Sono i ricchi il vero pericolo per la democrazia

 

 

Fonte Emigrazione-Notizie  che ringraziamo

Non quello che l’ex presidente americano George W. Bush ha battezzato “l’asse del male”, non Vladimir Putin, né il terrorismo, né tantomeno le migrazioni. Non sono questi, come ci raccontano, i più grandi pericoli che incombono sulla democrazia. Ciò che sta uccidendo il sistema democratico è invece l’erosione  delle sue istituzioni messa in pratica sistematicamente da una oligarchia di super-ricchi, che ormai controllano e piegano al proprio volere l’intera infrastruttura democratica e minano alla base i pilastri su cui essa si poggia, come l’informazione libera, i corpi intermedi, la politica, lo stato sociale.

Favorita dal processo di accentramento della ricchezza e del reddito innescato dal neoliberismo, questa oligarchia sta costruendo un potere che svuota dall’interno il processo democratico e allarga a dismisura le disuguaglianze, con lo scopo di mantenere un sistema di privilegi e creare attorno ad essi un consenso ideologico.

Come spiega bene l’economista Emiliano Brancaccio nel suo Democrazia sotto assedio, “la centralizzazione capitalistica spinge verso un accentramento del potere, non solo economico ma a lungo andare anche politico, e per questo è destinato a compromettere la divisione dei poteri e il sistema dei diritti su cui reggono le democrazie liberali contemporanee”. Ad oggi, spiega ancora Brancaccio, “la proprietà delle imprese quotate a livello internazionale è concentrata nelle mani di un nucleo ristrettissimo di azionisti”. In particolare, nel 2016, l’80% del valore del mercato azionario globale era controllato solo dall’1% degli azionisti.

L’accelerazione di questa deriva, causata anche dalle crisi sempre più ravvicinate e devastanti dell’ultimo ventennio, ha già prodotto uno smantellamento sistematico dello stato sociale nei Paesi occidentali che va di pari passo con la crescita delle disuguaglianze e con l’immobilizzazione dell’ascensore sociale. Effetti ben descritti nei loro studi oltre che da Brancaccio, anche Luciano Gallino, Thomas Piketty e tantissimi altri. E tutto ciò è stato possibile anche per la mancanza di un’efficace alternativa prodotta dal sistema democratico, che si dimostra carente di valide risorse politiche e ideologiche per contrastare il fenomeno.

Anzi, secondo l’ultimo rapporto Oxfam, a livello globale le 5 persone più ricche del mondo hanno raddoppiato le proprie fortune dal 2020, mentre 4,8 miliardi di persone (ben più della metà della popolazione) sono più povere oggi rispetto al 2019.

Tra i Paesi in Ue dove questi divari si stanno ampliando con maggiore velocità c’è proprio l’Italia. Come spiegato da un recente studio di Openpolis, che ha elaborato dati di Banca d’Italia e Istat, in Italia l’1% dei super-ricchi detiene il 13,6% di tutto il reddito nazionale e, tra il 1980 e il 2022, la Penisola ha registrato il più marcato accentramento delle ricchezze in UE: +7,4%.

Non stupisce dunque che proprio in Italia ci sia ormai da tempo una fortissima spinta per diminuire le tasse ai più ricchi, non si combatta efficacemente l’evasione fiscale, che infatti dilaga, vigano enormi sacche di privilegio intoccabili e si punti allo smantellamento sistematico dello stato sociale, della sanità, dell’istruzione e dei poteri che potrebbero contrastare in qualche modo gli squilibri crescenti, come quello della magistratura e del presidente della Repubblica, sempre più nel mirino. E’ l’effetto del potere di quell’1% sulla politica e sulle istituzioni, che sta scardinando lo Stato e rendendo un guscio vuoto la nostra democrazia.

Coordinamento nazionale FILEF

La presunzione d’innocenza ai tempi di Orban: il caso Salis

 

 

 

 

Fonte : Articolo21.org

Le sue immagini con le catene a mani e piedi hanno fatto il giro del mondo e qualcuno ha dovuto rivederle più volte per rendersi conto che era tutto vero e che accadeva in Europa, sì nella patria dei diritti umani. Ma accadeva, e soprattutto accade, nell’Ungheria del Premier Orban, un Paese non nuovo a violazioni dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Ilaria Salis, insegnante milanese di 39 anni, era stata arrestata ormai quasi un anno fa e accusata di aver aggredito due estremisti neonazisti durante una manifestazione organizzata da nostalgici del Terzo Reich a Budapest. Lesioni lievissime, evidentemente, perché la prognosi era stata di appena cinque giorni. Ma, da quel momento, Ilaria Salis è stata inghiottita nel buco nero delle carceri ungheresi, ormai da undici mesi. La Procura di Budapest, che è di nomina governativa e da anni agisce sotto il controllo del Governo, ha contestato reati più gravi come il terrorismo e reati d’odio, secondo un copione che in Ungheria come in Russia è ricorrente per bloccare ogni forma di dissenso. Mesi di silenzio totale delle autorità italiane. Solo a seguito dell’inizio del processo, nel Tribunale di Budapest, in cui la detenuta, presunta innocente, è stata trascinata attraverso una catena legata a un cinturone, con manette e altre catene che le bloccavano i piedi, sono state presentate alcune note di protesta da parte del Ministro degli esteri Antonio Tajani che ha convocato per spiegazioni l’ambasciatore ungherese in Italia. Eppure, stando al racconto del padre, la donna è stata trasferita in ogni udienza con le stesse modalità e si può immaginare che, come farebbe ogni Stato nel caso di un cittadino in pericolo nelle famigerate carceri ungheresi e di un padre che ormai da undici mesi denuncia le gravi violazioni subite dalla figlia, qualche rappresentante dell’ambasciata italiana in Ungheria abbia seguito la vicenda e comunicato con la donna che, dalla ricostruzione giornalistica, sembra abbia scritto una lettera di denuncia sulla sua situazione carceraria alle autorità italiane. Sul fronte giudiziario l’udienza del 29 gennaio 2024 si è subito chiusa con la dichiarazione di non colpevolezza della donna e il rinvio al 24 maggio. Non sono stati disposti gli arresti domiciliari e quindi la donna è tornata in carcere.

La vicenda mostra, sotto il profilo del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea, diverse violazioni. In primis, l’Ungheria, Paese membro dell’Unione europea, malgrado le costanti violazioni dei diritti dell’uomo e del mancato rispetto delle regole sulla rule of law, continua a calpestare il diritto e i valori fondanti dell’Unione europea come se nulla fosse, restando sostanzialmente impunita. In questo caso, è evidente la violazione della direttiva 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza e sul diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 9 marzo 2016 (direttiva 2016:343). Questa direttiva all’articolo 5 dispone che “Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica”. Solo in casi eccezionali, in cui vi sia una minaccia alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi, situazioni che certo non sussistevano in questo caso, è possibile applicare misure coercitive, in via, quindi, del tutto eccezionale. Ma Ilaria Salis non costituiva alcun pericolo. Appare violata, così, la direttiva.

Sembra carta straccia, poi, per l’Ungheria la raccomandazione (UE) 2023/681 della Commissione dell’8 dicembre 2022 sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione (raccomandazione) con la quale è stato affermato che la custodia cautelare deve essere considerata una misura eccezionale, da utilizzare nel rispetto della presunzione di innocenza, con la conseguenza che va adottata una presunzione a favore della liberazione. Inoltre, la raccomandazione chiede il rispetto di alcune condizioni nelle strutture detentive.

Tra le altre violazioni, proprio le condizioni di detenzione che, stando anche a quanto descritto da un’altra detenuta italiana, comportano trattamenti inumani o degradanti. D’altra parte, sullo stato delle strutture detentive in Ungheria è sufficiente considerare il rapporto dell’Hungarian Helsinki Committeesulla gravissima situazione nelle strutture detentive in Ungheria, tra sovraffollamento e condizioni igieniche terribili (https://helsinki.hu/en/hungarian-prison-population-reaches-a-33-year-high/).

Per quanto riguarda il contatto tra la detenuta e le autorità italiane, occorre verificare se sia stata effettivamente rispettata la direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013 relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari (autorità consolari). In base all’articolo 7, infatti, gli Stati membri sono tenuti “a garantire che indagati e imputati che non sono loro cittadini e che sono privati della libertà personale abbiano il diritto di informare della privazione della libertà personale le autorità consolari del loro Stato di cittadinanza senza indebito ritardo e di comunicare con tali autorità, se lo desiderano”. Inoltre, indagati e imputati hanno altresì il diritto di ricevere visite delle loro autorità consolari, il diritto di conversare e di corrispondere con esse nonché il diritto ad una assistenza legale predisposta dalle loro autorità consolari, fatto salvo il consenso di tali autorità e se gli indagati o imputati in questione lo desiderano. Ora non è noto se Ilaria Salis abbia avuto questa possibilità: se abbia chiamato le autorità consolari o diplomatiche e se qualcuna di queste autorità abbia già in passato seguito da vicino, con una comunicazione diretta, la detenuta.

Se l’Ungheria non ha permesso questo contatto ha anche violato l’articolo 36 della Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, che conferisce agli Stati il diritto di avere contatti con i propri cittadini, proprio attraverso le autorità consolari.

Potrebbe essere stata violata anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, partendo dall’articolo 5 sul diritto alla libertà personale: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inflitto diverse condanne all’Ungheria proprio a causa della durata eccessiva della detenzione preventiva, anche per reati di lieve entità (tra le tante, si veda la pronuncia X.Y. contro Ungheria e Varga) e per la mancata valutazione circa la possibilità di applicare misure alternative alla custodia cautelare. Senza dimenticare le condanne per violazione dell’articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti proprio per il sovraffollamento carcerario, le condizioni igieniche scarse e i maltrattamenti.

Sul fronte del diritto internazionale, le violazioni potrebbero riguardare il Patto sui diritti civili e politici del 1966 (articolo 7, 9 e 14). Nell’ultimo rapporto sull’Ungheria, il Comitato per i diritti umani ha evidenziato, tra le violazioni, l’eccessiva durata della detenzione preventiva e l’utilizzo eccessivo di misure limitative della libertà personale prima della condanna definitiva, sottolineando che, inoltre, non sono fissati, nella legge, precisi limiti temporali di durata della custodia cautelare.

Resta da vedere adesso se una risposta del Governo italiano, seppure tardiva e finanche troppo mite, possa riuscire a condurre l’Ungheria al rispetto dei diritti umani. Intanto vale la pena citare la risoluzione del Parlamento europeo del 18 gennaio 2024 sulla situazione in Ungheria e sui fondi dell’UE congelati con la quale gli eurodeputati hanno ricordato, anche alla Commissione e al Consiglio, che l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana e dei diritti umani e che l’approvazione di pacchetti legislativi come quello sulla “protezione della sovranità nazionale” e le riforme del sistema giudiziario volute da Orban senza un controllo parlamentare dovrebbero portare alla piena applicazione del regolamento sulla condizionalità dello Stato di diritto e spingere il Consiglio a superare la propria incapacità verso l’attivazione delle procedure dell’articolo 7 del Trattato Ue (PE Ungheria).

Polonia: il legislatore deve affrontare le accuse per la protesta a favore della scelta

 

Fonte :  HUMAN RIGHT WATCH

(Berlino) – Il governo polacco dovrebbe immediatamente ritirare le accuse contro un membro del parlamento che ha partecipato a una protesta a favore della scelta e smettere di prendere di mira gli attivisti per i diritti riproduttivi, ha affermato oggi Human Rights Watch.

Il 29 novembre 2022, l’ufficio del procuratore di Toruń ha accusato Joanna Scheuring-Wielgus, membro del partito di sinistra (Lewica), di “offesa ai sentimenti religiosi” e “ingerenza dolosa nel culto religioso”. Ogni reato comporta una pena fino a due anni di reclusione. Si è dichiarata non colpevole.

“Incriminare un parlamentare per una protesta pacifica è innegabilmente un’escalation allarmante negli sforzi del governo polacco per criminalizzare non solo l’aborto, ma chiunque sostenga apertamente i diritti riproduttivi”, ha affermato Hillary Margolis , ricercatrice senior sui diritti delle donne presso Human Rights Watch. “Tali sfacciati tentativi di mettere a tacere gli attivisti per i diritti delle donne e calpestare le protezioni per la libertà di parola mostrano quanto siano fragili tutti i diritti in Polonia oggi”.

Il 25 ottobre 2020, insieme a suo marito Piotr Wielgus, Scheuring-Wielgus ha portato uno striscione in una chiesa di Toruń con la scritta “Donna, puoi decidere da sola” per protestare contro una sentenza del Tribunale costituzionale che sostanzialmente ha eliminato l’accesso all’aborto legale in Polonia. Nel dicembre 2020, il procuratore generale Zbigniew Ziobro ha avviato una mozione per privare Scheuring-Wielgus della sua immunità legale parlamentare per la protesta.

Il 4 novembre 2022, il parlamento ha votato a favore della mozione e il pubblico ministero ha intentato causa contro Scheuring-Wielgus anche se il tribunale distrettuale di Toruń nell’ottobre 2021 ha confermato l’ assoluzione del marito per “offesa al credo religioso” in relazione allo stesso incidente.

Nell’ottobre 2020, il Tribunale costituzionale della Polonia, politicamente compromesso , ha stabilito che l’aborto sulla base di “difetto fetale grave e irreversibile o malattia incurabile che minaccia la vita del feto” è incostituzionale, eliminando virtualmente l’accesso all’aborto legale nel paese. In precedenza, oltre il 90% dei circa 1.000 aborti legali praticati ogni anno in Polonia avveniva su questo terreno.

L’aborto è ora consentito solo per salvaguardare la vita o la salute di una donna o se la gravidanza è il risultato di un crimine, come lo stupro o l’incesto. In pratica, molteplici ostacoli rendono quasi impossibile ottenerne uno per coloro che possono beneficiare di un aborto legale. Le prove dimostrano costantemente che le leggi che limitano o criminalizzano l’aborto  non lo eliminano , ma piuttosto  spingono le persone a cercare l’aborto attraverso mezzi che possono mettere a rischio la loro salute mentale e fisica e diminuire la loro autonomia e dignità.

