L’Osservatorio della Unfreedom, un progetto che documenta il crescente utilizzo del digitale nell’ascesa della governance autoritaria

, di Global Voices

The Unfreedom Monitor è un progetto che cerca di analizzare, documentare e riferire sul crescente utilizzo delle comunicazioni digitali nell’ascesa del governo autoritario in tutto il mondo.

Fonte: immagine tratta dai rapporti dell’Osservatorio Unfreedom.

I regimi autoritari e dittatoriali intrattengono da tempo rapporti complessi con le tecnologie della comunicazione e i media, utilizzandoli per promuovere i propri obiettivi. Allo stesso tempo, questi regimi limitano l’accesso a determinate tecnologie e informazioni, il che consente loro di modellare e distorcere la realtà, rendere invisibili gli abusi e rimanere al potere. Quanto più le persone utilizzano Internet e altre tecnologie digitali, tanto più forte diventa questa tendenza. Ciò implica che, nonostante i suoi lodevoli obiettivi, Internet viene talvolta utilizzata dai governi con tendenze autoritarie come strumento di menzogna, propaganda e controllo.

Nel 2010, Rebecca MacKinnon, co-fondatrice di Global Voices, ha coniato il termine “autoritarismo della rete” per definire il modo in cui la Cina manipola Internet per mantenere il potere. Questa prospettiva consente di aprire un dibattito limitato attorno ad alcune questioni, ma controlla le piattaforme e inquadra i termini del dibattito. La tecnologia facilita la sorveglianza e le modalità di controllo sociale, mentre l’informazione, il dibattito e l’attivismo che potrebbero potenzialmente mettere in discussione il potere sono proibiti.

Global Voices monitora e documenta questo fenomeno in molti paesi dal 2007, attraverso il nostro progetto Advox. Siamo stati in grado di identificare alcune tendenze. Nel corso del tempo, le minacce alla libertà di espressione online si trasformano in minacce agli individui o ai sistemi, colpendo intere popolazioni. Le modalità di controllo di Internet e di sorveglianza di massa cominciano ad essere accettate come parte delle modalità di governance. La capacità degli Stati di individuare, reprimere e prendere di mira organizzazioni, espressioni e attivisti è sempre più sofisticata. Molti stati combinano la negazione mirata dei servizi di informazione e una potente sorveglianza con la capacità di “inondare l’area” con informazioni false o distorte attraverso tecnologie automatizzate e reti di fan. Queste pratiche, tra molte altre, consolidano poteri autoritari preesistenti e mettono in pericolo la stabilità delle democrazie, da quelle più giovani a quelle di più lunga data.

Oggi, quello che è noto come autoritarismo digitale è diventato una pratica comune per tutti i tipi di governo. Internet è pieno di tecnologie pubblicitarie che tracciano e segmentano gli utenti secondo una logica commerciale. Governi, stati e partiti politici, spesso di concerto con le multinazionali, stanno sfruttando questo potere di sorveglianza. Un futuro pieno di tecnologie di machine learning, il riconoscimento facciale e l’intelligenza artificiale per scopi di analisi “predittiva” implicano probabilmente un ulteriore aumento della capacità di controllo dello Stato. Se a ciò aggiungiamo l’onnipresente videosorveglianza, il fatto che portiamo ovunque con noi i nostri dispositivi di comunicazione elettronica e la banalizzazione dell’idea che questi dispositivi possano ascoltarci, allora ci troviamo di fronte a un sistema di sorveglianza invasivo.

Ecco i motivi per cui abbiamo lanciato l’Osservatorio della Unlibertà. Cerchiamo di capire cosa motiva, modella e influenza gli autoritarismi digitali in tutto il mondo, indipendentemente dal tipo di governo o sistema politico. Partendo da 11 paesi pilota, l’obiettivo è sviluppare una metodologia per dare un nome all’autoritarismo digitale, per aiutare le persone di buona coscienza a domarlo.

Filippine : Negli ultimi sei anni, lo spazio civico filippino si è ristretto quando il governo del presidente Duterte e di Marcos Jr. ha approvato leggi che mettono in discussione le libertà conquistate a fatica. Tra queste leggi troviamo l’Anti-Terror Act (Legge contro il terrorismo), di cui alcune clausole riguardano la sorveglianza digitale, e che punisce “l’incitamento al terrorismo”. Esiste anche la legge sulla registrazione della SIM, che impone a tutti gli utenti di telefoni cellulari di registrare le proprie informazioni personali. Sono apparse altre forme di autoritarismo digitale,

Ungheria  : l’uso delle tecnologie digitali non è stato lo strumento principale utilizzato dal governo Fidesz nelle sue tendenze autoritarie; solo di recente il fenomeno ha acquisito slancio. Gli incidenti illustrano come opera l’autoritarismo digitale in Ungheria, raggruppati in tre grandi categorie: presa del controllo delle principali infrastrutture digitali; mettere a tacere le voci dissenzienti attraverso l’intimidazione; uso della legge per indebolire i diritti umani. Il rapporto mostra come questi diversi metodi si concretizzino in casi di vita reale e danneggino i diritti umani individuali e collettivi.

Venezuela  : Dal 2007, la democrazia e la libertà di espressione in Venezuela sono state severamente censurate attraverso strategie legali contro i media tradizionali e indipendenti, riducendo la separazione dei poteri, fino a scomparire completamente. In questo contesto, l’uso di strumenti digitali per resistere alla repressione è stato affiancato da un altro fenomeno: l’uso di questi stessi strumenti di comunicazione digitale per reprimere i cittadini. Questo è l’effetto dell'”  autoritarismo della rete “. “. L’uso dei media digitali per garantire l’accesso alle informazioni è stato accolto con campagne di disinformazione da parte del governo, blocchi di Internet e persecuzione giudiziaria di giornalisti e attivisti che hanno indagato sul governo di Maduro o che hanno parlato della crisi umanitaria.

El Salvador  : In appena tre anni, Bukele è riuscito a costruire un fenomeno politico complesso che alcuni hanno soprannominato “bukelismo”, che comporta un misto di immagine millenaria, promozione del Bitcoin come moneta nazionale, discorsi anti-corruzione e politiche anti-tradizionali. partiti politici e una retorica contro l’influenza degli Stati Uniti negli affari interni di El Salvador. Questo rapporto analizza due incidenti importanti: la rivelazione che lo spyware Pegasus è stato utilizzato contro giornalisti di media indipendenti e rappresentanti della società civile ; e minacce da parte del consulente legale di Bukele contro due giornaliste che si erano rifiutate di rivelare le loro fonti anonime in un articolo giornalistico. Questo secondo incidente illustra una tendenza di molestie e minacce online contro le giornaliste, una tendenza sostenuta dal presidente Bukele e replicata dai suoi sostenitori, dai centri troll e dagli influencer filogovernativi dei social media.

Ecuador : I tre temi sollevati da questo rapporto, affrontati attraverso il prisma dell’autoritarismo digitale, rivelano pratiche che potrebbero avere un impatto sulla vita democratica in Ecuador. Sebbene il decennio del governo Correa (2007-2017) non sia stato esente da vessazioni e persecuzioni, limitarsi ai dati relativi all’ideologia specifica di Correa potrebbe impedire la comprensione e l’analisi del contesto ecuadoriano in modo più globale. In altre parole, analizzare l’Ecuador solo in termini di binarismo politico tra autoritarismo e democrazia potrebbe ostacolare la comprensione, nel tempo del post-correismo, delle pratiche antidemocratiche e regressive che sono ancora attuali in questo paese. L’Ecuador mostra pratiche che rientrano nella categoria dello spettro come autoritarismo digitale,

Kazakistan  : il regime al potere in Kazakistan monitora e controlla le attività delle voci dissenzienti e critiche.Il presidente Tokayey continua le politiche repressive dei suoi predecessori e controlla l’informazione e il cyberspazio applicando soluzioni tecnologiche: sorveglianza mirata, chiusura di Internet e comportamento coordinato non autentico sui social network. La stampa è inondata di propaganda filogovernativa, anche se i resoconti critici sono tollerati purché rimangano entro determinati limiti da non oltrepassare. I giornalisti e i media che alzano la voce vengono presi di mira in casi penali pretestuosi, talvolta con l’uso della violenza e dell’intimidazione. Il Kazakistan è uno dei paesi con la classifica più bassa in termini di libertà di stampa: 158esimo su 180.

Birmania  : il rapporto analizza la situazione dell’autoritarismo digitale in Birmania e valuta in modo completo il comportamento oppressivo del governo nel cyberspazio. Fa appello a cinque categorie di repressione digitale implementate dall’esercito birmano: chiusura di Internet, censura online, sorveglianza, persecuzione mirata degli utenti online e disinformazione e manipolazione dei social media. In questo contesto, sta emergendo l’era della resistenza digitale del popolo birmano per affrontare la dittatura, attraverso l’elusione, la migrazione multipiattaforma e iniziative collaborative di finanziamento della resistenza, tra le altre cose.

Camerun  : Autoritarismo digitale è un termine che descrive sempre più il Camerun. Il governo camerunese utilizza sempre più strumenti digitali per monitorare e controllare i cittadini, limitando al contempo l’accesso a Internet e ad altre tecnologie digitali. La mancanza di regolamentazione dei social network e di Internet facilita la diffusione di informazioni false e discorsi di incitamento all’odio, un ostacolo significativo a una migliore comprensione della verità e alla capacità di compiere scelte informate. Inoltre, la pervasività delle fake news e delle molestie online limita fortemente la presenza delle donne nella definizione del discorso pubblico.

Hong Kong  : al momento della stesura di questo rapporto, gli strumenti dell’autoritarismo digitale potrebbero non essere utilizzati in modo così diretto e massiccio come in Cina; tuttavia, a Hong Kong stiamo assistendo a un drammatico cambiamento nel discorso statale per quanto riguarda la libertà di stampa e di espressione. La legge sulla sicurezza nazionale (NSL), introdotta nel giugno 2020 dal governo cinese in risposta ai disordini sociali del 2019, ha cambiato le condizioni e l’ambiente per i lavoratori dei media, compresi giornalisti ed editori, in cui organizzazioni sociali e politiche come sindacati e politici i partiti si evolvono, così come i cittadini sia online che offline.

Vedi il file in inglese sul sito web di Global Voices

Argentina, un paese a fuoco

Fonte Ecor-network

di Marina Wertheimer, Soledad Fernández Bouzo

Argentina en llamas. Voces urgentes para una ecología política del fuego, Editorial El Colectivo, giugno 2023 – 270 pp.
Introduzione delle curatrici del libro, Marina Wertheimer e Soledad Fernández Bouzo.

Come comprendere la recente ondata di incendi al calore delle fiamme?
Appunti per una ecologia politica del fuoco secondo la chiave dell’ecofemminismo critico

Scriviamo questa introduzione a Buenos Aires, durante un marzo insolito, con 41 gradi di percezione termica. Concludiamo questo libro attraversando la più lunga ondata di caldo nella storia argentina, specialmente per la parte centrale e orientale del paese.
Tra una vampata di calore e l’altra, apprendiamo che questa è stata l’estate più calda dal 1906 e che, inoltre, sarà la meno calda del resto della nostra vita.
La mancanza di pioggia, inoltre, ha prodotto una siccità storica che, secondo i titoli dei principali quotidiani del paese, ha generato milioni di perdite per i produttori di soia e mais. La siccità – aggiunta a fattori come il cambiamento climatico e la multicausalità antropica del deflusso storico del fiume Paraná – ha generato la più grande successione di incendi che si ricordi. Ma non è un fenomeno esclusivo dell’Argentina. Nel 2020, Australia, California e Siberia stavano bruciando, in regioni che hanno avuto la loro peggiore stagione degli incendi in vent’anni. Nel 2019, il mondo ha rabbrividito alle immagini di incendi simultanei e coordinati in diverse parti della foresta amazzonica che avevano come comune denominatore l’estensione della frontiera agricola e zootecnica. Mentre il fumo copriva grandi città come San Paolo e Rio de Janeiro, l’hashtag #PrayforAmazonas è diventato virale, e Greta Thumberg ha sentenziato: “la nostra casa è in fiamme” 1.
Il saldo è stata la riduzione in cenere di 2,5 milioni di ettari dell’Amazzonia (Greenpeace, 2019) 2.

La deforestazione in Amazzonia ha conseguenze sui modelli di precipitazioni in altre aree. Infatti, il 19% delle precipitazioni che cadono annualmente nel bacino di La Plata è causato dall’umidità della foresta amazzonica che si disperde a sud (Maretti, 2014; FARN, 2020). Ciò influenza, a sua volta, il sistema idrologico del Gran Chaco e il sistema delle zone umide dei fiumi Paraguay e Paraná. La diminuzione dei livelli di questi fiumi dal 2020 è una delle più grandi degli ultimi 100 anni e va di pari passo con la modifica del regime degli incendi. Nel nostro paese, il fuoco ha raggiunto cifre record negli ultimi mesi. Solo nel 2022, più di 700 mila ettari (ha) sono stati colpiti dagli incendi, più del doppio rispetto al 2021 3, ma notevolmente inferiore rispetto al 2020, quando la superficie raggiunta era superiore a 1 milione di ettari (SNMF, 2023).

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Come definire i rischi sistemici delle piattaforme per la democrazia

Dare un senso alla legge sui servizi digitali

Non è chiaro come le piattaforme e i motori di ricerca più grandi dovrebbero identificare i “rischi sistemici” per conformarsi al DSA. AlgorithmWatch delinea una metodologia che servirà da punto di riferimento per il modo in cui noi, in quanto osservatori della società civile, giudicheremo le valutazioni del rischio che stiamo conducendo proprio in questo momento.

Autore Michele Loi 

Fonte Algorithm Watch

È difficile negare che i servizi Internet dominanti forniscano beni di consumo essenziali per gran parte del mondo. Dover passare una settimana, tanto meno un giorno, senza ricerche Google efficienti, o perdere la capacità di interagire con gli altri tramite una piattaforma di social media come Instagram, sconvolgerebbe sicuramente la vita personale e professionale di molte persone. Nonostante i loro vantaggi, tuttavia, questi e altri potenti servizi Internet stanno radicalmente trasformando la nostra società capitalista, potenzialmente , nella sua versione peggiore. In tal modo, l’economia delle piattaforme genera una miriade di rischi che possono avere un impatto negativo sugli individui e sulla democrazia stessa.

Valutazione dei rischi

I legislatori dell’Unione Europea sono convinti che le piattaforme possano comportare tali rischi e hanno quindi promulgato il Digital Services Act (DSA), una legge che impone alle cosiddette piattaforme online molto grandi (VLOP) e ai motori di ricerca online molto grandi (VLOSE) di “identificare, analizzare e valutare diligentemente qualsiasi rischio sistemico nell’Unione derivante dalla progettazione o dal funzionamento del loro servizio e dei relativi sistemi, inclusi i sistemi algoritmici, o dall’uso che viene fatto dei loro servizi”. Tali rischi includono, ma non sono limitati a, la diffusione di contenuti illegali attraverso i servizi di piattaforme e motori di ricerca; eventuali effetti negativi attuali o prevedibili per l’esercizio dei diritti fondamentali; sul discorso civico e sui processi elettorali e sulla pubblica sicurezza; in materia di violenza di genere, tutela della salute pubblica e minori; e gravi conseguenze negative per il benessere fisico e psichico della persona. Quando tali rischi vengono identificati,

Manca la guida

Mentre la legge fornisce un lungo elenco di possibili misure per mitigare i rischi – ad esempio “adattare il design, le caratteristiche o il funzionamento dei loro servizi, comprese le loro interfacce online” – è notevolmente  silenzioso su come VLOP e VLOSE dovrebbero condurre una valutazione del rischio e cosa i legislatori aspettarsi da loro. La legge precisa che VLOP e VLOSE devono tenere conto dei modi in cui determinati fattori possono influenzare i rischi sistemici, compresa la progettazione di sistemi di raccomandazione e qualsiasi altro sistema algoritmico pertinente, sistemi di moderazione dei contenuti, termini e condizioni applicabili e la loro applicazione, sistemi per selezionare e presentare annunci pubblicitari e pratiche relative ai dati del fornitore.

Non vi è, tuttavia, alcuna menzione di una procedura che delinei come identificare un rischio sistemico nella pratica. Inoltre, la Commissione europea non ha pubblicato alcuna guida per queste società. Ciò significa che in questo momento non è molto chiaro come VLOP e VLOSE debbano valutare i rischi per conformarsi ai requisiti del DSA . I VLOP e i VLOSE sono tenuti a consegnare le loro prime valutazioni del rischio alla Commissione europea fino all’agosto del 2023 – va detto, tuttavia, che è improbabile che rendano queste valutazioni disponibili al pubblico. Inoltre, non è chiaro cosa rilascerà la Commissione sui loro contenuti e quando.

Tracciare un percorso in avanti

Questo è il contesto del nostro articolo. Non cercheremo di fornire una valutazione olistica dei vantaggi e dei mali della società digitale modellata dai servizi Internet attualmente dominanti. Il nostro obiettivo è piuttosto più ristretto e più specifico. Lo scopo del lavoro è determinare se alcuni elementi di rischio che un servizio Internet genera per la libertà di parola e il pluralismo dei media sono identificabili. La nostra speranza è che con questo contributo, forniamo un punto di partenza tangibile per la discussione su ciò che le diverse parti interessate possono e devono aspettarsi da una valutazione del rischio, e come potrebbe essere fatto in pratica.

Michele Loi, Ph.D., è Marie Sklowdoska-Curie Individual Fellow presso il Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano con un progetto di ricerca su Fair Predictions in Health. È anche co-principal investigator del progetto interdisciplinare Socially Acceptable and Fair Algorithms, finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica, ed è stato Principal Investigator del progetto “Algorithmic Fairness: Sviluppo di una metodologia per il controllo e la minimizzazione del bias algoritmico nei dati basati processo decisionale”, finanziato dall’Agenzia svizzera per l’innovazione.

Bufale sul climate change: cosa fa la disinformazione climatica

Fonte Unimondo che ringraziamo 

Gli incendi catastrofici del Canada? Provocati da elicotteri, droni o “armi a energia diretta” manovrati da ambientalisti o attivisti LGBTQ collusi con progetti di energia rinnovabile. A questo e a molto altro può arrivare la disinformazione (in questo caso climatica) se va a braccetto con un uso errato dei social network (in questo caso Tik Tok). Più il nemico è potente più la risposta deve essere radicata e diffusa. E se il nemico in questione è la disinformazione climatica, la risposta deve arrivare da più parti e coinvolgere in primis chi scrive e chi legge. Un esempio di attivismo è la Climate Action Against Disinformation (CAAD) un’organizzazione globale, nata nell’estate 2021 che coinvolge oltre 50 organizzazioni impegnate a contrastare i contenuti fuorvianti e falsi su ambiente e cambiamento climatico.

Come agisce la disinformazione climatica: l’esempio di Twitter dopo Musk

Ad inizio 2023 Cassa ha diffuso il rapporto che ha messo in evidenza come, dal 27 ottobre, quando Elon Musk ha assunto la guida della compagnia, su Twitter sono apparsi sempre più post fuorvianti sui cambiamenti climatici.

Il report dal titolo “Deny, Deceive, Delay. Exposing New Trends in Climate Mis- and Disinformation At COP27” rileva infatti che, durante la cop27 di Sharm-El-Sheikh in Egitto, Twitter ha diffuso il termine “climate scam” (truffa climatica) quando gli utenti cercavano la parola “clima”. Nonostante siano stati altri i termini molto più utilizzati, “climate scam” è comparso come primo risultato nelle ricerche. Un piccolo gruppo di “Culture Warriors”di Caad ha individuato i 12 profili più attivi, tra i quali spiccano Fossil Fuel, Necessity, Anti-Green Tech, Cost of Living Crisis, Culture Wars, Loss and Damage. I ‘guerrieri’ hanno poi riportato che questi “influencer della disinformazione” hanno raccolto più di 344.000 condivisioni su 388 post a tema climatico riguardanti la COP27 dello scorso novembre.

Qualche giorno dopo la fine del summit, inoltre, il risultato migliore su Twitter era “climate lockdown”, ovvero la teoria complottista del Great Reset, secondo la quale alcune élite globali starebbe pianificando di far collassare l’economia mondiale per ridurre le emissioni di carbonio. Ma il problema non ha riguardato solo i giorni della Cop27. L’analisi dell’University of London, riportata da Caad, ha infatti rilevato che nel dicembre 2022 i tweet dei negazionisti del clima hanno raggiunto il massimo storico con più di 850.000 tweet o retweet, rispetto ai 650.000 del 2021 e ai 220.000 del 2020.

E anche Youtbe è stato nel mirino della Caad. In un rapporto pubblicato il 2 maggio 2023 il gruppo ha identificato 100 video (con 18,8 milioni di visualizzazioni) contenenti annunci pubblicitari che presentano false informazioni ambientali. Questo nonostante nell’ottobre 2021 Google avesse annunciato che avrebbe “vietato la pubblicità e la monetizzazione di contenuti che contraddicono un consenso scientifico consolidato sull’esistenza e le cause del cambiamento climatico”.

