casi del 2018, si è trattato di arresti e accuse per aver fornito cibo, trasporti o altro genere di supporti ai migranti irregolari.

Tra i casi identificati ci sono: un vigile del fuoco spagnolo che rischia fino a 30 anni di carcere per aver salvato alcuni migranti che stavano annegando in mare in Grecia, un olivicoltore francese arrestato per aver sfamato e offerto riparo ad alcuni migranti al confine con l’Italia e una donna anziana danese di 70 anni che è stata condannata, e multata, per aver offerto un passaggio a una famiglia con bambini piccoli.

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Centinaia di dimostranti a sostegno di Open Arms

FONTE PRESSENZA

20.01.2019 – Eva Marín, Barcellona – Redacción Barcelona

Quest’articolo è disponibile anche in: SpagnoloFranceseCatalano

Centinaia di dimostranti a sostegno di Open Arms

Circa 500 persone, secondo la polizia (2.000 secondo gli organizzatori) hanno aderito alla manifestazione convocata ieri pomeriggio da parte dei volontari di Open Arms come forma di protesta riguardo il blocco da parte della Capitaneria Marittima (Ministero dello Sviluppo) circa la navigazione di Open Arms nel Mediterraneo centrale. Open Arms è un’organizzazione non governativa e senza scopo di lucro la cui missione principale è il salvataggio in mare di coloro che tentano di giungere in Europa sfuggendo a conflitti bellici, persecuzione o povertà. Di fronte all’ingresso della Delegación del Gobierno Español in calle Mallorca, luogo in cui, alle 16, ha avuto inizio la manifestazione, Òscar Camps, fondatore di Open Arms, ha dichiarato che“tali decisioni costano vite umane”.

Ogni giorno che passa nel Mediterraneo si perdono vite umane

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L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione lancia questo appello

 

Pubblichiamo per favorirne la massima diffusione questo appello dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) che condividiamo . Editor 


L’APPELLO

” Lanciamo un appello di impegno civile a difesa della legalità a fronte di una politica senza più legge”

 

Il nuovo anno si apre con 32 persone che, ancora una volta, attendono da molti giorni (tredici, alla data di oggi) di poter sbarcare in un porto sicuro. Al caso della Sea Watch 3 si aggiunge quello della Sea Eye, con 17 persone raccolte lo scorso 29 dicembre.

Da giuristi non possiamo quindi che denunciare, ancora una volta, l’illegittimità di quanto sta, nuovamente, accadendo nel Mediterraneo: il diritto di sbarco in un porto sicuro viene posto in discussione in ogni singolo episodio di salvataggio, senza considerazione alcuna per le norme.
Sono solo gli ultimi casi di uno stillicidio ormai costante in spregio del diritto e fuori da ogni inesistente “invasione”, ammontando gli sbarchi nel 2018 a poco più di 20.000.

Come associazione ribadiamo che:

– il diritto internazionale del mare (Convenzione Sar sulla ricerca e il soccorso in mare ratificata dall’Italia nel 1989; Convenzione Solas sulla salvaguardia della vita umana in mare ratificata dall’Italia nel 1980 e la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, ratificata nel 1994, tra le altre) prevede chegli Stati e, quindi, anche le autorità italiane, abbiano l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a che tutte le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro;

– il rifiuto di consentire lo sbarco, in particolare a persone vulnerabili (donne e bambini, anche piccolissimi) sfuggite a torture e violenze, che oggi si trovano in permanenza prolungata su una nave in condizioni di sovraffollamento e di promiscuità e con bisogno di accesso a cure mediche e a generi di prima necessità viola inoltre le norme a tutela dei diritti umani fondamentali e sulla protezione dei rifugiati, in particolare l’art.2 (diritto alla vita) e l’art.3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea per i diritti dell’Uomo, oltre che il principio di non refoulement e il diritto di accedere alla procedura di asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario e dall’art.10 c.3 della Costituzione italiana.

Ci riserviamo di supportare e promuovere ogni azione giudiziaria nelle sedi competenti per ingiungere il rispetto del diritto e sanzionare le violazioni in essere e l’indebita strumentalizzazione della situazione di persone vulnerabili al fine di porre in discussione le regole di ripartizione dei richiedenti asilo nell’Unione Europea al di fuori delle sedi proprie.

