IL 25 APRILE CON UN PARTITO FASCISTA AL GOVERNO

di Tomaso Montanari (*)

Non è un 25 aprile come tutti gli altri che, dal 1945, lo hanno preceduto: perché è il primo in cui il governo e le massime istituzioni della Repubblica sono in mano a un partito fascista.
Per reagire, e per onorare davvero la lotta e il sacrificio dei partigiani, è doveroso avere il coraggio di dirlo senza remore: diffondendo le argomentazioni di coloro che, nei loro studi, non solo lo dicono, ma lo dimostrano testi alla mano.
Ne cito, a titolo di esempio, due di genere e taglio assai diversi: il recente saggio dello storico inglese David Broder (Mussolini’s Grandchildren. Fascism in Contemporary Italy, Pluto Press 2023), e l’inchiesta del giornalista Andrea Palladino (Meloni segreta, Ponte alle Grazie 2023). È quindi necessario chiedersi come sia stato possibile: perché «prima di agire, bisogna capire», come dicevano i fratelli Rosselli un secolo fa. E qua la risposta è necessariamente articolata, almeno in tre punti.

Primo. Ci sono ragioni storiche di lungo periodo: dopo la guerra non si sono fatti i conti fino in fondo con il fascismo e con i fascisti. Il malinteso imperativo della continuità dello Stato ha impedito la necessaria discontinuità della classe dirigente, e una troppo veloce e larga auto-assoluzione ha restituito agli italiani l’illusione di essere ‘brava gente’ (su questo si veda, da ultimo, P. Corner, Mussolini e il fascismo. Storia, memoria e amnesia, Viella 2022): un’illusione che ha permesso una ricaduta nella malattia.
Inoltre, il viscerale anticomunismo del capitalismo italiano e degli Stati Uniti ha consentito che risorgesse, in barba al veto costituzionale, un partito ovviamente fascista, che alla fine (dopo ‘svolte’ totalmente false) è stato riportato al governo (negli enti locali e nel Paese) da Silvio Berlusconi, sempre in chiave anticomunista e grazie all’involuzione (profondamente contraria allo spirito della Costituzione) di un sistema elettorale maggioritario, e dunque tendenzialmente bipolare.
Tutto questo culmina nello sbandamento di una ‘sinistra’ che – da Violante a Ciampi, dalla legge sul Giorno del Ricordo ai troppi silenzi di Sergio Mattarella – finisce con l’affondare più o meno consapevolmente l’antifascismo della Repubblica.

Secondo. Questi fatti spiegano perché i fascisti non siano spariti, non perché siano tornati alla guida del Paese. E qua la spiegazione è nel drammatico smontaggio del progetto costituzionale avvenuto soprattutto ad opera dei governi di centro-sinistra: quello era il progetto dell’antifascismo per l’Italia, quello abbiamo distrutto.
Nelle parole di Piero Calamandrei, quel progetto consisteva nel «dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d’uomini.
Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale» (1955).

Le democrazie puramente formali presto si ammalano e muoiono: ed è esattamente quel che è avvenuto a noi. Siamo malati, e la diagnosi non è delle più fauste. La profonda ingiustizia sociale ha allontanato i cittadini dalla democrazia: e un astensionismo enorme ha portato – con i voti del 28% degli aventi diritto al voto – al governo del Paese una coalizione di estrema destra, guidata da un partito fascista. In questa (ovvia) analisi c’è anche il rimedio: l’unico antifascismo in grado di rigettare i fascisti nelle fogne della democrazia, è una politica che ricominci a costruire giustizia sociale, e dunque partecipazione.

Terzo. Manca ancora un pezzo di risposta per spiegare come sia stato possibile che in un paese come l’Italia i fascisti siano tornati al governo. Quel pezzo si trova in una intervista di Marine Le Pen concessa a Repubblica pochi giorni fa. Qui la leader dell’estrema destra francese diceva di avere le stesse idee di Giorgia Meloni, tranne che su un punto: la guerra. Alludeva all’attuale, oltranzistica, fedeltà atlantica di Meloni: la quale, ribaltando una lunga retorica antiamericana, sposa ora senza riserve le ragioni della Nato, delle armi, della acritica sottomissione alla dottrina americana che vuole il mondo dominato da una sola potenza, in nome della superiorità della cultura occidentale.
Questa differenza, cruciale, tra Le Pen e Meloni spiega perché il Front Nationale sia pacificamente definito da tutti come un partito di estrema destra, xenofoba e razzista, mentre per Fratelli d’Italia la stampa occidentale preferisca parlare di forza ‘conservatrice’: anche se le idee sono esattamente le stesse (salvo, appunto, una: ma decisiva).
La triste verità è che, per gli Stati Uniti e per le classi dirigenti europee, lo spartiacque non è quello tra fascismo e antifascismo, ma tra fedeltà atlantica (ivi compresa un’acritica accettazione del dogma del TINA neoliberista) e multilateralismo.
Per questo si accetta di buon grado che l’Italia si trovi nella condizione della Polonia: con un governo illiberale e xenofobo che però offre assolute garanzie nella lotta contro la Russia, e quindi contro la Cina. Naturalmente questo significa concedere ai governi di estrema destra mano libera sui diritti civili, e sulle vite dei marginali (poveri, migranti, diversi di ogni sorta): un danno collaterale irrilevante nel grande scacchiere della volontà di potenza mondiale.

Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra.
Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più.
Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti.

In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU).
È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio.
La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani).

La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia.
Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti).
Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti.

Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni.
Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica.

Un nuovo fascismo, dunque: che non ha necessariamente bisogno dei labari del Ventennio. Ma che quel progetto comunque resuscita e persegue: soprattutto in una mistica della violenza e della morte che ha nei neri, nei musulmani, nei diversi i propri eterni obiettivi.
Lo dimostra il fatto che la politica di questo governo fascista attacca frontalmente alcuni principi fondamentali della Costituzione antifascista: l’articolo 9 (perseguendo la difesa di una nazione che si darebbe per via etnica e non culturale, come invece vuole proprio quell’articolo), l’articolo 10 (negando di fatto il diritto d’asilo e blindando le frontiere contro chi non gode in patria delle nostre stesse libertà democratiche), l’articolo 11 (usando la guerra come strumento della politica internazionale, e non perseguendo affatto la pace e la giustizia attraverso la nostra partecipazione a organismi internazionali: non solo nella sudditanza alla Nato, ma per esempio anche nel rifiuto, in Unione Europea, di opporsi alle politiche omofobe ungheresi).

È questo ciò che dobbiamo saper vedere, in questo 25 aprile 2023. Il fascismo può apparire nuovo e diverso, ma alla fine il suo obiettivo è sempre e comunque quello di abbattere quel progetto di pace, giustizia, uguaglianza e democrazia che la Costituzione incarna. È un pericolo reale, e incombente: perché forse non potranno tornare in Italia i fascisti col fez e la camicia nera, ma certo potremmo veder nascere un regime violentemente razzista e autoritario, come quello polacco o quello ungherese.
E nessuno sa cosa verrebbe dopo. Per questo, oggi, non dobbiamo limitarci a celebrare le gesta dei nonni: dobbiamo impegnarci con tutti noi stessi perché i nostri figli non siano costretti a ripeterle.

(*) Da Volere la Luna.

La guerra come automatismo di de-globalizzazione

di Franco Berardi Bifo

fonte Altraparolarivista.it

 

Il nazionalismo come forma generale della de-globalizzazione

In un libro del 1946 Die Schuldfrage, Karl Jaspers, uno degli ispiratori del movimento esistenzialista, disse che dovremmo distinguere tra il nazismo come evento storico e il nazismo come corrente profonda della cultura europea, che può riemergere.

Le dinamiche sociali e culturali che hanno dato origine al nazismo nel secolo passato hanno qualcosa di simile alle dinamiche sociali contemporanee, ma il contesto storico, psichico, e soprattutto tecnico è molto differente.

Jaspers scrive in quel testo che la caratteristica per eccellenza del nazismo è il tecno-totalitarismo e sostiene che una piena manifestazione della natura del nazismo potrebbe riapparire in futuro.

Ci si può chiedere se quel futuro sia adesso, e la mia risposta è che le condizioni di una riproposizione su scala enormemente allargata del nazismo stanno emergendo dalla proliferazione di movimenti identitari, neo-reazionari, e nazionalisti che prendono forme diverse e anche tra loro conflittuali come nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, in cui due modelli ugualmente nazionalisti si scontrano militarmente.

Anche Timothy Snyder il quale, in Black Earth: The Holocaust as History and Warning, osserva che la l’impotenza e il terrore provocato da situazioni di emergenza di massa, come le catastrofi ecologiche o le prolungate crisi economiche sono le condizioni più inclini alla formazione di regimi totalitari.

Queste condizioni discendono dalla successione di traumi che l’umanità planetaria ha attraversato e sta attraversando: il trauma sanitario della pandemia, il trauma provocato dallo scatenarsi degli elementi nell’ambiente devastato, il trauma bellico che sta producendo effetti destabilizzanti ben al di là del territorio ucraino in cui la guerra si combatte.

Eppure, sebbene alcuni aspetti di quell’esperienza siano effettivamente riaffiorati negli ultimi anni il nazi-fascismo non riapparirà mai nella forma storica che conoscemmo nel ventesimo secolo.

Ripensiamo ai modi della soggettivazione negli anni ’20 del secolo scorso in Germania, dopo l’umiliazione e l’impoverimento imposti al Congresso di Versalles.

Umiliazione e impoverimento crearono le premesse psicologiche di una reazione aggressiva.

L’impoverimento dei lavoratori tedeschi e l’umiliazione della nazione tedesca furono la base psico-sociale su cui qualche anno più tardi Adolf Hitler costruì il consenso che gli permise di vincere elezioni democratiche.

Il senso del suo discorso può ridursi a un’esortazione: “Non pensate a voi stessi come lavoratori sconfitti e impoveriti. Pensate a voi stessi come tedeschi, come guerrieri bianchi, e vincerete”.

Come sappiamo, non vinsero. Ma distrussero l’Europa.

Dalla Russia di Putin all’India di Modi all’Italia di Meloni il potere politico ripete oggi dovunque la stessa esortazione: “Non pensate a voi stessi come lavoratori sconfitti e impoveriti, pensate invece a voi stessi come guerrieri bianchi (o induisti, o islamisti), e vincerete.