Disinformazione e intelligenza artificiale

A questo quadro si somma l’intelligenza artificiale, che secondo molti potrebbe contribuire a diffondere disinformazione, anche climatica. “Nelle mani sbagliate – sostiene Michael Khoo, direttore di Friends of the Earth e membro di Caad – l’intelligenza artificiale potrebbe minare per sempre il discorso sul clima a causa della sua capacità di creare storie, argomenti e persino immagini realistiche su misura”. Secondo lui, infatti, l’intelligenza artificiale avrà il potenziale per creare miliardi di pezzi di disinformazione, personalizzarli e diffonderli, rendendo molto difficile distinguere i fatti dalla finzione.

“Ciò – continua – potrebbe non solo ostacolare l’azione climatica basata sui fatti, ma rappresenterebbe anche un serio pericolo in caso di eventi meteorologici estremi, quando informazioni chiare e accurate sono fondamentali”.

Voci per il clima, l’iniziativa di Greenpeace

Per tentare di ovviare a disinformazione e negazionismo un’iniziativa made in Italy è “Voci per il clima”, il primo network italiano di esperti ed esperte per contrastare il greenwashing e la disinformazione sui cambiamenti climatici. Una rete di più di 60 realtà (tra cui anche Unimondo.org) appartenenti al mondo della scienza, dell’imprenditoria, della comunicazione, dell’arte e dell’attivismo unite da un impegno comune. La nascita del network è stata promossa da Greenpeace Italia, ma i suoi membri operano in modo del tutto indipendente. Obiettivo del network è contrastare il greenwashing e ovviare alle carenze di giornali e tv nel raccontare la crisi climatica. Il tutto tramite “un’informazione libera, trasparente e veritiera”.

Alice Pistolesi

Giornalista, è laureata in Scienze politiche e Internazionali e in Studi Internazionali all’Università di Pisa.  Viaggia per scrivere e per documentare, concentrandosi in particolare su popolazioni oppresse e che rivendicano autonomia o autodeterminazione. È redattrice del volume Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo e del sito Atlanteguerre.it dove pubblica dossier tematici di approfondimento su temi globali, reportage. È impegnata in progetti di educazione alla mondializzazione e alla Pace nelle scuole e svolge incontri formativi. Pubblica da freelance su varie testate italiane tra le quali Unimondo.org.

La nicchia climatica umana

Fonte: la Rivista Terrestres che ringraziamo

L’emisfero settentrionale (dall’Europa al Nord Africa, passando per Cina e Stati Uniti) questa settimana vivrà un’ondata di caldo senza precedenti, con temperature comprese tra 35 e 50 °C. Se possiamo aggiungere strati per proteggerci dal freddo, quando il caldo diventa insopportabile, non ci resta che togliere la pelle. Ma fino a che punto e per chi il clima può diventare inadatto alla vita umana? Secondo uno studio, è possibile che in questo secolo più di 3 miliardi di persone saranno esposte a un clima invivibile.

Tempo di lettura: 18 minuti

Questo articolo è apparso originariamente il 17 giugno 2022.

Questa primavera, durante i mesi di aprile e maggio, un’ondata di caldo durata diverse settimane ha colpito l’India e il Pakistan . Questo periodo, che precede il monsone, è in genere il più caldo dell’anno, le piogge portano con sé un leggero raffreddamento. Con diversi giorni intorno ai 50°C, molte persone hanno dovuto lavorare durante la notte relativamente fresca. Non mancava solo l’acqua, a volte inquinata, ma anche l’energia: a diverse centinaia di migliaia di persone mancava l’elettricità per alimentare eventuali frigoriferi o condizionatori d’aria, disponibile solo per i più ricchi.Il caldo intenso è anche causa di decine di infarti al giorno, notevole mancanza di sonno, saturazione del sistema sanitario .

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IL SONNO DELLA RAGIONE di Raniero La Valle

di Raniero La Valle

Fonte : Emigrazione Notizie

 

 

Si è tenuto a Vilnius il vertice della NATO, che ha accolto la Finlandia e dato il benvenuto alla Svezia nell’Alleanza. Alla Russia sono state dettate condizioni di resa, fin sulla soglia, che si è stati però ben attenti a non oltrepassare, di una dichiarazione di guerra. All’Ucraina, cui si assegna il compito di  sconfiggere la Russia, sono stati promessi ponti d’oro per la completa integrazione nella NATO, giunta peraltro già alla  conclamata “interoperabillità” tra le relative Forze Armate, inclusa una perenne fornitura di armi, beffardamente definite “non letali”. Tutto ciò con la spensierata idea che non si rischi in tal modo la guerra mondiale.

Come interpretazione autentica di queste decisioni vale ciò  che, andando a Vilnius, il presidente Biden ha detto In un’intervista alla CNN , in cui ha fornito un quadro di come concepisca la NATO, così contraddittorio da renderla assurda.

Biden ha detto che, finché c’è la guerra, l’Ucraina non può entrare nella NATO, perché ciò significherebbe entrare tutti in guerra con la Russia, e anzi, con l’Ucraina nella NATO “se la guerra è in corso, allora siamo tutti in guerra con la Russia”.

Questa è una cosa che tutti sapevano, ma che nessuno aveva osato dire in modo così perentorio, e ora dopo un anno e mezzo di guerra dà clamorosamente ragione a Putin che proprio per questo l’ha fatta, per non trovarsi in guerra con gli Stati Uniti e tutto “l’Occidente allargato” una volta che  la NATO fosse giunta ad inglobare l’Ucraina. È chiaro infatti che una guerra di tale natura avrebbe segnato la fine della Russia, e messo a rischio l’America. Dunque Putin ha fatto un favore anche a Biden, che ricambia, come fosse anche lui un “putiniano”,  dicendo che l’Ucraina “non è pronta” a questo ingresso, “perché ci sono altri requisiti che devono essere soddisfatti inclusa la democratizzazione” (Putin più brutalmente l’ha chiamata “denazificazione”), che è l’altra ragione dell’invasione. Da qui l’ira di Zelensky, lasciato da solo ad officiare il sacrificio.

Nello stesso tempo Biden , ribadendo che, finita la guerra, le porte della NATO saranno “aperte” all’Ucraina, ha istituito la condizione per la quale questa guerra non deve finire mai, perché se la guerra venisse meno la Russia di nuovo rischierebbe la fine, e dunque finché la NATO è NATO, e l’Ucraina confina con la Russia, mai più potrà esserci pace in Europa. Se questa è la pena inflitta all’Ucraina, il fine pena non arriverà mai.

Il fatto è che Biden, mentre vuole la guerra in Ucraina senza fine, tant’è che ora le manda perfino le bombe a grappolo ed intende continuare a fornirle “armi e sicurezza come gli USA insieme agli alleati fanno per Israele” non vuole affatto entrare in guerra con la Russia perché sa benissimo che questa sarebbe la fine anche per gli Stati Uniti; e se c’è una costante della politica dell’America attraverso tutti i suoi presidenti e nel passaggio da un’epoca all’altra, dalle guerre mondiali del Novecento alla guerra fredda alla guerra “a pezzi” di oggi, è che la guerra contro la Russia in nessun  modo si deve fare, Cuba docet. E tuttavia l’attuale programmazione americana, espressa nei documenti scritti della Casa Bianca e del Pentagono dell’ottobre scorso, contempla che entro il decennio la Russia deve essere messa fuori gioco per poi passare alla sfida finale con la Cina.

Mettendo insieme tutti i postulati di questo teorema, ne viene fuori il seguente risultato: la Russia deve essere debellata ma non con la guerra a campo largo, l’Ucraina deve continuare a combattere a questo scopo in nome e per conto altrui, perché non fa problema la sua fine: sempre del resto il sacrificio della vittima è stato considerato salvifico (per gli altri); la NATO, è fatta per la guerra e a tal fine armata fino ai denti e fonte di spese militari e profitti infiniti distolti da altri necessari e nobili scopi, ma l’unica cosa che non può fare è la guerra; e se con la Russia gli Stati Uniti non possono né vogliono fare la guerra, tanto meno la faranno entro il decennio contro la Cina, nonostante la “sfida culminante” annunciata oggi a tutte lettere contro di lei . E il mondo, e noi? Noi e il mondo dovremmo stare a guardare tranne che questo meccano fatto di contraddizioni, perversità e algoritmi non imploda, per imprevedibili e perciò incontrollabili eventi, e tutto finisca nell’Armageddon.

Per questa ragione glielo dobbiamo dire all’America, che la sua politica è completamente sbagliata. Glielo dobbiamo dire se le siamo alleati, se siamo la civiltà e perfino la religione che l’abbiamo data alla luce. Possiamo anche ammettere che il suo movente non sia quello di voler dominare il mondo come un unico Impero, ma sia  l’ossessione della sua sicurezza in un mondo giudicato come pericoloso e cattivo, da dover tenere perciò sotto scacco, nella memoria storica manichea dei Padri pellegrini e del West. Ma dobbiamo dire all’America che ci sono più cose in cielo e in terra che non nell’”American heritage”, che ci sono altri modi di stare al mondo che armarsi fino ai denti e schierarsi nella lotta tra il Bene e il Male. Dobbiamo dire all’America: “no, non così”, se le siamo amici, o se siamo addirittura disposti ad accettarne la leadership, ma per fare migliore il mondo, non per distruggerlo.

Nel sito pubblichiamo un discorso di Robert Kennedy Jr., in cui ha ammonito il suo Paese che ogni Impero si dissolve se sparge il suo esercito in mezzo mondo, un’analisi sul “sonno della ragione” dell’ex ambasciatore Carnelos, e una poesia di Erri De Luca sul pasto dei pesci nel Mediterraneo.

Costituente Terra (Raniero La Valle)

Jujuy, Argentina: sollevazione popolare, durissima repressione

Fonte Dinamopress che ringraziamo

 

di Alioscia Castronovo

 

Decine di feriti, arresti e persecuzioni: una sollevazione popolare guidata da docenti e popoli indigeni contro la riforma costituzionale della provincia andina che rafforza l’estrattivismo, criminalizza la protesta sociale ed intensifica l’impoverimento

Nel pieno di una durissima crisi economica e politica, e a pochi mesi dalla elezioni presidenziali che il prossimo mese di ottobre indicheranno quale prossimo governo dovrà affrontare il pagamento del debito al Fondo Monetario Internazionale – e nel pieno delle definizioni delle prossime formule presidenziali ancora in discussione nelle due principali coalizioni – una sollevazione popolare nella provincia andina di Jujuy sta ridefinendo dal punto di vista delle lotte l’agenda politica del paese. Contro impoverimento ed estrattivismo, in difesa dei salari e dei territori, una rivolta è esplosa nel nord occidente del paese, al confine con la Bolivia.

Al centro delle proteste l’operazione politica che favorisce le politiche estrattiviste e costituzionalizza la repressione contro chi reclama salari, diritti e dignità, portata avanti dal governatore Gerardo Morales, con il consenso trasversale dei radicali e del partito giustizialista.

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Verso l’economia di guerra

Fonte Sinistrainrete 

Autore  Alessandro Somma 

 

Le conseguenze della guerra non sono solo quelle visibili a occhio nudo, quelle denunciate dalle innumerevoli immagini che raccontano la tragica quotidianità di chi sopravvive e muore sotto le bombe. Non sono da meno gli effetti su chi viene apparentemente risparmiato dal conflitto perché vive in Paesi non direttamente coinvolti nei combattimenti. Semplicemente sono meno riconoscibili, sebbene coinvolgano il complessivo modo di stare insieme come società e in ultima analisi i fondamenti di quanto siamo soliti chiamare Occidente.

A mutare profondamente è l’ordine politico: la guerra richiede decisioni rapide e unanimi, a monte processi deliberativi opachi, e questo incide profondamente sulla qualità della democrazia, che vive al contrario di conflitti, di tempi scanditi dai ritmi della partecipazione e soprattutto di trasparenza. E anche l’ordine economico viene travolto: la produzione di armamenti e altri beni funzionali al conflitto deve procedere con modalità per certi aspetti incompatibili con il capitalismo, che tra i propri fondamenti vanta l’avversione verso il dirigismo e la pianificazione, utile invece a concentrare lo sforzo produttivo.

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Il raduno internazionale dell’estrema destra a Budapest: Orbán è il nuovo modello per l’Occidente

All’ingresso della “Balena” di Budapest, il luccicante centro multifunzionale adagiato sulle sponde del Danubio dove si svolge per il secondo anno consecutivo (dal 4 al 5 maggio) il convegno europeo dei conservatori americani (CPAC), un avviso su un architrave bianco e blu interdice il passaggio ai woke, i “risvegliati” della sinistra, sensibili alle ingiustizie sociali: No Woke Zone. Il divieto va subito oltre il suo senso letterale: le guardie di sicurezza respingono i giornalisti Jacob Heilbrunn di Politico e Flora Garamvolgyi del Guardian, nonostante abbiano entrambi ricevuto conferma di accredito dal Center for Fundamental Rights, il think-tank ungherese che co-organizza l’evento. Anche se i suoi oratori amano definirsi paladini della libertà d’espressione, alla CPAC hanno rapporti difficili con i media.

Sul palco Kari Lake, ex candidata trumpiana a governatrice dell’Arizona, scandisce i titoli con cui la stampa etichetta la due giorni di conferenze e li commenta con un sarcastico gioco di parole: «Noi politici di estrema destra [far-right]? Sapete che vi dico? Lo accetto. Finora [so far], abbiamo avuto ragione [we have been right] su tutto». «Abbiamo appreso che in Ungheria i giornalisti devono sottoscrivere alcune regole», dice Matt Schlapp, lobbista vicinissimo a Trump e presidente dell’American Conservative Union, che organizza le CPAC. «Devono essere onesti, devono scrivere la verità, devono essere bipartisan. E visto che siamo determinati a riscrivere le regole dei media americani, abbiamo deciso che faremo come l’Ungheria e che decideremo noi chi è un giornalista onesto e chi no».

Ciascuno degli oltre cinquanta interventi è infatti introdotto da un elogio al primo ministro Viktor Orbán e al suo governo. Non è mera piaggeria: nell’Ungheria si vede il futuro dell’Occidente e non suscita alcun imbarazzo sapere che Orbán abbia gradualmente trasformato un paese membro dell’Unione Europea in un’autocrazia elettorale dove la magistratura ha perso la propria indipendenza, i media sono direttamente o indirettamente controllati dall’esecutivo e i collegi elettorali ridisegnati perché le opposizioni perdano a tavolino. Dopo oltre mezzo secolo in cui i repubblicani americani hanno influenzato le destre europee con il proprio soft power ideologico, ora il modello di riferimento per gli Stati Uniti è l’orbanismo, la ricetta di un piccolo paese delle dimensioni del Kentucky e con la popolazione del Michigan, ma magnificato come baluardo della cristianità ed eroico avversario solitario di smisurate forze globaliste.

Come spesso accade, l’avvicinamento è cominciato sui media. Nell’estate 2021 Tucker Carlson, ex conduttore di punta di Fox News, ha condotto per una settimana il suo show da Budapest, mostrando con orgoglio l’imponente recinzione anti-migranti eretta al confine con la Serbia. Pochi mesi più tardi, in un documentario quasi di regime, Carlson ha ritratto Orbán come il difensore della civiltà dalla Grande Sostituzione, la teoria del complotto del suprematismo bianco secondo cui le élite guidate da George Soros pianificano l’importazione di milioni di illegali dal Terzo Mondo per trasfigurare la demografia europea e americana.

Il nome del finanziere ricorre minaccioso nelle parole dei conferenzieri, tra cui lo stesso primo ministro ungherese. C’è un’uniformità singolare e inquietante nella retorica dei presenti, come se appartenessero tutti allo stesso partito, a dispetto dell’eterogeneità dei Paesi di provenienza, dal Messico al Giappone passando persino per Israele, rappresentata dal giornalista Gadi Taub, ora docente proprio a Budapest, e da Matan Peleg, leader del movimento sionista Im Tirzu. La CPAC ungherese non è, in effetti, un evento isolato, ma segna una nuova accelerazione nel coordinamento fra destre radicali ed estreme.

Dopo il convegno del maggio 2022 a Budapest, il 10 dicembre il presidente del club dei giovani repubblicani di New York, Gavin Wax, ha invitato amici dal Partito della Libertà austriaco (FPÖ) e da Alternativa per la Germania (AfD), nonché l’ambasciatore ungherese Szabolcs Takács, per un elegante gala su Park Avenue insieme ai più fedeli deputati trumpiani, come Marjorie Taylor Greene, e alle figure più in vista dell’alt-right americana, come Steve Bannon, Peter Brimelow e Jack Posobiec. L’atmosfera era così amichevole che Greene si è lasciata andare a battute sull’assalto Capitol Hill: «Se l’avessimo organizzato io e Steve Bannon, avremmo vinto. Senza dimenticare che saremmo stati armati».

Dal 15 al 17 maggio, poi, un altro convegno organizzato da un think-tank americano, la National Conservatism Conference, ha fatto tappa a Londra per coinvolgere l’ala meno moderata dei Tories. Si tratta del terzo appuntamento europeo in tre anni, dopo quello di Bruxelles dello scorso anno e di Roma del 2020, aperto da Giorgia Meloni.

 

È proprio con l’etichetta di “conservatorismo nazionale” che la destra radicale, archiviata la stagione del populismo sbandierato, cercano di ribrandizzarsi. Una dichiarazione di principi, firmata tra gli altri da Francesco Giubilei (consigliere del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ed enfant prodige dei circoli intellettuali della destra italiana), la sintetizza in dieci punti, dal rifiuto del globalismo liberale alla rivendicazione di Dio, Patria e Famiglia come cardini dello Stato nazione. Se il populismo di destra insisteva propagandisticamente sul binomio popolo-élite per mascherare un’indeterminatezza di fondo negli obiettivi politici, se non addirittura per occultare un indirizzo economico neoliberista, al centro del conservatorismo nazionale c’è il conflitto fra i valori tradizionali del popolo-nazione e la corruzione morale delle élite sovranazionali. In due parole: guerra culturale.

Alla CPAC, d’altronde, nessuno parla di economia. Per quanto il nemico sia individuato nei «globalisti marxisti e comunisti», come afferma Donald Trump nel suo videomessaggio di saluto, «questo non è un attacco economico, è un’arma biologica contro di noi», enfatizza Orbán con una metafora del complottismo pandemico. «Siamo sotto l’attacco di un virus, sviluppato nei laboratori dei progressisti liberal. Questo virus sta attaccando il punto più vulnerabile del mondo occidentale: la nazione. L’immigrazione, il gender, il wokismo sono tutte varianti dello stesso virus».

Le guerre culturali presuppongono infatti che lo scontro politico si sia esacerbato fino a rappresentare una battaglia per la sopravvivenza. Perdere un’elezione non significa più cedere temporaneamente il potere all’avversario, ma scivolare verso il baratro della cancellazione, anche fisica. Gli altri controllano ogni aspetto della vita pubblica: media, scuole, università, magistratura, sindacati, aziende. È un totalitarismo anticristiano, non diverso da quelli del ventesimo secolo. I toni sono quindi apocalittici e descrivono la sindrome di accerchiamento e il senso di persecuzione delle destre. Più ci si percepisce come vittime, più è giustificata la controffensiva su larga scala. Non è un caso che il pensatore più citato sia Antonio Gramsci. Lo menzionano esplicitamente Francesco Giubilei, Eduardo Bolsonaro, figlio dell’ex presidente brasiliano, e Janez Janša, ex primo ministro sloveno. L’idea è che la guerra politica si vinca sul piano dell’egemonia culturale: «dobbiamo imparare una lezione che la sinistra conosce bene: chi controlla la narrazione, chi controlla la cultura, chi controlla l’opinione pubblica, alla fine ne beneficerà politicamente» dice Stephen Bartulica, parlamentare croato del Movimento Patriottico.

Quello vissuto dai conferenzieri è un vero e proprio panico morale. L’ideologia woke si sarebbe ormai infiltrata nelle scuole e indottrinerebbe i bambini per separarli dai genitori e renderli così dipendenti dallo Stato. La sinistra impiegherebbe così le stesse infide tattiche dell’intellighenzia sovietica o dei predicatori fondamentalisti delle scuole coraniche. Secondo Jack Posobiec, il più famoso propugnatore del Pizzagate, «il wokismo è un virus della mente, che colpisce la possibilità di interagire con la realtà». Non servirebbe dunque una monumentale opera di convincimento per far prevalere i valori conservatori nella società, ma sarebbe sufficiente il semplice racconto della realtà e della verità, perché – come si suggerisce in un dibattito sulla famiglia – non è in corso uno scontro tra due ideologie, ma tra un’ideologia fanatica e la biologia. Il problema – sottolinea in un panel sulla libertà di espressione Eva Vlaardingerbroek, giovane commentatrice olandese ed ex corrispondente di Carlson dall’Europa – è che «qualunque tipo di opinione che sia contraria alla narrativa mainstream o sia considerata dissonante è ora bollata come disinformazione».