Pertanto come associazione invitiamo tutti i soggetti istituzionali, al di là della loro competenza, a far sentire la loro voce anche con atti di impegno civile a favore di coloro che sono ostaggio di una politica senza più legge.

 


Per adesioni all’appello, che proponiamo alla sottoscrizione di enti, associazioni e persone interessate, contattare info@asgi.it


 

 

Tutto il mondo è un presepe: ” Ci davano scariche elettriche dopo averci violentato…”

 

FONTE RAIAWADUNIA

“Avevo una gamba rotta, avevo la febbre a causa della frattura e delle ferite, ma mi violentavano lo stesso. Anche nelle condizioni precarie in cui mi trovavo, ferita e sporca, dopo mesi senza potermi lavare. Ci stupravano davanti ai nostri figli piccoli e loro non potevano neanche piangere l’orrore di cui erano vittime. Ci terrorrizzavano sempre e ci dicevano che se non riuscissimo a far smettere di piangere i bambini loro li  avrebbero ammazzati.”

“I carcerieri ci picchiavano con una tale brutalità, a volte  fino a quando non avevano più la forza di farlo. Dentro la prigione non potevamo parlare, a volte neanche muovere le labbra senza pronunciare parole. Di giorno ci picchiavano e di notte venivano a violentarci. Non eravamo più persone. Non eravamo niente ai loro occhi. Ci davano scariche elettriche dopo averci violentato, ci bruciavano lasciandoci scottature tremende, bruciavano anche i bambini”

” I libici sono entrati nel magazzino dove eravamo stati stipati come animali  e hanno deciso di portare via con loro una bambina di sei anni, strappandola alla madre che implorava pietà supplicando loro che non gliela portassero via. Per tutta la notte la piccola è stata violentata dai carcerieri e quando è stata restituita alla madre era  ormai irriconoscibile: Aveva gli occhi bianchi, senza colore, era priva di coscienza, piena di lividi, ferita e sanguinante.  Io e le altre  prigioniere abbiamo ripulito il corpo della piccola con i nostri vestiti e, strappandoci un pezzo di stoffa ciascuna, l’abbiamo rivestita. La bambina sembrava morta,  respirava piano. Sua madre era ormai completamente impazzita e dalla disperazione si graffiava il  volto e il corpo, piangeva e si strappava i  capelli. Provavamo tanta pietà per lei, che era riuscita quasi fino alla fine di quell’inferno a proteggere la bimba dalle violenze sessuali, subendole lei al suo posto. Durante il viaggio in mare la madre della piccola si è lasciata cadere in mare ed è scomparsa tra le onde. La bambina l’avevamo adagiata sul gommone. Abbiamo custodito noi il suo corpo esanime per tutto il viaggio e quando siamo stati salvate da una nave italiana, dopo tre giorni alla deriva, ci hanno  portato a Lampedusa e lei è stata soccorsa per prima. Ci hanno soltanto detto che era ancora viva e ho pianto di gioia. “

 

da FAMIGLIA CRISTIANA

 

No a questa Italia incattivita

FONTE SALUTEINTERNAZIONALE

Autore: Gavino Maciocco

L’Italia si è incattivita. La lunga crisi l’ha impoverita materialmente e moralmente, mentre si sono dilatate le diseguaglianze socio-economiche che gli ultimi governi non hanno in alcun modo saputo e voluto mitigare. Così il peso della presenza straniera si è scaricato, quasi ovunque, sugli strati popolari più disagiati della società, quelli che maggiormente hanno patito la crisi. Così hanno avuto buon gioco coloro che hanno indicato negli stranieri i responsabili  della scarsità dei servizi a disposizione.  Ma cosa succederà quando quei cittadini si accorgeranno che la cattiveria praticata e ostentata da parte del Governo contro i migranti non avrà migliorato in alcun modo la loro condizione – l’accesso alla sanità, all’istruzione, alla casa, ai  trasporti -, e neppure la loro sicurezza?