Da quando il partito Legge e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) è salito al potere nel 2015, il governo polacco ha portato avanti un attacco continuo ai diritti sessuali e riproduttivi, in particolare l’accesso all’aborto , e agli attivisti per i diritti all’aborto. Gli attivisti per l’aborto affermano che il governo sta usando sempre più la legge per prenderli di mira. Justyna Wydrzyńska , di  Abortion Dream Team , è stata accusata di aver assistito qualcuno ad abortire e di aver “commercializzato” illegalmente farmaci senza autorizzazione dopo aver presumibilmente aiutato una donna a ottenere pillole per un aborto farmacologico nel 2020. Wydrzyńska rischia fino a tre anni di carcere.

I dati del governo hanno mostrato un aumento delle accuse di “offesa ai sentimenti religiosi” ai sensi di Legge e Giustizia. Nel 2020, il governo ha utilizzato questa disposizione per perseguire tre attivisti per aver pubblicato immagini di un’icona religiosa con un alone arcobaleno, spesso associata all’attivismo per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT). A gennaio, una corte d’appello ha confermato la loro assoluzione.

Sotto la guida di Ziobro, che è anche ministro della giustizia, il partito di estrema destra Solidarna Polska – che fa  parte della coalizione di governo conservatrice polacca – ha presentato a ottobre una legge che modificherebbe il codice penale per includere l’insulto pubblico o il ridicolo della chiesa come reato punibile fino a due anni di carcere

Il governo polacco dovrebbe ritirare le false accuse contro Scheuring-Wielgus e altri attivisti per i diritti delle donne e LGBT, e invertire la rotta per garantire l’accesso all’aborto sicuro e legale e ad altre cure essenziali per la salute riproduttiva, ha affermato Human Rights Watch.

Scheuring-Wielgus è già stato preso di mira. Il parlamento ha votato ad aprile per rimuovere la sua immunità legale dall’accusa per aver appeso un poster sulla porta della cattedrale di Toruń che diceva “Ricorda le scarpe da bambino. Fermiamo la pedofilia”. Si riferiva a rivelazioni di abusi sessuali da parte di religiosi cattolici in Polonia. A novembre, il capo della polizia nazionale ha chiesto la rimozione dell’immunità di un altro parlamentare del partito di sinistra per aver appeso manifesti a sostegno dello sciopero delle donne sulle porte degli uffici dei politici di diritto e giustizia a Iława nel novembre 2020.

Sotto Legge e giustizia, gli attacchi ai diritti delle donne e delle persone LGBT da parte di alti funzionari governativi , gruppi ultraconservatori e media hanno favorito un ambiente sempre più ostile per attivisti e difensori dei diritti. Gruppi come Abortion Dream Team sono stati oggetto di bombe e minacce di morte.

Nel dicembre 2017 la Commissione europea ha avviato un’azione contro la Polonia ai sensi dell’articolo 7 del trattato dell’Unione europea (UE) – la disposizione in base alla quale è possibile intraprendere un’azione contro gli Stati che mettono a rischio i valori dell’UE – in risposta alle minacce all’indipendenza della magistratura. La Commissione dovrebbe aggiornare e ampliare il suo parere motivato ai sensi dell’articolo 7 per riflettere le minacce alla libertà di parola e il crescente impatto dell’erosione dell’indipendenza giudiziaria sui diritti delle donne e LGBT, ha affermato Human Rights Watch. Gli Stati membri dell’UE dovrebbero adottare raccomandazioni sullo stato di diritto e votare ai sensi dell’articolo 7 per stabilire che esiste un chiaro rischio di una grave violazione dei valori dell’UE in Polonia.

“I leader dell’Unione europea non dovrebbero semplicemente stare a guardare e tollerare uno stato membro che prende di mira i rappresentanti eletti per esercitare la libertà di parola e sostenere pacificamente i diritti umani fondamentali delle donne”, ha affermato Margolis. “Il governo polacco sta solo diventando più audace nei suoi sforzi per minare i diritti delle donne e i difensori dei diritti, e un’azione decisiva per fermarlo non può aspettare”.

Patrick Zaki, l’ennesimo rinvio: udienza rimandata al 6 aprile

 

Fonte Articolo21

Autore : Riccardo Noury 

 

Nel giro di pochi minuti, tanto è durata la quarta udienza del processo che vede Patrick Zaki imputato di “diffusione di notizie false”, il giudice ha reso noto il rinvio al 6 aprile.

La notizia del rinvio inquieta e rattrista. Speravamo tutti, Patrick in primo luogo, che oggi avrebbe riacquistato la sua libertà. Purtroppo, non è stato così.

Non ci sono dettagli particolari sul motivo di questo ennesimo rinvio, se non, immagino, l’intento di prolungare ancora una volta questo limbo giudiziario che dura dal febbraio 2020.

Continueremo a stare accanto a Patrick, augurandoci che il tempo che lo separa dal 6 aprile sia un tempo tranquillo, sereno e di studio e che dopo quella data sia posta fine, nel migliore dei modi, alla sua persecuzione giudiziaria.

L’”istinto di classe” del virus di Marco Revelli

Fonte : Volerelaluna 

Napoli – La mensa dei poveri al Santuario del Carmine

Che il virus, come la sfortuna, non fosse cieco, anzi ci vedesse benissimo – che fosse dotato di una solida coscienza di classe alla rovescia, colpendo molto più duro in basso che in alto -, l’avevamo capito fin dalla prima ondata. Ce lo dicevano le mappe più che non le tabelle dell’Iss, quelle (poche, purtroppo, ma eloquentissime) con la distribuzione dei contagi per quartieri nelle grandi città, con le ZTL (Parioli a Roma, Crocetta e Centro a Torino, Magenta e Sempione a Milano) quasi risparmiate dal morbo e quelle periferiche (l’oltre raccordo anulare, le barriere, l’aldilà del cerchio dei viali) flagellate. Ora lo certifica anche il Censis, rivelando che ne è consapevole il 90,2% degli italiani.

L’epidemia ha scavato voragini negli strati popolari, sia sul piano del bios, nella nuda vita, considerata spesso vita di scarto, comandata al lavoro quando le fasce alte si difendevano col lockdown, costretta a elemosinare un posto sempre più raro in terapia intensiva mentre per gli altri c’era il reparto “Diamante” al San Raffaele; sia sul piano dell’oikos ovvero dell’”economia domestica” dove le misure anti-contagio (certo sacrosante) hanno operato con effetti inversamente proporzionali alla collocazione lungo la piramide sociale: tanto più duramente quanto più fragili erano le figure colpite. Gli occupati con funzioni manuali in settori esposti alla cassa integrazione e ai suoi meccanismi spesso lesionati da ritardi e decurtazioni, che se va bene si sono visti un reddito già risicato ulteriormente ridotto del 20 o 30%. O, più sotto, quelli che stan sospesi in settori industriali già in crisi prima della pandemia (e sono tanti), ora avviati a un “fine vita” lavorativa senza orizzonte. E poi giù giù, fino ai penultimi, i lavoratori marginali, le categorie deboli della manifattura e soprattutto dei servizi, quelli a tempo determinato, delle imprese piccole e piccolissime, che temono ad ogni scadenza la “discesa agli inferi della disoccupazione” (è già toccato a 400.000 di loro). E agli ultimi, i precari, quelli della “gig economy”, del lavoro a giornata (“casuale” lo chiama il Censis), del sommerso e del nero, quelli che, appunto, se non lavorano non mangiano perché non hanno cuscinetti di grasso messi da parte per i tempi difficili per la semplice ragione che non hanno mai vissuto ”tempi facili”. Se va bene ricorreranno al silver welfare offerto da nonni o genitori pensionati, altrimenti saranno soli a contendersi un reddito di cittadinanza benedetto ma avaro (da marzo a settembre 2020 582.485 individui in più vi hanno fatto ricorso, con una crescita del 22,8%, con buona pace dei non pochi oppositori di un istituto troppo spesso liquidato con la retorica “del divano”).

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COVID-19 e la dipendenza globale dalla manodopera migrante a basso costo

Fonte Opendemocracy.net

La pandemia COVID-19 ha evidenziato la dipendenza strutturale del mondo dalla manodopera sfruttabile.

Randall Hansen
6 ottobre 2020

Nel novembre 2019, un funzionario del governo federale ha visitato la Munk School dell’Università di Toronto e ha chiesto alla sua facoltà di delineare le future minacce globali. Abbiamo parlato di disuguaglianza, fame, cambiamento climatico, servizi igienici e inquinamento da plastica, tra gli altri. Nessuno ha menzionato un microbo; una discussione sulla minaccia dell’immunità agli antibiotici è stata quanto di più vicina abbiamo avuto.

Quattro mesi dopo, tutti in quella stanza erano bloccati. COVID-19 ha colpito il mondo mentre un treno merci colpisce un’auto bloccata a un passaggio a livello. Il virus ha fatto a pezzi il ritmo della nostra vita quotidiana e riconfigurerà le nostre economie e la nostra politica.

Come esattamente lo farà non è chiaro, ma questo è certo: in tutto il mondo, gli standard di vita della classe media dipendono dal lavoro e – durante una pandemia globale – dalla morte di un esercito di lavoratori migranti a buon mercato. Il virus ha messo in luce questa dipendenza, ma non c’è nulla di nuovo al riguardo; è stata una caratteristica fondamentale del capitalismo nazionale e globale almeno dagli anni ’70. E, nonostante tutti i discorsi su un mondo nuovo e più giusto che emergerà dalle ceneri di COVID-19, la dipendenza del mondo dal lavoro a basso costo non sta andando da nessuna parte.

Il virus ha evidenziato la dipendenza strutturale del mondo da manodopera a basso costo e sfruttabile.

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In ricordo di Luis Sepulveda

Riportiamo dal sito di Amnesty Italia l’addio  a Luis Sepulveda 

Il nostro addio a Luis Sepulveda è attraverso le sue parole. Quelle che ci ha donato scrivendo la prefazione di “Non sopportiamo la tortura“, libro di Amnesty International Italia edito da Rizzoli, Milano, nel 2000.

Venti anni fa, mi sono fermato davanti alla porta di una casa ad Amburgo. Lì viveva una persona di cui conoscevo appena il nome, Ute Klemmer e, nonostante avessi ricevuto da lei una dozzina di lettere, nel risponderle non mi era mai capitato di chiederle l’età o se avesse una famiglia. Stavo per conoscerla e per questo non dovevo fare altro che suonare il campanello, però una forza poderosa mi impediva di alzare la mano. Era una forza che mi obbligava a rivedere I dettagli della mia vita che mi avevano portato fino a lì.

Nessuno è capace di precisare quale sia la cosa peggiore del carcere, dell’essere prigioniero di una dittatura, di qualunque dittatura, e nemmeno io posso indicare se il peggio di tutto ciò che ho dovuto sopportare sia stata la tortura, I lunghi mesi di isolamento in una fossa che mi appestava, il non sapere se fosse giorno oppure notte, l’ignorare da quanto tempo stessi nelle mani degli sbirri di Pinochet, I simulacri di fucilazione, I compagni morti o la denigrazione costante e sistematica. Tutto è peggio in carcere, e ricordo specialmente un momento in cui I militari quasi ottennero ciò che volevano: che accettassi volontariamente di essere annichilito e condannato all’atroce solitudine degli sconfitti.

Al termine di un processo sommario del tribunale militare in tempo di guerra, tenuto a Temuco nel febbraio 1975 e nel quale fui accusato di tradimento della patria, cospirazione sovversiva e appartenenza a gruppi armati, insieme ad altri delitti, il mio difensore d’ufficio (un tenente dell’esercito cileno) uscì dalla sala dove si celebrava il processo senza la presenza di noi accusati – che aspettavamo in una stanza vicina – e con gesti euforici mi informò che era andato tutto bene per me: ero riuscito a liberarmi della pena di morte e in cambio mi si condannava solamente a ventotto anni di prigione.

Allora io ero un uomo giovane, avevo venticinque anni e non seppi come reagire quando, dopo un calcolo elementare, scoprii che avrei recuperato la libertà a cinquantatré anni.

È anche certo che allora ero un ottimista a oltranza – ancora lo sono – e mi ripetevo che la dittatura non sarebbe durata tanto, ma alle volte, soprattutto durante le lunghe notti, la ragione si imponeva e cominciai ad accettare che forse la dittatura sarebbe stata lunga, molto lunga, e che avrei perso I migliori anni della mia vita tra i muri del carcere.

I compagni, le lettere della famiglia e di alcuni amici mi davano coraggio, anche se non smettevano di ripetermi che per disgrazia non potevano fare più niente per aiutarmi e che l’unica cosa importante era che io fossi vivo. Si. Ero vivo, però la vita cominciò ad avere un terribile sapore di solitudine di fronte all’ingiustizia fino a che, una mattina, un soldato mi consegnò una lettera. La aprii e dopo averla letta seppi che, a migliaia di chilometri di distanza, ad Amburgo, c’era una persona, Ute Klemmer, che era disposta ad aiutarmi fino a tirarmi fuori dalla prigione.

Così iniziò uno scambio epistolare che rese meno brutali I giorni della segregazione. Nelle sue lettere, Ute mi parlava degli sforzi della sezione amburghese di Amnesty International per aiutare I numerosi cileni che si trovavano in condizioni simili alla mia, e le descrizioni della sua città e delle centinaia di atti di solidarietà ai quali assisteva, portavano brezze di libertà fino al carcere di Temuco.

Un giorno nel 1977, grazie al lavoro, alla costanza dei membri di Amnesty International, ottenni che I militari cileni rivedessero il mio caso e alla fine mi cambiarono I venticinque anni di prigione con otto di esilio, che in realtà e a dimostrazione del rispetto dei militari cileni per la giustizia, si prolungarono a sedici lunghi anni senza poter calpestare la terra cilena.