Non vinceranno, ma stanno distruggendo il mondo. Per il momento infatti non è chiaro cosa possa fermare la tempesta perfetta che si è scatenata a partire dalla diffusione del virus, ma che andava preparandosi da almeno un decennio, da quando cioè la crisi finanziaria del 2008 scardinò il sistema economico internazionale e la crisi del sistema finanziario venne interamente scaricata sui lavoratori, mettendo in moto un processo di cui oggi cominciamo a vedere gli effetti.

Negli anni ’60 Gunther Anders, ebreo tedesco emigrato e poi rientrato in Germania, osservava che l’arma nucleare costituiva una novità tecno-militare destinata a produrre un effetto di impotenza, terrore e umiliazione i cui effetti possono manifestarsi attraverso l’emergere di quello che lui chiama il Terzo Reich a venire.

Il Nazismo futuro di cui Anders parla nasce dall’impotenza degli umani di fronte all’arma assoluta, che è un prodotto della loro intelligenza ma paralizza l’intelligenza. L’impotenza degli umani di fronte a questa concrezione ostile della loro potenza genererà, dice Anders una reazione aggressiva e gregaria.

Il passaggio finale verso la precipitazione che Anders presagiva potrebbe essere la guerra che la Russia ha scatenato con l’invasione del 24 febbraio, e che gli Stati Uniti avevano lungamente preparato e perfino preannunciato con un’intervista di Hilary Clinton in cui si parla dell’Ucraina come nuova Afghanistan per la potenza russa.

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Agnoletto: in Lombardia la salute è stata trasformata in merce

Fonte Pressenza.com

Vittorio Agnoletto è stato inserito dalla rivistaSanità Informazione fra i 10 professionisti della scienza che nel 2021 hanno avuto un impatto nellalotta alla pandemia; è il portavoce italiano della campagna europea No profit on Pandemic; facciamo con lui il punto della situazione.

Come sta andando la campagna e quali sono le prospettive?

La campagna nessun profitto sulla pandemia diritto alla cura si sta ampliando continuamente ed è sostenuta dalla società civile di tutta Europa. E’ evidente che oggi ha acquisito ancora maggiore importanza che nel passato; la vicenda della variante Omicron dimostra che lì dove non arrivano i vaccini è più facile che si sviluppi una variante maggiormente aggressiva che poi circola in tutto il mondo e noi non sappiamo quanto i vaccini che stiamo utilizzando saranno in grado di bloccare quella variante. Per esempio, oggi stiamo sperimentando che i vaccini disponibili sono efficaci in misura ridotta contro Omicron; sono migliaia e migliaia le persone vaccinate che comunque si sono infettate, anche se sembra fortunatamente che Omicron sia meno aggressivo della variante Delta. Ma questa situazione ci manda un segnale per il futuro: se arriveranno altre varianti maggiormente aggressive non è detto che i vaccini riusciranno a fermarle.

L’obiettivo che noi abbiamo adesso come campagna europea è lo stesso che hanno i movimenti di tutto il mondo: chiedere che l’Organizzazione Mondiale del Commercio si riunisca; la riunione prevista per il 30 novembre è stata rinviata a causa dell’impossibilità delle delegazioni di raggiungere Ginevra per via delle limitazioni sui voli a causa di Omicron; noi siamo sicuri che la decisione di sospensione momentanea dei brevetti possa essere assunta anche in una riunione online nella quale venga accolta la proposta di India e Sudafrica per una moratoria di tre anni. Nel frattempo, bisogna fare il possibile per modificare la posizione della Commissione Europea che è tale perché è sostenuta da diversi governi europei tra i quali Germania, Francia e Italia. Quindi il nostro governo ha un’enorme responsabilità e questo è il motivo anche dell’appello che, l’ultimo dell’anno, ho rivolto al Presidente del Consiglio Draghi chiedendogli un atto formale del Governo Italiano di appoggio alla proposta di moratoria, votato in Parlamento, approvato in Consiglio dei Ministri e formalizzato all’interno delle istituzioni europee.

A proposito del governo: un tuo commento sugli ultimi provvedimenti e sulla sua strategia generale.

Spesso sembra che le decisioni assunte dal governo rispondano a meccanismi di compatibilità politica dei partiti che formano il governo e alle pressioni di Confindustria ed altri settori economici.

Per esempio, la decisione di cancellare la quarantena per chi è venuto in contatto stretto con un positivo e ha fatto tre dosi di vaccino o greenpass rafforzato da meno di 4 mesi risponde a valutazioni politiche del governo ed è comprensibile che incontri il plauso di molte persone attualmente rinchiuse in casa. Ma dal punto di vista scientifico non ha alcuna giustificazione: gli oltre 126 mila positivi identificati qualche giorno fa, in sole 24h, non sono certamente stati tutti contagiati da non vaccinati e inoltre, a differenza di quanto avviene per i ricoverati in terapia intensiva e per i deceduti, per i positivi non vengano fornite le percentuali tra vaccinati e non vaccinati.

Ad infettarsi con la variante Omicron sono anche moltissime persone vaccinate tre volte, le quali, se è vero che raramente evolvono verso le fasi avanzate della malattia è altrettanto vero che diventano potenziali involontari propagatori dell’infezione. Con Omicron il massimo dell’infettività si ha nei 2-3 giorni precedenti alla comparsa dei sintomi e nei 2-3 giorni successivi; dal punto di vista scientifico avrebbe avuto quindi più senso ridurre il tempo di isolamento per chi è risultato positivo ma asintomatico e ridurre, senza azzerarla, la quarantena per i contatti. Ma a prevalere non sono state le considerazioni sanitarie ma le ragioni dell’economia o meglio dei padroni dell’economia e il rischio di veder crescere ulteriormente positivi e di conseguenza i ricoverati e i deceduti è concreto.

Il comitato tecnico-scientifico conosce queste evidenze e avrebbe dovuto considerarle; chi governa deve compiere delle scelte e assumersene le responsabilità senza però piegare la scienza ai suoi obiettivi.

Ma soprattutto è sbagliato pensare una strategia centrata solo sui vaccini: i vaccini svolgono un ruolo fondamentalema per bloccare o limitare la diffusione del virus da soli non sono sufficienti. E’ necessario insistere sul distanziamento, sull’uso delle mascherine che avevano raggiunto prezzi esorbitanti (prima che il governo finalmente stabilisse un prezzo fisso), rendere gratuiti i tamponi (il cui costo reale è di pochi euro) in modo tale che le persone possano sapere subito se sono infette. Sono misure di sanità pubblica fondamentali. Se invece i tamponi non si trovano e bisogna andare dai privati e pagarli 100-170€ e fare sei ore di coda in piedi al freddo, è evidente che meno persone andranno a fare il tampone e quindi rischieranno di infettare altri.

Ci sono anche altre misure di sanità pubblica che avrebbero dovuto essere praticate; hanno avuto un tempo lunghissimo per aumentare il numero dei mezzi di trasporto urbani e interurbani, ma nulla è stato fatto; avrebbero dovuto: potenziare il servizio di medicina del lavoro per andare almeno a verificare l’uso dei dispositivi di protezione individuale e il rispetto del distanziamento; incentivare lo smart working anziché criminalizzarlo; sdoppiare le classi pollaio, cercare altre aule, modificare gli orari. Nulla di tutto questo.

Per non parlare del fatto che ormai da oltre un mese si è totalmente rinunciato al contact tracing, cioè si è rinunciato a inseguire il virus. Tutta l’attività di medicina territoriale è stata ridotta ai minimi termini, i medici di famiglia sono stati totalmente abbandonati a se stessi.

Si punta solo e unicamente sul vaccino, ma il vaccino moltiplicherebbe la sua utilità se fosse inserito in una complessiva strategia di sanità pubblica.

La pandemia ha messo in evidenza tutte le decadenze di un sistema sanitario privatizzato: dove chiediamo di intervenire con forza per evitare futuri disastri?

Il disastro che una regione come la Lombardia ha sperimentato nella prima fase della pandemia, ma che sta sperimentando anche adesso, non è un fatto isolato: la Lombardia è semplicemente una delle regioni in Europa dove maggiormente il liberismo è penetrato all’interno della sanità e dove la salute è stata trasformata in merce. Fino a prima della pandemia era il modello a cui guardavano alcune forze politiche non solo di destra, ma anche che si collocano nel centro-sinistra.

Perché c’è stato il fallimento del modello lombardo e si sono evidenziati enormi limiti anche a livello nazionale nelle strategie di contrasto alla pandemia? I motivi sono tanti.

Primo: la forte penetrazione delle strutture private all’interno del servizio sanitario pubblico attraverso i meccanismi di accreditamento; il privato quando interviene in sanità, come in qualunque altro settore, ha l’obiettivo di costruire i profitti e questi in sanità si costruiscono sui malati e sulle malattie non sulle persone sane e sulla salute. Ha quindi un obiettivo diverso da quello del servizio sanitario pubblico in cui più si riesce a prevenire, più si riduce il numero dei malati e delle malattie, più lo Stato, cioè noi, risparmiamo. La conseguenza di questa forte presenza del privato nel servizio sanitario pubblico è che quest’ultimo si è andato modellando sempre più a somiglianza del modello privato, scegliendo di abbandonare a se stessi i servizi di prevenzione e la medicina territoriale, ignorando l’epidemiologia, non aggiornando il piano pandemico e lasciando unicamente sulla carta, ma non nella realtà, un piano di allertche fosse in grado di attivare immediatamente le necessarie indagini sanitarie ogni volta che giungesse dai medici del territorio la segnalazione della comparsa di una nuova patologia o il moltiplicarsi, senza un’apparente ragione, di alcuni quadri clinici.

Secondo: noi abbiamo un servizio sanitario concentrato quasi unicamente sulla cura e con un approccio totalmente individualizzato; la prevenzione quasi non esiste. La medicina negli ultimi 30-40anni ha avuto come obiettivi fondamentali aumentare l’attesa di vita e il numero di giorni trascorsi senza malattia degli ultrasessantacinquenni. Si è cercato di realizzare questi obiettivi unicamente attraverso interventi personalizzati puntando sullo sviluppo della chirurgia e di nuovi farmaci. Oggi, di fronte a una pandemia si riduce il numero dei morti se si interviene il prima possibile per evitare che l’agente infettivo si diffonda, limitandone la diffusione; per fare questo è necessario un rapporto stretto tra il servizio sanitario e la popolazione, tra i professionisti della salute e le strutture sociali intermedie, perché se si devono modificare dei comportamenti dei cittadini è fondamentale un rapporto stretto con le strutture organizzate nella società. Questo riguarda la pandemia, ma anche l’impatto delle tematiche ambientali sulla salute, dei tumori ecc. E’ necessario cambiare il paradigma della medicina.