Eppure, per vincere la guerra culturale ogni mezzo è ritenuto lecito, persino la demonizzazione degli avversari e le teorie del complotto. Per Martin Helme, leader del Partito popolare conservatore estone, «non è per stupidità che la sinistra tenta di distruggere la famiglia, i diritti dei genitori, la salute di bambini normali. È per malvagità. C’è un intelligente disegno malvagio che lega tutto. Le forze del male hanno costruito una rete impressionante di persone e istituzioni per distruggerci e schiavizzarci». La cospirazione globalista prevederebbe sia un attacco da fuori, attraverso l’immigrazione controllata per «denazionalizzarci nei nostri stessi paesi» (Anders Vistisen, europarlamentare del Partito popolare danese), sia dall’interno, attraverso l’abbattimento scientifico dei valori millenari della civiltà occidentale.

È la teoria del complotto del cosiddetto “marxismo culturale”, che ha ispirato le stragi di terroristi di estrema destra come Anders Breivik e che aleggia terrificante nei discorsi di Janša e Bolsonaro. L’ossessione è tale che ogni proposta politica da sinistra si tramuta nell’indizio di un’imminente oppressione distopica. Così, per Hermann Tertsch, europarlamentare spagnolo di Vox, «il Green Deal è solo uno degli strumenti con cui distruggere la nazione, un grande piano leninista per intervenire nei decenni a venire in tutte le sfere della vita, un piano di ingegneria sociale». Per Andrej Babis, ex primo ministro ceco, in un futuro non lontano «le persone che spendono troppo in benzina, mangiano troppa carne, viaggiano troppo in aereo, spendono troppo in cibo potrebbero vedersi bloccati prestiti bancari, negate tariffe aeree o potrebbero persino essere escluse dai servizi pubblici».

La salvezza viene riposta nel recupero della fede cristiana, della famiglia tradizionale e, soprattutto, della sovranità nazionale. Può apparire strano che nell’equilibrio geografico degli interventi la CPAC ungherese penda sproporzionatamente verso l’Est europeo, ma lo sbilanciamento si spiega esattamente con l’esaltazione delle virtù nazionali, in quest’ottica rivalorizzate dai Paesi liberatisi dal giogo del Patto di Varsavia e invece sviliti da un Occidente che omogeneizzerebbe e appiattirebbe le specificità in nome del multiculturalismo. L’elezione di Giorgia Meloni pone l’Italia al centro di queste riflessioni, perché rappresenta il primo grande Stato europeo ad aver abbracciato i valori del conservatorismo nazionale. Significativamente, ad avere il privilegio dell’ultima parola è Vincenzo Sofo, europarlamentare di Fratelli d’Italia, nonché marito della nipote di Le Pen, Marion Maréchal.

La vera novità consiste tuttavia nel ruolo sempre più preponderante che i repubblicani, storicamente ripiegati sui problemi interni all’America, hanno assunto nel guidare l’internazionale delle destre. Come evidenzia il politologo Cas Mudde, le strette connessioni con i partiti più estremi del panorama europeo e latinoamericano sono un’eredità della radicalizzazione operata dal trumpismo, ormai ideologicamente indistinguibile dallo stesso orbanismo. Il risultato è che la polarizzazione che ha incendiato gli Stati Uniti negli ultimi anni può ora propagarsi all’Europa. Le CPAC sono insomma il combustibile irrorato nel dibattito pubblico in attesa di un innesco che permetta al fuoco di divorare ciò che resta delle nostre democrazie.

Immagine in anteprima: frame vide Euronews via YouTube

Les véhicules électriques, la bauxite et la destruction de l’écosystème en Guinée

 

Fonte  L’encontre 

Par Rachel Chason et Chloe Sharrock

KAGBANI, Guinée – L’un des pays les plus pauvres de la planète est devenu un acteur essentiel de la dite transition vers l’énergie verte.

La Guinée, pays d’Afrique de l’Ouest de plus de 13 millions d’habitants, abrite les plus grandes réserves de bauxite au monde, une roche brun-rouge qui constitue le minerai de l’aluminium. Ce métal léger est essentiel pour les véhicules électriques, car il leur permet de parcourir une plus grande distance sans être rechargés que s’ils étaient construits en acier. Au cours de la décennie actuelle, alors que les experts s’attendent à ce que les ventes mondiales de véhicules électriques soient multipliées par neuf, la demande d’aluminium augmentera de près de 40%, pour atteindre 119 millions de tonnes par an, selon les analystes de l’industrie.

La Guinée connaît déjà un boom sans précédent de ses exportations de bauxite. Elles ont presque quintuplé entre 2015 et 2020, selon les statistiques du gouvernement états-unien. Les analystes prévoient que la production continuera d’augmenter de façon spectaculaire au cours de la prochaine décennie. La région de Boké, dans le nord-ouest de la Guinée, au centre de la ruée sur la bauxite, a été transformée par un flux incessant de camions et de trains transportant le précieux minerai le long de routes et de voies ferrées nouvellement construites jusqu’aux ports côtiers.

Mais dans la région de Boké, des milliers de villageois paient un lourd tribut, selon des dizaines d’entretiens avec des habitants de six villages, des ONG de surveillance des entreprises extractives et des experts de l’industrie. Le gouvernement guinéen a indiqué que des centaines de kilomètres carrés autrefois utilisés pour l’agriculture ont été acquis par des sociétés minières pour leurs opérations d’extraction et ce qui est associé: les routes, les chemins de fer et les ports. Les villageois n’ont reçu que peu ou pas de compensation, selon les militants des droits de l’homme et les habitants de la région. Selon une étude gouvernementale, l’exploitation de la bauxite détruira, au cours des vingt prochaines années, plus de 200 000 acres de terres agricoles et 1,1 million d’acres d’habitats naturels, soit une superficie presque équivalente à celle du Delaware [soit 6450 km2].

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IL 25 APRILE CON UN PARTITO FASCISTA AL GOVERNO

di Tomaso Montanari (*)

Non è un 25 aprile come tutti gli altri che, dal 1945, lo hanno preceduto: perché è il primo in cui il governo e le massime istituzioni della Repubblica sono in mano a un partito fascista.
Per reagire, e per onorare davvero la lotta e il sacrificio dei partigiani, è doveroso avere il coraggio di dirlo senza remore: diffondendo le argomentazioni di coloro che, nei loro studi, non solo lo dicono, ma lo dimostrano testi alla mano.
Ne cito, a titolo di esempio, due di genere e taglio assai diversi: il recente saggio dello storico inglese David Broder (Mussolini’s Grandchildren. Fascism in Contemporary Italy, Pluto Press 2023), e l’inchiesta del giornalista Andrea Palladino (Meloni segreta, Ponte alle Grazie 2023). È quindi necessario chiedersi come sia stato possibile: perché «prima di agire, bisogna capire», come dicevano i fratelli Rosselli un secolo fa. E qua la risposta è necessariamente articolata, almeno in tre punti.

Primo. Ci sono ragioni storiche di lungo periodo: dopo la guerra non si sono fatti i conti fino in fondo con il fascismo e con i fascisti. Il malinteso imperativo della continuità dello Stato ha impedito la necessaria discontinuità della classe dirigente, e una troppo veloce e larga auto-assoluzione ha restituito agli italiani l’illusione di essere ‘brava gente’ (su questo si veda, da ultimo, P. Corner, Mussolini e il fascismo. Storia, memoria e amnesia, Viella 2022): un’illusione che ha permesso una ricaduta nella malattia.
Inoltre, il viscerale anticomunismo del capitalismo italiano e degli Stati Uniti ha consentito che risorgesse, in barba al veto costituzionale, un partito ovviamente fascista, che alla fine (dopo ‘svolte’ totalmente false) è stato riportato al governo (negli enti locali e nel Paese) da Silvio Berlusconi, sempre in chiave anticomunista e grazie all’involuzione (profondamente contraria allo spirito della Costituzione) di un sistema elettorale maggioritario, e dunque tendenzialmente bipolare.
Tutto questo culmina nello sbandamento di una ‘sinistra’ che – da Violante a Ciampi, dalla legge sul Giorno del Ricordo ai troppi silenzi di Sergio Mattarella – finisce con l’affondare più o meno consapevolmente l’antifascismo della Repubblica.

Secondo. Questi fatti spiegano perché i fascisti non siano spariti, non perché siano tornati alla guida del Paese. E qua la spiegazione è nel drammatico smontaggio del progetto costituzionale avvenuto soprattutto ad opera dei governi di centro-sinistra: quello era il progetto dell’antifascismo per l’Italia, quello abbiamo distrutto.
Nelle parole di Piero Calamandrei, quel progetto consisteva nel «dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d’uomini.
Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale» (1955).

Le democrazie puramente formali presto si ammalano e muoiono: ed è esattamente quel che è avvenuto a noi. Siamo malati, e la diagnosi non è delle più fauste. La profonda ingiustizia sociale ha allontanato i cittadini dalla democrazia: e un astensionismo enorme ha portato – con i voti del 28% degli aventi diritto al voto – al governo del Paese una coalizione di estrema destra, guidata da un partito fascista. In questa (ovvia) analisi c’è anche il rimedio: l’unico antifascismo in grado di rigettare i fascisti nelle fogne della democrazia, è una politica che ricominci a costruire giustizia sociale, e dunque partecipazione.

Terzo. Manca ancora un pezzo di risposta per spiegare come sia stato possibile che in un paese come l’Italia i fascisti siano tornati al governo. Quel pezzo si trova in una intervista di Marine Le Pen concessa a Repubblica pochi giorni fa. Qui la leader dell’estrema destra francese diceva di avere le stesse idee di Giorgia Meloni, tranne che su un punto: la guerra. Alludeva all’attuale, oltranzistica, fedeltà atlantica di Meloni: la quale, ribaltando una lunga retorica antiamericana, sposa ora senza riserve le ragioni della Nato, delle armi, della acritica sottomissione alla dottrina americana che vuole il mondo dominato da una sola potenza, in nome della superiorità della cultura occidentale.
Questa differenza, cruciale, tra Le Pen e Meloni spiega perché il Front Nationale sia pacificamente definito da tutti come un partito di estrema destra, xenofoba e razzista, mentre per Fratelli d’Italia la stampa occidentale preferisca parlare di forza ‘conservatrice’: anche se le idee sono esattamente le stesse (salvo, appunto, una: ma decisiva).
La triste verità è che, per gli Stati Uniti e per le classi dirigenti europee, lo spartiacque non è quello tra fascismo e antifascismo, ma tra fedeltà atlantica (ivi compresa un’acritica accettazione del dogma del TINA neoliberista) e multilateralismo.
Per questo si accetta di buon grado che l’Italia si trovi nella condizione della Polonia: con un governo illiberale e xenofobo che però offre assolute garanzie nella lotta contro la Russia, e quindi contro la Cina. Naturalmente questo significa concedere ai governi di estrema destra mano libera sui diritti civili, e sulle vite dei marginali (poveri, migranti, diversi di ogni sorta): un danno collaterale irrilevante nel grande scacchiere della volontà di potenza mondiale.

Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra.
Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più.
Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti.

In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU).
È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio.
La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani).

La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia.
Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti).
Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti.

Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni.
Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica.

Un nuovo fascismo, dunque: che non ha necessariamente bisogno dei labari del Ventennio. Ma che quel progetto comunque resuscita e persegue: soprattutto in una mistica della violenza e della morte che ha nei neri, nei musulmani, nei diversi i propri eterni obiettivi.
Lo dimostra il fatto che la politica di questo governo fascista attacca frontalmente alcuni principi fondamentali della Costituzione antifascista: l’articolo 9 (perseguendo la difesa di una nazione che si darebbe per via etnica e non culturale, come invece vuole proprio quell’articolo), l’articolo 10 (negando di fatto il diritto d’asilo e blindando le frontiere contro chi non gode in patria delle nostre stesse libertà democratiche), l’articolo 11 (usando la guerra come strumento della politica internazionale, e non perseguendo affatto la pace e la giustizia attraverso la nostra partecipazione a organismi internazionali: non solo nella sudditanza alla Nato, ma per esempio anche nel rifiuto, in Unione Europea, di opporsi alle politiche omofobe ungheresi).

È questo ciò che dobbiamo saper vedere, in questo 25 aprile 2023. Il fascismo può apparire nuovo e diverso, ma alla fine il suo obiettivo è sempre e comunque quello di abbattere quel progetto di pace, giustizia, uguaglianza e democrazia che la Costituzione incarna. È un pericolo reale, e incombente: perché forse non potranno tornare in Italia i fascisti col fez e la camicia nera, ma certo potremmo veder nascere un regime violentemente razzista e autoritario, come quello polacco o quello ungherese.
E nessuno sa cosa verrebbe dopo. Per questo, oggi, non dobbiamo limitarci a celebrare le gesta dei nonni: dobbiamo impegnarci con tutti noi stessi perché i nostri figli non siano costretti a ripeterle.

(*) Da Volere la Luna.

Grecia: Dolore e rabbia nelle proteste che infiammano il Paese

 

Fonte : Pressenza.com 

Dopo l’incidente ferroviario di Tempe, le proteste infiammano la Grecia. Al dolore per i morti si unisce la rabbia contro una classe politica che ha privatizzato il Paese.

“Chiamami quando arrivi”. Questa frase – le parole che ogni genitore rivolge al figlio che si sta per mettere in viaggio – è diventata una di quelle più presenti sui cartelloni e sugli striscioni esposti nelle manifestazioni che da più di due settimane infiammano la Grecia. Le proteste fanno seguito all’incidente ferroviario avvenuto il 28 febbraio scorso nella località di Tempe, nei pressi di Larissa, dove, poco prima della mezzanotte, l’Intercity Atene-Salonicco si è scontrato con un treno merci che viaggiava sullo stesso binario, provocando la morte di 57 persone. Molti erano studenti e studentesse che tornavano a Salonicco per la ripresa delle lezioni universitarie dopo il ponte festivo per l’inizio della Quaresima ortodossa: figli e figlie che quella chiamata non l’hanno mai potuta fare.

Le proteste

Già nei giorni successivi a quello che è stato il disastro ferroviario più grave della storia della Grecia, al lutto e al dolore che pervadevano il Paese si è sommata la rabbia. Moltissimi sono scesi nelle strade, generando un’onda di manifestazioni caratterizzate da una partecipazione che non si vedeva da più di dieci anni, dai tempi delle proteste contro le misure di austerity. Già il 5 marzo, circa 10.000 persone si sono presentati in piazza Syntagma, ad Atene, e davanti al Parlamento ellenico; l’8 marzo, in concomitanza con la Giornata Internazionale della Donna, almeno in 40.000 hanno sfilato per il centro della capitale e più di 20.000 a Salonicco; migliaia di persone si sono unite alle proteste anche a Larissa (dove i manifestanti hanno sfilato sotto le finestre dell’ospedale nel quale sono ricoverati i feriti dell’incidente), a Patrasso ed in altri centri urbani in tutta la Grecia. Un’onda che non sembra avere nessuna intenzione di placarsi, visti i 50.000 che il 16 marzo sono scesi nuovamente in strada ad Atene.

Il carattere eccezionale di queste manifestazioni, tuttavia, è dato non solo dalla grande partecipazione, ma anche dal fatto che in aggiunta alle frange anarchiche e ai movimenti studenteschi – storicamente fra i due maggiori protagonisti dei movimenti di piazza ellenici – hanno partecipato alle proteste anche da moltissime persone di ogni età. Manifestazioni dal carattere intergenerazionale, dunque, ed intersettoriale: sono stati infatti dichiarati degli scioperi di 24 e 48 ore – oltre che dai lavoratori e lavoratrici del settore ferroviario, che hanno scioperato praticamente ogni giorno dal 28 febbraio – sia in un primo momento dal sindacato ADEDY, che comprende molti settori del servizio pubblico, che successivamente anche da numerosi enti privati. Le rivendicazioni sono molteplici, ma su tutte primeggia la richiesta di condizioni di sicurezza e, soprattutto, la rabbia contro un sistema politico incapace di proteggere i propri cittadini.

Un errore di sistema

All’indomani della tragedia, il premier Mitsotakis ha dichiarato che la responsabilità del disastro sarebbe da attribuire ad un errore umano: una disattenzione fatale del capostazione di Larissa, che si sarebbe dimenticato di azionare il meccanismo di spostamento dei binari. A Larissa – come in tutta la Grecia -, infatti, la gestione del traffico ferroviario è totalmente in carico al personale umano, in quanto l’infrastruttura ellenica non è provvista dell’ETCS (European Train Control System, il sistema di sicurezza automatico che regola il traffico ferroviario e, in caso di necessità, attiva la frenata di emergenza), che è stato attivo solamente dal 2003, anno di installazione, fino al 2008. Il capostazione, poi, nel momento dell’incidente, si sarebbe trovato da solo, quando invece era prevista la presenza di altri due colleghi, e sembra che avesse poca esperienza nell’ambito, in quanto precedentemente incaricato soprattutto di lavori di ufficio.

Le proteste hanno dunque puntato il dito contro un sistema che fa dipendere la sicurezza dei passeggeri unicamente dall’attenzione o dalla sbadataggine di un singolo capostazione, caratterizzato da infrastrutture obsolete, personale poco formato e da una disfunzionalità cronica dovute al progressivo disinvestimento che ha subito negli ultimi decenni. A questo riguardo, è significativo il fatto che il Ministro dello Sviluppo avrebbe dichiarato che l’ammissione delle lacune in tema della sicurezza della rete ferroviaria avrebbe significato una perdita di svariati milioni di euro per Hellenic Train, la compagnia che gestisce il traffico su rotaia in Grecia. Precedentemente conosciuta come TrainOSE, Hellenic Train è stata acquistata nel 2017 dalle Ferrovie dello Stato Italiane per 45 milioni di euro.

FMI, EU, Grecia: la svendita di un Paese

Nelle affollate piazze delle città greche, la rabbia per i 57 morti è stata spesso accompagnata da quella contro una classe dirigente che nel corso degli ultimi 30 anni si è resa protagonista di una vera e propria svendita del Paese a prezzi stracciati. Il processo di privatizzazione delle imprese statali, avvenuto principalmente per mano dei socialisti del PASOK e del partito di centro-destra Nea Dimokratia (ma anche sotto i governi guidati da Syriza) è iniziato nei primi anni ’90, subendo un’accelerata in contemporanea alla richiesta della Grecia di entrare nello spazio economico e monetario europeo, ed è continuata sia prima della crisi del 2008, che dopo, con le misure di austerity imposte al Paese dalla Troika.

La vendita delle compagnie statali a enti privati, infatti, rappresentava una delle clausole previste dagli accordi con Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale per il salvataggio del Paese. La volontà di rispettare tali accordi ha portato all’adesione ad una politica economica neoliberista ed a massicce privatizzazioni, in particolare nel settore energetico, bancario e dei trasporti, che dal 2011 hanno portato nelle casse dello Stato più di 7,6 miliardi di euro. Basti pensare che nel solo campo delle infrastrutture, oltre a quella di Hellenic Train, si è assistito alla progressiva cessione del porto del Pireo a Costco, multinazionale cinese di proprietà statale, che ad oggi ne detiene il 67%, e di 14 aeroporti – fra i più redditizi del Paese – al colosso tedesco Fraport. Il processo di privatizzazione è proseguito anche nell’ultimo biennio, in particolare nei settori chiave degli idrocarburi e del trasporto autostradale, e molto spesso ha significato un peggioramento delle condizioni di lavorospeculazione e, come nel caso di Hellenic Train, un prevalere del profitto sulla sicurezza. Un guadagno economico che è costato 57 vite umane.

Il dolore e la rabbia scaturiti dall’incidente di Tempe stanno acuendo la tensione sociale, portandola su dei livelli simili a quelli del tempo del movimento anti-austerity. Ne risentono anche le intenzioni di voto: secondo i sondaggi, dall’inizio delle proteste il premier Mitsotakis ha dimezzato il vantaggio percentuale che aveva sugli opponenti. Le elezioni, previste per la tarda primavera di quest’anno, si avvicinano; la situazione della Grecia, già delicata, rischia di diventare esplosiva.