Per questo, detto in maniera più semplice, devo la mia libertà ad Amnesty International, alle sigle di AI, a Ute Klemmer e a tutte e tutti coloro che in tanti paesi lavorano instancabilmente in difesa dei diritti umani, in difesa dei perseguitati in tutti gli angoli del pianeta.

Quella mattina, ad Amburgo, quando ho avuto finalmente la forza, ho alzato la mano e suonato il campanello. Dopo pochi secondi, si è aperta la porta e mi sono trovato di fronte una ragazza dall’aspetto molto fragile.

– Vive qui Ute Klemmer? –, ho chiesto.
– Si. Sono io –.

Quindi ho preso le sue mani e le ho detto “GRAZIE”.

Grazie per la mia libertà e per la libertà di tanti. Grazie per quella forza, per quella coerenza, per quella determinazione nella lotta, per quella generosità che esalta l’essere umano. E oggi, come faccio da vent’anni, ripeto quel “Grazie” nell’unico modo possibile: partecipando a tutte le azioni di Amnesty International e invitando I miei lettori e amici ad appoggiare gli sforzi di Amnesty International, l’unica istituzione che vegli per la dignità umana, per il diritto fondamentale alla giustizia e per il dovere di coscienza di opporsi alle tirannie.

Ad Amnesty International tutta la mia gratitudine, la mia ammirazione e la sempre presente disposizione a collaborare in tutto quanto sia necessario.

Un abbraccio fraterno alla sezione italiana di Amnesty International.
Luis Sepulveda

Centinaia di europei, tra cui vigili del fuoco e sacerdoti, arrestati per “solidarietà” ai rifugiati: lo rivelano i dati

May Bulman, Independent – Sabato 18 Maggio 2019
– Link all’articolo originale (ENG)

Stando ad alcune ricerche, sono in netto aumento le persone incriminate per aver fornito cibo, riparo, trasporti ed altri “gesti elementari di gentilezza umana” ai richiedenti asilo in tutta Europa.

Traduzione a cura di: Giuseppina Ferrari, Alessandro De Blasio

Fonte: Meltingpot.org

Vigili del fuoco, sacerdoti e donne anziane sono tra le centinaia di europei arrestati, o indagati, per aver dimostrato “solidarietà” ai rifugiati e ai richiedenti asilo negli ultimi cinque anni. Casi del genere sono nettamente in aumento negli ultimi 18 mesi, lo dimostrano nuove ricerche.

Un database realizzato da openDemocracy, sito web su temi di attualità mondiali, rivela che 250 persone, in tutta Europa, sono state arrestate o incriminate, a vario titolo, per aver fornito cibo, riparo, trasporti e altri “gesti elementari di gentilezza umana” ai migranti.

Il numero di questi casi è aumentato notevolmente nel 2018, con oltre 100 casi registrati lo scorso anno: il doppio rispetto al 2017. Nella maggior parte dei casi del 2018, si è trattato di arresti e accuse per aver fornito cibo, trasporti o altro genere di supporti ai migranti irregolari.

Tra i casi identificati ci sono: un vigile del fuoco spagnolo che rischia fino a 30 anni di carcere per aver salvato alcuni migranti che stavano annegando in mare in Grecia, un olivicoltore francese arrestato per aver sfamato e offerto riparo ad alcuni migranti al confine con l’Italia e una donna anziana danese di 70 anni che è stata condannata, e multata, per aver offerto un passaggio a una famiglia con bambini piccoli.

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ARGENTINA: LE COMUNITÀ INDIGENE DENUNCIANO L’AVANZATA DELL’ESTRAZIONE DEL LITIO A JUJUY

FONTE FARN

Le comunità indigene nel bacino di Salinas Grandes e Laguna Guayatayoc denunciano l’avanzamento delle attività di estrazione del litio e la violazione dei loro diritti sanciti dalla Costituzione, Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene.

Lunedi 4 febbraio le comunità si sono svolte nel posto provincia di Agua Dulce di Jujuy, per manifestare contro il campo minerario che le aziende stanno installando Losi e Ekeko lì per iniziare a sviluppare un progetto di litio mineraria.

All’inizio della protesta, hanno dato ai responsabili dell’installazione una nota in cui chiedevano loro di cessare le attività per violare i loro diritti come comunità indigene. Inoltre, hanno inviato il governatore di Jujuy, Gerardo Morales, un’altra lettera in cui si chiedeva:

  • Il ritiro dal campo minerario;
  • L’interruzione del concorso di Jujuy Energy and Mining State Society (JEMSE) che invita a presentare progetti per lo sfruttamento del litio nelle Salinas Grandes e Laguna de Guayatayoc,
  • La firma il decreto di applicazione del protocollo di consultazione precedente Kachi Yupi: progetto che ha promesso di firmare nel 2017.

ABUSI IN LIBIA: LA COMPLICITA’ DEI SOVRANISTI

 

FONTE R/PROJECT.IT

di Fulvio Vassallo Paleologo

Non bastano i report e le testimonianze sugli abusi subiti dai migranti intercettai in acque internazionali dalla Guardia costiera libica e riportati nei lager dai quali erano fuggiti. Sempre più tragica, in particolare, la situazione dei somali e degli eritrei internati nei centri di detenzione contollati dalle milizie, senza alcuna distinzione possibile tra centri governativi e centri “informali”. Ovunque spadroneggiano i mercanti di esseri umani, che nessuna indagine penale sembra fermare.

Non interessano i documenti di Amnesty International che confermano la gravi violazioni dei diritti umani in Egitto ed in altri paesi dell’Africa del nord. Non bastano neppure le conferme della corruzione delle polizie dei paesi di origine o di transito con i quali gli stati europei, e la stessa Unione Europea, non esitano a concludere accordi bilaterali per contrastare quella che definiscono soltanto come “immigrazione illegale”. Interessi economici e calcoli elettorali schiacciano i diritti umani e li rimettono alla discrezionalità della politica. In nome degli interessi nazionali si strappano le Convenzioni internazionali, ed i rapporti tra gli stati diventano un campo nel quale si esercitano ricatti basati sulla forza militare ed economica. Tutto quello che si vorrebbe nascondere dietro la campagna del fango intentata contro le ONG e chiunque si ostini ad operare soccorsi umanitari, in mare, ed anche in terra.

Il vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh ha confermato la politica europea di esternalizzazione delle attività di controllo delle frontiere, senza che ci sia stato alcun riguardo per le ragioni delle popolazioni e dei migranti oppressi dai regimi e dai governi che sono finanziati dagli stati europei all’esclusivo fine di impedire le partenze dei migranti verso l’Europa. La cooperazione internazionale tanto evocata nei documenti internazionali rimane priva di risorse adeguate e di qualsiasi controllo sulla effettiva destinazione dei finanziamenti quando questi arrivano nei paesi terzi. La questione ambientale costituisce soltanto un paravento per nascondere la sostanza degli accordi, centrati sulla divisione delle risorse energetiche tra i paesi più forti, e sulla ghettizzazione delle popolazioni più deboli, condannate ad un destino di fame e di morte.

Il vertice ha segnato il fallimento definitivo del Processo di Khartoum, avviato dal governo italiano nel 2014, con l’avallo del Consiglio Europeo del 12 maggio 2015, e quindi del Piano di azione Juncker. Forse qualcuno si è accorto che il dittatore sudanese Bashir, sotto accusa da parte della Corte Penale internazionale, non era proprio un partner affidabile, al punto che a Sharm Al Scheikh gli è stata interdetta la partecipazione. Chi scrive del Sudan viene minacciato, ma anche questo sembra trascurabile, nell’indifferenza generale. In Italia ancora si ritiene necessario ed opportuno collaborare con la polizia sudanese, quella stessa polizia che ancora in questi giorni sta massacrando l’opposizione che manifesta in piazza a Khartoum.

Ma il nuovo multilateralismo, rilanciato sotto l’egida del dittatore egiziano Al Sisi, non garantisce i diritti dei popoli ma i privilegi dei grandi gruppi economici. Che anche i dittatori possono assicurare. E infatti la questione centrale degli incontri si è centrata sullo sfruttamento delle grandi risorse energetiche del Mediterraneo orientale, con una attenzione estesa anche alla spartizione della Libia, dove le forze del generale Haftar, sostenute dagli egiziani, dai russi, e sottobanco dai francesi, avanzano ogni giorno sottraendo territorio ( e pozzi petroliferi) al traballante governo Serraj a Tripoli, sponsorizzato dall’Italia e da alcuni paesi europei soltanto per spartirsi risorse economiche e ottenere un maggiore contrasto dell’immigrazione.

La Conferenza internazionale sulla Libia, svoltasi a Palermo lo scorso anno, rimane soltanto una vetrina usata a scopi elettorali, ma è ormai superata dall’involuzione bellica tra la Tripolitania e la Cirenaica, sostenuta dal generale Haftar e dai suoi alleati al Cairo, a Parigi, a Mosca. Il premier Conte, ed i suoi due vice-presidenti del Consiglio, tanto abili nella propaganda elettorale, dovrebbero farsene una ragione, e magari parlare agli italiani senza raccontare altre menzogne. Il risveglio dal sonno dell’indifferenza potrebbe essere assai brusco. Non sembra proprio che ci siano le premesse per una rilancio del ruolo dell’Italia nella soluzione della crisi libica.

Si avvicina la guerra, una guerra commerciale in Europa, tante guerre nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ed ancora più a sud, fino all’Africa sub-sahariana, come in Niger, dove si vuole esternalizzare la frontiera europea. Forse sarà proprio la guerra, l’unica vera tragedia che costringerà il “popolo sovrano” ad interrogarsi sulla reale portata delle politiche di odio ed esclusione contro gli stranieri e contro chi presta loro assistenza. Il capovolgimento del principio di realtà sul quale si sta fondando l’attuale politica dei governi di destra in carica in Europa non potrà che produrre conflitti alle frontiere ed una disfatta economica dell’intero continente con una forte riduzione dei diritti fondamentali che verranno negati non solo agli stranieri ma agli stessi cittadini.

L’Unione Africana ha da tempo respinto i piani europei che prevedevano rimpatri collettivi e piattaforme di sbarco nei paesi nordafricani, ma in Europa si ritiene ancora che sia possibile riportare in Africa i migranti bloccati in acque internazionali nel Mediterraneo. Non sembra che la presenza dell’UNHCR in Libia riesca a garantire davvero i diritti dei migranti trattenuti nei centri di detenzione da quando sono diminuite le possibilità di fuga verso il Mediterraneo. In realtà le rotte migratorie più recenti sono interne al continente africano, e non portano necessariamente all’emigrazione verso l’Europa. Dunque i plitici nostrani non possono continuare a lucrare vantaggi elettorali su una emergenza che non esiste.

Le conclusioni del vertice euro-arabo di Sharm el Scheikh sono state seguite da una aberrante mozione fatta passare da Fratelli d’Italia in un parlamento, ancora intontito dall’esito delle elezioni in Sardegna, che programma un blocco navale davanti alle coste libiche e chiude definitivamente all’adesione dell’Italia al cd. Migration Compact.

Un progetto vecchio, quello del blocco davanti alle coste libiche, di chi dall’estrema destra sa solo diffondere odio per conquistare una fetta di consenso elettorale. Senza però chiarire con quali navi e con quali uomini, mentre la missione Eunavfor-Med (definita anche come Operazione Sophia) si avvia ad un epilogo fallimentare, dopo la chiusura altrettanto ingloriosa della missione NAURAS della Marina italiana. Vedremo chi andrà davvero a fare il blocco navale davanti le coste libiche. Di certo l’Unione Europea non appoggerà mai con propri mezzi una proposta simile.

I cittadini italiani potranno anche illudersi di essere più sicuri perchè un paio di ministri hanno “chiuso” i porti alle navi di soccorso delle ONG ed hanno costretto al ripiegamento i mezzi della Guardia Costiera. Ma dietro queste scelte disumane si aggrava l’isolamento internazionale del nostro paese, acuita dalla concorrenza con la Francia in Libia, e non solo, una situazione che ci esporrà ancora di più alla prossima crisi economica internazionale, sempre più probabile dopo le elezioni europee di maggio. Nessun paese europeo può pensare di uscire da solo dalla crisi economica, soprattutto se è indebitato come l’Italia, così come nessun paese europeo può pensare che adottando misure di blocco navale, unilateralmente, possa risolvere la crisi dei rifugiati e raggiungere una maggiore efficacia nella lotta contro l’immigrazione irregolare. Solo aprendo canali legali di ingresso, attraverso il rilascio di visti umanitari, e rilanciando una grande missione di soccorso in acque internazionali, si potranno battere le organizzazioni criminali che lucrano proprio sullo sbarramento delle frontiere.

Soltanto chi saprà costruire e realizzare progetti basati sulla solidarietà internazionale e sulla soluzione pacifica dei conflitti, avrà un futuro. Quelli che scelgono di rinchiudersi dentro le frontiere nazionali, e quindi dentro le mura di casa, potranno soltanto armare le polizie ed armarsi per la propria difesa personale, ma non saranno certo più sicuri. La vera sicurezza la troveranno soltanto coloro che si organizzeranno per affrontare la crisi senza scaricarla sui più deboli, ma attaccando i veri responsabili a livello nazionale ed internazionale, riattivando processi di partecipazione democratica, e realizzando scelte di vita e di lavoro che creino opportunità di incontro e di solidarietà.

Loris Campetti: Landini segretario della Cgil in attesa del 9 febbraio

 

 

Maurizio Landini ha preso in mano la ultracentenaria Cgil con la forza di un tornado, ma la sua non è una forza distruttrice. Si potrebbe parlare di sindacato del cambiamento se non fosse che chi usa questo sostantivo in politica è un gattopardo che vuole cambiare tutto per non cambiare niente, come fa il governo gialloverde o giallonero che dir si voglia con le politiche economiche, liberiste erano e liberiste restano. Landini vuole bene alle persone che rappresenta, ha con loro una connessione sentimentale per dirla con Antonio Gramsci.