Oggi bisogna potenziare la medicina di comunità che è fondata sull’individuazione dei bisogni sanitari di ogni popolazione, l’elaborazione di un progetto sanitario, l’individuazione degli obiettivi prioritari con la conseguente capacità di andare a verificare se questi obiettivi sono raggiunti o meno. Riprendere per capirci alcune delle intuizioni di “Nemesi Medica di Ivan Illich.

Se tutto questo non ci sarà, e così sembra da come vengono individuate le priorità sanitarie con i fondi del PNRR, rischieremo, nel caso di una nuova pandemia, di trovarci una situazione molto simile a quella attuale.

E’ risultato molto controverso il tema della vaccinazione a adolescenti e bambini. Quale la tua opinione a riguardo?

Nell’ultimo mese è stata fatta una campagna a tamburo battente perché venissero vaccinati i bambini dai 5 agli 11 anni; a fronte di una posizione assolutamente decisa in questa direzione della Società Italiana di Pediatria altre società pediatriche come quelle francese, tedesca, norvegese e varie realtà scientifiche europee hanno assunto posizioni molto diverse. Qual è il punto? Di fronte ad ogni provvedimento si devono valutare i rischi e i benefici per ogni specifica popolazione: i bambini ad oggi certamente si infettano, ma è rarissimo che sviluppino dei sintomi ed è ancora più raro che possono evolvere verso malattia grave; dall’inizio della pandemia i bambini tra i 5 e gli 11 anni deceduti per Covid sono 9 e nella quasi totalità erano bambini con altre gravi precedenti patologie. L’infezione da Coronavirus-19 nei bambini si presenta in genere in modo completamente asintomatico e sono rarissime e comunque clinicamente trattabili, altre patologie infiammatorie che si potrebbero sviluppare nei bambini a causa del Covid.

D’altra parte, la sperimentazione presentata dalla Pfizer ha coinvolto un numero estremamente limitato di bambini, poco più di 2,000, ed è durato pochi mesi; infatti la stessa Pfizer in un suo documento afferma “Il numero di partecipanti all’attuale programma di sviluppo clinico è troppo piccolo per rilevare eventuali rischi potenziali di miocardite associati alla vaccinazione. La sicurezza a lungo termine del vaccino COVID-19 nei partecipanti da 5-12 anni di età sarà studiato in 5 studi sulla sicurezza dopo l’autorizzazione, compreso uno studio di follow-up di 5 anni per valutare a lungo termine sequele di miocardite/pericardite post-vaccinazione” ; queste frasi sono presenti nel documento che l’azienda farmaceutica ha consegnato a EMA e a FDA (gli enti che in Europa e negli USA approvano l’immissione sul mercato di farmaci e vaccini). Stiamo parlando di una popolazione, i bambini, il cui organismo è in una fase di grande crescita e sviluppo, con caratteristiche differenti dal corpo di un adulto; il principio di precauzione non può essere ignorato.

Non mi pare quindi che per la popolazione tra i 5 e gli 11 anni vi siano forti evidenze che i benefici superino i rischi.

Vari colleghi, pur condividendo queste mie perplessità, obiettano che si debbano vaccinare i bambini per evitare che costoro poi infettino gli adulti; ma in questo caso l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di raggiungere i milioni di adulti che non si sono vaccinati e di convincerli.

La logica di vaccinare i bambini per evitare che trasmettano l’infezione ad un adulto, al di là delle possibili valutazioni etiche, perde gran parte delle sue ragioni, di fronte ai i dati di questi giorni, con migliaia di persone vaccinate che si sono infettate. Il vaccino è invece estremamente utile nel bloccare la progressione della malattia nelle persone positive; per questo l’obiettivo prioritario deve restare quello di vaccinare tutti coloro che potenzialmente potrebbero evolvere verso le fasi avanzate della malattia e come abbiamo detto, i bambini sono quelli che rischiano molto meno di tutti gli altri.

Questo non significa rifiutare a priori la vaccinazione dei bambini, ma aspettare che siano pubblicati i risultati di ricerche più vaste e più approfondite.

Ad oggi si potrebbe proporre la vaccinazione a tutti i bambini che hanno delle fragilità o delle altre gravi patologie, per i quali il Covid potrebbe rappresentare un rischio significativo.

Resto perplesso quando vedo gran parte del mondo scientifico italiano invocare, senza porsi nessun interrogativo scientifico e senza valutare i pro e i contro, la vaccinazione dei bambini come una delle soluzioni alla situazione attuale, mentre mi pare evidente che le priorità per contrastare il virus, oggi dovrebbero essere altre.

Ultima questione. Sono fermamente convinto che tutte le società scientifiche che sono chiamate a pronunciarsi, a fornire indicazioni, ad elaborare linee guida sulle terapie non dovrebbero ricevere fondi da aziende farmaceutiche che producono farmaci relativi alle patologie delle quali loro si occupano. Sarebbe un importante contributo per un dibattito più trasparente al riparo da qualunque conflitto d’interesse.

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Brasile, Covid-19: la nuova normalità del nuovo fascismo

foto Pressenza.com

Fonte : Pressenza.com

Autore Paolo D’Aprile

Lo sterminio deliberato di una comunità, un gruppo etnico, un popolo intero, per azione diretta od omissione di determinate azioni che potrebbero impedirlo, non fa più parte di una nefasta ipotesi, di un timore precoce determinato dalle parole proferite in comizi di piazza: lo sterminio genocida è la realtà che respiriamo ogni giorno. E adesso non più solamente attraverso le frasi mille volte usate durante la campagna elettorale come una promessa per risolvere i mali della nazione; ora quelle frasi sono divenute politica di governo, azione di Stato. L’autoritarismo fascistoide della nuova economia imposto da un mercato onnipresente, ci obbliga a leggere le statistiche e i numeri con la tipica indifferenza di chi ormai ha tutto si è abituato.

I mille morti al giorno… (in realtà 1200, 1300, 1400… ogni giorno, dai primi di maggio fino ad oggi) ormai sono una innocua nota a piè di pagina. E quando si fa menzione al termine “genocidio” non è certamente per banalizzare una parola che fa rabbrividire, ma per dire le cose come stanno veramente.

I documenti parlano chiaro: gli organi dello stesso ministero della salute, tre mesi fa avvisavano il nuovo ministro (il terzo dall’inizio della pandemia, un generale dell’esercito), sulla carenza delle sostanze necessarie alla fabbricazione dei medicinali fondamentali per il trattamento del Covid. E non solo: i documenti avvisavano la mancanza cronica di apparecchi e l’assenza di una logistica distributiva nel territorio nazionale di medicinali e materiali. I documenti arrivano alla stampa che incalza il ministro: “i responsabili della organizzazione sanitaria sono i singoli municipi e i singoli stati, non è il governo federale, né tanto meno il ministero della salute”.

I governatori di Stato implorano il governo affinché liberi quel settanta per cento di fondi destinati alla lotta contro il Covid, ancora immobilizzati nelle maglie burocratiche e che fino ad ora sono serviti per la compra e vendita dei voti parlamentari effettuata da Bolsonaro in modo da garantirsi l’appoggio del mondo politico alle sue azione governative. Niente. I governatori di Stato implorano, i sindaci implorano l’invio di fondi, apparecchi, medicine. Niente. Il ministro dice che non è compito suo. Arrangiatevi.

E così l’assenza di un piano generale, di un protocollo nazionale, di un comitato di crisi, l’insistenza a negare la pandemia, l’abbandono della popolazione alla propria sorte, si trasformano in azione/omissione con la finalità di sterminare fisicamente una popolazione indesiderabile. Se nelle periferie e nelle smisurate favelas urbane, tra la popolazione nera, il Covid ha una letalità tre volte maggiore, se questa popolazione che dipende esclusivamente dal servizio pubblico viene lasciata morire per la mancanza degli strumenti necessari alla cura, possiamo fare nostra la frase di Frei Betto: sì, in Brasile si sta consumando un genocidio.

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Quando le decisioni sul lavoro vengono prese dalla macchina

FONTE CONTRETEMPS.EU

Tuttavia, nonostante l’ondata di Trump, nessun segnale viene registrato sul lato aziendale, il che mostrerebbe una diminuzione dell’outsourcing della produzione verso paesi con bassi costi del lavoro. Al contrario, l’aumento delle competenze delle aziende in questi paesi consente loro di migliorare la propria offerta di servizi verso prodotti di fascia alta. D’altra parte, l’automazione influisce su tutte le attività, ma su lavori specializzati più fortemente intermedi. Questi sono caratterizzati da un lavoro di routine che coinvolge compiti intellettuali e manuali, eseguiti secondo un insieme esplicito di regole: industria manifatturiera (dagli elettrodomestici alle automobili) e attività di servizio (contatore, consulente clienti). Questa esternalizzazione e automazione sono le due principali cause identificate come che portano alla polarizzazione dei lavori che sembra preoccupare così tanto il FMI e l’OCSE. Questi fenomeni sono stati identificati in molti paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti[3] , Germania [4] e Francia [5] .

La polarizzazione dei posti di lavoro e i crescenti fenomeni che la accompagnano, come la flessibilità e la precarietà, in particolare attraverso lo sviluppo del subappalto di attività dalle più grandi aziende alle più piccole, portano a ciò che David Weil designa con il termine di luoghi di lavoro fessurati [6]  : un luogo in cui la diversità dello status dei lavoratori, una concorrenza sfrenata organizzata tra loro o tra i subappaltatori minano i salari, le condizioni di lavoro e la solidarietà. Phoebe Moore era particolarmente interessata all’influenza della digitalizzazione ( digitalizzazione) attività come strumento che accompagna (e consente in larga misura) questa destrutturazione del lavoro umano per profitti sempre maggiori per le aziende che avviano catene di valore con in cambio attività più vincolate e meno remunerate per la maggioranza dei lavoratori [7 ] .

Questo articolo fa parte di questa logica. Usando esempi concreti tratti dagli eventi attuali degli ultimi due anni, mostra la crescente tentazione che alcune persone sentono di considerare il lavoratore come un sostituto dell’automa: che è virtuale quando è è un algoritmo o nella forma molto reale di un robot nel settore.

 

Tanto lavoro umano il cui merito va all’algoritmo

Nel frattempo i robot. Indagando sul lavoro a click [8] , Antonio Casilli ha dimostrato quanto l’apprendimento, ma anche il funzionamento quotidiano dell’intelligenza artificiale, dipenda ancora dagli umani. Spesso il lavoro ripetitivo e poco remunerato, la mancanza di protezione sociale, l’isolamento professionale, lo status di lavoratore autonomo di questi lavoratori a scatto contribuisce a minare le basi della regolamentazione dell’organizzazione del lavoro attuata dalla fine del XIX secolo grazie le lotte dei lavoratori e quelle dei sistemi di protezione sociale.