L’articolo originale può essere letto qui

SIPRI YEARBOOK 2022 Armaments, Disarmament and International Security Sintesi in italiano

 

 

 

 

 

Il SIPRI Yearbook è una fonte autorevole e indipendente di dati e analisi su armamenti, disarmo e sicurezza internazionale. Fornisce una panoramica degli sviluppi relativi a sicurezza internazionale, armi e tecnologia, spesa militare, produzione e commercio di armi, conflitti armati e gestione del conflitto, nonché agli sforzi volti al controllo delle armi convenzionali, nucleari, chimiche e biologiche. Questa pubblicazione riassume la 53a edizione del SIPRI Yearbook che contiene informazioni su ciò che è avvenuto nel 2021 in merito a:

  • Conflitti armati e gestione del conflitto, con una panoramica su conflitti armati e processi di pace nelle Americhe, in Asia e Oceania, Europa, Medio Oriente e Nord Africa, e Africa subsahariana, nonché un approfondimento sulle tendenze globali e regionali delle operazioni di pace;
  • Spesa militare, trasferimenti internazionali di armi e sviluppi nella produzione di armi; • Forze nucleari nel mondo, con una panoramica su tutti e nove gli stati dotati di armi nucleari e sui loro programmi di modernizzazione;
  • Controllo delle armi nucleari, con un focus sugli sviluppi del dialogo strategico tra Russia e Stati Uniti, dell’accordo iraniano sul nucleare ei trattati multilaterali sul controllo delle armi e del disarmo nucleare, tra cui l’entrata in vigore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari;
  • Minacce chimiche e biologiche alla sicurezza, comprese la pandemia di COVID-19, le indagini sul presunto uso di armi chimiche in Siria e gli sviluppi in merito agli strumenti giuridici internazionali contro le guerre chimiche e biologiche;
  • Controllo delle armi convenzionali, con particolare attenzione alle armi disumane e ad altre armi convenzionali fonte di preoccupazioni umanitarie, compresi gli sforzi per regolamentare i sistemi d’arma autonomi letali, il comportamento degli stati nel cyberspazio e gli sviluppi del Trattato sui cieli aperti;
  • Tecnologie dual-use e controllo del commercio di armi, con approfondimenti in merito al Trattato sul commercio di armi, agli embarghi multilaterali, ai regimi di controllo delle esportazioni e al processo di revisione della normativa dell’Unione Europea; nonché appendici sugli accordi di controllo delle armi e di disarmo, sugli enti internazionali di cooperazione in materia di sicurezza e sugli eventi principali del 2021.

 

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Cosa non convince dell’inchiesta giudiziaria di Bergamo su Covid 19 ?

 

Fonte : Diario Prevenzione 

Autore : Gino Rubini

In primo luogo non convince la motivazione che l’inchiesta servirà a “fare chiarezza” sugli errori avvenuti nella filiera di comando nella gestione della pandemia. Un’inchiesta giudiziaria non serve a individuare errori eventualmente avvenuti nel fare fronte ad un evento non conosciuto ma a ricercare reati. I reati non sono errori di valutazione quando ci si trova di fronte ad un evento sconosciuto ( la diffusione di un virus, Covid 19, di cui non si conoscevano le caratteristiche nosologiche) ma azioni deliberate di inosservanza di protocolli comportamentali consolidati per dolo o per negligenza, imperizia e imprudenza. Poiché è escluso che vi sia stato dolo in quelle ore drammatiche, gli errori o i dubbi che possono avere avuto i soggetti decisori in campo nell’esercitare il potere non possono essere attribuiti a negligenza, imperizia e imprudenza in quanto non esistevano protocolli certi e sperimentati per un evento sconosciuto come la pandemia Covid 19.

L’indagine giudiziaria chiesta a gran voce dai parenti delle vittime porterà a conoscenze utili ad evitare nel futuro gli errori che probabilmente vi sono stati ai vari livelli nella gestione della crisi pandemica ?

Qualora si arrivasse al dibattimento processuale è palese che la mediatizzazione dell’evento, le enfatizzazioni spettacolari e strumentali di aspetti del dibattito processuale invece di fare chiarezza porterebbero alla polarizzazione tra colpevolisti e innocentisti senza aggiungere un milligrammo in più di conoscenza sui determinanti degli eventuali errori che ci possano essere stati. Il percorso giudiziario, la ricerca e la conquista di una verità processuale, quale che essa sia, assai spesso non coincidono con la conquista di una conoscenza scientifica utile per il futuro per la elaborazione di nuovi protocolli comportamentali corretti dagli errori e dalle incertezze che possono avere caratterizzato ciò che avvenne all’inizio della pandemia.

La perizia del CTU, per quanto è dato conoscere dalla stampa, rappresenta solo un punto di vista e una “mappa” già messa in discussione nella comunità scientifica ove emergono altre rappresentazioni degli eventi. Ad esempio: la definizione all’unità del numero delle vite che potevano essere salvate derivata dall’uso di modelli matematici lascia molto perplessi. Fare riferimento a scenari derivanti da proiezioni di modelli matematici è legittimo purché si dichiari la natura e i limiti degli algoritmi utilizzati. In tutti i casi sarebbe prudente usare sempre il condizionale e la frase di rito “ è verosimile affermare che ….” . Nelle dichiarazioni pubbliche il CTU non utilizza queste prudenziali accortezze ma asserisce con certezza i numeri delle vite che potevano essere salvate con una dichiarazione di fede assoluta nei modelli matematici impiegati…. 1

Questi sono solo dettagli, ma una cosa è certa , in questo caso la perizia è il prodotto non di un gruppo pluridisciplinare di scienziati : virologi, epidemiologi, matematici, analisti dei sistemi organizzativi, ecc ma di una sola persona che, per quanto preparata, non può riassumere in sé tutte le conoscenze necessarie per elaborare una rappresentazione completa della complessità degli eventi accaduti.

Un gruppo interdisciplinare di ricerca incaricato di ricostruire con precisione scientifica un report sugli eventuali errori , sulle incongruenze organizzative, sulle pressioni esercitate da organizzazioni di rappresentanza di interessi economici senza il vincolo della ricerca dei reati ma dei determinanti che hanno generato errori e distonie avrebbe fatto un lavoro , verosimilmente, assai più utile per fare chiarezza.

Quali sono i potenziali rischi derivanti da un processo di questa natura ?

L’altra faccia della luna è rappresentata dal danno prodotto dalla trasformazione in vicenda giudiziaria di un dramma per il quale si dovrebbero trovare altri percorsi per analizzare in profondità ciò che è avvenuto, le criticità strutturali del sistema organizzativo, la mancanza di protocolli e regole adeguate cui fare riferimento nel momento della decisione.

Il paradigma della ricerca della “colpa” e della sua perseguibilità rispetto alla ricerca delle criticità che hanno messo in difficoltà il sistema altera sia la qualità della ricerca sia i risultati finali di tale percorso. Infatti quali saranno le conseguenze del percorso giudiziario ? Si incrementerà per certo un atteggiamento diffuso di rifiuto ad accettare ruoli pubblici di responsabilità ad elevato rischio di sanzioni penali per eventi catastrofici non gestibili con l’ordinaria amministrazione. Per esempio già sindaci, dal comune più piccolo alle città metropolitane vivono da tempo la sindrome dell’apporre la firma ad atti che possono portare , nel caso di eventi avversi, a sanzioni penali per lesioni e/o amministrative per danno erariale.

L’enorme mole di lavoro inquisitorio per la ricerca dei reati porterà, inoltre, all’interno del dibattito processuale una quantità di fonti, dalle chat alle mail ai documenti più disparati che riprodurranno un grande rumore fondo e rischieranno di non aiutare a fare chiarezza su quanto è accaduto.

Per studiare gli effetti delle catastrofi occorre sperimentare qualcosa di nuovo

E’ importante arrivare a comprendere che lo stato , nelle sue articolazioni, deve trovare la possibilità di indagare su eventi disastrosi complessi con strumenti d’indagine di elevata professionalità ai fini della conoscenza senza finire nella trappola del percorso giudiziario che per la sua natura rischia di alterare la rappresentazione delle dinamiche reali degli eventi. Il quesito corretto dovrebbe essere : “ perché è successa la tal cosa ? “ al posto dello stereotipato “ di chi è la responsabilità di quanto successo ? “

Occorre superare il limite dato dal fatto che per ogni evento in cui ci sono vittime e gravi danni economici sociali e ambientali l’unica ricerca legittima sia la ricerca delle responsabilità e dei reati mentre la ricerca sulle disfunzioni organizzative, sugli errori presenti nei protocolli operativi in uso con una ricognizione tesa ad eliminare le anomalie passa in secondo piano. Ci sarà molta strada ancora da percorrere per arrivare ad una Agenzia indipendente di Risk Assessment con autonomia funzionale ed operativa che sarebbe necessaria per ricostruire con competenza e precisione quanto è avvenuto e fornire indicazioni utili per correggere quei protocolli operativi che hanno fatto flop nella fase iniziale della pandemia. Seguiremo questa vicenda passo passo per capire meglio assieme ai lettori quale sarà il percorso che verrà scelto dalla magistratura e dal governo per rispondere in positivo al quesito : cosa fare dopo il Covid per non essere colti di sorpresa da una nuova zoonosi .

Gino Rubini, editor di Diario Prevenzione

 

1 Interessante in tal senso la visione della trasmissione condotta dalla giornalista Lucia Nunziata Mezz’ora in più del giorno 5 marzo 2023

Non sanno di cosa stanno parlando

 

  • Fonte : Radiopopolare che ringraziamo 
  • Autore :  Alessandro Gilioli

 

 

C’è questa cosa, venuta fuori anche ieri con Meloni, dei rischi che corrono i migranti che partono, e lei che chiede ai parenti e ai superstiti di Cutro: “Ma non sapete quanto è pericoloso?”.

Lo aveva già fatto Piantedosi, in modo perfino più grezzo e cretino, ora lo dice anche la premier.

Il problema di queste persone – Meloni Piantedosi e tanti altri – è che purtroppo parlano di cose che non conoscono, di condizioni che non conoscono, che sono quelle di partenza.

Non hanno mai viaggiato se non negli alberghi a cinque o sei stelle delle grandi città, non hanno mai visto i villaggi dove se per la siccità ti muore l’unica capra sei morto di fame anche tu, non hanno mai dormito nel fango con le bombe che ti scoppiano attorno, non hanno mai visto con i loro occhi i luoghi del mondo di pura disperazione, di schiavitù, di sedici ore al giorno al telaio in uno scantinato in cambio di una ciotola di riso, di una vita che non vale la pena di essere vissuta e quindi sì, può essere messa a rischio, perché così com’è non vale nulla.
Nessuno è obbligato a vivere un mese in un villaggio africano dove non c’è più acqua né cibo d’accordo, nessuno è obbligato a dormire almeno una notte in uno slum di Calcutta, su un marciapiedi di Addis Abeba, nel porto di Sihanoukville.

Però forse sarebbe utile, per capire almeno di che cosa stiamo parlando, di che cosa stanno parlando

Far morire, lasciar morire: la scelta tanatopolitica del governo Meloni e dei suoi ministri – di Salvatore Palidda

Fonte Effimera che ringraziamo 

67 morti annegati. Tra le vittime registrate fino a questo momento 15 minori, fra i quali bambini e neonati. Come scrive SOS Mediterranee, probabilmente non si tratta del numero definitivo anche se non tutti i corpi potranno essere ripescati[1]. È l’ennesima strage di migranti in un Mediterraneo, da anni diventato cimitero di migliaia di persone che rischiano la vita perché restare nel paese di partenza è diventato impossibile o significa aspettare una morte cruenta.

In una trasmissione tv il medico soccorritore Orlando Amodeo ha detto che è stato un “dramma voluto ed evitabile… Faccio soccorsi da 30 anni… abbiamo imbarcazioni che tranquillamente riescono ad affrontare mare forza sei e forza sette, in passato lo abbiamo fatto. Anzi, siamo andati a 40-50 miglia a sud di Crotone e li abbiamo soccorsi. Qualche anno fa abbiamo salvato 147 persone”.

In altre trasmissioni, è emersa anche la chiara denuncia del non intervento della Guardia Costiera sebbene dal giorno prima si sapeva di un’imbarcazione a rischio naufragio.

Ancora Amodeo ha aggiunto: “A prescindere da questo, che i flussi continuino, che gli sbarchi ci siano e continueranno, ormai lo sanno anche le pietre… basta con porti chiusi, porti aperti, basta con blocco navale, sblocco navale, queste persone bisogna aiutarle a venire qua con delle navi, con degli aerei. Gli scafisti li inventiamo noi. Se l’Italia e l’Europa diventassero un pochettino più umane, non ci sarebbero più scafisti e queste tragedie non esisterebbero proprio”. [2]

Le parole di Amodeo, che è anche un ex dirigente medico della Polizia di Stato – forse anche per questo – hanno suscitato l’anatema del ministro dell’Interno Piantedosi (ex vice capo della PS) che ha detto che “queste tragedie sono colpa di genitori irresponsabili che portano i figli a morire”.[3]

A questo Amodeo ha replicato: “Basta con questa storia che i genitori sono pazzi, che portano i figli in mare e li fanno morire. Chi vi parla ha visitato ragazzi curdi che si erano venduti un rene per arrivare in Germania. Smettiamola con questa ipocrisia”.

Il ministro ha poi ordinato al Viminale di comunicare che “sottoporrà all’Avvocatura dello Stato le gravissime false affermazioni diffuse da alcuni ospiti in occasione della trasmissione di La7 al fine di promuovere in tutte le sedi la difesa dell’onorabilità del Governo, del ministro Piantedosi, di tutte le influenze ministeriali e di tutte le istituzioni che sono da sempre impegnate nel sistema dei soccorsi in mare”.

Replicando al comunicato del Viminale il direttore della trasmissione ha detto: “Queste parole (del ministro) mi sembrano minacce. Sottoscriviamo le parole degli ospiti. Alla televisione gratuita, gli ospiti dicono quello che pensano. Ricordiamoci che cos’è la libertà”.

Come ha ricordato Maurizio Guerri: «La disperazione non giustifica i viaggi» è una frase che sprofonda colui che l’ha pronunciata – e il governo di cui è una lugubre sfumatura – nell’abisso della banalità del male. Proprio nei disperati – e nella disperazione – Walter Benjamin riconosceva l’unica possibilità di redenzione dell’uomo contemporaneo, anche dei non (apparentemente?) disperati: «Nur um den Hoffnungslosen willen ist uns die Hoffnung gegeben». «È solo in nome dei disperati che ci è data ancora una speranza» (Goethes Wahlverwandtschaften, Gesammelte Schriften I.1, Frankfurt am Main 1991, S. 201).

Ricordiamo che la scelta di “far morire o lasciar morire” si è materializzata sempre più in particolare con l’istituzione di Frontex che da anni è non solo al centro di fatti di corruzione e collusione con la lobby militare, ma anche oggetto di precise denunce per il suo sostegno militare e finanziario alle bande criminali libiche in nome del contrasto delle migrazioni[4]. Di fatto quest’istituzione europea è co-responsabile di crimini umanitari[5].

In quest’opera l’allora ministro PD Minniti é stato molto attivo sino a imbastire un’operazione a modo suo assai brillante (ma persino scoperta e filmata): lo sporco baratto italo-libico (segnalo l’ampio articolo pubblicato da Effimera su questa vicenda e tutti i suoi contorni). Un baratto per certi versi emblematico anche per l’encomio che ebbe da parte delle autorità europee sino a farne un “ottimo esempio da seguire” (secondo Macron, Juncker e altri). L’operazione non poteva che essere diretta dal ministro Minniti perché da lungo tempo era diventato il principale referente politico di servizi segreti, militari e forze di polizia. Come fu svelato da diversi reportage, a nome del governo italiano Minniti pagò una milizia di criminali libici, di cui a capo c’era Ahmed Dabbashi[6] e il fratello, oltre 10 milioni di dollari in cambio della conversione di tale banda in brigata 48 integrata nei ranghi dello stato libico come forza armata addetta a controllare la costa per impedire partenze di migranti. Ma quello che il ministro non disse, e quasi tutti fecero finta di ignorare, è che il vero scopo del baratto era la salvaguardia degli interessi e delle attività dell’ENI-AGIP in Libia, minacciati dai contrabbandieri e bande come quella dei Dabbashi che spesso sequestrano tecnici o minacciano di dare alle fiamme pozzi e raffinerie o organizzavano il contrabbando di petrolio (sino a farlo arrivare in Italia[7]).

Così la brigata 48 garantì il blocco delle partenze, rastrellando i migranti e rinchiudendoli in centri di detenzione che come si vede in alcuni video e come raccontarono la presidente di Medici senza Frontiere, la commissaria Malmström e altri, sono lager. «Migranti e rifugiati sono ammassati in saloni bui e sporchi, senza ventilazione. Vivono gli uni sugli altri e sono costretti a fare i loro bisogni fisiologici per terra. A piccoli gruppi, sono costretti a correre nudi nel cortile sino a cadere per terra sfiniti o svenuti. Gli aguzzini violentano le donne prima di costringerle a contattare le loro famiglie, implorando invii di soldi per poter sottarsi a tale schiavitù e a tale inferno”.

Il ministro Minniti è stato molto prodigo di interventi pubblici per vantare il successo della sua opera giustificandola innanzitutto come un’azione di “sicurezza di sinistra” e per “salvare i rischi per la nostra democrazia” minacciata dall’ascesa della paura e del razzismo (nella sua caricatura molto efficace e puntuale, Crozza fa dire a Minniti: «Non possiamo lasciare il fascismo ai fascisti»[8]; da parte sua Gino Strada definì Minniti uno sbirro).

La storia dell’approdo dell’ex-sinistra alle scelte reazionarie ha continuato a rinnovarsi in Italia come nel resto d’Europa.

Non stupisce, quindi, che oggi il governo delle destre e il suo ministro dell’interno Piantedosi si sentano assolutamente legittimati a perseguire la scelta di “far morire o lasciar morire” i migranti, insieme alla criminalizzazione di chi vuole soccorrerli.

In altri termini siamo davanti alla stessa logica che governa la riproduzione delle guerre permanenti, dei disastri sanitari, ambientali ed economici, delle neo-schiavitù e lo sprezzo totale dei migranti disperati, siano essi scampati alle guerre, alla fame, alle epidemie, al disastro economico e a ogni sorta di violenza e dominio.

Da notare che l’atteggiamento del ministro Piantedosi è di fatto lo stesso di quello del suo collega ministro della Pubblica Istruzione che ha incolpato e minacciato sanzioni contro la professoressa del liceo di Firenze che in una lettera aperta aveva difeso la Carta costituzionale antifascista contro la brutale aggressione di picchiatori fascisti contro gli studenti del suo liceo.

Così i ministri del governo del “fascismo democratico” pretendono stabilire il divieto di dire in pubblico verità contrarie a quanto loro affermano e quindi minacciano procedimenti giudiziari, visto che il loro collega ministro della giustizia e anche la Corte di Cassazione mostrano di essere ben solerti nell’esaudire questo divieto e la scelta di “lasciar morire” (la negazione a Cospito di uscire dal 41bis).

Questa scelta di tanatopolitica è di fatto coerente con ciò che sembra più opportuno chiamare “fascismo democratico” di un governo legittimato da solo 27% di aventi diritto al voto, una minoranza che passa per maggioranza. È quanto da decenni auspicano i partito delle destre e dell’ex-sinistra perché così ci sono meno elettori da controllare o coltivare come clientela. È l’esito del processo di eterogenesi della pseudo-democrazia che s’è compiuta attraverso l’anamorfosi dello stato di diritto[9] (il passaggio continuo dalla pseudo-democrazia all’autoritarismo e anche a pratiche fasciste e notoriamente razziste e sessiste e dal legale all’illegale)[10]. Il processo innescato dalla controrivoluzione del capitalismo liberista[11], che si è nutrita dell’anomia liberista (astensionismo) e della post-politica a prescindere da ogni ideologia, tutto grazie al contributo decisivo dell’ex-sinistra[12].

Addendum

L’allarme è arrivato 23 ore prima della tragedia. Ma la Guardia di Finanza di Crotone ha trattato il caso come un’operazione di polizia e non di soccorso (cioè come un’azione anticriminalità che avrebbe dovuto mirare tutt’al più all’arresto degli scafisti). Invece dovevano partite le motovedette della Guardia Costiera che sono adatte ad affrontare il mare anche forza 7-8. Ma sono uscite solo a naufragio avvenuto.

Persino Frontex aveva fatto sapere di aver dato l’allerta e che spettava all’Italia l’intervento di soccorso. Le autorità italiane hanno inviato le vedette della Guardia di Finanza per ragioni di law enforcement, cioè di azione repressiva di polizia e non di soccorso.

L’ordine è stato dato sicuramente dal Viminale, cioè dal ministro Piantedosi che si vanta di venire dai ranghi della polizia. Dopo il “colpo di stato” al Viminale di De Gennaro c’è stato un boom di prefetti provenienti dalla PS mentre si sa che al ministero degli Interni occorre un politico. Ma non a caso qui Madame Meloni ha scelto Piantedosi che, parlando alla Commissione Affari costituzionali della Camera, ha dichiarato che «l’aereo di Frontex non aveva segnalato una situazione di pericolo o di stress a bordo». Difficilmente sarà costretto alle dimissioni.