“Avverto i miei lettori: tutti coloro che non si inseriscono nella canea anti immigrazione e contro le Organizzazioni non governative (Ong) saranno soli. In questo momento l’odio verso le Ong e verso gli immigrati non ha pari, magari le mafie avessero avuto contro tutto questo impegno e questa solerzia” (Roberto Saviano, Repubblica, 5 agosto 2017).

“Di questa estate italiana resterà una svolta nel senso comune dominante, dove per la prima volta il sentimento umanitario è finito in minoranza. E ciò peserà sul futuro” (Ezio Mauro, Repubblica, 9 agosto 2017).

“Dietro la riduzione dei salvataggi in mare, ottenuta con il sostegno alle autorità libiche nella loro decisione di limitare l’area d’intervento delle navi impegnate nel soccorso umanitario, si consuma una gravissima e sistematica violazione dei diritti fondamentali delle persone: in mancanza di una via sicura e legale all’Europa, si nega il diritto d’asilo a quanti, costretti alla fuga dalla guerra e dalla fame, non sono messi in condizione di raggiungere i Paesi dove questo diritto possa essere esercitato; con il trattenimento nei centri di detenzione libici i migranti, scampati alle tragedie dei Paesi di provenienza, diventano vittime dei trattamenti inumani e degradanti che in questi luoghi abitualmente si praticano” (Mariarosa Guglielmi, segretario generale di Magistratura Democratica, 20 agosto 2017).

Abbiamo riportato qui alcuni brani tratti dal post, Se il sentimento umanitario finisce in minoranza, pubblicato su Saluteinternazionale il primo settembre 2017 , in cui ricostruivamo le varie tappe che avevano portato agli inizi di agosto del 2017 alla creazione di un “muro” nel Mediterraneo, attraverso il blocco delle navi delle Ong e gli accordi con la LibiaOperazione “tripartisan” che portava la firma del ministro dem Marco Minniti, ma da tempo invocata da Lega (Salvini: Affondare navi Ong) e dal Movimento 5 Stelle (Di Maio: Ong, taxi del Mediterraneo).  Si avvicinavano le elezioni politiche e tutti avevano bene in mente che la questione dei migranti (in tutte le possibili più o meno distorte declinazioni: l’invasione, le malattie, i costi, l’insicurezza, la competizione con gli italiani più poveri, etc) sarebbe stata al centro della contesa elettorale. Infondere la paura degli stranieri a scopi elettorali è ovunque un classico della destra xenofoba, quando non dichiaratamente razzista. È successo con la Brexit, con l’elezione di Trump in USA, di Orban in Ungheria, di Kurz in Austria.  Ed è successo anche in Italia, con la vittoria dei partiti che avevano impugnato le bandiere anti-migranti e anti-Ong.

Quei partiti – Lega e Movimento 5 Stelle – si sono poi trovati a governare il Paese, avendo idee diverse su quasi tutti i temi, tranne che su un punto: la lotta ai migranti e alle Ong. Per questo da quando si è costituito il nuovo governo giallo-verde, l’attacco ai migranti e agli stranieri è diventata una costante – condita di vessazioni, soprusi, discriminazioni – che ha avuto il suo epilogo con l’approvazione del Decreto sicurezza.

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Là dove la vita vale poco

È stata uccisa una persona, che ha avuto una vita, che era in viaggio, un migrante, nel silenzio più assordante e indifferenza di ogni mezzo mediatico.

Là dove la vita vale pocoCredits: fanpage.it

COMO. Questa è una storia vera, la storia di Abdellah Toure. Il suo corpo è stato trovato il 12 ottobre, privo di vita, ucciso. Siamo a Como, al confine con la Svizzera. Qui negli ultimi anni sono arrivati molti più migranti degli anni precedenti. La cronaca, non soltanto quella dei giornali locali, è stata sul pezzo con protagonisti centinaia di migranti bloccati alla stazione ferroviaria, sui prati vicini, in un campo profughi allestito e da pochi giorni chiuso, non ancora smantellato perché qualcuno propone di utilizzarlo come centro di accoglienza per i senza tetto soprattutto adesso che è in arrivo l’inverno.