Analogamente, negli ultimi anni è stato osservato che lo sviluppo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) in forme sempre più avanzate può avere l’effetto di degradare significativamente le condizioni di lavoro e aumentare i rischi. professionisti, mentre l’automazione sotto controllo sociale potrebbe avere risultati opposti: riduzione delle difficoltà fisiche e intellettuali, riduzione dell’orario di lavoro, ecc.

La cosa più sorprendente in questo caso è che sembra accadere in una relativa indifferenza del corpo sociale (a parte alcune lotte dei lavoratori), come se la presenza di software, algoritmo, automa eliminasse le abitudini datore di lavoro delle sue responsabilità in termini di salute e sicurezza sul lavoro e anestetizzato la risposta della società, anche degli Stati e degli organi competenti in materia di regolamentazione e controllo del lavoro e delle sue condizioni. Certo, i sindacati organizzano la risposta, ma sembra avere meno peso (o anche meno legittimità) che se si trattasse di aziende convenzionali e non di imprese dell’economia digitale.

La situazione è tanto più impegnativa in quanto la porosità sta aumentando di giorno in giorno tra le cosiddette compagnie classiche e quelle dell’economia dei concerti , i metodi di lavoro di questi ultimi percorrono sempre più verso i primi, in un momento in cui si stanno formando alleanze. , dove vengono organizzati i buyout e vengono create filiali comuni. Cosa sta succedendo allora? Come è cambiata la situazione negli ultimi anni che giustificherebbe prestare meno attenzione alla persona umana?

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A Davos la paura fa novanta

FONTE  PRESSENZA.COM

 

28.01.2020 – Marco Bersani – Comune-info

Al congresso sono tanti, dotti, medici e sapienti, per parlare, giudicare, valutare e provvedere”. Non serve scomodare Edoardo Bennato per percepire come a Davos,  tra sorrisi rassicuranti e sguardi cortesi, la paura dei potenti abbia assunto, per la prima volta, le vesti della padrona di casa. Il fatto è che sono giunti contemporaneamente al pettine due nodi potenzialmente devastanti per il destino del capitalismo, tanto caro ai partecipanti, accorsi da tutto il pianeta.

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Troppo buoni

 

FONTE CARMILLAONLINE

di Alessandra Daniele

 

In piazza contro Salvini ci sono le Sardine.
Ma dove sono i pastori sardi ai quali aveva promesso il latte a 1€ al litro?
Dove sono i lavoratori ai quali aveva assicurato l’abolizione totale della legge Fornero, e delle accise, al primo consiglio dei ministri dell’ormai defunto governo Grilloverde?
Perché gli elettori di Salvini ai comizi non gli chiedono conto delle cazzate che spara, invece di chiedergli un selfie?
E perché gli elettori grillini non riempiono le piazze per chiedere conto al Movimento 5 Stelle di tutti i continui voltafaccia, tradimenti, svendite, e sputtanamenti?
Com’è possibile che Matteo Renzi possa ancora mostrare in giro il suo faccione gommoso, senza che glielo spianino come la pasta della pizza?
Perché Zingaretti non viene spernacchiato a vista, quando proclama che la missione del PD è il titolo dell’ultimo pezzo sanremese di Elio e le Storie Tese, cioè “Vincere L’Odio”?
Il problema degli italiani non è la rabbia.
È la pazienza.
La rassegnazione.
I cileni, i francesi, i cinesi, i libanesi, gli iracheni, i boliviani, i catalani, gli iraniani s’incazzano.
Gli italiani sopportano.
Si sfogano sui social.
Ogni autunno, l’Italia frana. S’allaga, e si spappola nel fango.
Oggi è crollato un altro ponte.
E siamo solo a novembre.
In Italia ci sono ormai centinaia di crisi aziendali.
Le ditte licenziano, e se ne vanno.
Decine di migliaia di lavoratori aspettano che cali la scure.
Chi di loro protesta, lo fa in maniera completamente civile e pacifica.
Quando ogni tanto qualche manifestante davvero s’incazza, magari perché il padre è morto di Eternit, rovescia un cassonetto, o incrina una vetrina.
Il giorno dopo tutti i media gridano alla “devastazione”. E poi invocano lo Scudo Penale Totale Globale per le acciaierie che trasformano Taranto in un pianeta inabitabile per la specie umana.
Il simbolo delle Sardine ricorda il Pesce dei proto-cristiani.
Dalla Bestia social di Salvini hanno risposto con la foto d’un gatto che mastica un pesciolino. Si credono leoni del Colosseo. Ma sono solo leoni da tastiera.
In piazza ci sono le Sardine.
Però non basteranno, se nessun altro perderà la pazienza, vincerà la rassegnazione.
Diceva il vecchio slogan d’una marca di biscotti: il destino dei troppo buoni è finire mangiati.

Salvini : ” Riportare i migranti in Libia significa salvarli…” – Falso !

 

 

 

Come si può sopportare una propaganda falsa e disonesta come quella del ministro Salvini che continua ad affermare :

” Riportare i migranti in Libia significa salvarli….”

Il sito ufficiale della Farnesina viaggiaresicuri.it così descrive la sicurezza della Libia. Stralciamo la pagina del sito della Farnesina dedicato alla Libia, aggiornata al 12 febbraio 2019 :

‘….. Sicurezza
• Indicazioni generali, ordine pubblico, criminalità
A partire dall’11 gennaio 2017 l’Ambasciata d’Italia a Tripoli ha ripreso le proprie attività.
Si ribadisce l’invito ai connazionali a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza. Scontri tra gruppi armati interessano varie aree del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha). 
Valido al 23.02.2019, pubblicato il 12.02.2019 del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha).
Permane inoltre, anche nella capitale, la minaccia terroristica e elevato rischio rapimenti. Si registrano elevati tassi di criminalità anche nelle principali città e strade del Paese, tra cui il tratto stradale costiero dalla Tunisia all’Egitto.

Si ribadisce l’invito ai connazionali a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza. Scontri tra gruppi armati interessano varie aree del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha).

Permane inoltre, Valido al 23.02.2019, pubblicato il 12.02.2019
del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha). Permane inoltre, anche nella capitale, la minaccia terroristica e elevato rischio rapimenti. Si registrano elevati tassi di criminalità anche nelle principali città e strade del Paese, tra cui il tratto stradale costiero dalla Tunisia all’Egitto.
• Rischio terrorismo
Cellule jihadiste sono presenti in varie parti del Paese, inclusa la capitale. Attacchi terroristici rivolti a libici e stranieri, anche con ricorso ad autobombe, hanno avuto luogo a Tripoli (da ultimo contro la Commissione Elettorale il 2 maggio e contro la National Oil Corporation il 10 settembre 2018). Si sottolinea che standard adeguati di sicurezza non sono garantiti nemmeno nei grandi hotel della capitale, che sono anzi considerati ad
alto rischio. Si richiama inoltre l’elevato rischio di sequestri di cittadini stranieri, a scopo di estorsione o di matrice terrorista, in tutto il Paese. FONTE VIAGGIARESICURI.IT

Lo Stato smentisce lo Stato. O la Libia è un paese sicuro e il Ministero degli Esteri divulga notizie allarmistiche e false e per tale motivo dovrebbe cancellare questa pagina sulla Libia o, invece , è falsa la propaganda del ministro degli interni che continua ad affermare che la Libia è un paese “sicuro” per i migranti che vengono “salvati” dalle motovedette e portati nei lager gestiti da fazioni di criminali.

 

DI FRONTE AI RISCHI DI UN PROCESSO IL MINISTRO POPULISTA SI DA ALLA FUGA

 

Di fronte ai rischi nell’affrontare un processo per la vicenda della nave Diciotti il coraggioso Capitano se la da a gambe.
Meglio non rischiare, sarebbe difficile spiegare le ragioni del sequestro dei naufraghi per giorni sulla nave della Guardia Costiera italiana.
L’ultima trovata per trovare uno straccio di giustificazione riguarda la presunta presenza di terroristi islamici nascosti tra i naufraghi. I n questo caso, a maggior ragione, il ministro doveva sbarcare immediatamente  e identificare con precisione i naufraghi in modo da identificare gli eventuali terroristi o spacciatori…
Dopo le eroiche dichiarazioni di qualche giorno fa nelle quali  il Comandante ribadiva  di volere andare a tutti i costi a  processo, che non intendeva sottrarsi in alcun modo al giudizio della magistratura,   ieri ha cambiato  improvvisamente idea. I consigli di consulenti legali di fiducia l’hanno dissuaso a fare lo sbruffone, verosimilmente la preoccupazione di una eventuale condanna hanno indotto il dietrofront e la richiesta di solidarietà a tutto il governo.
Questa giravolta ha messo nei guai i M5S . Ora il giochetto è scoperto: devono condividere tutte le responsabilità del ministro. Non si possono più nascondere: hanno anche loro una responsabilità rispetto alle nefandezze compiute dal ministro degli interni.
Per gli elettori in buona fede del M5S è giunto il momento per una serie riflessione sul vicolo cieco in cui si sono infilati con il Contratto. Il “sequestro” dei naufraghi della nave Diciotti non era previsto … nel Contratto…

G.R.

UN PAESE BLOCCATO PER COLPA DI MINISTRI INCAPACI E IMPEGNATI SOLO A FARE PROPAGANDA ELETTORALE.