NOTE

[1] https://www.ansa.it/calabria/notizie/2023/02/28/migranti-naufragio-steccato-di-cutro-64-le-vittime-accertate_39c0810c-88ab-4a82-ac9f-19bebb7da952.html

[2] https://www.corrieredellacalabria.it/2023/02/27/il-soccorritore-in-diretta-tv-tragedia-voluta-era-evitabile-viminale-affermazioni-gravi-le-sottoporremo-allavvocatura-dello-stato/

[3] https://www.repubblica.it/cronaca/2023/02/27/news/naufragio_cutro_piantedosi-389781106/

[4] https://sea-watch.org/frontex_crimes/ ; https://www.statewatch.org/news/2021/february/eu-legal-actions-pile-up-against-frontex-for-involvement-in-rights-violations/ ; https://www.hrw.org/news/2021/06/23/frontex-failing-protect-people-eu-borders ; https://altreconomia.it/dalla-corte-dei-conti-alla-corte-di-giustizia-europea-lagenzia-frontex-sotto-accusa/https://www.a-dif.org/2022/12/01/dopo-le-falsita-di-frontex-e-del-governo-nei-tribunali-per-ristabilire-il-principio-di-realta/ .

[5] https://comune-info.net/memorandum-e-vergogna/

[6] Ahmad Dabbashi, prima boss del traffico di migranti in Libia e ora super capo poliziotto: https://formiche.net/2017/09/ahmad-dabbashi-libia/

[7] https://www.raiplay.it/video/2018/11/Stasera-2115-su-Rai3-Report-Petrolio-nero—Anticipazione-a2544baa-33a4-4c5f-9195-59dea94f9c55.html ; https://www.repubblica.it/cronaca/2017/07/31/news/il_petrolio_dell_isis_finisce_in_italia_la_guardia_di_finanza_indaga_sulle_navi_fantasma_-172011799/ ; https://ilmanifesto.it/dalliraq-alla-sardegna-il-traffico-sospetto-delloro-nero-dellisis ;

[8] https://www.youtube.com/watch?v=Mly7SNrmVfY

[9] https://www.researchgate.net/publication/318642065_L%27anamorphose_de_l%27Etat-Nation_le_cas_italien; Vedi libro https://www.meltemieditore.it/catalogo/polizie-sicurezza-e-insicurezze/

[10] Razzismo democratico: la persecuzione dei rom e degli immigrati in Europa, Milan: AgenziaX, 2009. http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/razzismo-democratico.pdf; “Il cambiamento radicale delle politiche migratorie: dal lasciar vivere al lasciare morire (dalla biopolitica a sempre più tanatopolitica)”: https://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S1980-85852021000100033&lng=en&nrm=iso&tlng=it; “Il furore di sfruttare e di accumulare”: http://effimera.org/il-furore-di-sfruttare-e-di-accumulare; “Continuità e mutamenti nelle migrazioni in particolare alla frontiera di Ventimiglia, in Altreitalie 56, 2018: https://www.altreitalie.it/pubblicazioni/rivista/n–56/acquista-versione-digitale/continuita-e-mutamenti-delle-migrazioni-nel-confine-tra-litalia-e-la-francia.kl.

[11] In diverse pubblicazioni ho proposto la descrizione di questo processo che si manifesta in maniera eloquente già nelle pratiche di gestione dell’immigrazione sin dall’inizio degli anni ’90: vedi in particolare Verso il fascismo democratico? in “aut aut”, 275,1996, pp.143-168; Polizia postmoderna, Feltrinelli, 2000.

[12] https://www.pressenza.com/it/2022/09/il-trionfo-della-post-politica-e-dellanomia-liberista-dallastensionismo-alla-deriva-di-destra-in-italia/http://effimera.org/un-po-di-storia-della-sinistra-in-italia-per-capire-lattuale-deriva-a-destra-di-salvatore-palidda/

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Afghanistan: single women and widows are struggling to find their next meal under Taliban restrictions

Nitya Rao, University of East Anglia

Jamila*, a widow living in Herat, lost her husband in a suicide attack about eight years ago. She has an 18-year-old daughter who is blind and a 20-year-old son who lost both legs in a mine blast.

Jamila used to be a housemaid and bake bread for people in their homes. With this income she was able to feed her daughter and son, according to research carried out by Ahmad*, a former lecturer at the University of Herat and shared with me.

Since the Taliban gained control of the country, Afghanistan has been on the brink of universal hardship. As many as 97% of people are now estimated to be living in poverty, up from 72% in 2018.

The recent Taliban ban on women working in international and national organisations and women moving about public spaces has also affected women being able to find employment.

Because of the current situation Jamila has lost her clients and is now struggling to cope. She could not pay her rent and the landlord asked her to leave her home. She now lives in a small room that a kind family gave her in their yard. She has no source of income.

Previously about 10% of educated women in Afghanistan worked in national or international organisations to support their children. If less educated, they had a range of formal and informal jobs including working as housemaids, baking bread, washing clothes, cleaning bathrooms and babysitting, and in rural communities rearing small livestock and growing wheat, maize and vegetables.

Jamila said that previously under the former government her family received a monthly salary from the state ministry of martyrs and disabled affairs, which pays families of military veterans or those killed in the fighting, and that gave them enough money for bread.

The new government (the Taliban) has now stopped this salary … they don’t believe our lost ones are martyrs.

My son also had a job with the municipality office in a city parking lot, taking care of vehicles and collecting money from people parking their vehicles there. There were many handicapped people doing this kind of job. But now all of them, including my son, have lost their jobs.

The Taliban has appointed their own personnel in these parking areas. We have very few options left. A neighbour now drops my son near a bridge in the city where he begs people to help him with coins. He brings him back here in the evening. With the coins he brings, we can get only bread to survive until the next day.

Jamila is not an exception. She is one of thousands of women who have lost their jobs as a result of the new decrees. Many are acutely malnourished and don’t know where their next meal is coming from.

Single women and widows have practically no way of earning money. On-the-ground reports reveal that many households are supported by women as male members of their family were either killed or injured in the ongoing conflict.

It is not just food, but also shelter, water, fuel and warmth that contribute to survival, especially in bitterly cold temperatures. Ahmad, the former lecturer in Afghanistan, said:

Since COVID-19, my wife and I have tried to raise funds from friends to help poor families (especially widows). Very cold weather has been forecast for the western zone of Afghanistan in February.

There has been snow and the temperature has dipped to -25℃ at night early in 2023. One of my friends, who is in the US, helped us with some money locally to buy charcoal to help poor widows like Jamila cook food and warm up their rooms. My wife is also very frustrated and helpless in the current situation.

But, the plight of women-headed households, lacking adult males, is especially dire. In the absence of any social connection, they are increasingly food insecure, with few options to feed and care for their children.

This follows Taliban decrees banning women from education at the secondary and university level and not allowing them to travel without a mahram (male close relative as chaperone). The Taliban also ordered the closure of all beauty salons, public bathrooms, and sports centres for women, important sectors of employment for women.

Overall, the dire situation in Afghanistan has increased the incidence of extreme hunger and malnutrition for both men and women, but women without husbands are being pushed into even more extreme poverty.

According to UN resident and humanitarian coordinator Ramiz Alakbarov, “a staggering 95% of Afghans are not getting enough to eat, with that number rising to almost 100% in female-headed households”.

The January 2023 high-level UN delegation led by Deputy Secretary-General Amina Mohammed called on the Taliban authorities to reverse the various decrees limiting women’s and girl’s rights for the sake of peace and sustainable development. While the backlash against women’s rights needs to be urgently addressed, the crisis of food and nutrition security facing single women, widows and separated women, is not being recognised by many outside the country.

According to the 2015 Demographic Health Survey, only 1.7% of Afghan households were headed by women. The January 2022 report from the UN World Food Programme places this at 4%.

As a former employee of the Afghanistan Central Statistical Organisation, responsible for population data collection in four districts of Bamiyan province, told us: “It is very difficult to collect accurate population data.” She said that previous data concerning women-headed households was now likely to be invalid.

While women’s rights are under attack in Afghanistan, the full effect of the ban on women’s work and mobility on single women, widows and separated women, is yet to be fully recognised. While appeals for help to the United Nations by teachers, professionals and civil society activists are rising by the day, negotiations are not progressing, and the delivery of humanitarian assistance is becoming increasingly challenging.

It’s difficult to estimate how long local communities, themselves struggling to survive, can keep women-led households and their families alive.

**All names in this article have been changed for security reasonsThe Conversation

Nitya Rao, Professor of Gender & Development, University of East Anglia

This article is republished from The Conversation under a Creative Commons license. Read the original article.

Il presidenzialismo all’italiana rischia di imitare quello di Orban: la Costituzione va difesa subito

Siamo tra quelli che non amano il presidenzialismo, in qualsiasi versione e variante. La nostra Costituzione, dalle profonde radici antifasciste, ha esplicitamente scartato questa strada proprio per evitare i rischi del ritorno al passato e dell’alterazione dell’equilibrio tra i poteri.

Lo scambio che si prospetta si fonda sullo scambio tra sostenitori della Repubblica presidenziale e della donna sola al comando, e sostenitori dell’autonomia differenziata. Gli alleati diffidano gli uni dagli altri, a tal punto che il ministro Calderoli, imitando Meloni e Crosetto, ha sentito il bisogno di annunciate querele bavaglio contro chiunque osi criticare la sua proposta. Naturalmente le querele finiranno nella cassetta delle intimidazioni di giornata, ma saranno servite ad avvertire i “fratelli e le sorelle d’Italia” che, senza autonomia, non ci sarà presidenzialismo.

I soci, tuttavia, concordano sul fatto che prima di procedere a manomettere la Costituzione sarà necessario devastare i poteri di controllo.

Il presidenzialismo all’italiana, in questo contesto, è una variante peggiorativa dei modelli in vigore in Francia, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti… Il modello nazionale passa, infatti, dalla presenza al governo di persone che rivendicano le loro radici nel Movimento sociale e nella repubblica di Salò, estranee alla Costituzione in vigore; già basterebbe questa premessa per diffidare del presidenzialismo proposto dalla presidente del Consiglio.

Come se non bastasse il ministro Nordio ha fatto sapere che urge la riforma costituzionale per ridimensionare il peso e l’autonomia dei magistrati. Provate a immaginare un presidenzialismo senza obbligo dell’azione penale, con magistrati sottoposti al controllo delle maggioranze, con il ripristino delle norme salva corrotti.

A questo si aggiunga che il conflitto di interessi non solo è più che mai in vita, ma si moltiplicano le figure di politici che acquistano giornali e agenzie, radio, tv, reti. La riforma della Rai, con la complicità anche degli ultimi governi, non è stata neppure abbozzata, e il governo si appresta a mettere sotto tutela viale Mazzini che sommerà alle tv già di proprietà di Berlusconi; per non parlare dei maneggi già in atto nei principali gruppi editoriali. Basterà ricordare l’assassinio programmato ed eseguito del settimanale L’Espresso.

L’ulteriore riduzione del pluralismo editoriale si accompagna al moltiplicarsi delle querele bavaglio, alla sistematica violazione del segreto professionale e delle fonti (ultimo clamoroso caso quello relativo alla trasmissione Report) e, addirittura, alle recenti proposte forziste per reintrodurre il carcere persino per la pubblicazione delle intercettazioni non più coperte dal segreto.

Alcune di queste proposte hanno un obiettivo solamente intimidatorio, perché in contrasto con le medesime sentenze della Corte europea, ma la sola idea indica la rotta e i disvalori di riferimento. Si potrebbe continuare, elencando tutte le norme e le azioni che puntano a ridurre il dissenso, a punire la protesta, a censurare il pensiero critico, a mortificare diversità e differenze.

Dal momento che, nel dibattito politico, contano non solo le parole dette, ma anche quelle omesse, appare evidente che il presidenzialismo all’italiana non sarà preceduto dal rafforzamento dei pesi e dei contrappesi, dalla modifica della legge elettorale, dalla risoluzione dei conflitti di interesse, dall’esaltazione dell’autonomia della giustizia e dell’informazione, ma seguirà il percorso contrario. Il modello di riferimento non sono Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, ma la “democratura” di Orban.

Non ci sono spazi di trattativa, chi coltiva questa illusione avrà un amaro risveglio. Sarà il caso di riaprire i comitati per la tutela della Costituzione antifascista e predisporsi ad una dura e prolungata battaglia referendaria, ora e subito.

Pubblicato su “il Fatto Quotidiano”

Il patto suicida

Fonte: Badiale & Tringali – 01.01.2023

Questo scritto è dedicato ad una riflessione su quale sia oggi la natura del patto sociale fra ceti dominanti e ceti subalterni.


 

 

1. Il patto sociale nelle società premoderne e nella modernità

In questo scritto espongo alcune riflessioni sulla situazione dello “spirito del tempo”. Il punto di partenza è la convinzione che la società attuale sia indirizzata verso un rovinoso crollo di civiltà, che sarà causato dal concorrere di una serie di crisi concomitanti, fra le quali la più significativa in questo momento è la crisi climatica. Ho argomentato tale mia convinzione in interventi passati [1] e non mi soffermerò su di essa in questo scritto, che è piuttosto dedicato ad esaminare le conseguenze di questa situazione sul piano della cultura e delle ideologie.

Il punto di partenza è una considerazione del tutto generale (e piuttosto banale): in ogni società umana che presenti un gruppo sociale dominante e uno o più gruppi sociali subalterni, esiste una qualche forma di “patto sociale”, non sempre chiaramente esplicitato, per il quale i ceti subalterni accettano il dominio dei ceti dominanti. Nessun dominio stabile può basarsi esclusivamente sulla forza bruta, ma deve prevedere un momento nel quale le istanze dei ceti subalterni sono considerate e almeno parzialmente soddisfatte; ovviamente questo avviene entro limiti ben precisi, compatibilmente cioè con la perpetuazione del potere e dei privilegi dei ceti dominanti [2]. Naturalmente, niente garantisce che il patto sociale funzioni: può succedere che i ceti dominanti falliscano nel tener fede al patto, per incapacità propria o per cause di forza maggiore (disastri naturali, sconfitte militari). Ma in tal caso il loro dominio è messo seriamente in pericolo, e se non viene ripristinato e reso storicamente efficace un patto sociale soddisfacente, i ceti dominanti vengono abbattuti e sostituiti da altri ceti dominanti.

Questo scritto è dedicato ad una riflessione su quale sia oggi la natura del patto sociale fra ceti dominanti e ceti subalterni. Per comprendere meglio il problema, possiamo iniziare tracciando una distinzione, anch’essa molto generale, fra le caratteristiche che le ideologie egemoniche assumono nelle società premoderne e quelle tipiche della modernità.

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AFL.CIO – Sostenere i diritti dei lavoratori è fondamentale per il futuro dell’Ucraina

Fonte AFL.CIO che ringraziamo 

Mentre la guerra della Russia contro l’Ucraina continua, i lavoratori ucraini ei loro sindacati sono diventati una forza innegabile per la solidarietà e il sostegno della comunità in tutto il paese. Dall’inizio del conflitto, i membri dei sindacati della Confederazione dei sindacati liberi dell’Ucraina (KVPU) e della Federazione dei sindacati dell’Ucraina (FPU) si sono mobilitati in gran numero, rimangono uniti dietro gli sforzi del loro governo eletto per gestire la guerra e continuare a compiere valorosi sacrifici per difendere la nazione. Tuttavia, in cambio, il governo ucraino si sta ora muovendo per  spezzare il potere dei sindacati e privare i lavoratori di diritti cruciali che sono fondamentali per sostenere la sua democrazia.

A marzo, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyy  si è rivolto al Congresso e ha tracciato un forte collegamento tra il suo paese e il nostro, affermando che la guerra è stata una lotta per proteggere i nostri valori condivisi di “democrazia, indipendenza, libertà e cura per tutti, per ogni persona, per tutti che lavora diligentemente…” Un forte movimento sindacale è fondamentale per la lotta dell’Ucraina per rimanere una democrazia indipendente perché i diritti dei lavoratori e la democrazia sono indissolubilmente legati. Questo è stato vero per tutto il conflitto e rimarrà vero quando questa guerra finirà.

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Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il Paese

13 dicembre 2022, Giulia Pompili e Maurizio Scarpari parlano del libro “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il Paese” di Giulia Pompili e Valerio Valentini (ed. Strade blu Mondadori). Coordina Amina Crisma.
Con lo scoppio della crisi di governo, iniziata l’11 luglio 2022, l’Italia è precipitata in una campagna elettorale per molti versi inedita….

La mini-naja di La Russa, metà studio metà guerra

La proposta La Russa è preistorica. C’è bisogno di altro: di finanziare le politiche di pace, il servizio civile, i corpi di pace, spese tagliate nel bilancio del governo che invece aumenta di 800 milioni le spese militari. Da il manifesto.

Per Ignazio La Russa la mini naja o la naja deve essere un chiodo fisso, avendo provato a reintrodurla (con qualche successo in parlamento) nel 2008 e nel 2019. Ora ci riprova in piena discussione sulla legge di bilancio, con una evidente sgrammaticatura istituzionale. Non è compito del presidente proporre disegni di legge, anche se per interposta persona (i senatori del suo gruppo politico).

La Russa con questa idea vuole riavvicinare i giovani alle Forze Armate, anche se sarebbe meglio riavvicinarli al lavoro (non precario) e a una istruzione di qualità. In questo fervore militaristico del presidente del Senato, sarebbe importante sapere come La Russa ha svolto il servizio militare a suo tempo, così da fare da esempio ai giovani di oggi. La mini naja non è certo una priorità per i giovani, che hanno ben altri problemi per la testa: è solo una priorità (ideologica) di chi non si riesce a liberare della retorica del passato e di un’idea sbagliata del «dovere» verso la patria. Una nota sentenza della Corte Costituzionale del 1985 ha ricordato che il servizio civile è un modo altrettanto degno di adempiere al dovere di servire la patria, previsto dall’art. 52 della Costituzione. E se passiamo all’articolo seguente della Costituzione, l’art.53 (gli articoli 52 e 53 fanno parte della sezione della Carta, intitolata: “Diritti e doveri del cittadino”), c’è un altro dovere da rispettare (verso la patria): pagare le tasse, auspicabilmente in modo progressivo. Di questo dovere il centrodestra si dimentica, con questa legge di bilancio, favorendo l’evasione fiscale, con la rottamazione delle cartelle, l’uso del contante, la revisione delle disposizioni sul cosiddetto Pos.

In sostanza, con la mini naja, si vorrebbero stanziare dei soldi pubblici per permettere ai giovani di fare 40 giorni di addestramento militare, prendere confidenza con le armi, le caserme, le esercitazioni ai poligoni. Tutto questo, quando la legge di bilancio lascia a secco il servizio civile (decine di migliaia di giovani rischiano di non poter entrare in servizio per carenza di fondi) e riduce dell’8% la spesa per la cooperazione allo sviluppo (siamo allo 0,2% del Pil, mentre per impegni presi a livello internazionale, dovremmo essere allo 0,7%). Ma, soprattutto, quando con la legge di bilancio 2023 aumentano le spese militari di 800 milioni di euro, da 25,7 a 26,5 miliardi di euro. E se per la mini naja si vogliono stanziare soldi con una nuova legge, per i corpi civili di pace, che sono già legge (ragazzi che vanno a rischiare la vita nelle aree di conflitto per portare la pace), non c’è in legge di bilancio nemmeno un euro.

La guerra in Ucraina sta diventando un pretesto per aumentare le spese militari, tagliare le risorse alle politiche di pace e far parlare di nuovo di naja, anche se mini e volontaria. Ma col tempo potrà essere meno mini e meno volontaria. Oggi avremmo bisogno di altro: di finanziare le politiche di pace, il servizio civile, i corpi di pace. Avremmo bisogno di ridurre le spese militari che – anche senza la guerra in Ucraina – sono continuate ad aumentare in Italia, e in tutto il mondo, come ci dice l’ultimo rapporto del Sipri. Il mondo sta diventando meno sicuro – nonostante le armi – e si spende sempre troppo poco per la cooperazione allo sviluppo. La guerra in Ucraina non solo colpisce i nostri rifornimenti energetici, ma soprattutto i rifornimenti di grano (cibo) per i paesi in via di sviluppo.

Ecco perché “Sbilanciamoci” con la controfinanzia del 2023 (che presenteremo il prossimo 21 dicembre alla Camera dei Deputati. Per info: www.sbilanciamoci.info) indica una strada diversa e opposta a quella del presidente del Senato e di questo governo. Proponiamo una riduzione di poco più 5 miliardi di euro alla spesa militare: tagli di 3,5 miliardi sui sistemi d’arma vecchi e nuovi, di 800 milioni sul personale con una progressiva riduzione degli organici, di 750 milioni sulle missioni militari.

La mini naja è una proposta preistorica, da dinosauri della guerra fredda. Quello che invece è incredibilmente moderno e attuale è il ritorno della guerra (e della spesa militare) come strumento geopolitico di dominio e di sopraffazione e come business per faccendieri, imprenditori privi di scrupolo e anche per un po’ di esponenti politici. La mini naja torni in soffitta e opponiamoci sempre di più alla logica della guerra e delle armi.