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Canada: la rete per i diritti dei migranti mira a unire migranti e lavoratori

Pubblicato il 3 gennaio 2019
Di Zaid Noorsumar

Fonte : Rankandfile.ca

Trentacinque organizzazioni in tutto il Canada si sono coalizzate per formare la rete per i diritti dei migranti il 18 dicembre, la Giornata internazionale dei migranti. L’alleanza mira a lottare per i diritti dei migranti e combattere l’ondata crescente di razzismo nel paese.

Unifor, Migrant Centre Resource Center Canada e No One is Illegal sono tra i membri della coalizione, che è composta prevalentemente da gruppi per i diritti dei migranti e organizzazioni sindacali.

Una piattaforma antirazzista e “educazione popolare”
Syed Hussan, coordinatore della Migrant Network Alliance for Change, ha detto che la rete lancerà una piattaforma in vista delle elezioni federali del 2019 sui principi dell’anticapitalismo, dell’antirazzismo e della giustizia dei migranti.

“Daremo un messaggio chiaro, coerente, forte ai partiti politici che non permetteremo loro di manipolare ulteriormente e dividerli come un modo per ottenere voti”, ha detto Hussan, citando il tono sempre più nativista del partito conservatore e l’estrema destra

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ControCorrente: unico motivo dei tagli, imbavagliare l’informazione

 

FONTE ARTICOLO21

Tagli! Tagli! Tagli! Tagli all’editoria! L’attuale Governo dice di aver raggiunto il suo obiettivo cercando di far credere ai cittadini che è un risparmio per le casse dello Stato. E’ tra le più grandi fakenews che esperti di mistificazione hanno impacchettato e servito come amaro regalo di Natale a 10mila persone che lavorano nelle 150 testate mirate e colpite da questa legge di bilancio già sbilanciata, a dir poco, nell’impostazione. Esultare per questo obiettivo raggiunto, invece, vuole dire danzare in modo macabro sulla pelle delle famiglie di 10mila persone. Vuol dire anche sottrarre occupazione ad un settore che garantisce pluralismo e democrazia, quello della libera editoria, appunto. Vuol dire attentare alla nostra Costituzione, in particolare all’articolo 21 sulla libertà di informazione.

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L’apartheid istituzionale si va rafforzando in Italia. Sulla bozza di decreto Salvini e sulle crescenti revoche dell’accoglienza – di Gennaro Avallone

FONTE EFFIMERA.ORG

L’apartheid istituzionale si va rafforzando in Italia.

Il Sole 24 Ore ha pubblicato il 23 agosto i contenuti della bozza di decreto legge che il Ministero dell’Interno sta elaborando per quanto riguarda il diritto di asilo e i diritti delle persone richiedenti protezione internazionale in Italia[1].

I contenuti più rilevanti riguardano l’aumento del numero di mesi di detenzione nei centri di espulsione (da 3 a 6 mesi); l’allargamento della lista dei reati che abilitano al rifiuto o alla revoca dell’asilo; la drastica riduzione delle possibilità di ricorso nel caso di diniego della domanda di protezione; la riduzione delle possibilità di ottenere la protezione umanitaria; la limitazione dell’accoglienza negli Sprar solo ai beneficiari di protezione internazionale o sussidiaria; l’esclusione dalla possibilità di iscrizione all’anagrafe (cioè di ottenimento della residenza) per le persone richiedenti asilo, per le quali si prevede un documento di riconoscimento particolare; la proroga di un anno per scrivere un testo unico sull’asilo.

Con e oltre Minniti

Particolarmente serio è il cambiamento che verrebbe prodotto da tre misure: quella che nega la residenza, quella che riduce le possibilità di riconoscimento della protezione umanitaria, quella che limita le possibilità di ricorso alle decisioni avverse alle domande di asilo.

La prima, quella che nega la residenza, un diritto ad avere diritti come ricorda un recente report con toolkit della campagna LasciateCIEntrare[2], significherebbe per le persone richiedenti asilo, ad esempio, l’esclusione dalla possibilità di avere il medico di base e di usufruire, di fatto, del servizio sanitario nazionale.

La seconda, relativa al riconoscimento della protezione internazionale, mette in pericolo la divisione dei poteri tra esecutivo e giudiziario, in quanto interviene nell’autonomia del lavoro delle Commissioni territoriali che vagliano le domande di asilo o, in caso di ricorso, dei tribunali.

La terza, quella che limiterebbe le possibilità di ricorso, determinerebbe un trattamento speciale e penalizzante verso una specifica parte della popolazione (quella richiedente asilo) in virtù del suo status giuridico.

Se i contenuti della bozza saranno confermati saremo oltre il decreto Minniti-Orlando, che ha già ridotto i diritti delle persone richiedenti asilo, e si approfondirà in maniera ulteriore una condizione di apartheid e di razzismo istituzionale a danno di questa parte della popolazione. La separazione tra nazionali e non nazionali si aggraverebbe, dunque, in modo ulteriore e, con essa, la condizione di vulnerabilità e marginalità civile e sociale della popolazione immigrata.

Il circolo della repressione

Questo scenario è in realtà già anticipato da quanto sta accadendo con l’accelerazione e la moltiplicazione delle revoche di accoglienza e con l’ulteriore spinta del Ministero nei prossimi bandi verso centri di accoglienza di grandi dimensioni[3]. In particolare, diversi attivisti ed attiviste registrano già da alcuni mesi l’aumento dei controlli prefettizi punitivi contro i migranti (per esempio, sull’orario di presenza) che provocano revoche di accoglienza[4].

La tendenza è quella di approfondire l’attacco alle persone migranti e non alla malaccoglienza, dunque, indebolendo sempre più le condizioni di vita di parte della popolazione richiedente asilo, ma anche titolare di protezione. Si produce così un’umanità indebolita nei diritti e nelle condizioni di vita, da utilizzare poi, nel circuito della repressione in caso di commissione di reati (o, apparentemente in modo paradossale, anche se sottoposta a condizioni gravi di sfruttamento) a fini di propaganda, dicendo che i migranti sono un pericolo sociale in quanto criminali o lavoratori a buon mercato che abbassano i livelli salariali e di sicurezza degli italiani, per cui ci vogliono politiche sempre più di controllo e di contrasto: alimentando una logica che si muove così all’infinito.

Il Ministero dell’Interno, con questa strategia, produce il problema, peggiorando gravemente la vita di centinaia di migliaia di persone, per poi proporsi come risolutore. Ovviamente, il trucco è chiaro, ma non basta la critica della ricerca sociale o del ragionamento a metterlo in discussione.

La produzione di popolazione debole e con status giuridici differenziati e poveri serve ad una parte dell’economia nazionale per mantenere i profitti alti in settori a basso valore aggiunto (alcuni comparti dell’edilizia, dell’agricoltura, dei servizi alla persona, della prostituzione e del turismo, soprattutto) e serve ad un’altra parte, quella politica, per alimentare la propaganda e accrescere il consenso di una società nazionale sempre più razzista anche perché poco interessata (ancora, per ora) ad organizzarsi per lottare collettivamente per i propri diritti e bisogni e, quindi, incline a seguire chi le propone di essere forte con i deboli in quanto non riesce (non è interessata) ad esserlo con i forti.

È questo corto circuito che va messo in discussione e per questo sono necessari la proposta e la mobilitazione politica, concentrate sui bisogni reali della popolazione al di là delle appartenenze nazionali, in una logica meticcia, che rompe il quadro razzista che le istituzioni governative vanno rafforzando di giorno in giorno e che il decreto del Ministro dell’Interno aggraverebbe, se promulgato, in modo ulteriore.

 

[1]          http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-08-22/stretta-migranti—ecco-nuove-regole-bozza-decreto-salvini-220721.shtml?uuid=AEIo5odF

[2]          http://www.lasciatecientrare.it/j25/italia/news-italia/357-diritti-on-line-il-toolkit-lasciatecientrare-per-l-iscrizione-anagrafica-di-stranieri-richiedenti-asilo-e-beneficiari-di-protezione-internazionale-una-guida-pratica-contro-discriminazioni-e-burocrazia

[3]          https://www.asgi.it/notizie/revoca-accoglienza-napoli/;https://altreconomia.it/accoglienza-bandi-prefetture/.

[4]           https://www.facebook.com/events/242142176503442/?notif_t=plan_user_invited&notif_id=1535196311399675

Nuovo processo a Milagro Sala: la difesa denuncia irregolarità

FONTE PRESSENZA.COM

Il 24 di Luglio inizia un nuovo processo a Milagro Sala e a numerosi membri della sua associazione, la Tupac Amaru. Si tratta di uno dei processi più importanti, quello denominato “Pibes Villeros”, con un insieme di accuse inerenti presunte malversazioni dei fondi gestiti dall’organizzazione nel corso delle sue attività di costruzione di case popolari. La Tupac Amaru è diventata famosa nel mondo per aver creato un sistema virtuoso di cooperative di costruzione che permetteva di costruire a prezzi bassi le case popolari finanziate dal governo e, con i soldi avanzati, costruire scuole, centri medici e sportivi e perfino piscine in ogni quartiere.

Questo processo che invece dipinge la Tupac come un’organizzazione criminale è duramente contestato dal collegio di difesa di Milagro Sala che denuncia numerose violazioni del diritto di difesa ed in particolare il fatto che i giudici abbiano impedito di produrre prove.

In un’intervista a Pagina 12 (ormai uno dei pochi media non allineati con il macrismo dominante) il collegio di difesa ha dichiarato che teme seriamente per l’imparzialità dei giudici: la situazione “priva tutti gli imputati del diritto ad essere giudicati da giudici imparziali e indipendenti e lede gravemente il diritto di difesa”.. Si `fatto anche notare che nel processo verranno usati filmati che dovrebbero essere protetti dal segreto bancario e le testimoninanze di ex membri della Tupac Amaru che sono stati portati a testimoniare grazie ad offerte di vantaggi o minacce.

“Libre o preso, Lula va a ser presidente de Brasil”

https://www.facebook.com/Pagina12ok/videos/2143264862564117/

“Libre o preso, Lula va a ser presidente de Brasil”
Una mesa amplísima encabezada por la presidenta derrocada en Brasil convirtió la presentación del libro Lula – La verdad vencerá en un acto continental por la libertad del líder preso.

Affermazione di Dilma Rousseff, presidente del Brasile un mandato pieno, eletta ancora una volta nel 2014, ha assunto l’incarico nel 2015 e rovesciata nel 2016: “Temo per la vita di Lula, per il cibo che mangia e per  l’acqua che beve, e perché è stata impedita la visita di un medico “. Un altro: “Con Lula stanno usando la giustizia del nemico”, che individua chi distruggere e poi si vede come. È il sistema del lawfare che usa la legge come strumento di guerra……..
Questo era il tono dominante della presentazione presso la Sala Jorge Luis Borges della Fiera del Libro, da “La verità vincerà” il libro dei colloqui con Lula che hanno pubblicato PáginaI12, Editoriale ottobre, Boitempo editoriale e il Consiglio latinoamericano delle Scienze Sociali , in vendita dalla scorsa domenica presso i chioschi. E ‘il libro in cui Lula racconta come il colpo di Stato, perché non si è rifugiato in un’ambasciata piuttosto che andare in galera, quali errori ha fatto il Partito dei lavoratori e quello che è successo ai membri della élite sarà arrabbiato è stato concepito quando i poveri iniziarono salire sugli aerei….

L’ARTICOLO PROSEGUE SU PAGINA12

LA DISUGUAGLIANZA HA MILLE FACCE di Nadia Urbinati

 

FONTE FACEBOOK.COM

Destra, sinistra e nuove categorie
LA DISUGUAGLIANZA HA MILLE FACCE
Nadia Urbinati

Il segno più eclatante delle ultime consultazioni elettorali è stato da molti analisti sintetizzato così: la sinistra vince in centro e perde nelle periferie, dove vince il populismo nazionalistico o il gentismo anti-partitico. Il fenomeno non è solo italiano. Si è verificato con l’elezione di Trump, con Brexit e con l’arrivo di Macron all’Eliseo. Viene esaminato in relazione con la crescita delle diseguaglianze che hanno mutato la fisionomia del popolo sovrano, dividendolo in nuovi patrizi e nuova plebe. Per la prima volta da quando la democrazia è rinata, dopo la seconda guerra mondiale, l’andamento delle relazioni tra classi e forze politiche ha subito un mutamento profondo che cambia il significato dei termini “destra” e “sinistra”. Se fino agli anni ’ 80 il voto ai partiti di sinistra o centrosinistra era associato a basso tenore di vita, meno cultura e minor reddito, dalla fine del secolo si è sempre più associato alle élite con alta educazione e buoni redditi.

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Cosa abbiamo da perdere?

Fonte LavoroeSalute

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 Cosa abbiamo da perdere?

Hanno salvato 218 vite esposte a due alternative: la morte in mare su gommoni alla deriva o finire catturati dalla sedicente Guardia costiera libica, finanziata dall’UE, per essere riportati nelle mani di aguzzini usi a chiedere un riscatto, a torturare, a stuprare a rinchiudere in centri di detenzione.

In un mondo normale sarebbero stati chiamati “eroi”, oggi invece come ormai noto perché anche la stampa mainstream ha sussultato, sono accusati di “associazione a delinquere” e la loro imbarcazione è stata sequestrata con un atto di vera e propria pirateria giuridica.

In una affollata conferenza stampa ieri pomeriggio Oscar Camps, fondatore dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, che dal 2016 con 3 imbarcazioni ha tratto in salvo circa 25 mila persone, Riccardo Gatti, (Coordinatore in Italia dell’Ong), l’ormai ex senatore Luigi Manconi e l’avvocato Alessandro Gamberini, hanno raccontato di una vicenda assurda che potrebbe divenire normalità fino a quando verranno tollerati i comportamenti di governi e procure simili.