 

Lo scempio della nave SEA WATCH bloccata alla rada con 49 ostaggi-naufraghi a bordo, gli atti sempre più ossessivi del ministro degli interni sono la cifra di questa fine del mese di gennaio 2019.
Un argomento importante, la gestione dei flussi migratori,  per il momento non più prioritario, viene enfatizzato come fosse l’inizio e la fine di tutti i problemi di questo povero e disgraziato paese.
I dati dei flussi migratori sono crollati. Sulla enfatizzazione dei flussi migratori , ” siamo invasi”, si vuole continuare ad alimentare una tensione inautentica ed una polarizzazione dell’opinione pubblica utile per la campagna elettorale leghista per le elezioni europee del 26 maggio.
In questa rappresentazione delirante della realtà Salvini e Di Maio vorrebbero continuare fino maggio e forse oltre. Mentre si polarizza giustamente l’attenzione sullo scempio delle politiche del ministro dell’interno verso i migranti circa centomila ragazze e ragazzi se ne sono andate e andati dall’Italia per cercare opportunità di lavoro anche molto qualificate all’estero.
I provvedimenti del reddito di cittadinanza e quota 100 molto ridimensionati rispetto alle promesse elettorali saranno forse l’unico atto di governo nei prossimi mesi.
I cinque stelle perderanno molti consensi perchè la linea “governativa” di Di Maio ha svuotato l’impianto ideologico che in qualche misura aveva convinto fascie di elettorato non di destra a votarli, come atto di fiducioso “investimento”.
Ora questo “investimento” si è volatilizzato per l’adattamento del M5S alle politiche salviniane.
Bisogna ricominciare a parlare dei problemi da risolvere nel breve e medio periodo.
Non voglio ripetere l’elenco: occupazione e nuovi lavori da sviluppare con investimenti strategici, riassetto ambientale, strategie di riorganizzazione del sistema dei pubblici servizi, ecc
L’imperativo è cominciare a rimettere in agenda queste priorità e mantenere al contempo una presenza forte per contrastare la deriva disumana delle politiche del ministro degli interni contro gli immigrati.

Gino Rubini, editor di Onde Corte

Jair Bolsonaro: come le élite finanziarie lo hanno aiutato a prendere potere in Brasile – e perché potrebbero pentirsene

Fonte Alfabeta2

Heike DoeringCardiff UniversityGlenn MorganUniversity of Bristol, e Marcus GomesUniversity of Exeter

 Il Brasile ha appena vissuto una delle elezioni più importanti e divisivedalla fine della dittatura militare del paese dal 1964 al 1985. Le prime elezioni presidenziali dall’impeachment di Dilma Roussef nel 2016 hanno avuto luogo in uno scenario di instabilità politica ed economica. E questo si è rivelato terreno fertile per il vincitore – il conservatore populista di estrema destra, Jair Bolsonaro.

Molto è stato detto della retorica trumpiana anti-establishment di Bolsonaro e del palese disprezzo verso i diritti delle minoranze, che hanno avuto risonanza tra la popolazione sempre più disillusa dalla politica. Ma Bolsonaro ha anche vinto il sostegno dell’élite finanziaria del Brasile, che ha una lunga storia di influenza nella politica del paese.

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Là dove la vita vale poco

È stata uccisa una persona, che ha avuto una vita, che era in viaggio, un migrante, nel silenzio più assordante e indifferenza di ogni mezzo mediatico.

Là dove la vita vale pocoCredits: fanpage.it

COMO. Questa è una storia vera, la storia di Abdellah Toure. Il suo corpo è stato trovato il 12 ottobre, privo di vita, ucciso. Siamo a Como, al confine con la Svizzera. Qui negli ultimi anni sono arrivati molti più migranti degli anni precedenti. La cronaca, non soltanto quella dei giornali locali, è stata sul pezzo con protagonisti centinaia di migranti bloccati alla stazione ferroviaria, sui prati vicini, in un campo profughi allestito e da pochi giorni chiuso, non ancora smantellato perché qualcuno propone di utilizzarlo come centro di accoglienza per i senza tetto soprattutto adesso che è in arrivo l’inverno.

Sono in corso le indagini della Polizia. Pare che Abdellah sia stato ucciso in un luogo differente da quello in cui è stato ritrovato il cadavere, avvolto in un lenzuolo con un cuscino coperti di sangue. Accanto a lui c’era un cellulare, il corpo era lì da una dozzina di giorni. Nel corso delle indagini si è scoperto che Abdellah sembra sia stato ucciso lanciato da uno dei piani del Centro Salesiani a Sagnino, periferia nord di Como da cui si vede Chiasso, periferia sud della Svizzera.

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L’apartheid istituzionale si va rafforzando in Italia. Sulla bozza di decreto Salvini e sulle crescenti revoche dell’accoglienza – di Gennaro Avallone

FONTE EFFIMERA.ORG

L’apartheid istituzionale si va rafforzando in Italia.

Il Sole 24 Ore ha pubblicato il 23 agosto i contenuti della bozza di decreto legge che il Ministero dell’Interno sta elaborando per quanto riguarda il diritto di asilo e i diritti delle persone richiedenti protezione internazionale in Italia[1].

I contenuti più rilevanti riguardano l’aumento del numero di mesi di detenzione nei centri di espulsione (da 3 a 6 mesi); l’allargamento della lista dei reati che abilitano al rifiuto o alla revoca dell’asilo; la drastica riduzione delle possibilità di ricorso nel caso di diniego della domanda di protezione; la riduzione delle possibilità di ottenere la protezione umanitaria; la limitazione dell’accoglienza negli Sprar solo ai beneficiari di protezione internazionale o sussidiaria; l’esclusione dalla possibilità di iscrizione all’anagrafe (cioè di ottenimento della residenza) per le persone richiedenti asilo, per le quali si prevede un documento di riconoscimento particolare; la proroga di un anno per scrivere un testo unico sull’asilo.

Con e oltre Minniti

Particolarmente serio è il cambiamento che verrebbe prodotto da tre misure: quella che nega la residenza, quella che riduce le possibilità di riconoscimento della protezione umanitaria, quella che limita le possibilità di ricorso alle decisioni avverse alle domande di asilo.

La prima, quella che nega la residenza, un diritto ad avere diritti come ricorda un recente report con toolkit della campagna LasciateCIEntrare[2], significherebbe per le persone richiedenti asilo, ad esempio, l’esclusione dalla possibilità di avere il medico di base e di usufruire, di fatto, del servizio sanitario nazionale.

La seconda, relativa al riconoscimento della protezione internazionale, mette in pericolo la divisione dei poteri tra esecutivo e giudiziario, in quanto interviene nell’autonomia del lavoro delle Commissioni territoriali che vagliano le domande di asilo o, in caso di ricorso, dei tribunali.

La terza, quella che limiterebbe le possibilità di ricorso, determinerebbe un trattamento speciale e penalizzante verso una specifica parte della popolazione (quella richiedente asilo) in virtù del suo status giuridico.

Se i contenuti della bozza saranno confermati saremo oltre il decreto Minniti-Orlando, che ha già ridotto i diritti delle persone richiedenti asilo, e si approfondirà in maniera ulteriore una condizione di apartheid e di razzismo istituzionale a danno di questa parte della popolazione. La separazione tra nazionali e non nazionali si aggraverebbe, dunque, in modo ulteriore e, con essa, la condizione di vulnerabilità e marginalità civile e sociale della popolazione immigrata.

Il circolo della repressione

Questo scenario è in realtà già anticipato da quanto sta accadendo con l’accelerazione e la moltiplicazione delle revoche di accoglienza e con l’ulteriore spinta del Ministero nei prossimi bandi verso centri di accoglienza di grandi dimensioni[3]. In particolare, diversi attivisti ed attiviste registrano già da alcuni mesi l’aumento dei controlli prefettizi punitivi contro i migranti (per esempio, sull’orario di presenza) che provocano revoche di accoglienza[4].

La tendenza è quella di approfondire l’attacco alle persone migranti e non alla malaccoglienza, dunque, indebolendo sempre più le condizioni di vita di parte della popolazione richiedente asilo, ma anche titolare di protezione. Si produce così un’umanità indebolita nei diritti e nelle condizioni di vita, da utilizzare poi, nel circuito della repressione in caso di commissione di reati (o, apparentemente in modo paradossale, anche se sottoposta a condizioni gravi di sfruttamento) a fini di propaganda, dicendo che i migranti sono un pericolo sociale in quanto criminali o lavoratori a buon mercato che abbassano i livelli salariali e di sicurezza degli italiani, per cui ci vogliono politiche sempre più di controllo e di contrasto: alimentando una logica che si muove così all’infinito.

Il Ministero dell’Interno, con questa strategia, produce il problema, peggiorando gravemente la vita di centinaia di migliaia di persone, per poi proporsi come risolutore. Ovviamente, il trucco è chiaro, ma non basta la critica della ricerca sociale o del ragionamento a metterlo in discussione.

La produzione di popolazione debole e con status giuridici differenziati e poveri serve ad una parte dell’economia nazionale per mantenere i profitti alti in settori a basso valore aggiunto (alcuni comparti dell’edilizia, dell’agricoltura, dei servizi alla persona, della prostituzione e del turismo, soprattutto) e serve ad un’altra parte, quella politica, per alimentare la propaganda e accrescere il consenso di una società nazionale sempre più razzista anche perché poco interessata (ancora, per ora) ad organizzarsi per lottare collettivamente per i propri diritti e bisogni e, quindi, incline a seguire chi le propone di essere forte con i deboli in quanto non riesce (non è interessata) ad esserlo con i forti.

È questo corto circuito che va messo in discussione e per questo sono necessari la proposta e la mobilitazione politica, concentrate sui bisogni reali della popolazione al di là delle appartenenze nazionali, in una logica meticcia, che rompe il quadro razzista che le istituzioni governative vanno rafforzando di giorno in giorno e che il decreto del Ministro dell’Interno aggraverebbe, se promulgato, in modo ulteriore.

 

[1]          http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-08-22/stretta-migranti—ecco-nuove-regole-bozza-decreto-salvini-220721.shtml?uuid=AEIo5odF

[2]          http://www.lasciatecientrare.it/j25/italia/news-italia/357-diritti-on-line-il-toolkit-lasciatecientrare-per-l-iscrizione-anagrafica-di-stranieri-richiedenti-asilo-e-beneficiari-di-protezione-internazionale-una-guida-pratica-contro-discriminazioni-e-burocrazia

[3]          https://www.asgi.it/notizie/revoca-accoglienza-napoli/;https://altreconomia.it/accoglienza-bandi-prefetture/.

[4]           https://www.facebook.com/events/242142176503442/?notif_t=plan_user_invited&notif_id=1535196311399675

Bruno Giorgini: Scomunichiamo Salvini

FONTE INCHIESTAONLINE

L’anatema di Famiglia Cristiana è senza appello: Vade retro Salvini. Nel nome del Vangelo. E un religioso del peso di Matteo Maria Zuppi, cappellano del Papa nonchè arcivescovo di Bologna, scrive sull’Avvenire “Amate dunque il forestiero, perchè anche voi foste forestieri nella terra d’Egitto (..)Da una parte silenzi sulle cause lontane e vicine (delle migrazioni, ndr) e dall’altra parole di fatto violente nelle espressioni di sostanziale disprezzo. L’Italia ha un patrimonio di umanesimo che non deve mai essere messo in discussione”.