Pubblicato sul manifesto del 16 dicembre 2022

Maurizio Scarpari: Confucio non basta più a Xi Jinping

Fonte : Inchiestaonline che ringraziamo

 

 

 

Da La Lettura 576, 11 dicembre 2022, pp. 12-13

Le recenti proteste scoppiate in numerose città cinesi sono l’espressione di un malessere profondo e diffuso causato non solo dalle rigide restrizioni imposte dalle politiche “zero Covid”, ma anche dalle crescenti difficoltà lavorative ed economiche in cui versa parte della popolazione, dall’aumento delle diseguaglianze, dall’asprezza della censura e della repressione di ogni forma di dissenso. Non devono perciò stupire le richieste di riforme, libertà, elezioni e democrazia, né le critiche e gli inviti a dimettersi apertamente rivolti ai responsabili del partito e indirizzate per la prima volta persino a Xi Jinping. Il contratto sociale alla base del successo economico cinese – prosperità e stabilità in cambio di minor libertà, obbedienza e disciplina – è andato gradualmente logorandosi. E rischia di incrinarsi pericolosamente. Vedremo se il malessere manifestato con grande coraggio in questi giorni si attenuerà o se invece si trasformerà in qualcosa di più strutturato e duraturo.

D’altro canto, va considerato che per riportare la Cina alla grandezza del passato Xi Jinping ritiene essenziale potenziare il ruolo dello stato mantenendo e perfezionando un assetto centralizzato, forte e autoritario. Il modello cui Xi fa riferimento non è nuovo, essendo stato concepito tra il III e il II secolo a.C., dopo la caduta della prima dinastia imperiale dei Qin, che nel 221 a.C. aveva unificato la Cina grazie all’applicazione, nel proprio regno e quindi nell’impero, delle teorie di strategia militare di Sunzi, l’autore de L’arte della guerra, e delle dottrine dei sostenitori dello stato autocratico, Shang Yang e Han Feizi (il Machiavelli cinese), noti in Occidente come “legisti” (fajia) per via dell’enfasi da loro attribuita alla legge. Questa etichetta è riduttiva, vista l’ampiezza, la profondità e la lucidità delle loro dottrine, scevre da ogni implicazione di ordine morale e ancor oggi perfettamente attualizzabili. L’enfasi sul ruolo della legge, del rigore e della disciplina era in netto contrasto con il preminente valore etico attribuito da Confucio e dai suoi seguaci alle virtù, ai riti, alle convenzioni sociali, alla cultura e all’educazione.

I legisti sostenevano un’idea di stato autocratico, organizzato in modo da aumentarne la ricchezza ed espanderne il territorio esercitando un controllo capillare e dispotico sulla popolazione, facendo leva su un apparato burocratico, militare e di polizia che avrebbe garantito la sicurezza nazionale e l’applicazione di un rigido sistema legislativo. L’impero Qin si era basato su questo modello e sarebbe dovuto durare, nelle previsioni di Qin Shihuangdi, Primo Augusto Imperatore dei Qin, “diecimila generazioni”. Ma dopo solo quattro anni dalla sua morte, avvenuta del 210 a.C., la dinastia collassò a causa dell’eccessiva pressione esercitata sulla popolazione da parte di un governo dittatoriale, per nulla incline a considerare prioritario il bene individuale rispetto all’interesse dello stato (e dei suoi governanti), ma anche per effetto delle lotte di palazzo per la successione. Era tempo che il mandato divino a governare, conferito dal Cielo, passasse di mano e fosse assegnato a persona degna di assumere la guida dell’impero. Un nuovo condottiero-eroe sarebbe apparso per fondare una sua dinastia con la legittimazione dell’autorità divina. L’avvicendamento dinastico così concepito garantirà la sopravvivenza dell’impero e del suo apparato di governo, con gli opportuni aggiustamenti e riadattamenti, per oltre due millenni.

La chiave del successo stava nel saper tradurre le vittorie militari in pratica di governo. Una cosa, infatti, era aver conquistato il potere manu militari, altra era saper governare con la necessaria attenzione ai bisogni del popolo. Nello Shiji (Memorie di uno storico), la monumentale storia universale redatta dagli storiografi di corte Sima Tan e suo figlio Sima Qian tra il II e il I secolo a.C., viene riportato il dialogo tra il filosofo confuciano Lu Jia (228-140 a.C.) e il fondatore della nuova dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), il contadino-guerriero Liu Pang: «Lu Jia non cessava mai di parlare dei Classici confuciani all’imperatore Gaozu (nome templare di Liu Pang). Irritato, costui domandò: “Ho conquistato l’impero a cavallo; che bisogno ho dunque di questi Classici?” Lu Jia rispose: “È certamente a cavallo che si conquista l’impero, ma è forse a cavallo che lo si governa? I re Tang degli Shang e Wu dei Zhou (i fondatori delle due dinastie pre-imperiali) hanno indubbiamente conquistato il potere combattendo, ma è grazie all’armonia che l’hanno conservato. Saper utilizzare di volta in volta le armi e la cultura, in questo consiste l’arte di durare”». La tensione tra wen, l’aspetto civile della società fondato sulla capacità attrattiva della virtù e della cultura, e wu, l’aspetto militare basato sulla forza delle armi e sulla coercizione, ha segnato l’intera storia cinese e perdura ancor oggi.

Liu Pang e i suoi primi successori non riuscirono a trovare il giusto equilibrio che garantisse un assetto stabile e duraturo all’impero. Fu merito dell’imperatore Wu (r. 141-87 a.C.) aver compreso l’importanza di consolidare quanto costruito dal Primo Imperatore e dal suo primo ministro Li Si (280-208 a.C.), senza nessuna necessità di riaffermarne i principi, con le dottrine confuciane, rielaborate alla luce delle nuove necessità da uno dei maggiori eruditi dell’epoca, Dong Zhongshu (c. 179-104 a.C.). Venne creato così un sistema ibrido, che si rivelò estremamente funzionale. Grazie al conservatorismo confuciano il modello legista non venne mai abbandonato: se a parole si insisteva sulla priorità rappresentata dal benessere del popolo e sui valori di umanità, rettitudine, giustizia, armonia e pace, nella pratica era la ferrea disciplina e l’obbedienza a un sistema gerarchico codificato che garantiva disciplina e stabilità.

Così come dopo il Primo Imperatore trascorsero 69 anni prima che apparisse un successore in grado di portare a compimento il suo progetto, dalla morte di Mao Zedong, avvenuta nel 1976, ci sono voluti 46 anni perché un suo successore riuscisse a consolidare il nuovo assetto politico inaugurato nel lontano 1949. Il ritorno a Confucio, fortemente voluto dal “nuovo imperatore” fin dall’inizio del suo primo mandato, va nella direzione prevedibile in base ai corsi e ricorsi storici, così come il rilancio dell’ideologia marxista-leninista-maoista avvenuto nell’ultimo Congresso del partito è del tutto compatibile, mutatis mutandis, con la visione legista dello stato autocratico. Ancora una volta il modello tradizionale si è rigenerato sotto nuovi auspici. D’altro canto, se ha funzionato per oltre due millenni, perché abbandonarlo proprio ora che ha avuto inizio la “nuova era” di Xi Jinping?

 

 

Il presente della sinistra è lastricato di tradimenti di Loris Campetti

 

Fonte  Il Manifesto in rete 

“La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno”. Una considerazione amara, un lamento triste, disperato e profetico. Così scriveva vent’anni fa Luigi Pintor sul manifesto. Parole che mi sono balzate alla mente leggendo le accuse e i nomi delle persone coinvolte nell’oscena vicenda che sta scuotendo il Parlamento europeo sui fondi nerissimi provenienti dal Qatar e dal Marocco e finiti, questa almeno è l’accusa, nelle tasche della vicepresidente dell’assemblea di Strasburgo, di assistenti ed ex europarlamentari, tutti, si fa per dire, di sinistra, italiana e greca, forse anche belga. Sacchi di banconote in casa o in un viaggio verso altri lidi interrotto dalla polizia, vacanze di Natale da 100mila euro, intere famiglie coinvolte nella mangiatoia. Prima ancora e aldilà delle rilevanze giudiziarie e dei reati contestati che ora la magistratura dovrà appurare, l’inchiesta di Bruxelles racconta la fine della politica, o meglio della – ora reale ora solo presunta o sbandierata – diversità con cui la sinistra in Italia e nel mondo si presentava all’elettorato, ai movimenti, alla società. Cioè al suo azionista di riferimento.

Del Qatar, recentemente l’Europarlamento aveva discusso a proposito della violazione dei diritti civili – chissà se anche i 6.500 operai morti ammazzati dal caldo, dagli infortuni e dalla fatica durante i lavori di costruzione delle mirabolanti strutture dei mondiali di calcio fanno parte dei diritti civili violati? Contro la risoluzione di condanna si era espresso e aveva chiesto ai suoi colleghi di partito di esprimersi l’europarlamentare del Pd Andrea Cozzolino. Non è reato, certo, ma si può dire che è indecente? Al centro dell’eurocamarilla c’è un ex segretario della Camera del lavoro di Milano, Pier Antonio Panzeri, ex europarlamentare del Pd poi passato ad Articolo 1 di Bersani, Speranza, D’Alema, lobbista per il Nordafrica e i paesi arabi. La moglie di Panzeri, che si lamentava per aver dovuto fare vacanze meno sfarzose delle precedenti costate 100mila euro, e la figlia appena rientrata dal Qatar sono state arrestate. Stesso trattamento è stato riservato al suo ex assistente Francesco Giorgi, compagno della vicepresidente Eva Kaili, socialista greca, e attuale assistente del suddetto Cozzolino amico del Qatar. In casa di Eva Kaili sono stati trovati sacchi pieni di banconote.

Sotto il termine “lobbista” compaiono altri nomi importanti della sinistra italiana. Mi ripeto: certo, non è reato, ma si può dire che non è un bel mestiere per uno di sinistra? Massimo D’Alema, solo per fare un nome, lobbista dalle Americhe all’Asia. Invece l’ex ministro degli interni Minniti, anche lui Pd, quello degli accordi con la Libia e della caccia alle navi umanitarie che salvano i migranti, ora lavora nell’industria bellica con la fondazione della Leonardo Spa, la Med-Or che si occupa di legami e scambi con i paesi del Mediterraneo, il Golfo persico, il Medio e l’Estremo Oriente. E come dimenticare il “Rinascimento” dell’Arabia saudita e la fratellanza di Matteo Renzi con il mandante dell’omicidio Khashoggi, il principe bin Salman?

Dalla lotta contro gli omicidi bianchi sul lavoro si passa impunemente al sostegno ai paesi che su quei crimini fanno la loro fortuna. E poi le vacanze col botto, le carte di credito intestate a un misterioso “gigante”, le ong di comodo con tanto di compartecipazioni di radicali e +Europa, affari e politica che si mescolano fino a diventare un tutt’uno. Affari di famiglia. E la memoria corre ancora ad altre vicende di questi giorni, come quella che ha coinvolto Aboubakar Soumahoro, eroe dei braccianti approdato in Parlamento con Sinistra italiana e Verdi, la cui moglie e la suocera gestivano, per conto della comunità, immigrati che venivano sfruttati, maltrattati e non pagati. Aboubakar ha varcato il tempio della politica italiana indossando stivali infangati per ricordare i braccianti immigrati e sfruttati, proponendosi come un novello Di Vittorio. Il quale, invece, in Parlamento era entrato con il vestito buono e le scarpe pulite, e non solo quelle. Questione di stile e di modestia.

Si potrebbe continuare a lungo con esempi e metafore sul degrado di una sinistra che, smarriti i suoi valori, l’etica, l’orizzonte, il sogno, la diversità, l’alternativa allo stato di cose presente, della destra ha assunto il punto di vista e la mentalità, come scriveva Pintor. Berlusconi ha fatto scuola anche comportamentale. Il presente della sinistra – non solo del Pd – è lastricato di tradimenti, i tradimenti dei sogni e delle speranze e battaglie per il lavoro, per i diritti, per l’eguaglianza, per la dignità delle persone. In tempi non sospetti e anche recenti ho fatto inchieste sul rapporto tra i lavoratori e la sinistra raccontando la fine di ogni legame. Chiedersi ancora oggi perché i lavoratori hanno rottamato la sinistra è come per un americano chiedersi, dopo l’11 settembre del 2001, “perché ci odiano tanto”?

Polonia: il legislatore deve affrontare le accuse per la protesta a favore della scelta

 

Fonte :  HUMAN RIGHT WATCH

(Berlino) – Il governo polacco dovrebbe immediatamente ritirare le accuse contro un membro del parlamento che ha partecipato a una protesta a favore della scelta e smettere di prendere di mira gli attivisti per i diritti riproduttivi, ha affermato oggi Human Rights Watch.

Il 29 novembre 2022, l’ufficio del procuratore di Toruń ha accusato Joanna Scheuring-Wielgus, membro del partito di sinistra (Lewica), di “offesa ai sentimenti religiosi” e “ingerenza dolosa nel culto religioso”. Ogni reato comporta una pena fino a due anni di reclusione. Si è dichiarata non colpevole.

“Incriminare un parlamentare per una protesta pacifica è innegabilmente un’escalation allarmante negli sforzi del governo polacco per criminalizzare non solo l’aborto, ma chiunque sostenga apertamente i diritti riproduttivi”, ha affermato Hillary Margolis , ricercatrice senior sui diritti delle donne presso Human Rights Watch. “Tali sfacciati tentativi di mettere a tacere gli attivisti per i diritti delle donne e calpestare le protezioni per la libertà di parola mostrano quanto siano fragili tutti i diritti in Polonia oggi”.

Il 25 ottobre 2020, insieme a suo marito Piotr Wielgus, Scheuring-Wielgus ha portato uno striscione in una chiesa di Toruń con la scritta “Donna, puoi decidere da sola” per protestare contro una sentenza del Tribunale costituzionale che sostanzialmente ha eliminato l’accesso all’aborto legale in Polonia. Nel dicembre 2020, il procuratore generale Zbigniew Ziobro ha avviato una mozione per privare Scheuring-Wielgus della sua immunità legale parlamentare per la protesta.

Il 4 novembre 2022, il parlamento ha votato a favore della mozione e il pubblico ministero ha intentato causa contro Scheuring-Wielgus anche se il tribunale distrettuale di Toruń nell’ottobre 2021 ha confermato l’ assoluzione del marito per “offesa al credo religioso” in relazione allo stesso incidente.

Nell’ottobre 2020, il Tribunale costituzionale della Polonia, politicamente compromesso , ha stabilito che l’aborto sulla base di “difetto fetale grave e irreversibile o malattia incurabile che minaccia la vita del feto” è incostituzionale, eliminando virtualmente l’accesso all’aborto legale nel paese. In precedenza, oltre il 90% dei circa 1.000 aborti legali praticati ogni anno in Polonia avveniva su questo terreno.

L’aborto è ora consentito solo per salvaguardare la vita o la salute di una donna o se la gravidanza è il risultato di un crimine, come lo stupro o l’incesto. In pratica, molteplici ostacoli rendono quasi impossibile ottenerne uno per coloro che possono beneficiare di un aborto legale. Le prove dimostrano costantemente che le leggi che limitano o criminalizzano l’aborto  non lo eliminano , ma piuttosto  spingono le persone a cercare l’aborto attraverso mezzi che possono mettere a rischio la loro salute mentale e fisica e diminuire la loro autonomia e dignità.

Da quando il partito Legge e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) è salito al potere nel 2015, il governo polacco ha portato avanti un attacco continuo ai diritti sessuali e riproduttivi, in particolare l’accesso all’aborto , e agli attivisti per i diritti all’aborto. Gli attivisti per l’aborto affermano che il governo sta usando sempre più la legge per prenderli di mira. Justyna Wydrzyńska , di  Abortion Dream Team , è stata accusata di aver assistito qualcuno ad abortire e di aver “commercializzato” illegalmente farmaci senza autorizzazione dopo aver presumibilmente aiutato una donna a ottenere pillole per un aborto farmacologico nel 2020. Wydrzyńska rischia fino a tre anni di carcere.

I dati del governo hanno mostrato un aumento delle accuse di “offesa ai sentimenti religiosi” ai sensi di Legge e Giustizia. Nel 2020, il governo ha utilizzato questa disposizione per perseguire tre attivisti per aver pubblicato immagini di un’icona religiosa con un alone arcobaleno, spesso associata all’attivismo per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT). A gennaio, una corte d’appello ha confermato la loro assoluzione.

Sotto la guida di Ziobro, che è anche ministro della giustizia, il partito di estrema destra Solidarna Polska – che fa  parte della coalizione di governo conservatrice polacca – ha presentato a ottobre una legge che modificherebbe il codice penale per includere l’insulto pubblico o il ridicolo della chiesa come reato punibile fino a due anni di carcere

Il governo polacco dovrebbe ritirare le false accuse contro Scheuring-Wielgus e altri attivisti per i diritti delle donne e LGBT, e invertire la rotta per garantire l’accesso all’aborto sicuro e legale e ad altre cure essenziali per la salute riproduttiva, ha affermato Human Rights Watch.

Scheuring-Wielgus è già stato preso di mira. Il parlamento ha votato ad aprile per rimuovere la sua immunità legale dall’accusa per aver appeso un poster sulla porta della cattedrale di Toruń che diceva “Ricorda le scarpe da bambino. Fermiamo la pedofilia”. Si riferiva a rivelazioni di abusi sessuali da parte di religiosi cattolici in Polonia. A novembre, il capo della polizia nazionale ha chiesto la rimozione dell’immunità di un altro parlamentare del partito di sinistra per aver appeso manifesti a sostegno dello sciopero delle donne sulle porte degli uffici dei politici di diritto e giustizia a Iława nel novembre 2020.

Sotto Legge e giustizia, gli attacchi ai diritti delle donne e delle persone LGBT da parte di alti funzionari governativi , gruppi ultraconservatori e media hanno favorito un ambiente sempre più ostile per attivisti e difensori dei diritti. Gruppi come Abortion Dream Team sono stati oggetto di bombe e minacce di morte.

Nel dicembre 2017 la Commissione europea ha avviato un’azione contro la Polonia ai sensi dell’articolo 7 del trattato dell’Unione europea (UE) – la disposizione in base alla quale è possibile intraprendere un’azione contro gli Stati che mettono a rischio i valori dell’UE – in risposta alle minacce all’indipendenza della magistratura. La Commissione dovrebbe aggiornare e ampliare il suo parere motivato ai sensi dell’articolo 7 per riflettere le minacce alla libertà di parola e il crescente impatto dell’erosione dell’indipendenza giudiziaria sui diritti delle donne e LGBT, ha affermato Human Rights Watch. Gli Stati membri dell’UE dovrebbero adottare raccomandazioni sullo stato di diritto e votare ai sensi dell’articolo 7 per stabilire che esiste un chiaro rischio di una grave violazione dei valori dell’UE in Polonia.

“I leader dell’Unione europea non dovrebbero semplicemente stare a guardare e tollerare uno stato membro che prende di mira i rappresentanti eletti per esercitare la libertà di parola e sostenere pacificamente i diritti umani fondamentali delle donne”, ha affermato Margolis. “Il governo polacco sta solo diventando più audace nei suoi sforzi per minare i diritti delle donne e i difensori dei diritti, e un’azione decisiva per fermarlo non può aspettare”.

I ministri di Meloni: la strampalata combriccola che ci governa

Fonte Strisciarossa.it che ringraziamo

 

Ormai una decina di anni fa, nel corso di una di quelle trasmissioni un po’ populistiche un po’ dissacratorie, bersaglio il sistema politico/partitico, venne trasmesso il reportage di una giovane cronista che, davanti a Montecitorio, fermava vari parlamentari chiedendo l’anno della rivoluzione francese. Se ne sentirono di tutti i colori, non uno che indovinasse quella data, fatidica per il mondo intero, mandata a memoria dai ragazzini delle medie, anche per la facilità della sequenza: 1 e poi 789. L’ignoranza dei nostri massimi rappresentanti non fece scandalo, mosse semplicemente qualche ironico sorriso. Ma l’ignoranza della storia potrebbe apparire poca cosa rispetto all’ignoranza dei codici: almeno una quarantina di parlamentari (una trentina dalla destra) risultano indagati o addirittura condannati per reati vari, per lo più connessi ai privilegi e ai poteri che le cariche possono consentire o prevedere. L’ignoranza di una cosa può ovviamente sommarsi e sovrapporsi all’ignoranza dell’altra e non è certo che cosa sia meglio agli occhi del pubblico: ignoranza o disonestà.

Umili o umiliati?