Sono in corso le indagini della Polizia. Pare che Abdellah sia stato ucciso in un luogo differente da quello in cui è stato ritrovato il cadavere, avvolto in un lenzuolo con un cuscino coperti di sangue. Accanto a lui c’era un cellulare, il corpo era lì da una dozzina di giorni. Nel corso delle indagini si è scoperto che Abdellah sembra sia stato ucciso lanciato da uno dei piani del Centro Salesiani a Sagnino, periferia nord di Como da cui si vede Chiasso, periferia sud della Svizzera.

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I membri di Open Arms “rischiano pene tra i 4 e i 7 anni di prigione”

Fonte Meltingpot.org

La Colau offre il ’supporto giuridico’ di Barcellona e ’tutto quanto possa essere utile per aiutare

- Link all’articolo originale (ESP) su ElPlural.com del 19 marzo 2018

Traduzione a cura di: Anna Latino, Angela Ciavolella

Il fondatore e direttore dell’ONG Pro Activa Open Arms, Oscar Camps, ha affermato oggi che i tre membri dell’equipaggio accusati in Italia per aver soccorso i migranti “rischiano tra i 4 e i 7 anni di prigione”, pertanto ha sottolineato che ora la priorità è quella di “lottare affinché non vengano incarcerati”.

La procura di Catania ha disposto questa domenica il sequestro dell’imbarcazione spagnola “Open Arms” e l’apertura di un’indagine per il possibile reato di “favoreggiamento dell’immigrazione illegale” ai danni dell’Italia.

I capi d’imputazione contro l’equipaggio attraccato in Italia sono un pretesto; l‘obiettivo è quello di “bloccare l’intervento delle organizzazioni umanitarie” nel Mediterraneo, ha affermato Camps.

In conferenza stampa ha spiegato che per la prima volta l’organizzazione ha dovuto chiedere aiuto al governo spagnolo per poter attraccare in un porto.

Più concretamente, il fondatore dell’ONG ha spiegato che l’organizzazione si è messa in contatto con il console spagnolo in Sicilia, ed è stato il governo a negoziare con l’esecutivo italiano affinché l’imbarcazione potesse attraccare nel porto di Pozzallo.

Camps ha spiegato che “la ragione addotta è la questione meno rilevante”, e che “avrebbero potuto accusarli di insubordinazione o di qualsiasi altra cosa”, con l’unico obiettivo di bloccare le attività delle organizzazioni nel Mediterraneo.

La ragione addotta è la cosa meno rilevante e sarà molto difficile per la Procura italiana dimostrare ciò che afferma; sappiamo che tutto questo va molto più in là della decisione di un singolo Procuratore, e che alla fine dietro a tutto questo c’è l’Unione Europea”, ha affermato Camps.

Secondo la ONG, “i tre membri dell’equipaggio sotto indagine rischiano dai 4 ai 7 anni di prigione, e tra le ragioni addotte c’è quella di aver agevolato il traffico di esseri umani”; la priorità è quella di “lottare affinché non siano incarcerati”, ha affermato Camps, che ha sottolineato anche che, “per il momento”, i membri dell’equipaggio resteranno in Italia.

Siamo passati dall’essere vittime di un’aggressione all’essere accusati dalla Procura di Catania, e stiamo aspettando che il giudice confermi i capi d’accusa”, ha sottolineato Camps, il quale ha assicurato che il caso sarà portato “tanto lontano quanto sarà necessario”.

Il direttore dell’Open Arms si è detto convinto che la misura cautelare che mantiene l’imbarcazione dell’ONG sotto sequestro “sarà sicuramente definitiva, visto che la scorsa estate un’altra associazione si è trovata nella medesima situazione e la sua imbarcazione è tuttora bloccata in un porto italiano”.

Il fondatore dell’ONG ha aggiunto che la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha contattato il Ministro degli Affari Esteri, Alfonso Dastis, e che l’organizzazione si è messa in contatto con il console spagnolo in Sicilia, precisando che è stato il governo spagnolo a negoziare con l’esecutivo italiano affinché l’imbarcazione potesse attraccare nel porto italiano di Pozzallo.

Nello specifico, la Colau ha annunciato che Barcellona “farà tutto quanto possa essere utile per aiutare” e che offrirà “supporto giuridico”: “se verrà avviato un processo faremo sapere che la Open Arms non è sola”, ha dichiarato.