Dunque la Chiesa scende in campo per “accogliere, promuovere, proteggere e integrare”, individuando in Salvini l’artefice e il propagatore di pratiche – come la chiusura dei porti esplicitamente citata – che violano la pietas cristiana nonchè i diritti umani, per di più usando termini di “una volgarità inaudita”, quando dice per esempio che “la pacchia è finita”. I vescovi avvertono il Ministro dell’Interno che “Non si può brandire il Vangelo o il rosario per giustificare i nostri atti politici”. Non risparmiando i numeri della strage. Se Salvini twitta “Meno persone partono, meno morti ci saranno. Io lavoro per questo”, Famiglia Cristiana scrive: “dall’inizio dell’anno allo scorso 18 Luglio l’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha contato 1490 decessi su un totale di 51782 persone giunte in Europa via mare. Quasi un punto percentuale in più dei morti rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.” Mentre le critiche dell’Avvenire, giornale dei vescovi, contro Salvini non si contano, spesso smascherando le sue menzogne.

Per esempio quando in visita alla baraccopoli ghetto di San Ferdinando commenta: “questo è il risultato di anni di immigrazione incontrollata, alla Renzi, alla Mare Nostrum che hanno portato a questa giungla” e uno s’immagina folle di immigrati senza permesso di soggiorno, “i clandestini” parola tesa a indicare secondo la legge Bossi Fini una delinquenza. Ma non si tratta di “clandestini” e/o irregolari, bensì di lavoratori immigrati col permesso di soggiorno tenuti in condizioni di sfruttamento estremo e di vita indegna dal sistema dei caporali e dei padroni, tutti bravi italiani, ci mancherebbe. Di fronte a queste persone il nostro senza pudore alcuno ha aggiunto: “siccome ci sono 5 milioni di italiani in povertà, vengono prima loro per casa e lavoro”. Peccato che i negher una casa neppure sappiano cosa sia abitando in baracche alla bell’e meglio tenute in piedi, e che il loro lavoro sia pagato una miseria, ben al di sotto dei salari minimi per i braccianti italici. Salvo invece che muoiano per incidenti stradali ammassati nei furgoni fracassati dai TIR, quattro più dodici in un paio di giorni. Per sopramercato Salvini sta operando per depotenziare la legge contro il caporalato, approvata sull’onda dell’emozione per la morte dovuta a eccesso di fatica della bracciante pugliese Paola Clemente, perchè pare metta troppi lacci e lacciuoli a padroni e padroncini.

Insomma Salvini, seppure ostenta il rosario, par sulla soglia di una scomunica. Non ancora definita per editto papale, ma già assai avanzata nella società ecclesiale.

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“Inchiesta, ricerca, studio. Dalla ruota del criceto si può uscire”. Intervento di Gianni Marchetto

E adesso, che si fa? Aspettiamo il prossimo giro: tanto una volta l’anno si va a votare. A Venaria per avere 1 consigliere, 2 se ci va di culo…
Avete in mente un criceto. È un animaletto grazioso ma (forse) anche un po’ stupidello. Mettetelo all’interno di un “girello” e lui correrà come un matto, pur rimanendo sempre nello stesso posto.
A me sembra che la sedicente sinistra radicale sia un po’ come il criceto nel girello. Corre sempre (ad ogni appuntamento elettorale) ed è sempre ferma, inchiodata lì sul 3%, e questo da quel dì: dal 2008 (Lista Arcobaleno).
Essendo però affare di umani si potrebbe declinare tale comportamento utilizzando alcune categorie che ci può prestare la psicanalisi: “la coazione a ripetere”.
Epperò: essendo degli umani provvisti di cervello, memoria, cultura potremmo decidere di uscire fuori dal “girello” e guardarsi intorno per guardare alle cose, agli uomini e ai loro modelli culturali (accorgendosi che se non è già cambiato, questo mondo sta’ cambiando) e non avere sempre la “fissa” di riempire la testa dei nostri interlocutori delle nostre idee, quasi che queste teste siano delle “vasche vuote” in attesa di essere riempite con il nostro verbo di “sapienti”. Non è così. Le teste sono piene, magari di cazzate, ma occorre farci i conti con un salutare “corpo a corpo”.
Sapendo che (forse) la democrazia rappresentativa ha “esaurito la sua spinta propulsiva” dopo essere stata per un secolo un formidabile ascensore sociale specie per le classi meno abbienti. Può essere questo uno degli effetti della “globalizzazione” che ha messo in mano a tecnici e burocrati le sorti di milioni e milioni di persone il cui destino almeno nel breve periodo è di essere governati dai “piloti automatici” e/o da gabellieri eletti/nominati (gli attuali rappresentanti nei vari gradi delle assemblee elettive). Tutta gente che manco sappiamo dove abitano, dove non sappiamo più dove sono le loro finestre a cui lanciare le nostre sassate.

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Paura e povertà: l’Italia del dopo-voto

ARTICOLO TRATTO DA EDDIBURG

di Mario Pianta

La mappa dell’Italia che ha votato ritrae soprattutto due fenomeni: paura e povertà. Il centro-nord (Lazio compreso) si è affidato a un nuovo Centrodestra a egemonia leghista: nel nord della Lombardia e del Veneto è oltre il 50%, con la Lega che arriva a punte tra il 33 e il 38% nelle sue zone di insediamento tradizionale; nel Piemonte lontano da Torino il Centrodestra è vicino al 50%, con la Lega meno forte; nel resto del Nord è quasi ovunque oltre il 40%; in Emilia, Toscana e Umbria la percentuale è oltre il 35%; nel Lazio che esclude Roma è al 40%.

Il centro-sud (Marche comprese) vede dilagare i Cinque stelle: sfiorano il 50% in Sicilia e nel nord della Campania, sono oltre il 40% in Calabria, Basilicata, Puglia, Molise e Sardegna. Più articolata è solo la fotografia dei collegi uninominali delle grandi città. Il Centrodestra ha vittorie in collegi a Torino, Milano, Venezia, Palermo. I Cinque stelle conquistano alcuni collegi a Torino, Genova, Palermo, Roma e hanno Napoli. Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma lasciano qualche circoscrizione al Pd.

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Sergio Caserta: Sinistra anno zero. Dalla disfatta identitaria all’inizio di un dialogo per il futuro

FONTE INCHIESTAONLINE.IT

 

Diffondiamo da il manifesto bologna in rete del 9 maarzo 2018

La Waterloo elettorale del 4 marzo che ha travolto la sinistra italiana nel suo insieme apre la strada a scenari politici inediti e inquietanti. Per la prima volta dal dopoguerra non esiste in parlamento e nemmeno nel Paese una forza politica dichiaratamente di sinistra, in grado di esprimere alcuna rilevante influenza sulle scelte fondamentali. Gramsci coniò il termine “egemonia” per indicare quel processo fatto di lotta e di cultura che doveva portare “l’intellettuale collettivo” ovvero il Partito alla presa del potere.

Oggi assistiamo al suo opposto, alla disfatta identitaria: quel che ha smarrito la sinistra in capacità d’interpretazione e rappresentazione della realtà è perfino peggio dei milioni di voti persi. La sconfitta viene da lontano e non riguarda solo l’Italia, ma l’intera Europa e il mondo occidentale, nel nostro Paese però ha assunto i caratteri di una ritirata generale: la sinistra è prima scomparsa dai luoghi di lavoro, poi da quelli di cultura, dai suoi insediamenti tradizionali, dalle vecchie e nuove periferie, si è trincerata nei talk show e nei salotti della borghesia e della finanza fintanto che la finzione ha retto, ora il re è nudo e non c’è alibi che tenga.

I risultati elettorali suonano come una campana a morto, senza differenze nemmeno tra cosiddetti moderati e radicali. Il PD che non si definiva nemmeno più di sinistra, si riduce a giocare come terzo in parlamento tra M5S e Coalizione di destra, dovendo obtorto collo ingoiare, Renzi o non Renzi, il boccone amaro di reggere con i suoi voti per responsabilità verso il Paese il raggruppamento cui verrà conferito l’incarico di governo, pena elezioni anticipate.

Come paiono lontani i giorni dell’avvento del ragazzo di Firenze che doveva rottamare tutto il vecchio della politica a sinistra: come l’apprendista stregone, fagocitato dalla sua bramosia di potere, ha distrutto l’intera impalcatura su cui era poggiato e sopra di lui ora sono solo rovine.

Le altre compagini di sinistra animate dell’intento di costruire un’alternativa sono state bocciate dalle urne perché risultanti poco credibili, di fronte alla vera fame di cambiamento dell’elettorato, cosicché delle falangi in lotta non resta che un cumulo di macerie fumanti. Ora si tratta di compiere se possibile, chi ne avrà la capacità(?), un’approfondita analisi dei fatti, vestirsi dei panni autentici dell’umiltà e ricominciare se ci sarà la dignità, a lavorare veramente dal basso per ricostruire una tram.

Sembra impossibile perché un vuoto abnorme s’è aperto davanti alla sinistra, il vuoto della mancanza assoluta di riferimenti sociali, prima ancora che politici. Occorrerebbero dei Francesco, inteso come il papa, che riescano a riaprire un dialogo autentico, che vadano a vivere vicino dove la gente soffre e a occuparsi di loro, e poi studiare, cercare di capire cosa sta accadendo nel mondo per impossessarsi di un linguaggio autentico che non può essere più quello semplicisticamente mutuato dai social network con cui ha pensato di abbindolare il Paese l’autocrate fiorentino.

Insomma è sinistra anno zero, come il titolo dell’incontro promosso dal manifesto in rete a Bologna, lunedì 12 marzo al centro sociale Giorgio Costa, alle 20.45, con la partecipazione di Nadia Urbinati, eminente politologa e altri compagni per un primo confronto a più voci sul presente e sui difficili scenari del futuro.

La sinistra candidata alla sconfitta certa

FONTE AREA7.CH

di Loris Campetti

Sesto San Giovanni, Monfalcone, Torino, Genova. Sesto con la Breda, la Falk, la Marelli era la Stalingrado d’Italia, Monfalcone con i suoi cantierini era più rossa della Jugoslavia di Tito, Torino era la classe operaia italiana per eccellenza, nord e sud uniti nella lotta e la croce su falce e martello. Genova e i camalli del porto che indossano ancora le magliette a strisce della rivolta antifascista del 1960. Le roccheforti della sinistra sono crollate alle ultime elezioni come castelli di sabbia, senza essere bombardate, il nord è smottato, il campo viene occupato dal nemico.