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In Polonia le donne tornano in piazza per l’aborto legale

Dopo le pressioni della chiesa polacca, il partito di maggioranza conservatore ha messo in calendario l’estensione del divieto all’interruzione della gravidanza. Le donne polacche hanno ripreso la mobilitazione in tutto il paese e lanciato l’appello al movimento femminista globale

In Polonia torna la protesta delle “grucce”. Dopo la black monday protest che paralizzò il paese lo scorso 3 ottobre del 2016 con il primo sciopero delle donne contro il divieto di aborto si diede il via ad una lunga serie di mobilitazioni e scioperi che di fatto bloccò qualsiasi iniziativa restrittiva agita da parte della maggioranza governativa di estrema destra. Lo scorso 14 marzo la Conferenza Episcopale ha riaperto lo scontro, esortando ufficialmente i legislatori polacchi a procedere immediatamente verso il divieto di aborto nei casi di gravi malformazioni fetali.

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Il nemico interno/2 (articolo ripreso da Carmillaonline)

di Alexik

Prison Break Project, Costruire evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico, Edizioni Bepress, 2017, pp. 277.

A volte si incontrano dei libri necessari.
Costruire evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico, è sicuramente uno di questi.
E’ un libro necessario perché finalmente qualcuno – un collettivo di ricercatori precari – si è assunto l’onere di fare il punto, in una prospettiva sia storica che attuale, sull’insieme dei dispositivi repressivi elaborati negli anni dai poteri costituiti contro i movimenti conflittuali.
E’ un libro necessario perché indaga la repressione nella sua complessità: non solo come strumento giudiziario e poliziesco, ma come frutto di ‘una deliberata scelta politica che coinvolge governanti, politici, magistrati, funzionari di polizia, giornalisti e cittadini democratici’.

Uno scontro che non utilizza solo gli armigeri, ma si gioca anche sul terreno dell’immaginario attraverso una narrazione della realtà che rende l’azione poliziesca e giudiziaria accettabile, auspicabile, desiderabile da parte di un’opinione pubblica appositamente costruita.

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2 anni senza Giulio Regeni. 110 piazze d’Italia si tingono di giallo per chiedere verità e giustizia

FONTE ARTICOLO21.ORG

Tante le piazze da nord a sud che si sono tinte di giallo per ricordare Giulio Regeni a due anni dall’omicidio. Migliaia le persone che hanno preso parte in oltre 110 città, in tutto il Paese, a fiaccolate silenziose esattamente alle 19.41, l’orario dell’ultimo contatto telefonico di Giulio.
E’ partito dal piazzale antistante le scuole di Fiumicello (Udine), paese natale di Giulio Regeni, la ‘Camminata dei diritti’, la marcia che ha dato il via alle iniziative in programma per chiedere Verità e giustizia per il giovane ricercatore. Ad aprire il corteo sono i bambini del Governo dei giovani del comune di Fiumicello, che hanno portato una bandiera arcobaleno. Subito dopo ha sfilato la madre di Giulio, Paola Deffendi, con la bandiera gialla riportante la scritta “Verità per Giulio Regeni”. Tanti i ragazzi e le famiglie presenti, con in una mano la fiaccola gialla, nell’altra un nastro dello stesso colore che rappresenta le libertà e i diritti, che ognuno ha conquistato o ricevuto. All’arrivo ciascun nastro è stato legato in un punto del piazzale dei tigli per rafforzare la trama del legame sociale.

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Due anni a chiedere la liberazione di Milagro Sala

 FONTE PRESSENZA.COM

17.01.2018 – Buenos Aires Mariano Quiroga

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Due anni a chiedere la liberazione di Milagro Sala

Nella mattinata di ieri (16 gennaio) si è tenuta una manifestazione nel centro di Buenos Aires per chiedere la liberazione della leader sociale Milagro Sala, nel secondo anniversario della sua detenzione arbitraria e illegale a Jujuy, nel nord dell’Argentina.

Dall’Obelisco di Buenos Aires alla sua casa nella provincia di Jujuy i manifestanti hanno marciato cantando per la libertà di tutti i prigionieri politici in Argentina e contro Gerardo Morales, il governatore di Jujuy e Mauricio Macri, presidente del paese, per denunciare l’arbitrarietà di un potere giudiziario cheesegue gli ordini del potere politico.

C’è stata anche una conferenza stampa in cui è stato denunciato il governo autoritario, la sua non osservanza dei diritti umani, oltre che delle garanzie costituzionali e del diritto a un equo processo. È stato evidenziato l’importante ruolo della mobilitazione popolare che ha fatto si che il mondo guardasse con preoccupazione ciò che sta accadendo in Argentina, paese in cui stanno tornando pratiche totalitarie, persecuzioni politiche e repressioni.
Durante la mattinata sui social network è stato lanciato anche un “tuiteazo” con lo scopo di diffondere il messaggio di libertà per la parlamentare del Mercosur e presidentessa della Tupac Amaru.

#2AñosPresaPolitica e #LiberenMilagro sono stati alcuni degli hashtag più usati.

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Un anno di Daspo urbano

 fonte dinamopress

Un primo bilancio sull’applicazione delle misure sulla sicurezza urbana di Minniti che stanno trasformando le città italiane in luoghi di controllo ed espulsione per i poveri. Spianando la strada all’estrema destra

Il 31 Dicembre alcuni importanti quotidiani italiani hanno riportato i dati diffusi dal Viminale su migranti e sicurezza. Si tratta soprattutto di dati su accoglienza ed espulsioni che è possibile trovare sul sito del Viminale. Sul versante sicurezza sia Repubblica che Il Sole 24 Ore hanno riportato lo stesso laconico righino «i dati del ministero dell’Interno dicono che il Daspo urbano è stato adottato quest’anno in 465 casi, era già in vigore in 270, per un totale di 735» un dato che però non è stato possibile riscontrare sul sito del Viminale.

Si tratta di un’informazione difficile da interpretare poiché il Daspo urbano, tecnicamente, non esiste. “Daspo urbano” è un termine giornalistico utilizzato per spiegare le nuove misure introdotte dal Decreto legge del 20 febbraio 2017, ( D.L. 14/2017 ) meglio noto come Decreto Minniti.

Le nuove “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città” hanno introdotto nell’ordinamento italiano nuovi provvedimenti amministrativi di polizia: l’ordine di allontanamento, di competenza delle forze dell’ordine, e due diverse tipologie di divieto di accesso, emanate dal questore.

L’ordine di allontanamento, detto anche “mini-Daspo” è un provvedimento amministrativo preventivo-cautelare e può essere imposto da tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine anche prive della qualifica di agente di pubblica sicurezza. L’allontanamento della durata di 48 ore può essere così impartito anche dagli appartenenti alle Polizie locali e deve limitarsi a vietare la circolazione o lo stazionamento in una zona ben delimitata.

Il Divieto di Accesso Urbano (c.d. D.AC.UR.) è ciò a cui generalmente ci si riferisce con la dicitura “Daspo urbano”. Si tratta di un divieto di accesso della durata di sei mesi, che può estendersi sino ai due anni nel caso in cui il destinatario non abbia una fedina penale immacolata. Il divieto di accesso viene emanato dal questore nel caso di «reiterazione delle condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione di infrastrutture urbane», e può essere emanato relativamente ad una o più aree, le quali devono essere espressamente specificate e dunque precedentemente individuate attraverso una delibera comunale. Considerando che molti capoluoghi hanno deliberato solo recentissimamente sulle zone “a rischio Daspo” e che molti non lo hanno ancora fatto, si può affermare senza grossi dubbi che il reale impatto di queste misure sui territori è ancora tutto da verificare.

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Libia: ecco cosa succede nei centri di detenzione per migranti

FONTE ASGI

Ecco le motivazioni della sentenza del 10 ottobre 2017 con cui la Corte d’assise di Milano ha condannato all’ergastolo un cittadino somalo ritenuto responsabile di gravissimi fatti di violenza commessi nei primi mesi del 2016 in un campo di raccolta dei migranti in Libia (cfr. comunicato dell’11 ottobre).

Leggere le testimonianze delle persone offese sentite nel processo lascia senza fiato.

Nel campo in cui le persone offese erano rinchiuse con la forza, e di cui l’imputato è risultato uno dei gestori, centinaia di persone di ogni età venivano quotidianamente sottoposte a torture, violenze sessuali, omicidi a scopo dimostrativo o per semplice crudeltà, in un clima di disperata rassegnazione delle vittime e di assoluta impunità dei carnefici.

Vale davvero la pena trovare il tempo per leggere almeno alcune pagine della sentenza per rendersi dell’orrore assoluto in cui centinaia di essere umani si trovano a vivere in questi anni nei campi di detenzione libici. Tale orrore oggi ha trovato riconoscimento in una sentenza di un giudice italiano.

Il dibattito sulle politiche di riduzione dei flussi migratori non può non tenerne conto: la politica di impedire con ogni mezzo gli arrivi in Italia dalla Libia significa condannare gli stranieri a rimanere in quei medesimi centri che riconosciamo ufficialmente luoghi di tortura e di morte.

Nessuno può più dire di non sapere.


Foto : Freepik (CC0 1.0) 

Governo dell’homelessness: dichiarare guerra ai poveri in nome del “decoro” e della “sicurezza urbana” – di Daniela Leonardi

FONTE EFFIMERA 

Autrice : Daniela Leonardi 

Con l’abbassamento delle temperature, l’inverno ormai alle porte, i media riscoprono come di consueto l’esistenza delle persone senza dimora. Questa stagione è iniziata, contrariamente al solito, con articoli diversi dal racconto del pericolo di vita per chi è costretto a dormire all’aperto. Verso fine novembre abbiamo letto la notizia dell’applicazione del Daspo Urbano – previsto dal decreto Minniti-Orlando, convertito nella legge 48 del 2017 – comminato a una decina di persone homeless nella città di Bologna. Con la loro presenza queste persone  avrebbero ostacolato il passaggio dei pedoni; sono state, quindi, forzatamente costrette ad andarsene in nome del decoro e della sicurezza urbana. Cosa si intende per sicurezza urbana? «Per sicurezza urbana si intende il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, la promozione del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile».

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Chi sono loro per decidere quando e chi possiamo considerare italiano?

Si parla di un Senato che non ha raggiunto il numero legale nell’aula di Palazzo Madama per discutere la lunga attesa riforma cittadinanza. Ma non è del tutto corretto. La maggioranza c’era fino a poco prima, quando è stata approvata la Manovra 2018. Chi ha lasciato quell’aula la mattina del 23 dicembre, lo ha fatto consapevolmente. Di proposito. Chi ha lasciato quell’aula ha scelto da che parte stare. Ha votato, pur non votando.

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Milagro Sala di nuovo ai domiciliari ma nella casa sbagliata

16.12.2017 – Redazione Italia

Milagro Sala di nuovo ai domiciliari ma nella casa sbagliata
(Foto di Pagina 12)

Ieri il giudice Pablo Pullen Llermanos ha ordinato che Milagro Sala fosse messa ai domiciliari nella località  di El Carmen, dove già aveva passato un primo periodo agli inizi si settembre, prima di essere di nuovo pretestuosamente messa in carcere. Il giudice ha dettato anche una serie di regole restrittive che poco hanno a che vedere con le regole internazionalmente risonosciute dell’arresto domiciliare, come controlli polizieschi e restrizione nelle visite.

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DONAZIONI FORZATE

fonte NIGRIZIA

Il traffico di organi è legato strettamente al commercio di esseri umani, che forniscono “materia prima” gratuita e senza rischi. Un crimine estremamente lucroso che sembra essere in forte crescita e di cui finalmente si comincia a parlare.

di Bruna Sironi

 

Il traffico di organi, di cui a lungo si è vociferato con scetticismo ed incredulità, è ormai venuto allo scoperto come uno dei più odiosi crimini legati al traffico di essere umani. Un crimine che sembra essere in forte crescita anche grazie alla crisi migratoria degli ultimi anni, che ha esteso, rafforzato e rinsaldato le reti dei trafficanti e ha messo a disposizione molto “materiale” praticamente senza rischi.

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Argentina, Roma: i diritti umani nel tempo di Macri

FONTE PRESSENZA.COM

06.12.2017 Redazione Italia

Argentina, Roma: i diritti umani nel tempo di Macri

I diritti umani nel tempo di Macri, il governo delle multinazionali: Benetton nelle terre dei Mapuche

Incontro-dibattito giovedì 7 dicembre 2017 alle ore 19:00 presso la Casa del Popolo

Via B. Bordoni, 50 – Torpignattara – Roma

Il 7 dicembre 2017 presso la Casa del Popolo di Torpignattara si terrà un incontro che affronterà il delicato tema dei diritti umani in Argentina sotto il governo di Mauricio Macri.

Al dibattito saranno presenti ospiti d’eccezione come Taty Almeida, scrittrice, attivista dei diritti umani e membro de Madres de Plaza de Mayo Linea Fundadora, Carlos Pisoni militante di HIJOS (Hijos e Hijas por la Identidad y la Justicia contra el Olvido y el Silencio) e Sergio Maldonado, fratello di Santiago, attivista argentino impegnato per la difesa dei diritti del popolo Mapuche dapprima sequestrato e poi ritrovato senza vita a distanza di mesi.

L’Argentina vive nuovamente un periodo storico critico e difficile in materia di diritti umani e ne sono altri esempi la detenzione illegale di Milagro Sala, dirigente dell’organizzazione Tupac Amaru, la criminalizzazione e la repressione della protesta sociale e quelle dei popoli originari. Sono alcune delle tematiche che si affronteranno durante il dibattito oltre alla recente sentenza della mega causa ESMA, il centro di detenzione illegale durante la dittatura civico-militare dal 1976 al 1983.

Nel corso della serata inoltre verrà consegnato ai familiari di Santiago Maldonado una targa in sua memoria insignito all’attivista dal Premio ISUPP (IoSonoUnaPersonaPerbene).