Se si tratta di un’imbarcazione che batte bandiera spagnola, il Governo deve fare tutto il possibile affinché le persone siano rilasciate”, ha sottolineato la Sindaca, la quale ha aggiunto che si tratta di “quanto di più grave stia accadendo in Europa in questo momento”.

La Pro Activa Open Arms ha denunciato la “campagna di diffamazione che le organizzazioni che operano nel Mediterraneo stanno subendo dal 2016”: Camps ha sottolineato che da allora “le difficoltà sono andate via via crescendo e i toni si sono alzati”, e che ora addirittura “si è passati direttamente all’attacco militare”.

Ad ogni modo, il fondatore dell’ONG ha assicurato che, nonostante la situazione in cui si trova oggi, l’organizzazione non smetterà di operare nel Mediterraneo; ha inoltre difeso l’equipaggio, perché “ha fatto ciò che bisognava fare”.

Se il sequestro della nave dovesse prolungarsi, Camps non esclude di inviare altre imbarcazioni poiché sostiene che la missione “è quella di salvare le persone che si trovano in pericolo in mare”.

La sindaca di Barcellona ha esortato gli Stati europei “ad adempiere ai propri obblighi legali ed accogliere chi fugge dalla guerra”.

Non ci prendiamo in giro: chi scappa continuerà ad arrivare, indipendentemente da quante barriere o da quanti mari ci siano di mezzo”, ha affermato la Colau.

L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu

Fonte Pressenza.com

21.11.2017 – Redazione Italia

L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu
(Foto di Medici senza Frontiere)

“Cos’è oggi la Libia si sapeva già…”. O, ancora: “Sono cose terribili, ma in fondo già note”. E via di questo tono. E’ con dichiarazioni di questo genere che vari esponenti del Governo e del Parlamento italiano hanno reagito alla dura presa di posizione di Zeid Raad Al Hussein, il commissario Onu per i diritti umani il quale, evidenziando l’orrore dei lager libici, ha contestato la politica migratoria dell’Unione Europea, condannando in particolare l’accordo tra Roma e Tripoli per fermare gli sbarchi. “E’ disumana – ha detto testualmente Zeid Raad – la scelta Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. La conferma di questo inferno è arrivata, in quelle stesse ore,  da un reportage della Cnn che ha documentato la vendita all’asta di alcuni profughi come schiavi, esattamente nei modi che diversi richiedenti asilo sbarcati in Italia hanno raccontato negli ultimi mesi a varie Ong e operatori umanitari. Ma la reazione alle immagini sconvolgenti della Cnn da parte della politica italiana è stata sostanzialmente la stessa: “Già si sapeva…”. Ovvero, nessuna presa di distanza ma, anzi, quasi una auto-assoluzione e un ulteriore supporto alla Libia. Non a caso i principali giornali libici – ad esempio il Libya Herald o il Libyan Express – hanno titolato: “L’Italia difende la Libia contro l’Onu dall’accusa di accordo inumano sui migranti”.

Allora, “si sapeva”. Certo che si sapeva. A parte tutti i dossier e le denunce alla stampa che si susseguono da anni ad opera di Ong come Medici Senza Frontiere, Amnesty, Medici per i Diritti Umani, Human Rights Watch, sono numerosi i rapporti fatti anche da istituzioni internazionali. Qualche esempio, solo negli ultimi 12 mesi.

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Migranti, il Viminale a nervi scoperti: «Ong e Caritas dicono stupidaggini»

fonte ildubbio

Il capo di gabinetto del ministero Mario Morcone nega ogni responsabilità italiana nei respingimenti, poi attacca Amnesty e il Consiglio d’Europa

«Io non seguo le stupidaggini che dice Amnesty international né il responsabile dei diritti umani europeo, ancora devono trovare i manganelli elettrici che avremmo utilizzato negli hotspot e ancora mi devono dare la prova dei respingimenti di migranti in Libia da parte dell’Italia. Stiamo discutendo di un paese che sta cercando di ritrovare una sua stabilità, di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se poi mettiamo in discussione una istituzione riconosciuta dalle Nazioni unite, il discorso è diverso».

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