Non è bello comunque scoprire come un ministro, professore universitario, sicuramente onestissimo, uno che di questi tempi difficili si era fatto conoscere (poco) per un libro intitolato “L’impero romano distrutto dagli immigrati”, pochi giorni fa abbia scritto dal suo nuovo ufficio romano una lettera ai “suoi” studenti “contro il comunismo”, trascurando l’esistenza (anche sul suolo italiano)  del fascismo e come in un pubblico convegno abbia confuso l’umiliazione con l’umiltà: le parole, e spesso i silenzi, sono pietre, dovrebbero pesare pure in un mondo della comunicazione che digerisce e dimentica tutto in un batter di ciglia. Forse i nostri ministri fanno conto su questo, facendosene interpreti: la volatilità delle parole, la disarticolazione del pensiero ridotto a monosillabi. Proviamo a immaginare quanto possa restare della lettura di un tweet. Ad esempio quello di Guido Crosetto: “Le Ong strumento ideologico: sono centri sociali in acqua”. Senza vergogna di fronte ad una tragedia e ai morti.

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Mastodon potrebbe rendere la sfera pubblica meno tossica, ma non per tutti

 

 

Il social network open source ha guadagnato milioni di nuovi utenti in seguito all’acquisizione di Twitter. Mentre alcune delle sue caratteristiche potrebbero migliorare la qualità del discorso pubblico, le comunità svantaggiate potrebbero essere escluse.

Le società di social media hanno un difficile equilibrio. Da un lato, devono mantenere gli utenti attivi sulla loro app o sul loro sito web il più a lungo possibile per mostrare loro annunci pubblicitari. I contenuti divisivi, emotivi o che incitano all’odio funzionano meglio in tal senso. D’altra parte, devono mantenere un certo livello di sicurezza online, almeno per placare i propri inserzionisti. I social network quindi incoraggiano comportamenti aggressivi degli utenti sopprimendo contemporaneamente i contenuti più eclatanti (per timore che gli inserzionisti si lamentino), spesso utilizzando sistemi di rilevamento algoritmico pesanti.

Scelte progettuali

Questi sistemi automatizzati non hanno decisamente migliorato la qualità della sfera pubblica. Sì, gli accademici discutono ancora sul ruolo preciso della tecnologia nell’aumento della sfiducia generalizzata che pervade le società in Europa e negli Stati Uniti: dopotutto, anche i giornali di Rupert Murdoch o Axel Springer hanno alimentato paura e rabbia per vendere pubblicità decenni prima di YouTube e TikTok è stato etichettato come ” grandi radicalizzatori “. È possibile che queste piattaforme ospitino semplicemente persone già radicalizzate; che fanno poco più che rappresentare uno specchio per la società.

Tuttavia, una nuova ricerca pubblicata questo mese sottolinea che la tecnologia gioca un ruolo. Un esperimento controllato ha dimostrato che gli utenti di Facebook e Twitter che vedevano contenuti tossici avevano maggiori probabilità di pubblicare loro stessi contenuti tossici. In altre parole, la tossicità è contagiosa. Attenuare i contenuti estremisti su una piattaforma potrebbe consentire conversazioni più significative.

Un altro esperimento condotto in condizioni di laboratorio ha mostrato che le persone erano molto inclini a scoprire e moderare informazioni false e potenzialmente infiammanti. Secondo alcune misure, questo approccio collaborativo funziona meglio dei filtri algoritmici centralizzati. Mantenere il discorso civile potrebbe essere fatto meglio dando il libero arbitrio agli utenti, piuttosto che implementando algoritmi che censurano i contenuti che mettono a disagio gli inserzionisti.

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Senza Netflix è un gran sacrificio

 

Fonte  GAS SOCIAL  che ringraziamo 

“Netflix vietato in caso di penuria, scoppia la rabbia” titola TIO. Fonte di tanto disagio, le paventate misure di austerity energetica proposte dal Consiglio federale. Una levata di scudi si è avuta dalla società civile ormai schiava delle serie tv e dai soliti politici che cavalcano il disagio e la rabbia popolare. Qualcuno si è fermato a pensare cosa voglia dire? Ne dubito.

È però interessante cercare di capire dove, e in che modo, è possibile risparmiare. Quelle che sembrano misure cretine e raffazzonate, spesso non lo sono, basta cercare di capire invece di correre in giro per il cortile come galline senza testa.

Parliamo della proposta, inserita in un dettagliato elenco di altre misure proposte dal Consiglio federale, di eliminare temporaneamente i servizi di streaming. La misura parte da abbassare la risoluzione a eliminare del tutto e per un certo lasso di tempo il servizio. Oddio, detto poi tra noi, siamo andati avanti secoli senza Netflix e lo streaming non è inserito nella carta internazionale dei diritti dell’uomo.

Comunque vediamo di ragionare un attimo su una misura che a molti sembra inutile e stupida. Il consumo energetico mondiale è composto dall’insieme di industrie, anche pesanti, come quella siderurgica o manifatturiera di tutto il mondo, aggiungiamoci strutture agricole, serre, economie domestiche e tutto quanto.

Bene, il 7% di questa energia viene divorata da internet, mica poco.

Secondo una recente ricerca di GreenPeace, Internet consuma appunto ben il 7% dell’energia elettrica mondiale. In particolar modo risultano essere responsabili ripetitori, data center e strutture a supporto della Rete che generano un consumo elevato.

Altra notizia interessante, l’80% dell’energia consumata da internet, è dovuta allo streaming, dunque alla visione e allo scaricamento di video delle piattaforme preposte a questo utilizzo. A questo punto il risparmio energetico non è più così risibile.

Ma c’è di più, Il consumo dei Faang ((Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google), è passato in tre anni (dal 2018 al 2020) da 16,6 Megawatt/ora a 49,7, dunque più che triplicato. Sempre i Faang, se vogliamo fare i pedanti, hanno prodotto, sempre nello stesso lasso di tempo 98,7 milioni di tonnellate di CO2, più di tutta la Repubblica Ceca (92,1), con un aumento aggregato delle emissioni totali del 17% dal 2018 al 2020.

Il giudizio è lapidario, se Internet fosse una nazione, secondo il Global Carbon Project, sarebbe la quarta più inquinante al mondo, dopo Cina, Stati uniti e India.

Vediamo allora che le misure che verranno forse chieste, non sono così idiote come sembrano e sommate garantiscono l’approvvigionamento a tutta la popolazione con sacrifici minimi. Anche perché misure che a noi sembrano minime, ma moltiplicate per milioni di economie domestiche, fanno la differenza. Come per il voto, magari il mio voto personale non cambia le cose, ma quello di milioni di cittadini come me, se andiamo tutti nella stessa direzione, sì. Se però questi sacrifici preferiamo non farli va bene. Taglieremo l’elettricità per due o tre ore al giorno e continueremo a vederci netflix nelle 21 rimanenti. Meglio così o no?

Cosa significa la reintroduzione dei voucher

Fonte Sbilanciamoci

I voucher, una brutta parola, vengono reintrodotti dal governo Meloni. Unici dettagli conosciuti finora si riferiscono a una estensione dell’applicazione di questa forma di prestazione di lavoro a gettone iper precario, abolita nel 2017 perché la Cgil aveva già raccolto 1 milione di firme per un referendum.

Il governo del presidente del Consiglio Signor Giorgia Meloni è orwelliano, nel senso che introduce più che riforme e provvedimenti ex novo, aggiustamenti peggiorativi di una realtà già triste, stando però molto attento all’uso di parole per egemonizzare culturalmente l’opinione pubblica. “Signor presidente” ne è stato il primo esempio, volto a marginalizzare le battaglie per l’emancipazione femminile che stavano conquistando persino l’Accademia della Crusca, poi “rave” per criminalizzare la movida giovanile e magari introdurre surrettiziamente norme liberticide e intercettazioni generalizzate. Un’altra parola, che sdogana con una connotazione positiva di ritorno all’ordine e alla flessibilità sempre buona e giusta, ora è “voucher”.

La prima legge di bilancio del governo della destra più nera non poteva esimersi da intervenire nel mercato del lavoro toccando uno strumento simbolo come i “buoni lavoro”, inventati dalla Riforma Biagi del 2003 e introdotti per la prima volta nel 2008 dal governo Berlusconi. Quindi aboliti, ma solo formalmente, anzi nominalisticamente, dal governo Gentiloni nel 2017 per evitare il referendum che la Cgil stava per portare a segno. Ma solo per trasformarli, sotto altro nome e con più limiti, in Libretto di Famiglia per colf e badanti e Contratti di prestazione occasionale previsti dal Decreto Dignità per aziende del turismo, agricoltura e persino enti locali.

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I viaggiatori senza visto verso l’UE saranno sottoposti a controlli di “rischio” dal 2023.

FONTE ALGORITHM WATCH CHE RINGRAZIAMO

 

Due agenzie dell’UE, Frontex ed eu-LISA, stanno sviluppando ETIAS, un nuovo sistema che valuta automaticamente il “rischio” rappresentato da alcuni viaggiatori. L’algoritmo di smistamento sarà addestrato in parte con le decisioni passate delle guardie di frontiera.

Per gli Anti-Brexiteers di Twitter, l’imminente fine dell’esenzione dal visto verso l’UE, che introdurrà controlli sui precedenti di “salute e sicurezza” sui viaggiatori del Regno Unito, tra gli altri, è un argomento caldo. “Immagino che Barry di Carlisle, che ha preso a pugni il suo amico al pub nel 1988, sia rimasto a casa”, ha gongolato un account. Un altro ha esclamato che i controlli serviranno a “tenere l’UE al sicuro dagli stronzi” e un terzo ha alzato gli occhi al cielo, “preparandomi per le storie di singhiozzi indignati nel Mail”. 

Paesi come gli Stati Uniti e l’Australia dispongono già di sistemi come ESTA ed ETA per confrontare le domande di viaggio di paesi senza visto con set di dati governativi (potenzialmente imprecisi ). A differenza di loro, ETIAS, o il sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi, includerà anche un algoritmo che, affermano i legislatori, può segnalare le persone che rappresentano un “rischio” vagamente definito per “salute pubblica, sicurezza o migrazione irregolare”. Da novembre 2023 in poi, Frontex, l’Agenzia della guardia costiera e di frontiera dell’UE, prevede che circa il 5% dei futuri viaggiatori verrà segnalato e quindi potenzialmente negato l’ingresso.

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Il disincanto degli studenti di Marco Lodoli


Fonte DoppioZero

Per alcuni decenni la scuola è servita anche ad avvicinare le classi sociali: nelle aule convergevano interessi e aspettative, si respirava la stessa cultura, si creavano possibilità per tutti. In fondo al viale si immaginava un mondo senza crudeli differenze, senza meschinità e ingiustizie. La conoscenza era garanzia di crescita intellettuale, e anche sociale ed economica. Chi studiava si sarebbe affermato, o quantomeno avrebbe fatto un passo in avanti rispetto ai padri. Tante volte abbiamo sentito quelle storie un po’ retoriche ma autentiche: il padre tranviere che piangeva e rideva il giorno della laurea in medicina del suo figliolo, la madre che aveva faticato tanto per tirare su quattro figli, che ora sono tutti dottori. Oggi le cose sono cambiate radicalmente.

Chi viaggia in prima classe non permette nemmeno che al treno sia agganciata la seconda o la terza: vuole viaggiare solo con i suoi simili, con i meritevoli, gli eccellenti, i vincenti. «A me professò sto discorso del merito mi fa rodere. La meritocrazia, la meritocrazia… ma che significa? E chi non merita? E noi altri che stamo indietro, noi che non je la famo, noi non contiamo niente?». Questo mi dice Antonia e neanche mi guarda quando parla, guarda fuori, verso i palazzoni di questo quartiere di periferia, verso quei prati dove ancora le pecore pascolano tra gli acquedotti romani e il cemento. Qui  la divina provvidenza del merito non passa, non illumina, non salva quasi nessuno. Guardo la classe: Michela ha confessato che non può fare i disegni di moda perché a casa non ha un tavolo, nemmeno quello da pranzo. Mangia con la madre e la sorella seduta sul letto, con il vassoio sulle ginocchia, in una casa che è letteralmente un buco.

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La guerra come automatismo di de-globalizzazione

di Franco Berardi Bifo

fonte Altraparolarivista.it

 

Il nazionalismo come forma generale della de-globalizzazione

In un libro del 1946 Die Schuldfrage, Karl Jaspers, uno degli ispiratori del movimento esistenzialista, disse che dovremmo distinguere tra il nazismo come evento storico e il nazismo come corrente profonda della cultura europea, che può riemergere.

Le dinamiche sociali e culturali che hanno dato origine al nazismo nel secolo passato hanno qualcosa di simile alle dinamiche sociali contemporanee, ma il contesto storico, psichico, e soprattutto tecnico è molto differente.

Jaspers scrive in quel testo che la caratteristica per eccellenza del nazismo è il tecno-totalitarismo e sostiene che una piena manifestazione della natura del nazismo potrebbe riapparire in futuro.

Ci si può chiedere se quel futuro sia adesso, e la mia risposta è che le condizioni di una riproposizione su scala enormemente allargata del nazismo stanno emergendo dalla proliferazione di movimenti identitari, neo-reazionari, e nazionalisti che prendono forme diverse e anche tra loro conflittuali come nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, in cui due modelli ugualmente nazionalisti si scontrano militarmente.

Anche Timothy Snyder il quale, in Black Earth: The Holocaust as History and Warning, osserva che la l’impotenza e il terrore provocato da situazioni di emergenza di massa, come le catastrofi ecologiche o le prolungate crisi economiche sono le condizioni più inclini alla formazione di regimi totalitari.

Queste condizioni discendono dalla successione di traumi che l’umanità planetaria ha attraversato e sta attraversando: il trauma sanitario della pandemia, il trauma provocato dallo scatenarsi degli elementi nell’ambiente devastato, il trauma bellico che sta producendo effetti destabilizzanti ben al di là del territorio ucraino in cui la guerra si combatte.

Eppure, sebbene alcuni aspetti di quell’esperienza siano effettivamente riaffiorati negli ultimi anni il nazi-fascismo non riapparirà mai nella forma storica che conoscemmo nel ventesimo secolo.

Ripensiamo ai modi della soggettivazione negli anni ’20 del secolo scorso in Germania, dopo l’umiliazione e l’impoverimento imposti al Congresso di Versalles.

Umiliazione e impoverimento crearono le premesse psicologiche di una reazione aggressiva.

L’impoverimento dei lavoratori tedeschi e l’umiliazione della nazione tedesca furono la base psico-sociale su cui qualche anno più tardi Adolf Hitler costruì il consenso che gli permise di vincere elezioni democratiche.

Il senso del suo discorso può ridursi a un’esortazione: “Non pensate a voi stessi come lavoratori sconfitti e impoveriti. Pensate a voi stessi come tedeschi, come guerrieri bianchi, e vincerete”.

Come sappiamo, non vinsero. Ma distrussero l’Europa.

Dalla Russia di Putin all’India di Modi all’Italia di Meloni il potere politico ripete oggi dovunque la stessa esortazione: “Non pensate a voi stessi come lavoratori sconfitti e impoveriti, pensate invece a voi stessi come guerrieri bianchi (o induisti, o islamisti), e vincerete.

Non vinceranno, ma stanno distruggendo il mondo. Per il momento infatti non è chiaro cosa possa fermare la tempesta perfetta che si è scatenata a partire dalla diffusione del virus, ma che andava preparandosi da almeno un decennio, da quando cioè la crisi finanziaria del 2008 scardinò il sistema economico internazionale e la crisi del sistema finanziario venne interamente scaricata sui lavoratori, mettendo in moto un processo di cui oggi cominciamo a vedere gli effetti.

Negli anni ’60 Gunther Anders, ebreo tedesco emigrato e poi rientrato in Germania, osservava che l’arma nucleare costituiva una novità tecno-militare destinata a produrre un effetto di impotenza, terrore e umiliazione i cui effetti possono manifestarsi attraverso l’emergere di quello che lui chiama il Terzo Reich a venire.

Il Nazismo futuro di cui Anders parla nasce dall’impotenza degli umani di fronte all’arma assoluta, che è un prodotto della loro intelligenza ma paralizza l’intelligenza. L’impotenza degli umani di fronte a questa concrezione ostile della loro potenza genererà, dice Anders una reazione aggressiva e gregaria.

Il passaggio finale verso la precipitazione che Anders presagiva potrebbe essere la guerra che la Russia ha scatenato con l’invasione del 24 febbraio, e che gli Stati Uniti avevano lungamente preparato e perfino preannunciato con un’intervista di Hilary Clinton in cui si parla dell’Ucraina come nuova Afghanistan per la potenza russa.

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La Grecia prevede droni automatizzati per individuare le persone che attraversano il confine

Fonte:  Algorithm Watch che ringraziamo 

Il ministero della migrazione greco ha annunciato che utilizzerà droni finanziati dall’UE con “Intelligenza artificiale” per rintracciare le persone che cercano rifugio al confine. Le promesse che miglioreranno anche le operazioni di ricerca e salvataggio suonano vane. 

All’apertura della Fiera internazionale di Salonicco lo scorso settembre, il ministro greco per l’immigrazione Notis Mitarakis – altrimenti noto per aver liquidato le prove in corso dei brutali e illegali respingimenti dei richiedenti asilo da parte delle guardie di frontiera greche come “notizie false” – ha fatto notizia a livello nazionale quando ha presentato la sua Ultimo progetto del ministero: 3,7 milioni di euro di finanziamento per droni con “algoritmi innovativi” in grado di “identificare automaticamente obiettivi di interesse definiti” al confine greco.

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Un lungo corteo in Bolognina per ricordare Alessandra Matteuzzi

Molte centinaia di donne, uomini, ragazze e ragazzi hanno sfilato per le vie della Bolognina per manifestare la volontà di contrastare la violenza contro le donne. Il lungo corteo partito dal Liber Paradisus è giunto in via dell’Arcoveggio di fronte al cortile del condominio ove la settimana scorsa Alessandra Matteuzzi è stata massacrata a martellate dall’ex fidanzato che aveva denunciato per stalking.
Per ricordare Alessandra Matteuzzi sono uscite di casa donne di tutte le età nonne e mamme che tenevano per mano ragazzine e ragazzini, coppie, una manifestazione corale per affermare che non è tollerabile che ogni tre giorni in Italia una donna venga uccisa dal partner o da un famigliare.
I femminicidi nel nostro paese sono diventati un’emergenza: moltissime donne continuano ad essere uccise da ex e da uomini che non accettano il rifiuto o la fine di un rapporto.
Le donne uccise da un partner o da un ex nei primi mesi del 2022. Secondo i dati del Viminale, nei primi 6 mesi dell’anno, dal 1 gennaio al 3 luglio, registrati 144 omicidi, con 61 vittime donne, di cui 53 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 33 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner (nel 2022 le vittime di omicidio volontario commesso dal partner/ex partner sono tutte di genere femminile). Un interrogativo, un non detto aleggiava nei discorsi di tante/i militanti presenti in questa manifestazione: abbiamo fatto tante lotte, tante iniziative negli anni. Ci sono state grandi conquiste, il movimento delle donne ha ottenuto risultati straordinari in materia di libertà, ma allora perchè non si riesce ad uscire dall’incubo delle culture patriarcali rozze e violente che animano le pulsioni femminicide di maschi che non reggono il confronto con le soggettività libere e indipendenti delle donne ?
Quanto durerà questa mattanza di donne colpevoli solo di volere vivere le loro libere soggettività ? Quanto dovranno cambiare i maschi per essere liberi dalle pulsioni violente di dominio sulle donne ? E’ forse con queste domande difficili che il lungo corteo si è sciolto nella notte nelle vie della Bolognina.

gierre

Nuovi fogli di via agli attivisti di Extinction Rebellion (XR): “Abbiamo perso il lavoro, chi ci ripagherà?”

(Foto di Extinction Rebellion (XR) Torino)

Fonte : Pressenza.com

Notificati nuovi fogli di via da Torino agli attivisti di Extinction Rebellion

“Si tratta di misure totalmente illegittime, emanate dal Questore di Torino sapendo benissimo di non poterlo fare” dicono gli attivisti. “Molti di noi hanno perso il lavoro. Chi ci ripagherà per tutti i danni subiti quando avremo vinto tutti i ricorsi?”

Non si ferma la macchina repressiva nei confronti degli attivisti torinesi di Extinction Rebellion. Negli ultimi giorni, infatti, il Questore di Torino ha emesso nuovi fogli di via dalla città, per un periodo di un anno, nei confronti di altri attivisti del movimento. Le nuove misure si vanno a sommare ai 5 fogli di via già notificati e alle 22 denunce penali che hanno colpito le persone presenti in Piazza Castello il 25 luglio.