L’incontro è organizzato in collaborazione con HIJOS Capital da Argentinos en Italia por Memoria Verdad y Justicia, da Progetto Sur, dal Comitato per la liberazione di Milagro Sala e dall’agenzia stampa internazionale Pressenza

“Per cambiare l’ordine delle cose”: la società civile si mobilita su diritti e immigrazione

 

FONTE  PRESSENZA.COM

Quelle oltre 500 persone arrivate il 3 dicembre a Roma da 130 città italiane per discutere su come cambiare l’ordine delle cose (della narrazione, ma soprattutto delle politiche in tema d’immigrazione), probabilmente non le vedrete spesso in televisione. Sicuramente meno spesso di quanto non si vedano quattro persone che fanno un blocco stradale.

Doveva essere un evento celebrativo e conclusivo dell’insperato successo di un film – “L’ordine delle cose”, appunto, di Andrea Segre – ancora in sala dal 7 settembre e visto da decine di migliaia di persone.

E invece il forum “Per cambiare l’ordine delle cose” (organizzato da Amnesty International Italia, Banca Etica, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Naga Onlus, Jole Film e ZaLab), iniziato con un commosso ricordo di Alessandro Leogrande che avrebbe dovuto esserne uno degli animatori, potrebbe aver segnato l’inizio di una nuova stagione di impegno sui diritti, sull’accoglienza, sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

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“Ikea disumana”, la rivolta dei clienti

Ikea disumana, la rivolta dei clienti

(Fotogramma)

“Le persone non sono componibili, vergogna”, “non acquisterò mai più né li né in nessun altro punto vendita dell’Ikea fino a che non sarà risolta la questione”, “da oggi vi boicotterò e come me molte altre persone, non siete umani“, “non si licenziano madri in difficoltà, non comprerò più nulla da voi”, “anche qui dipendenti e clienti sono solo numeri. Da oggi sicuramente un numero in meno”, “disumani. Leggete un manuale con cui assemblarvi la dignità piuttosto che dei mobili“. L’articolo segue alla fonte su ADNKRONOS

Ventimiglia libera – di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

fonte effimera

Riprendiamo da Parole sul confine questo report sulla giornata dello scorso 11 novembre a Ventimiglia.

 

Partiamo al mattino da Genova per Ventimiglia, portiamo con noi una confezione da 1 kg di anti-scabbia galenico fornitoci gratuitamente da una farmacia di Genova.
Dopo un breve ma caldo incontro con Delia nel suo locale, ci rechiamo in bici presso l’info-point Eufemia, in via Tenda. Vogliamo incontrare i volontari presenti per parlare dei criteri di somministrazione del farmaco. La procedura prevede, oltre alla distribuzione adeguata, il mantenimento della pomata per 12 ore e soprattutto il cambio totale degli indumenti e delle coperte. La scabbia è, non ci stancheremo mai di ripeterlo, assolutamente non grave e facilmente guaribile in condizioni igienico sanitarie normali. Diventa più grave, degenerando in sovra-infezioni batteriche, nelle situazioni di disagio come quella vissuta dai migranti che hanno trovato rifugio sotto al ponte. Per tenere sotto controllo la malattia occorre avere una buona organizzazione ed una presenza costante sul territorio, che i volontari di Eufemia possono fornire.
Mentre ci accordiamo con loro per eventuali consulti a distanza, rumori e voci dall’esterno dell’info-point ci informano che una manifestazione anti migranti sta percorrendo la via su cui si affaccia.

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L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu

Fonte Pressenza.com

21.11.2017 – Redazione Italia

L’inferno dei profughi in Libia: diventano un’auto-accusa le giustificazioni dell’Italia di fronte alla denuncia Onu
(Foto di Medici senza Frontiere)

“Cos’è oggi la Libia si sapeva già…”. O, ancora: “Sono cose terribili, ma in fondo già note”. E via di questo tono. E’ con dichiarazioni di questo genere che vari esponenti del Governo e del Parlamento italiano hanno reagito alla dura presa di posizione di Zeid Raad Al Hussein, il commissario Onu per i diritti umani il quale, evidenziando l’orrore dei lager libici, ha contestato la politica migratoria dell’Unione Europea, condannando in particolare l’accordo tra Roma e Tripoli per fermare gli sbarchi. “E’ disumana – ha detto testualmente Zeid Raad – la scelta Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. La conferma di questo inferno è arrivata, in quelle stesse ore,  da un reportage della Cnn che ha documentato la vendita all’asta di alcuni profughi come schiavi, esattamente nei modi che diversi richiedenti asilo sbarcati in Italia hanno raccontato negli ultimi mesi a varie Ong e operatori umanitari. Ma la reazione alle immagini sconvolgenti della Cnn da parte della politica italiana è stata sostanzialmente la stessa: “Già si sapeva…”. Ovvero, nessuna presa di distanza ma, anzi, quasi una auto-assoluzione e un ulteriore supporto alla Libia. Non a caso i principali giornali libici – ad esempio il Libya Herald o il Libyan Express – hanno titolato: “L’Italia difende la Libia contro l’Onu dall’accusa di accordo inumano sui migranti”.

Allora, “si sapeva”. Certo che si sapeva. A parte tutti i dossier e le denunce alla stampa che si susseguono da anni ad opera di Ong come Medici Senza Frontiere, Amnesty, Medici per i Diritti Umani, Human Rights Watch, sono numerosi i rapporti fatti anche da istituzioni internazionali. Qualche esempio, solo negli ultimi 12 mesi.

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Seule face à la justice après avoir été violée

par Françoise De Smedt

Victime d’un viol, Norine raconte son parcourt pour nous permettre de comprendre les barrières à surmonter pour les victimes. Un témoignage qui montre aussi que la justice dans notre pays n’est pas au service des victimes.

Norine a porté plainte au mois de décembre 2016 pour viol. Elle s’est rendue au commissariat de police à Liège où elle a été très bien accueillie.

« On m’a demandé si je voulais que ce soit un homme ou une femme qui prenne ma déposition. Donc j’ai eu une femme et elle a pris 4h30 pour faire ma déposition. Pour avoir les détails et tout ce qui était nécessaire à avoir comme informations s’il devait y avoir un procès. »

Là, on lui a aussi donné les infos pour le service d’aide aux victimes, le suivi psychologique puisque c’est aussi dans la loi. Ainsi que le numéro d’une assistante sociale de la police qui lui a dit qu’elle serait recontactée. Elle s’est rendue également au service d’aide aux victimes de Liège. « Jusque-là tout se passait plutôt bien. »

Un mois plus tard Norine n’avait toujours pas de nouvelles. « J’ai appelé une assistante sociale du parquet. Cette assistante m’a dit : “On n’a toujours pas de nouvelles, je vous resonnerai dans un mois.” Donc deux mois et demi après les faits. Le problème c’est qu’entre temps, je croisais régulièrement le garçon qui m’a violé, ici, à Liège. Ça laisse un grand flou émotionnellement et psychologiquement. Et une peur aussi, on se demande ce que va être la réaction de la personne quand elle va être au courant de la plainte. Ca a duré jusqu’au mois de juin. »

Norine apprend que l’auteur n’a toujours pas été entendu. « Un gros coup de massue… Cela faisait 7 mois et toujours pas de nouvelles. La personne n’est toujours pas entendue. Moi, je stresse en me disant elle était au courant alors qu’elle ne l’est pas. C’était insupportable. »

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Palestine : 50 ans d’occupation, 50 ans de lutte ouvrière

FONTE : EQUALTIME

Palestine : 50 ans d'occupation, 50 ans de lutte ouvrière

A Palestinian worker on a construction site in the city of Bethlehem, in the southern occupied West Bank, on 27 September 2017.

(Chloé Benoist)

Malgré 30 ans de sa vie passés à travailler comme menuisier en Israël, et les 17 dernières années comme agriculteur dans la partie sud de la Cisjordanie occupée, Mohammad Issa Salah, âgé de 70 ans, a toujours du mal à joindre les deux bouts.

« Ici, le coût de la vie est comme en Europe, mais les salaires sont comme en Afrique, » déclare le vieux Palestinien du village d’Al-Khader à Equal Times, s’exprimant dans le peu d’anglais dont il se souvient de l’école.

La situation de ce vieillard est loin d’être une exception : avec un quart des Palestiniens vivant sous le seuil de pauvreté et un taux de chômage comparable, les Palestiniens luttent depuis des décennies pour assurer leur subsistance et faire valoir leurs droits dans le monde du travail.

Au cours des 50 dernières années, l’occupation israélienne de la Cisjordanie, de Jérusalem-Est et de la bande de Gaza a eu un impact incontestable sur les conditions de travail des Palestiniens. Dans le même temps, les syndicats peinent à dépasser les clivages politiques pour faire avancer concrètement la protection des droits des travailleurs palestiniens.

« La terre n’est pas la seule chose qui est occupée ; c’est aussi le cas de l’économie palestinienne, » déclare Matthew Vickery, auteur d’« Employing the Enemy: The Story of Palestinian Labourers on Israeli Settlements ».

Les centaines de milliers de Palestiniens qui se sont retrouvés sous le contrôle de l’armée israélienne en 1967 sont rapidement devenus une source de main-d’œuvre ouvrière pour l’économie israélienne, accomplissant des tâches que peu d’Israéliens étaient disposés à faire, pour un coût beaucoup moins élevé et avec beaucoup moins de protections juridiques.

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Lettera di Milagro Sala ai giudici

FONTE PRESSENZA.COM

16.11.2017 – San Salvador de Jujuy Redacción Argentina

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Lettera di Milagro Sala ai giudici

 

Ai giudici e pubblici ministeri di Jujuy:

Oggi voglio scrivere quello che già tutti voi sapete, ma che credo sia necessario dire .

Voi sapete che sono una perseguitata politica. Anche se dite pubblicamente il contrario, sapete che sono una perseguitata politica.

Sapete che il mio arresto e la successiva detenzione sono state decise dal governatore Gerardo Morales.

Sapete che le cause intentate contro di me sono state decise nel palazzo del governatore. Sapete anche che voi avete obbedito e siete stati, e siete, strumenti di persecuzione politica.

Sapete che il giudice Pullen Llermanos ha proposto più volte ai detenuti di scambiare la loro libertà per una dichiarazione contro di me. Lo sapete e sapete che Pullen Llermanos rispetta i patti. Chi testimonia contro Milagro Sala ha libertà e assoluzione, chi non accetta può aspettarsi una pena detentiva indefinita.

Sapete ogni passo giudiziario che ha luogo nelle cause viene consultato e deciso nel palazzo del governatore.

Voi, giudici e pubblici ministeri, siete quelli che chiedono e obbediscono, lasciando da parte i principi del diritto che avete studiato all’università e che avete giurato di difendere.

Sapete che la persecuzione non è solo contro di me, ma contro la mia famiglia e i compagni e le compagne della Tupac che non hanno tradito la verità né le loro convinzioni.

Sapete che la persecuzione è anche contro i miei avvocati, che sono stati puniti più volte.

Non tentate solo di metterci in galera per molti anni, volete anche distruggerci come persone e cercare di sotterrare tutto il lavoro sociale e popolare che la Tupac Amaru ha fatto.

Voi sapete, e lo so anch’io, che verrò condannata, poiché questa è la decisione di Morales e voi gli obbedite.

Sappiate anche che la storia non si ferma e che un giorno dovrete dar conto, con tutte le garanzie legali che vi spettano, di queste persecuzioni.

Sappiate, inoltre, che le differenze politiche non si risolvono con la reclusione degli avversari. Quelli che lo fanno finiscono per essere mercenari del potere politico autoritario.

Con le mie convinzioni intatte.

Milagro Sala
Prigioniera Politica.

Abbiamo fatto fuori questo Varoufakis – Toni Ferigo

fonte WORKINGCLASS.IT

Il professore è uno scrittore prolifico. Oltre a testi e saggi di economia ,analisi politiche, pubblica anche riflessioni personali : “ pensieri di un marxista immaginario”, “ l’economia insegnata a mia figlia”. L’ultima in ordine di tempo è un diario sulla sua esperienza di ministro nel confronto con le istituzioni della “troika”, EU, IMF, Banca Europea in riunioni incontri, pour parler, dichiarazioni, etc.. Incontrò anche Matteo Renzi che pensò bene, dopo le sue dimissioni,di aprire un consiglio dei ministri italiano con un poco educato, “abbiamo fatto fuori questo Varoufakis”.

Yanis Varoufakis, professore d’economia alla università del Texas ,è stato il ministro delle finanze del governo greco nella trattativa sul debito con l’UE. Sei mesi drammatici. La conclusione è nota. La UE impose alla Grecia l’accettazione delle sue condizioni riassumibili in “ più austerità “. Varufakis , messo in minoranza nella direzione del Partito Siriza si dimise. Oggi è tra i promotori di un movimento europeo DEM25.

La memoria è titolata “adulti nella stanza”. Un titolo un po’ criptico. Chi sono gli adulti e quale la stanza ? La risposta è semplice. In una sua critica a eterodossi oppositori del piano prestito greco Martine Lagarde, presidente del FMI parlò di “ ragazzini nella stanza”. Era parte dell’attacco mediatico a Varufakis e i suoi collaboratori e sostenitori. Rafforzava un immagine fatta di incompetenza, superficialità ed esibizionismo.

Con l’augurio che sia presto tradotto e pubblicato in italiano il diario politico di Varufakis si presta da subito a considerazioni che vanno al di là della cronaca dei fatti. Va collocato entro l’intera storia , lo scenario di fondo su cui si svolse la rappresentazione. Ne tentiamo una sintesi anche con l’aiuto di altre fonti. Le parti in corsivo son tratte dal libro.