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Le false-buone soluzioni

 

In mezzo alla giungla fiscale italiana, alla riduzione della progressività da tempo (diminuzione delle aliquote e del loro rendimento) e all’evasione massiccia, qualcuno chiede il passaggio (come in diversi paesi dell’Est) alla flat-tax proporzionale. Macron in Francia l’ha appena avviata per i redditi finanziari, tra l’altro per attirare i capitali in partenza dalla City causa Brexit. La flat-tax sarebbe una semplificazione del sistema fiscale. “Pagare poco per pagare tutti”: gli evasori sarebbero incentivati a dichiarare tutti i loro redditi, perché poco tassati. L’aliquota unica però colpisce i meno abbienti al di sopra della no-tax area, può ridurre le entrate del fisco e non garantisce una riduzione effettiva dell’evasione, sempre più conveniente (se possibile senza troppi rischi) della flat-tax. Sarebbe una falsa-buona soluzione, che semplifica sì in apparenza, ma che potrebbe rivelarsi semplicistica.

Nel Welfare formativo, le rette universitarie alte “all’inglese” (da Cameron, 2010) con borse di studio sembrano una risposta all’osservazione sociologica classica: la formazione universitaria è seguita soprattutto da ragazzi di certi alti e medi, dunque possono pagarsela o fare un mutuo come negli Stati Uniti. Ma in molti Laender tedeschi o in Spagna non è proprio cosi e forse le rette ormai alte in Italia sono uno dei motivi della fuga di tanti giovani dall’Università. Una falsa-buona soluzione all’accesso selettivo e limitato all’Università?

Nel Welfare sociale, la graduatoria fiscale diventa oggi uno strumento di selezione importante: per esempio, l’accesso ai CRA bolognese (ex-RSA) dipende ovviamente dello stato di dipendenza della persona anziana o disabile, ma anche ormai fortemente del reddito tassabile, escludendo di fatto (con i tagli finanziari ancora in atto) persone bisognose, non poveri, ma non in grado di pagarsi una costosa casa di riposo privata..

Nella stessa logica,dal 2012 i tickets sanitaria “alla toscana” sono modulati secondo il reddito fiscale dichiarato ripartito in diverse aliquote: questa modulazione ovviamente sembra di rispondere a una logica di giustizia sociale e di semplicità. “Paga di più chi ha di più”. Ma il ricorso crescente al settore privato per la diagnostica e la specialistica con tariffe spesso appena superiori al ticket e tempi d’attesa minori cosi come il rischio di demotivazione di assistiti provenienti da gruppi sociali mettono progressivamente in causa l’universalismo del sistema (Nerina Derindin, 2013). L’apparente soluzione semplice e “equa” non coincide dunque sempre con l’esigenza di giustizia e di coesione sociale, per non parlare di logiche economiche perverse, quando il risparmio iniziale sulla prevenzione e le cure primarie costa caro in fine alla finanza pubblica sotto forma di ricoveri ospedalieri. Il servizio si fa allora controllore fiscale a scopo di selettività con la possibilità di veder il “Welfare per poveri (diventare) un Welfare povero”, degradato e stigmatizzante.

Invece, nel caso di una selezione di assistenza sociale, come l’ISEE (aggregando redditi familiari e patrimonio) per l’accesso agevolato al trasporto pubblico locale, alle rette di asilo nido, alle borse di studio…la logica selettiva ha la sua legittimità, in quanto permette l’accesso a servizi necessari.

Il rischio complessivo con una selettività fiscale-settoriale diventa quello della de-coesione sociale accompagnando la crescita accelerata delle disuguaglianze. Per evitare questa deriva crescente, certi propongono una riorganizzazione radicale del fisco generale e il nuovo indirizzo verso un Welfare universalistico (Elena Granaglia, 2018). E’ stata la logica dell’allocazione alloggio studentesco in Francia ALE, che non riguardava il reddito della famiglia dello studente permettendo l’accesso all’autonomia dei giovani, ma contribuiva a rassicurare i proprietari immobiliari sugli affitti morosi. Più che le fakes news, spesso poco credibili, salvo per i lettori già convertiti, le false-buone soluzioni possono essere fonti di confusione e di eccessive semplificazioni nel dibattito pubblico: tra quelle cervellotiche e semplicistiche, c’è spesso una via articolata, complessa, che richiede tempo e sforzo di riflessione,e, ogni tanto, radicalità.

Jean-Olivier, Pisa, 31.1.2018

Polizia anti-fake news: verso il Minculpop?

Preoccupazioni e critiche all’iniziativa di Minniti contro le bufale.

di redazione
Categorie: Politica
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Il ministro dell’Interno Marco Minniti ha lanciato una task force di polizia per contrastare la diffusione delle fake news. Il Viminale presenta il progetto come “un servizio per i cittadini”, che potranno denunciare notizie false. Il rischio, però, è che si vada verso un “Ministero della Verità” e che si limiti il diritto d’espressione. Oppure che l’iniziativa sia inutile ed elettorale. Il commento di Leonardo Bianchi, news editor di Vice.

Una “task force”, un “servizio anti-fake news”. È stata descritta in molti modi diversi l’iniziativa presentata dal ministro degli Interni Marco Minniti per contrastare la diffusione di notizie false in rete. Un problema reale, ma la risposta che propone di dare il Viminale è inquietante, a detta sia di giornalisti che di debunker.
Il piano prevede che sia la polizia a raccogliere le informazioni infondate e a promuovere le smentite ufficiali. “Nessun Grande Fratello, ma un servizio pubblico per i cittadini” che potranno denunciare direttamente alle forze dell’ordine le presunte fake news, stando alle rassicurazioni dello stesso Minniti.

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La verità nella politica

fonte nuovatlantide

di Raniero La Valle – 13 gennaio 2018

Nella campagna elettorale appena iniziata si pone un problema di verità, come si pose in occasione del recente referendum costituzionale. Si è dato per scontato, da giornalisti degli studi televisivi, col supporto del filosofo di studio, che “tutti” dicono bugie, perché la campagna elettorale sarebbe il luogo delle favole, non della realtà effettiva. Ma se “tutti” dicono bugie, non c’è ragione di sceglierne alcuno: dunque gettare il fango della menzogna su tutti i politici e su tutto il momento elettorale della politica, significa militare per l’antipolitica, stornare dal voto gli elettori di cui pure si lamenta l’astensione, incoraggiare i populismi e quindi in sostanza, ancora una volta licenziata la politica, conservare l’attuale dominio dei poteri qual è.
Non a caso la previsione-speranza che emerge da gran parte dei talk show televisivi è che, non potendosi dopo le elezioni mettere insieme una fiducia a un governo, resti a governare a tempo indeterminato (un precario in meno!) un governo senza fiducia, cioè in pratica quello che c’è.
Di questo deficit di verità, imputato ai politici, peraltro i giornalisti non sono esenti, anzi proprio per il loro ruolo molti di loro, nell’accanimento con cui cercano di promuovere uno e distruggere altri, sono gli officianti ministri della menzogna.
Per esempio è una bugia dire che tutti promettono di abbassare le tasse; non tutti lo fanno, e in ogni caso bisognerebbe spiegare che si parla di due cose diverse: una cosa è abbassare le imposte per tutti, e un’altra è abolire una tassa. Nel primo caso si tratta di togliere risorse alla fiscalità generale fino a promettere un’aliquota del 15 % per tutti, cosa impedita dalla sacrosanta progressività del sistema tributario, non a caso prevista dalla Costituzione all’art. 53 non nel titolo dei “rapporti economici” ma in quello dei “rapporti politici”, perché ne va della democrazia e della Repubblica; nel secondo caso si tratta di agire su una tassa di scopo, con cui si pagano dei servizi, che per altissimi motivi lo Stato può prendersi a carico, come fa per la sanità garantita a tutti i cittadini; sarebbe questo il caso dell’abolizione delle tasse universitarie per assicurare a tutti, ricchi o poveri che siano, il diritto allo studio fino ai gradi più alti.
Ma un problema di verità si pone anche quando l’ISTAT dà i numeri dell’aumento dell’occupazione, intendendo per occupazione anche un lavoro di un’ora alla settimana, e in realtà si sono perdute un miliardo e duecento milioni di ore lavorative; come c’è un problema di verità quando ci si gloria della riduzione dei flussi migratori, mentre in questo inizio di gennaio vi sono già quasi 200 migranti morti o dispersi nel Mediterraneo centrale, quando nell’intero mese di gennaio dell’anno scorso i morti furono 254.

D’inverno il mare è gelido

 Autore:  Mario Cataldi

Ancora corpi che annaspano, che affondano, che cadono da gommoni di cartone che si sfaldano e si sgonfiano. Si ricominciano a contare i corpi cominciando da quelli vivi, dalle mani che sbracciano sull’acqua gelida del mare d’inverno. I morti si contano solo se galleggiano ancora.

Il primo naufragio dell’anno. La conta ricomincia come se nulla fosse, quello che è stato fa parte di una dimensione temporale che non c’è più, si spinge il tasto reset a beneficio delle statistiche che servono ad accompagnare gli slogan di questa lunghissima campagna elettorale iniziata da tempo. Il successo si sottolinea nei soli tremila morti, una buona percentuale in meno rispetto allo scorso anno. Il successo prende forma nel 30 percento in meno di arrivi. Con il meno davanti ai numeri si conquista consenso, si determina il grado di popolarità.

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REGALI DI NATALE DEL GOVERNO E AFFINI

A quanto pare, già oggi, massimo domani, il Presidente Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere.
Eccolo qui, uno dei tanti regali che ha portato questo Natale, una sorta di Pennywise che esce dalla scatola regalo come il nostro peggiore incubo.
Altro che Stephen King…
 
PRESSATO DA RENZI che teme la mancata tenuta del suo partito, alla fine, come da copione, si produce nella sua performance migliore e la più collaudata pronunciando il fatidico: “Obbedisco”!
E, come lo dice lui, nessun altro.
 
Però però però, prima di lasciare, il governo – nella persona del Ministro Minniti – non si risparmia in regali a sorpresa, come ad esempio FAR ARRIVARE AI VERTICI DELL’ANTIMAFIA, qualcuno che doveva essere interdetto da OGNI PUBBLICO UFFICIO.
 
Parliamo di Gilberto Caldarozzi che, come riporta Giulio Cavalli, “è stato condannato per i fatti di Genova a tre anni e otto mesi per falso (in via definitiva), ritenuto responsabile della fabbricazione di prove false che sono servite per “coprire” la violenza della Polizia contro ragazzi inermi.
 
MA NON SOLO.
Pare che Mattarella si stia anche preparando al piano B post-elettorale, nel caso in cui dalle urne (e vista pure la legge elettorale che ci ritroviamo) NON esca un risultato praticabile: UN ALTRO GOVERNO TECNICO (denominato orwellianamente governo del Presidente) chi ci ispira proprio NIENTE di buono.
 