Quando Varufakis divenne ministro nel Gennaio 2015 l’economia greca era in condizioni disastrose. E’ bene precisare che l’economista accademico, non era nuovo alla politica, come è stato spesso raffigurato, sino a descriverlo come un apprendista politico, intellettualoide, narcisista benestante. Era membro del parlamento greco. La sua attività in passato non era stata solo accademica ma anche politica. Nel 2010 scrisse in collaborazione con Stuard Holland , figura storica della sinistra inglese, un libretto dal titolo significativo, “modesta proposta per risolvere il problema del debito europeo”. Una impostazione ,allora considerata keynesiana , per questo discutibile dagli ortodossi del tempo. Oggi sarebbe criticata come non realistica , troppo radicale. E’ stato anche consigliere economico del primo ministro Papandreu. Ruolo da cui si dimise dopo due anni di inascoltati consigli.

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Molestie ai danni di Milagro Sala

FONTE PRESSENZA.COM

05.11.2017 Redacción Argentina

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Molestie ai danni di Milagro Sala

Comunicato del Comitato per la Liberazione di Milagro Sala

Lo scorso mercoledì 1 novembre, alle ore 22:25, Milagro Sala è stata tradotta nel carcere di Alto Comedero, su ordine del giudice Pullern Llermanos,  dal sanatorio Los Lapachos, luogo in cui era stata sottoposta a colonscopia ed endoscopia, con anestesia, oltre ad altri esami clinici.

Il fatto ha avuto inizio martedì 31 ottobre quando, dopo varie settimane di reclami, a Milagro Sala era stato finalmente concesso il ricovero presso questa clinica privata per effettuare diversi esami. Lo aveva richiesto durante la detenzione in località El Carmen e dopo in un habeas corpus- rifiutato dal giudice Isidoro Cruz e dalla Corte d’Appello – violando quanto stabilito dalla legge in materia di Esecuzione Penale, che autorizza i soggetti detenuti ad effettuare esami clinici in forma privata.

Ricordiamo inoltre che lo stesso giudice aveva disposto, in modo insperato, il ritorno di Milagro presso la casa del Carmen, all’unità 3 di Alto Comedero, senza notificarlo alle parti, adducendo erroneamente che la dirigente sociale aveva rifiutato di effettuare esami clinici e avvalendosi del diritto alla difesa.

Riguardo gli esami, Raul Noro, consorte della dirigente sociale, ha detto: “Siamo in attesa dei risultati, ma i medici ci hanno già anticipato che sta soffrendo di una forma acuta di gastrite, colon irritabile, scoliosi cervicale, importante contrattura della schiena e un’impurità al cristallino di entrambi gli occhi, oltre ad altre problematiche che si sono acutizzate a causa dello stress e della depressione che sta soffrendo”. Ha anche spiegato gli altri esami clinici in sospeso e che stanno attendendo, tra gli altri, gli esiti della biopsia del colon e il pap test.

In questa situazione, mercoledì notte, mentre Milagro stava riprendendosi dalla suddetta anestesia ed era appena uscita dalla sala operatoria, il giudice Pablo Pullen Llermanos chiamava la clinica affinché fosse immediatamente tradotta in carcere.

La misura del giudice ha sorpreso tutti i nostri compagni in quanto la paziente, semi addormentata e dopo 21 ore, sperava di rimettersi prima di tornare in carcere.

Milagro Sala ha sempre osservato la legge e rispettato la forma e i procedimenti giuridici. Un esempio: quando il giudice aveva cercato d’internarla nuovamente in un ospedale pubblico, la dirigente, che allora si trovava presso la casa del Carmen, aveva chiesto precedentemente il proprio ricovero in una clinica privata- cosa che poi ha ottenuto- di comune accordo coi professionisti del Dipartimento Medico del Potere Giuridico, lo psichiatra Pablo Groveix e la dottoressa Laura Molina.

Risulta pertanto strano l’atteggiamento nei confronti di Milagro Sala, a cui non viene data la possibilità di riprendersi da un’anestesia per essere tradotta in auto all’unità 3 ad Alto Comedero. Tutto ciò denota una grandissima disumanità nei procedimenti ordinati “dall’altissima magistratura” esercitata dal Dott. Llermanos, secondo le sue parole.

Riteniamo che ciò costituisce soltanto l’ennesimo capitolo nell’aggravamento della situazione di disagio che la Commissione Internamericana dei Diritti Umani ha osservato contro Milagro Sala al momento di concederle la misura cautelare dopo aver constatato che la sua vita e la sua integrità erano a rischio, situazione aggravata dallo stato di salute mentale della beneficiaria.

Ieri pomeriggio, la CIDH ha ritenuto incompleta la misura cautelare disposta in favore di Milagro Sala da parte dello Stato Argentino ed ha inviato alla Corte Internamericana dei Diritti Umani una richiesta affinché siano adottate misure preventive in favore della deputata del Palasur.

 

Traduzione dallo spagnolo di Cristina Quattrone

Nuovi dati e nuovi diritti, per una nuova polis

FONTE SBILANCIAMOCI

Non solo i dati delle pubbliche amministrazioni, ma anche quelli che produciamo spesso senza saperlo e perdendone subito il controllo hanno un enorme potenziale per la collettività e per i singoli cittadini. Ma il loro valore pubblico è ancora misconosciuto. Eppure si tratta del nostro diritto digitale alla città, come recita il titolo di una raccolta di 8 brevi saggi e un glossario sui temi delle trasformazioni digitali in atto nella vita quotidiana e privata di tutti, al punto da diventare materia comune. Oggetto di rilevanza pubblica.

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“El Estado es responsable de la salud física, psíquica y moral de Milagro Sala”

fonte PAGINA12
La CIDH remarcó que la cautelar sigue vigente y debe ser cumplida
“El Estado es responsable de la salud física, psíquica y moral de Sala”
Luego de una semana de sesiones en Montevideo, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos se pronunció sobre el incumplimiento de la cautelar que ordenó garantizar la salud y la vida de Milagro Sala. El titular del organismo recordó que la medida sigue vigente y que es de cumplimiento obligatorio.

Durante el cierre de su 165º audiencia que este año tuvo sede en Uruguay, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) advirtió al gobierno argentino de su “responsabilidad” sobre “la vida e integridad” de la dirigente detenida en Jujuy Milagro Sala, y lo instó a garantizar “que no se realicen actos que puedan ponerla en riesgo”. Además, lamentó la revocatoria de la prisión domiciliaria dictada contra la líder de la organización Tupac Amaru y ratificó que la medida cautelar que recomienda que no continúe en el Penal de Alto Comedero “es obligatoria”.

Las definiciones del organismo de cuyo sistema de legislación la Argentina es parte asociada fueron emitidas durante una conferencia de prensa en donde la cúpula de ese organismo internacional transmitió sus principales conclusiones sobre los casos debatidos desde el lunes pasado en la capital uruguaya.

Al ser consultados sobre la situación de Sala, el titular de la CIDH, Francisco Eguiguren, recordó que “sigue vigente” la medida cautelar que en julio pasado había conminado al Estado argentino a mejorar las condiciones de detención de la dirigente, ya sea mediante su liberación del penal en que está privada de su libertad o a través del otorgamiento de prisión domiciliaria o libertad monitoreada.

Esta medida se cumplió en los primeros días de agosto pasado, cuando Sala fue llevada a una vivienda del barrio La Ciénaga, hasta que la Cámara de Apelaciones de Jujuy revirtió esa medida a principios de este mes. “Hay un incumplimiento actual” de esa cautelar “y esperamos que no sea definitivo, porque las cautelares son mandatorias, es decir obligatorias”, sumó Eguiguren y subrayó: “Nosotros seguimos en la lucha”.

El presidente de la CIDH reiteró que “todo Estado es responsable por la seguridad de la persona privada de su libertad” y puntualizó que, en ese sentido, el gobierno nacional responsabilidad en la vida e integridad “de la salud física, psíquica y moral de Sala”. “Tiene que protegerla”, subrayó.

Luego, durante una entrevista con la periodista Cynthia García, Francisco Eguiguren expresó que desde el organismo que encabeza “tenemos la esperanza de que se cumpla” nuevamente con la recomendación sobre la prisión domiciliaria para Sala. Esa medida “afortunadamente fue acatada” en agosto pasado “pero se encuentra incumplida” en la actualidad.

“Si bien cuenta con autonomía, la Argentina es parte del sistema interamericano de derechos humanos y está sometida a las decisiones de la comisión. Y lo que la comisión dispone es de cumplimiento obligatorio”, definió.

L’Argentina chiamata a scegliere tra passato e futuro. Pensando a Maldonado

FONTE PRESSENZA.COM

22.10.2017 – Redazione Italia

L’Argentina chiamata a scegliere tra passato e futuro. Pensando a Maldonado

A 78 giorni della scomparsa, e poco prima delle elezioni di medio termine per il rinnovo delle Camere, è riapparso il corpo di Santiago Maldonado. Dopo i primi esami, ieri è stata confermata l’identità del cadavere trovato martedì nelle acque del fiume Chubut, a qualche centinaia di metri da dove era stato visto l’ultima volta.

SERGIO MALDONADO, FRATELLO di Santiago, che ha riconosciuto il cadavere, si è detto perplesso per il ritrovamento in una zona che era stata già setacciata dalle forze dell’ordine. In un comunicato la famiglia ha dichiarato: «Le circostanze del ritrovamento del corpo ci fanno venire molti dubbi. Dobbiamo sapere cos’è successo a Santiago e chi sono i responsabili della sua morte. Tutti. Non solo quelli che gli hanno tolto la vita ma anche quelli che, per le loro azioni o omissioni, hanno collaborato all’occultamento e hanno pregiudicato le ricerche. Continua a risultarci inspiegabile il rifiuto del governo di fronte alla proposta di collaborazione di esperti dell’Onu, di comprovata competenza internazionale. Nessuno potrà levarci dalla testa che si sarebbe potuto fare molto di più e molto prima».

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Milagro Sala: la Corte d’Appello revoca i domiciliari; la difesa presenta ricorso

01.10.2017 – San Salvador de Jujuy (Argentina) Redacción Argentina

Quest’articolo è disponibile anche in: Spagnolo

Milagro Sala: la Corte d’Appello revoca i domiciliari; la difesa presenta ricorso

La Corte d’Appello di Jujuy ha notificato alla difesa di Milagro Sala la revoca degli arresti domiciliari disponendo il suo ritorno all’Unità 3 del penitenziario di Alto Comedero. La decisione della corte è stata notificata dal Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS) alla Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH).

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Nelle ultime settimane le autorità egiziane hanno arrestato un numero di dirigenti sindacali indipendenti.

Nelle ultime settimane le autorità egiziane hanno arrestato un numero di dirigenti sindacali indipendenti. Sono stati arrestati nove dirigenti e sette di questi sono ancora in prigione. 

Tra i dirigenti arrestati vi sono dirigenti del sindacato dei lavoratori del settore delle tasse  sulla proprietà immobiliare e del sindacato dei lavoratori dell’azienda elettrica.

Si teme che anche altri dirigenti sindacali possano essere arrestati.

Il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati del Cairo ha chiesto il nostro aiuto per contribuire alla loro liberazione. 

La loro richiesta è stata sostenuta dalla Confederazione Internazionale dei Sindacati, International Trade Union Confederation, e dalla Federazione internazionale dei servizi pubblici, la Public Services International.

Per favore, unitevi a noi nella richiesta al Governo egiziano di liberarli immediatamente. 

https://www.labourstartcampaigns.net/show_campaign.cgi?c=3582

E, per favore, condividete questo messaggio con i vostri amici, familiari e colleghi del sindacato.

Grazie!

Eric Lee

Perché meno gommoni dalla Libia, mentre in mare si muore di più

Safe aboard MSF's Dignity I sea rescue vessel this man prays as the rescue of others from a dingy continues behind him (photo: Anna Surinyach)

FONTE  OPENIMMIGRATION  CHE RINGRAZIAMO

Perché meno gommoni dalla Libia, mentre in mare si muore di più

 

21 settembre 2017FRANCESCA ROMANA GENOVIVA

 
Se è stato il codice di condotta per le Ong la ragione del calo nelle partenze dalla Libia, allora come mai erano già calate a luglio prima che il codice esistesse? E se il merito è dell’accordo economico con il governo Serraj, allora perché le partenze a settembre stanno riprendendo? E dove sta la vittoria se adesso nel Mediterraneo si muore molto di più? Francesca Romana Genoviva analizza i numeri e smonta alcuni luoghi comuni.

A luglio e agosto del 2017, il numero di migranti arrivati in Italia via mare è drasticamente diminuito: rispetto alla scorsa estate (luglio-agosto 2016), il calo è del 65 per cento.

Difficile trovare una spiegazione: normalmente l’estate rappresenta il periodo più “caldo” per via delle condizioni meteo favorevoli. Mentre ci si chiede se una tale diminuzione sarà permanente o se si tratti di una tregua estiva, sui media nazionali e internazionali si rincorrono le ipotesi: colpa delle condizioni del mare, troppo agitato per effettuare partenze; merito del governo italiano, e del suo piano di contrasto all’immigrazione – in questa direzione vanno le parole del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, secondo cui “il codice delle Ong è un pezzo fondamentale” della strategia per ridurre i flussi migratori (l’altro pezzo sarebbe costituito dalcontestatissimo accordo tra l’Italia e Fayez al-Serraj, presidente del Governo di accordo nazionale di Tripoli, per delegare alla Guardia costiera libica il blocco dei barconi in partenza dalle coste nordafricane); un’altra, allarmante lettura ritiene invece che all’origine del calo ci siano le milizie armate che controllano il nord della Libia, principale punto di partenza dei barconi. Qui facciamo luce sui numeri degli arrivi e verifichiamo le diverse ipotesi.

I numeri

Che un calo negli arrivi, e netto, ci sia stato, lo dicono i numeri. Se nel periodo gennaio-agosto 2016 in Italia sono arrivati 115.068 migranti, nello stesso periodo del 2017 il numero scende a 99.127 (fonte Unhcr). Un calo del 13,85 per cento.

Considerando solo i mesi di luglio e agosto, nel 2016 sono sbarcati in Italia 44.846 migranti, mentre nel 2017 sono stati 15.375: il 65,72 per cento in meno. Il calo, registrato già a luglio (-50 per cento su luglio 2016), è diventato più marcato ad agosto (-82 per cento). Quello che non cambia è il punto di partenza delle imbarcazioni: il 95 per cento di quelle dirette in Italia parte ancora dalla Libia. Cosa è cambiato negli ultimi mesi? Alcuni fanno notare come le condizioni meteorologiche nel mese di luglio siano state particolarmente sfavorevoli, impedendo ai barconi di partire. Un’ipotesi, a dire il vero, debole: perché mai i trafficanti che stipano centinaia di persone su un gommone di pochi metri dovrebbero preoccuparsi di effettuare viaggi in sicurezza? Secondo quanto dichiarato all’agenzia Reuters da Chris Catrambone, co-fondatore di Moas, anche quando il mare si presentava “piatto come un lago” c’erano poche barche pronte alla partenza.

Una prima spiegazione: il codice di condotta delle Ong

Per il premier Gentiloni, il massiccio calo negli arrivi sarebbe conseguenza diretta dell’applicazione del codice di condotta delle Ong voluto dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, e sottoscritto (ai primi di agosto) da cinque organizzazioni umanitarie che effettuano salvataggi nel Mediterraneo: Proactiva Open Arms, Save the Children, Moas, Sea-Eye e, da ultimo, Sos Mediterranée; qui la nostra intervista al direttore di Msf Italia sulle ragioni del “no” della sua organizzazione. Questo codice, si ragiona in ambienti di governo, previene le Ong dall’effettuare operazioni non autorizzate, quali recuperare i migranti in acque territoriali libiche, e pone il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso sotto un controllo più stringente. Le conclusioni del governo (più controllo sulle Ong = meno arrivi) sembrano accreditare l’equazione tra la presenza delle organizzazioni umanitarie nel Mediterraneo e l’aumento degli arrivi (e dei morti) nel 2016, criminalizzando l’operato delle Ong contro ogni evidenza.

Il discorso non regge: il codice è stato approvato a fine luglio, quando il trend degli arrivi aveva già iniziato a cambiare segno. A ben vedere, poi, il famoso e strategico codice contiene pochi interventi rilevanti (o nessuno): le novità principali, molto contestate, sono state poi ridimensionate grazie all’addendum proposto da Sos Mediterranée. Questa Ong, all’atto di sottoscrivere il codice, ha ribadito che “il codice di condotta non è legalmente vincolante e prevalgono le regolamentazioni e le leggi nazionali ed internazionali”. Il codice, a questo punto, è praticamente inutile.

A ridurre l’attività delle Ong, più che il codice, è stata invece l’improvvisa decisione della Libia di estendere la sua zona di ricerca e soccorso ben oltre il limite delle sue acque territoriali, di fatto escludendo le Ong (anche a colpi di mitraglietta) dall’attività di salvataggio in acque internazionali. Ed è proprio alla mancanza di sicurezza in mare che alcune Ong (Msf, Sea-Eye e Save the Children) hanno imputato la sospensione delle loro attività di ricerca e soccorso in mare.

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Caso Regeni:The Egyptian Commission for Rights and Freedoms (ECRF) is alarmed at the Egyptian government’s attempt to intimidate ECRF by a surprise visit aiming at closing ECRF’s office in Cairo

 

 

September 2017

The Egyptian Commission for Rights and Freedoms (ECRF) is alarmed at the Egyptian government’s attempt to intimidate ECRF by a surprise visit aiming at closing ECRF’s office in Cairo.

A committee from the Investment authority – accompanied by National Security and a police van – entered ECRF’s office claiming to hold a decision to close down the organization and attempted to put a wax seal on the office’s door on grounds that remain unknown.

Lawyers present at the office rejected these claims on the grounds of their lawlessness as ECRF is a law firm operating according to the national legislation. This was enough to prevent the closure of the office but the committee said they will come again. ECRF includes several law firms and therefore cannot be closed by the Investment Authority.

In October 2016, another committee from the Investment Authority had made a similar surprise visit and searched the office. It found law and international law books as well as casefiles of disappeared persons.

The Regeni family is deeply concerned for their lawyers and consultants in a Cairo. “One more time, it seems that the freedom and safety of those helping us in shading light on Giulio’s death is at risk” said Paula and Claudio Regeni and lawyer Alessandra Ballerini.

“This visit is yet another attempt to silence civil society in Egypt. The timing of the visit is not a coincidence as less than a month ago ECRF published its annual report on Enforced Disappearances in Egypt. The report documented 378 cases between August 2016 and August 2017, and labeled the Egyptian security apparatuses as the main actor to be held account for these violations. Additionally, on September 5, 2017, the Egyptian government blocked ECRF’s website”, said the Egyptian Commission for Rights and Freedoms.

This raid follows the arrest of lawyer Ibrahim Metwally, Coordinator of the Association of the Families of Victims of Enforced Disappearances in Egypt, an association that ECRF supports with legal advice.

It is also not coincidence to the fact that ECRF was soon to receive Giulio Regeni’s family members, to continue facilitating the investigation of Regeni’s enforced disappearance followed by death in 2016

La Prefettura di Milano invita i Comuni milanesi a revocare le ordinanze sindacali anti-richiedenti asilo

FONTE  ASGI 

Dopo la segnalazione di ASGI e di altre associazioni, il Prefetto di Milano rende nota la lettera inviata alle amministrazioni rientranti nel territorio di sua competenza per segnalare i forti dubbi di legittimità delle ordinanze anti-richiedenti asilo.

Il Prefetto di Milano segnala ai Sindaci che le ordinanze pretendono di intervenire su una materia di competenza statale, sulla base di un presunto pericolo grave e imminente che non sussiste e che comunque sarebbe costituito, secondo le ordinanze stesse, dal generale fenomeno migratorio che palesemente non riguarda i singoli comuni e non determina emergenze socio sanitarie e di ordine pubblico di esclusiva rilevanza locale.

La lettera contesta inoltre le ordinanze nella parte in cui, prevedendo sanzioni amministrative e responsabilità penale in caso di inosservanza dei vincoli imposti, si pongono in contrasto con l’art.1 della legge n. 689 del 1981 (secondo la quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione) nonché con gli art. 3, 10, 25, comma 2 e 41 della costituzione.

Il Prefetto segnala infine che l’adozione delle ordinanze potrebbero esporre le amministrazioni a “responsabilità in sede giurisdizionale” di fatto invitando i sindaci alla revoca.

ASGI si augura che anche gli altri prefetti interessati (Brescia, Bergamo, Varese, Como, Vercelli, ma anche altri) si muovano tempestivamente nella stessa direzione e che i sindaci vogliano ottemperare all’invito e provvedere alla revoca di ordinanze che hanno il solo scopo di fomentare allarmismo nella popolazione e contrastare i piani di accoglienza.

Lettera ai prefetti

La lettera del prefetto di Milano al sindaco del comune di Cologno Monzese

RAPPORTO IOM SUI MIGRANTI MORTI “VIAGGI FATALI” SULLE ROTTE DELLA SPERANZA

 

FONTE NIGRIZIA CHE RINGRAZIAMO

Oltre 22.500 persone sono scomparse o decedute negli ultimi tre anni e mezzo, secondo gli analisti dell’Organizzazione per le migrazioni, ma nessuno conoscerà mai il numero reale, che è molto più alto. Un esercito di uomini, donne e bambini, destinati a restare senza nome e, spesso, senza nemmeno una degna sepoltura.

di Marco Cochi

 

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) ha pubblicato un nuovo rapporto sulle morti e le sparizioni di migranti in tutto il mondo. Nella relazione di 136 pagine intitolata “Viaggi Fatali” emerge che «dall’inizio del 2014 ai primi sei mesi del 2017, oltre 22.500 migranti sono deceduti o scomparsi nel tentativo di fuggire dalla guerra o dalla miseria».

Un tragico resoconto che potrebbe diventare molto più alto, perché «il reale numero del totale di morti e dispersi non può essere calcolato con certezza», come sottolineano gli analisti del Global Migration Data Center (Gmdac) dello Iom, che hanno realizzato lo studio insieme ai ricercatori dell’Università di Bristol.

Il report rileva pure che dal 2000 al 2016 sono morti almeno 60mila migranti e che 15mila di essi sono scomparsi sulla rotta del Mediterraneo, balzata alle cronache internazionali per il tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013.

Ma quella mediterranea, che comprende ben 11 itinerari, è solo una delle 14 principali rotte migratorie, identificate nello studio, dove si registrano numerose perdite ogni anno. Tra queste, oltre al Mediterraneo, è risultata particolarmente pericolosa quella che dall’Africa occidentale e dal Corno d’Africa conduce verso Egitto e Libia. Mentre, dal 2014, migliaia di persone sono morte nel tentativo di attraversare il deserto del Sahara.

Il rapporto di Iom si focalizza anche su come migliorare la fruizione dei dati sui migranti scomparsi, per prevenire ulteriori decessi e consentire alle famiglie di conoscere il destino dei loro parenti. Molte famiglie, infatti, trascorrono anni in un limbo di incertezza senza sapere se i loro cari siano vivi o morti, poiché i corpi che riescono ad essere identificati sono una ristretta minoranza.

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Brasile, “La nostra storia non è iniziata nel 1988”

07.09.2017 FONTE – Unimondo

Brasile, “La nostra storia non è iniziata nel 1988”
(Foto di http://www.survival.it/)

All’inizio di agosto era stata lanciata una vasta campagna internazionale per contrastare i tentativi del presidente brasiliano Michel Temer di commutare in legge un controverso parere legale sul possibile mancato riconoscimento territoriale ai popoli indigeni che non stavano occupando le loro terre ancestrali prima del del 5 ottobre 1988, quando l’attuale costituzione del paese è entrata in vigore. Questa nuova proposta, chiamata “marco temporal” o “limite temporale” dagli attivisti e dagli esperti in legge, lo scorso 16 agosto è stata rigettata da una sentenza unanime della Corte Suprema del Brasile, che si è espressa a favore dei diritti territoriali dei popoli indigeni in due casi di controversie terriere. Tutti e otto i giudici hanno votato a favore dei diritti indigeni e contro il governo dello stato del Mato Grosso, nell’Amazzonia, che aveva chiesto un risarcimento per alcune delle terre demarcate come territori indigeni alcuni decenni fa.

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Il governo della Bielorussia ha lanciato una campagna infondata contro i sindacati indipendenti.

 

Abbiamo bisogno del vostro sostegno per dire al governo di fermarsi.

Il 2 agosto, Gennady Fedynch, presidente del Sindacato dei lavoratori della radio e dell’industria elettronica (REP) e membro del Comitato esecutivo di Industrial ALL, e Ihar Komlik, tesoriere del sindacato REP e dirigente regionale nella città di Minsk, e diversi membri dell’organizzazione sono stati fermati e interrogati dalle autorità bielorusse.

I due dirigenti sindacali si trovano ora sotto inchiesta per presunta evasione fiscale su larga scala e rischiano dai 3 ai 5 anni di prigione. Ihar Komlik è in prigione dal 2 agosto. Le accuse relative alle tasse non pagate si riferiscono al sostegno e alla solidarietà ricevuta dal sindacato nel 2011, e non possono essere considerate come fondi privati. Le accuse sono infondate e mirano a indebolire il sindacato, come ritorsione alle posizioni e all’attività dei suoi dirigenti in difesa dei diritti civili e degli interessi sociali ed economici dei lavoratori in Bielorussia.

La federazione sindacale internazionale, Industrial All, e la Confederazione Sindacale Internazionale chiedono che Ihar komlik sia rilasciato immediatamente e che sia posta fine fine all’azione penale nei confronti di Gennady Fedynich.

Per favore, dedicate un momento per dimostrare il vostro sostegno a questa campagna, collegandovi al link:

https://www.labourstartcampaigns.net/show_campaign.cgi?c=3536

E per favore condividete questo messaggio con i vostri amici, parenti e colleghi del sindacato.

Grazie
Eric Lee

Paghi Sarraj che paga i trafficanti che ora fermano i migranti

  

Foto: Remocontro.it

«Secondo un accordo sostenuto dall’Italia (‘backed by Italy’, sostenuto in senso diretto dall’Italia), il governo di Tripoli ha pagato le milizie che una volta erano coinvolte nel contrabbando di migranti ad impedire agli immigrati di attraversare il Mediterraneo verso l’Europa, una delle ragioni della drastica diminuzione del traffico, secondo milizie e funzionari della sicurezza». La conferma di quanto riferito ieri da Remocontro, nel riprendere un reportage del Times di Londra da Roma. Meno infiorettata e limitata ai fatti riscontrati, la cronaca del Washinghton Post.

Manca ad esempio il dettaglio dei 5 milioni di dollari che avrebbe pagato l’Italia, i suoi servizi segreti, per trasformare i trafficanti di esseri umani in neo sceriffi al servizio di chi li paga. Notizia che sarebbe stata smentita da una «Spokeswoman for the Italian intelligence services», che nessuno sapeva neppure che esistesse. Provate a trovare voi un telefono di Aise o Aisi, se ci riuscite. Per il resto, solo ulteriori dettagli rispetto alla cronaca di ieri.

Ad esempio, la notizia dei soldi italiani arrivati in qualche modo a trafficanti e scafisti per la loro ‘conversione’, hanno creato scontento tra alcune forze di sicurezza libiche e attivisti che si occupano di migranti.  ‘Attenti ad arricchisce le milizie, consentendo loro di acquistare più armi e diventare più potenti’, ammoniscono. «In the country’s chaos, the militias can at any time go back to trafficking or turn against the government, they say». Nel caos del paese, le milizie possono in qualsiasi momento tornare alla tratta o rivolgersi contro il governo, dicono. L’accordo continua a cementare il reale potere delle milizie, che dalla caduta di Gadhafi  hanno minato i governi successivi della Libia.

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