NON È SOLO UNA SONORA PRESA PER I FONDELLI, tutto questo, ma è soprattutto la dimostrazione di come il sistema di potere neoliberista e di governo, ABBIANO LA CERTEZZA di poter fare ESATTAMENTE QUELLO CHE GLI PARE E PIACE.
 
Tanto chi c’è a contrastarli?
 
E NON ILLUDIAMOCI di poterli sconfiggere con una lista elettorale o di arginare questa deriva con lo stesso metodo.
 
QUESTO SISTEMA DI POTERE si sconfigge solo tornando a FARE POLITICA tra la gente, tornando alla lotta nelle aziende, tornando a stare a fianco di chi paga ogni giorno la violenza che stiamo vivendo da parte del sistema.

La répression de la société civile se poursuit en Pologne

 FONTE EQUALTIME.ORG

La répression de la société civile se poursuit en Pologne

NEWS

Graffiti on a wall outside the Palace of Culture in Warsaw says: “I, a common individual, I am calling to you! Wake up!” The quote comes from the manifesto of Piotr Szczęsny, a chemist who set himself on fire nearby on 19 October 2017, in protest against government policies. He died 10 days later from his injuries.

(Marta Kucharska)

Un graffiti peint à la bombe avertit les passagers à l’extérieur de la gare d’Ochota, dans le centre-ville de Varsovie : « Réveillez-vous. Il n’est pas encore trop tard ». Il s’agit d’une citation tirée des tracts éparpillés par Piotr Szczęsny avant de s’arroser de liquide inflammable et de s’immoler par le feu devant l’emblématique Palais de la Culture en octobre.

Szczęsny, qui décéda 10 jours plus tard, accusait le gouvernement nationaliste d’enfreindre les règles démocratiques, de créer des divisions entre les citoyens, de détruire les forêts de la Pologne et de réprimer la société civile. Se décrivant comme « un citoyen banal et ordinaire », il avait également indiqué combattre une dépression, mais que sa vision de la réalité n’était pas déformée, seulement plus lucide que celle des autres personnes qui la partageaient, y compris de nombreuses ONG.

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Il Cavaliere dell’Apocalisse

di Alessandra Daniele

 

 

 

 

Nel 2018 cade il quarantennale dell’era Berlusconi, cominciata nel 1978 con l’acquisizione da parte di Fininvest e l’inaugurazione ufficiale di Tele Milano 58, che diventerà Canale 5 nel 1980, la prima pietra del piccolo impero mediatico-pubblicitario che frutterà al Canaro il titolo di Sua Emittenza.
Fra i personaggi di Tele Milano 58 fin dall’inizio Barbara d’Urso, Diego Abatantuono, Massimo Boldi, Claudio Cecchetto, e Mike Bongiorno.
I veri ministri di Berlusconi.
Nel 1978 Beppe Grillo partecipava come comico alla sua prima edizione di Sanremo su Raiuno.

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Cresce il numero di Governi che utilizzano armi digitali per manipolare l’opinione pubblica. La ricerca di Freedom House: 30 i Paesi più a rischio; Cina e Russia pioniere nell’uso di commentatori assoldati e bot politici

fonte primaonline

Nell’ultimo anno i governi di 30 nazioni hanno usato armi digitali per fare propaganda sui social network, silenziare il dissenso, orientare l’opinione pubblica e interferire nelle elezioni del proprio Paese, ma anche di Stati stranieri. L’accusa arriva dalla Ong ‘Freedom House‘, che ha evidenziato come il numero di paesi interessati dal fenomeno sia cresciuto rispetto ai 23 in cui era stato certificato nel 2016.

A spiccare nella graduatoria, tra i Paesi più colpiti, ci sono Cina e Russia, affiancate da nazioni attraversate da forti tensioni sociali e politiche, come Turchia, Venezuela e Filippine, Messico e Sudan. Commentatori prezzolati, troll, bot (cioè account automatici che inviano messaggi spacciandosi per utenti in carne e ossa), falsi siti di notizie e vari veicoli di propaganda, sono alcune dell armi utilizzate per diffondere le “fake news di Stato”.

“L’uso di commentatori assoldati e bot politici per diffondere la propaganda governativa ha avuto la Cina e la Russia come pionieri, ma ora è diventato globale”, ha osservato il presidente di Freedom House, Michael J. Abramowitz.

I governi stanno “aumentando marcatamente gli sforzi per manipolare l’informazione sui social, minando la democrazia”, si legge nel rapporto, secondo cui la disinformazione ha avuto un ruolo importante nelle elezioni in almeno 18 Paesi nell’ultimo anno, tra cui gli Usa, “danneggiando la capacità dei cittadini di scegliere i propri leader sulla base di notizie vere”. La Internet Research Agency di San Pietroburgo è al centro del Russiagate per interferenze nelle presidenziali Usa; nelle Filippine “l’esercito della tastiera” ha arruolato persone a 10 dollari al giorno per sostenere il presidente Duerte; in Turchia 6mila troll hanno fatto propaganda per il governo; in Sudan la fabbrica di bufale è direttamente all’interno dell’intelligence.

Nel periodo considerato, tra giugno 2016 e il maggio scorso, la manipolazione delle news ha interessato diverse nazioni, anche quelle non chiamate alle urne. In Europa occidentale il report segnala la presenza di fake news elettorali nei 4 Paesi esaminati: Italia, Francia, Germania e Regno Unito.

 

“Oggi l’ignoranza è chic, non conoscere Capitali e Paesi e non usare i congiuntivi pare sinonimo di originalità”. L’ironica denuncia di Emma Bonino: “l’unico scudo contro le fake news è la conoscenza”

Fonte PrimaComunicazione che ringraziamo 

 

“Pare che oggi non conoscere le Capitali europee e del mondo, confondere i Paesi, non conoscere i congiuntivi, sia considerato chic, sinonimo di originalità. Mentre usare un linguaggio minimamente corretto profuma di antico”. Esordisce così Emma Bonino, oggi a Milano dal palco della Conferenza mondiale ‘Science for Peace’, dedicata quest’anno al tema delle post-verità.

Emma Bonino

Emma Bonino

Per Bonino l’unico scudo contro le fake news è la conoscenza. “Siamo tutti chiamati a tornare a difendere un principio basilare del sistema democratico che oggi è messo in discussione: quello del conoscere per deliberare – spiega – Se conosci solo bufale, le deliberazioni non saranno brillanti o adeguate. Oggi vediamo che si crea un corto circuito dove le bufale che circolano in Rete si rinforzano, vengono rilanciate dalla carta stampata, ed entrano nel senso comune e nella politica. Ma non la politica del buon senso, piuttosto quella del senso comune che segue soluzioni semplicistiche”.

Ed ecco perché Bonino si rivolge direttamente ai ragazzi con un invito: “Fate il vostro mestiere, studiate. E sarete più resistenti alle bufale e agli imbonitori che sfruttano la paura, uno strumento di
campagna elettorale che va fortissimo”. Quella contro le post-verità è”una battaglia civile che possiamo e dobbiamo vincere. Ciascuno di noi può essere strumento. Possiamo smettere di passare il tempo su Internet fra like e post” e leggere “un buon libro, recuperare il piacere di scrivere a mano. Se studiate, voi ragazzi sarete attori protagonisti e responsabili”. (AdnKronos)

Noami Klein: La sinistra deve fare una vera rivoluzione morale

 

 

 

Diffondiamo da Il manifesto.it il testo di Noami Klein estratto dal discorso pronunciato il 26 settembre scorso alla conferenza del partito laburista di Brighton

 

La situazione là fuori è desolante. Come descrivere un mondo capovolto? Capi di stato che twittano minacce di distruzione nucleare, intere regioni sconvolte dai cambiamenti climatici, migliaia di migranti che affogano lungo le coste dell’Europa e partiti apertamente razzisti che guadagnano terreno, nel caso più recente – e allarmante – in Germania.

Faccio solo un esempio, i Caraibi e gli Stati Uniti del Sud sono nel pieno di una stagione degli uragani senza precedenti. Porto Rico è completamente senza energia elettrica, e potrebbe restarlo per mesi, il suo sistema idrico e quello di comunicazione sono gravemente compromessi. Su quell’isola, tre milioni e mezzo di cittadini americani hanno un disperato bisogno dell’aiuto del loro governo. Ma, come durante l’uragano Katrina, la cavalleria stenta ad arrivare. Donald Trump è troppo impegnato a cercare di far licenziare atleti neri, colpevoli di aver osato attirare l’attenzione sulla violenza razzista.

Per quanto sia incredibile, non è ancora stato annunciato un pacchetto federale di aiuti per Porto Rico. Secondo alcune analisi, sono già stati spesi più soldi per rendere sicuri i viaggi presidenziali a Mar-a-Lago. E se tutto questo non fosse già abbastanza, hanno anche cominciato a spuntare gli avvoltoi: la stampa economica ribolle di articoli che spiegano come l’unico modo per far tornare la luce a Porto Rico sia vendere il loro sistema energetico nazionale. Magari anche le loro strade e i loro ponti. Ho soprannominato questo fenomeno la «Dottrina dello Shock»: lo sfruttamento di crisi strazianti per approvare politiche che erodono la sfera pubblica e arricchiscono ulteriormente una ristretta èlite.

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Naomi Klein – Ada Colau: resistere alla dottrina dello shock

fonte PRESSENZA.COM

11.11.2017 – Barcellona Raquel Paricio

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Naomi Klein – Ada Colau: resistere alla dottrina dello shock

La sindaca di Barcellona Ada Colau e la scrittrice Naomi Klein sono state le protagoniste di un dibattito dal titolo: “Opporsi alle politiche della confusione e della paura: la giustizia sociale come sfida globale”. Hanno affrontato i temi più roventi del momento, riferendosi sia al processo che Barcellona sta vivendo fin dagli attentati di agosto e all’attuale barbarie politica, sia a fenomeni mondiali che evidenziano quella che Klein chiama la “dottrina dello shock”.

Entrambe scelgono il Sí, l’”empowerment” per superare lo shock. Nel caso di Colau, si tratta di un sí nato dalla base della cittadinanza, nella lotta, che corrisponde all’analisi di Klein nelle sue ultime teorie sulla resistenza davanti allo shock. Il dibattito punta a definire strategie per affrontare le politiche che mettono in pericolo i diritti dei cittadini, fa ben sperare in una possibilità di cambiamento evolutivo e si propone di generare una narrativa comune per opporsi all’indebolimento.

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