Quel giorno, due attiviste del nodo torinese di Extinction Rebellion erano salite con una scala sul balcone del palazzo della Regione Piemonte, per appendere uno striscione con scritto “Benvenuti nella crisi climatica. Siccità: è solo l’inizio”. Un’azione plateale ma radicalmente pacifica, volta a denunciare, ancora una volta, il gravissimo stato di crisi idrica che l’Italia intera sta affrontando ormai da mesi. Tuttavia, quella mattina, tutte le persone presenti in piazza – anche chi stava semplicemente dando dei volantini o facendo delle foto – hanno ricevuto una denuncia penale per Art. 633 e Art. 639 bis (Invasione di edifici o terreni) e Art. 18 TULPS (Manifestazione non preavvisata). “Io quel giorno sono stato tutta la mattina in Piazza Castello a fare foto. Non ho fatto altro” racconta Roberto, una delle persone denunciate. “Nonostante questo, mi hanno notificato una denuncia penale per Invasione della Regione Piemonte”. Come Roberto, altre 21 persone si trovano attualmente nella stessa identica situazione.

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Da Trump a Putin: perché le persone sono attratte dai tiranni?

Fonte TheConversation

 

La testimonianza al comitato del 6 gennaio della Camera dei rappresentanti sull’insurrezione al Campidoglio degli Stati Uniti nel 2021 ci ha permesso di approfondire l’umanità dei sostenitori di Donald Trump.

Come rivelano le udienze , il presidente uscente ei suoi sostenitori sembravano essere sulla stessa lunghezza d’onda mentre esitava a fermare la violenza mentre i suoi seguaci erano decisi a eseguire i suoi ordini.

 

Data la sua influenza, sembra chiaro che Trump sappia cosa fa funzionare i suoi seguaci. Il fascino del populismo di Trump non è un fenomeno isolato, ma qualcosa legato al modo in cui le persone pensano ai loro leader.

Il populismo di Trump ora è diventato più grande dello stesso Trump . Il successo dei tiranni in tutto il mondo suggerisce che dovremmo prenderli più sul serio quando vengono elogiati come intelligenti , almeno quando si tratta di manipolare le nostre menti.

Il nuovo autoritarismo

Sebbene i movimenti populisti siano in circolazione da molto tempo, c’è stato un notevole interesse nello spiegare perché il populismo è diverso ora , perché è accoppiato con l’autoritarismo e si tinge senza scusarsi di nazionalismo e xenofobia.

Le emozioni alla base delle passioni delle masse prive di diritti civili sono radicate oggi nella paura di noi contro loro della scomparsa nazionale – che l’aumento dell’immigrazione, della liberalizzazione e della globalizzazione sono segni schiaccianti che le istituzioni un tempo affidabili non possono più proteggere il nostro benessere collettivo.

In molti paesi in cui l’autoritarismo ha preso piede – Russia, Bielorussia, Ungheria, Turchia e Polonia per citarne alcuni – questo populismo è anche accompagnato da una spinta dei leader a sopprimere la libertà di stampa o diffondere disinformazione dilagante aiutata dai social media.

Una donna con i capelli corti e scuri in una giacca bianca intreccia le mani mentre si trova di fronte a un microfono.
Maria Ressa delle Filippine fa un gesto mentre parla durante la cerimonia del Premio Nobel per la Pace al municipio di Oslo in Norvegia nel dicembre 2021. (AP Photo/Alexander Zemlianichenko)

In un cenno all’intelligenza di tali autocrati, il premio Nobel Maria Ressa descrive l’uso politico di tale disinformazione come “diabolicamente brillante”.

Ressa, giornalista, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace per i suoi sforzi per salvaguardare la libertà di espressione.

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Il drone dell’UE è un’altra minaccia per migranti e rifugiati

 

Fonte :  Human Rights Watch

La sorveglianza aerea di Frontex facilita il ritorno agli abusi in Libia

Mappa che mostra le rotte delle barche nel Mar Mediterraneo

Ricostruzione dell’intercettazione del 30 luglio 2021 facilitata dal drone Frontex. Oltre alla traccia del drone Frontex, la mappa mostra la traccia di Seabird (un aereo Sea-Watch) che ha assistito all’intercettazione. Mostra anche la nave della ONG Sea Watch 3 nelle vicinanze. Non ci sono dati di localizzazione della nave per la motovedetta della guardia costiera libica Ras Jadir o per la nave intercettata. Mappa per gentile concessione di Border Forensics.

“Non sapevamo che fossero i libici finché la barca non si è avvicinata abbastanza e abbiamo potuto vedere la bandiera. A quel punto abbiamo iniziato a urlare e piangere. Un uomo ha cercato di buttarsi in mare e abbiamo dovuto fermarlo. Abbiamo lottato il più possibile per non essere ripresi, ma non potevamo farci nulla”, ci ha detto Dawit. Era il 30 luglio 2021 e Dawit, dall’Eritrea, sua moglie e la giovane figlia stavano cercando rifugio in Europa.

Invece, erano tra le oltre 32.450 persone intercettate dalle forze libiche l’anno scorso e riportate a detenzioni arbitrarie e abusi in Libia .

Nonostante le prove schiaccianti della tortura e dello sfruttamento di migranti e rifugiati in Libia – crimini contro l’umanità , secondo le Nazioni Unite – negli ultimi anni l’Unione Europea ha sostenuto gli sforzi delle forze libiche per intercettare le barche. Ha ritirato le proprie navi e installato una rete di risorse aeree gestite da società private. Da maggio 2021, l’agenzia di frontiera dell’UE Frontex ha schierato un drone fuori Malta e i suoi schemi di volo mostrano il ruolo cruciale che svolge nel rilevamento delle barche vicino alle coste libiche. Frontex fornisce le informazioni del drone alle autorità costiere, inclusa la Libia.

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Con il cambiamento del capitalismo internazionale, cambiano anche le risposte dei lavoratori

30 GIUGNO 2022
Del Professore Emerito David Peetz
 traduzione tramite google translator

 

 

Nonostante il declino dei sindacati, ci sono molti segnali di resistenza dei lavoratori. Ciò è correlato alla crescente disuguaglianza, alle incursioni sindacali in occupazioni e industrie apparentemente impenetrabili, allo sviluppo da parte dei sindacati di collegamenti internazionali e strumenti digitali e all’inevitabile pressione per la riforma del lavoro.

I sindacati sono in declino da circa quattro decenni e gran parte di questo può essere attribuito ai cambiamenti nel capitalismo stesso. Aziende e governi hanno perseguito fianco a fianco pratiche e leggi antisindacali. Sotto il controllo finanziario, le società pongono maggiore enfasi sulla riduzione dei costi e i governi hanno incoraggiato le riforme del mercato intensificando tale modello. Le aziende hanno stabilito fabbriche di alimentazione nei paesi in via di sviluppo con governi anti-sindacali e hanno chiuso i luoghi di lavoro sindacalizzati nei paesi sviluppati. Ciò ha coinciso con la creazione di nuove forme di lavoro che frammentano i lavoratori e rendono difficile la sindacalizzazione, e l’espansione esponenziale di occupazioni high-tech senza una storia di sindacalismo. In tutta l’OCSE, l’adesione media ai sindacati è scesa dal 37% della forza lavoro nel 1980 al 16% nel 2019.

Eppure, nel mezzo di tutto questo, abbiamo assistito a un’ondata di organizzazioni sindacali, con i lavoratori di parti di aziende come Apple , Amazon e Starbucks che perseguono la sindacalizzazione. È questo l’ultimo sussulto del movimento sindacale o qualcos’altro?

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Il Partito della Sinistra svedese si oppone all’accordo della NATO per tradire i curdi

 

La Turchia ha accettato di consentire alla Svezia di aderire all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Nei negoziati con il presidente Recep Tayyip Erdoğan, il governo svedese ha fatto marcia indietro su punti cruciali. L’accordo con la Turchia riduce la capacità della Svezia di agire come voce per la pace e la giustizia.

***

Nel 2019, un parlamento unito ha deciso di fermare le esportazioni di armi verso la Turchia perché la Turchia stava bombardando i curdi e altre minoranze nel nord-est della Siria. Il partito di sinistra è stato la forza trainante della decisione. Nei negoziati di ieri, il governo ha accettato di abolire tutti gli embarghi sulle armi.

L’obiettivo di Erdoğan è anche quello di mettere a tacere la voce della Svezia per i diritti dei curdi in Turchia, Iraq, Siria e Iran. Ieri il governo ha sacrificato i curdi, ma l’adesione alla NATO può anche significare che più diritti e libertà delle persone vengono negoziati.

 

 

Sappiamo che ci sono migliaia di prigionieri politici nelle carceri turche. Sappiamo che avvocati impotenti delle organizzazioni per i diritti umani vivono clandestinamente in Turchia. Sappiamo che le madri manifestano perché i loro figli sono stati rapiti dalla polizia, bambini che non rivedranno mai più. Innocenti, il loro unico crimine e’ che sono curdi. Così viene trattata la minoranza curda in Turchia.

I negoziati hanno anche portato a una più stretta cooperazione tra i servizi di intelligence delle forze armate svedesi e l’Organizzazione nazionale di intelligence turca. Ciò potrebbe significare che la Svezia dovrà estradare in Turchia i curdi che hanno bisogno di protezione.

Il Partito della Sinistra è contrario all’adesione alla NATO. La Svezia ha una lunga tradizione di non allineamento militare. L’appartenenza alla NATO è associata a grande incertezza. Rischiamo di essere costretti a guerre e conflitti a cui non vogliamo partecipare. L’appartenenza alla NATO rende inoltre più difficile condurre una politica estera indipendente con credibilità. Questo è ciò che stiamo vedendo chiaramente accadere. È un enorme tradimento consentire alla Turchia di avere così tanta influenza sulla politica estera svedese.

Saggio del venerdì: perché i soldati commettono crimini di guerra e cosa possiamo fare al riguardo

Friday essay: why soldiers commit war crimes – and what we can do about it

Mia Martin Hobbs, Deakin University

The following essay contains disturbing images and language.


In 2020, the Inspector-General of the Australian Defence Force released the Afghanistan Inquiry into Australian Defence Force Special Forces atrocities in Afghanistan. The report – commonly known as the Brereton Report – resulted in a flurry of analysis debating how and why Australian soldiers could have committed war crimes.

Some commentators focused on “high operational tempos” that increased soldiers’ dependence on their teams. Others emphasised how operational independence among “elite” forces allowed “charismatic leaders” to influence teams with a “warrior hero” culture. A common thread was that counterinsurgency warfare made it difficult to differentiate allies, civilians and enemies among the local population.

While these factors are important, analyses focusing on unit problems tend to treat culture as a static and internal problem, rather than an ongoing practice influenced by broader society. Similarly, the stress on counterinsurgency warfare negates the fact that similar crimes are also well documented in trench warfare and in occupations in conventional wars.

For policymakers, military leaders and the general public, a deeper understanding of the nature of war crimes is crucial if we want to prevent them from happening again.

War crimes reflect social prejudices. They are shaped around wartime laws and policies, and are facilitated by cultural veneration of the military. Historical comparisons between general infantry forces in Vietnam and special forces in Afghanistan show that atrocities have at least as much to do with broader social, political and cultural fabrics as they do with tempo, leadership and internal culture.

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Dichiarazione di WikiLeaks contro l’estradizione di Julian Assange

 

Fonte  ACRIMED

 

Il ministro dell’Interno  britannico approva l’estradizione dell’editore di WikiLeaks Julian Assange negli Stati Uniti, dove rischia una pena detentiva di 175 anni. Una giornata buia per la libertà di stampa e la democrazia britannica La decisione sarà impugnata  ”: traduciamo il comunicato di WikiLeaks pubblicato ieri . (Acrimato)

È un giorno buio per la libertà di stampa e la democrazia britannica. Chiunque tenga alla libertà di espressione in questo paese dovrebbe vergognarsi profondamente che il ministro dell’Interno abbia approvato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, il paese che aveva pianificato di assassinarlo.

Giuliano non ha fatto niente di male. Non ha commesso alcun crimine, non è un criminale. Giornalista ed editore, viene punito per aver fatto il suo lavoro.

Priti Pratel aveva il potere di fare bene. Invece, sarà ricordata per sempre come complice degli Stati Uniti nella loro spinta a fare del giornalismo investigativo un’impresa criminale. Le leggi straniere fissano ormai i limiti della libertà di stampa in questo Paese e l’attività giornalistica che ha ricevuto i più prestigiosi riconoscimenti nella professione è stata considerata un reato meritevole di estradizione e di ergastolo.

La strada per la libertà di Julian è lunga e tortuosa. La lotta non si ferma oggi. Questo è solo l’inizio di una nuova battaglia legale. Faremo ricorso secondo la procedura in vigore, il prossimo ricorso sarà presentato all’Alta Corte. Combatteremo più duramente e protesteremo più in alto nelle strade, ci organizzeremo e faremo conoscere a tutti la storia di Julian.

Non commettere errori, questo è stato un affare politico fin dall’inizio. Julian ha pubblicato prove che il paese che cerca di estradarlo ha commesso crimini di guerra e li ha insabbiati; che ha torturato e consegnato prigionieri al di fuori del quadro giuridico; che ha corrotto funzionari stranieri; e indagini legali imperfette sugli illeciti statunitensi. La loro vendetta è cercare di farlo scomparire nei recessi più oscuri del loro sistema carcerario per il resto della sua vita, per dissuadere gli altri dal ritenere i governi responsabili.

Non permetteremo che ciò accada. La libertà di Julian va di pari passo con tutte le nostre libertà. Combatteremo per restituire Julian alla sua famiglia e riguadagnare la libertà di espressione per tutti noi.

Argentina: Milagro Sala, non c’è giustizia con un potere corrotto

Fonte: Pressenza 

Milagro Sala (Foto di Archivio Pressenza)

«Quello che stanno facendo con Milagro Sala è un’eresia» ha detto Papa Francesco quando Taty Almeida, dirigente storica delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, gli ha fatto visita il 27 maggio.

Sono più di sei anni e quattro mesi che Milagro Sala, dirigente sociale della provincia di Jujuy in Argentina, è detenuta a causa di processi legali manipolati, accuse con testimoni pagati, vessazioni a lei e alla sua famiglia; tutto dovuto al fatto di essersi ribellata al potere e di aver organizzato le persone più umili affinché reclamassero i propri diritti.

Papa Francesco non è l’unico a chiedere giustizia. Un gruppo di deputati argentini ha presentato un disegno di legge per intervenire sul potere giudiziario della provincia di Jujuy. L’obiettivo dell’iniziativa è garantire la forma repubblicana del governo, la divisione dei poteri e il sistema democratico. Così il disegno cerca la nomina di un Commissario federale e la dichiarazione di commissione dei membri del Tribunale Superiore di giustizia e del titolare del Pubblico Ministero di Accusa della provincia di Jujuy.

In sostanza, il disegno di legge spiega che da quando Gerardo Morales ha assunto il governo della provincia di Jujuy, ha modificato il potere giudiziario provinciale per controllare e intromettersi nella giustizia. Dice pure che non è garantita la separazione dei poteri. Infatti, tra i cambiamenti del governatore Morales ci sono l’ampliamento del Tribunale Supremo da cinque a nove membri. Questo è avvenuto grazie a una riforma legislativa particolare: due dei deputati che hanno votato la modifica, Pablo Baca e Beatriz Altamirano, sono diventati membri del tribunale. Cioè hanno votato se stessi. Il terzo, Federico Otaola, che è il presidente attuale del tribunale, era stato legislatore e candidato vicegovernatore con il gruppo di Gerardo Morales nel 2011.

Attualmente il governatore Morales continua ad approfondire tale progetto premeditato di cooptazione e assoggettamento sul potere giuridico dello Stato provinciale, configurando una situazione dalla gravità istituzionale intollerabile. In questo senso, ha forzato la dimissione di tre membri del Tribunale Supremo e vuole ottenere quella di altri tre con il chiaro obiettivo di imporre la sua maggioranza.

Al Papa si uniscono voci di prestigio che denunciano questa situazione inammissibile. All’inizio di maggio, l’ex giudice della Corte Suprema della Repubblica argentina, Raúl Zaffaroni, ha denunciato il governatore perché «Jujuy sta vivendo uno scandalo giuridico».

Tra i firmatari del disegno di legge ci sono i deputati Federico Fagioli, Itai Hagman, Natalia Zaracho, Leonardo Grosso, Verónica Caliva, Natalia Souto, Eduardo Toniolli e Juan Carlos Alderete.

«Se chiediamo l’intervento non è per Milagro Sala, ma è per tutti gli strati sociali che non possono uscire a chiedere un pezzo di pane perché hanno fame o a inoltrare un’istanza di femminicidio perché incorrono in contravvenzioni. C’è una forte complicità» tra i poteri di stato a Jujuy, ha denunciato Milagro Sala lunedì in videoconferenza durante una presentazione del disegno di legge.

Da quando Morales è diventato governatore nel dicembre 2015, circa due mila persone di svariate organizzazioni sociali e politiche sono state accusate di numerosi delitti poiché avevano protestato contro il regime autoritario e conservatore della provincia. A Jujuy chiedere cibo, un lavoro dignitoso o un alloggio decente è punibile con il carcere, sentenziato in anticipo da un governatore che controlla le forze repressive e il potere giuridico.

Lo stesso governatore ambisce a diventare presidente del Paese nel prossimo futuro e propone come programma la repressione dei poveri affinché gli altri possano vivere in “pace”. Papa Francesco lo sa – il governo di Jujuy sostiene un sistema sociale, economico e politico che silenzia e violenta gli esclusi, affinché i più potenti continuino a godere delle proprie ricchezze.

Milagro Sala, donna indigena e ribelle, è il simbolo del nemico che il governatore vuole eliminare e quindi è detenuta da sei anni. Viene usata come un esempio per far sì che gli altri tacciono e abbassano la testa. Nonostante tutto, Milagro non si arrende, non nasconde la sua rabbia, non copre il suo viso scuro, non fa tacere il suo grido di battaglia. Anche da detenuta continua a organizzare e a chiedere la costruzione di un mondo giusto e solidale per tutti e tutte, a Jujuy e in qualunque altro posto dove le ingiustizie si accaniscono contro la maggioranza.

La Rete internazionale per la libertà di Milagro Sala, che include cittadini argentini, brasiliani, canadesi, spagnoli, statunitensi, finlandesi, francesi, italiani, britannici, svedesi e svizzeri, sostiene il disegno di legge per promuovere l’intervento federale del potere giuridico della provincia di Jujuy.

Non c’è giustizia con un potere giuridico corrotto e controllato da chi difende gli interessi dei potenti.

Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid.

Quel effet de la gestion du président Bolsonaro sur la mortalité due au Covid-19 au Brésil ?

François Roubaud, Institut de recherche pour le développement (IRD) et Mireille Razafindrakoto, Institut de recherche pour le développement (IRD)

Le Brésil fait partie des trois pays, avec les États-Unis et l’Inde, les plus affectés par la pandémie de Covid-19, que ce soit en termes de décès ou de cas confirmés (660 000 et 30 millions respectivement). Les doutes qui subsistent quant à la fiabilité des données officielles (surtout pour les infections, mais également pour les morts) ne sont pas en mesure de remettre en question ce palmarès funeste.

Dans un article publié fin 2021, nous mettions en lumière les facteurs de risque associés à la probabilité d’y être contaminé par et de succomber au virus au cours de la première vague de la pandémie (octobre 2020). À côté des éléments de vulnérabilités socio-économiques communs avec d’autres pays et aujourd’hui bien documentés (pauvreté, informalité, résidence dans les favelas, identité ethnoraciale…), le Brésil se démarquait par le rôle néfaste joué par son président, Jair Bolsonaro, dans la diffusion de la pandémie et que nous avons qualifié d’effet Bolsonaro.

Deux vagues plus loin, qui se sont soldées par 500 000 décès et 20 millions de cas de contamination supplémentaires mais ont vu l’arrivée des vaccins, ces résultats tiennent-ils toujours ? S’il est évident que l’attitude négationniste du président a entravé la mise en place d’une stratégie efficace de lutte contre la pandémie, il est beaucoup plus ardu de montrer quelle a été sa traduction sur le terrain et d’en quantifier les effets. C’est ce que nous tentons de faire une nouvelle étude.

Comment évaluer un éventuel impact de l’action présidentielle

Pour tenter de répondre à cette question, deux approches sont en théorie envisageables, en fonction de l’unité d’analyse retenue : individuelle ou géographique.

Pour mettre en œuvre la première approche, il faudrait pouvoir disposer de données individuelles sur un échantillon représentatif de la population, qui à la fois informent sur le statut de chacun face à la maladie (décédé ou pas, contaminé ou pas), et de descripteurs sociopolitiques. Or d’une part, par définition, les enquêtes socio-économiques ne portent que sur les survivants (les morts ne parlent pas), tandis que les enquêtes et registres épidémiologiques sont en général très pauvres en information sur les caractéristiques individuelles (au mieux le sexe et âge, parfois les facteurs de co-morbidité), et n’incluent en aucun cas les préférences politiques.

La seule alternative possible consiste à mener l’analyse au niveau des localités. Si cette dernière ne permet pas de mesurer les risques individuels d’être affectés par la pandémie, elle présente de nombreux autres avantages.

Outre la possibilité de croiser un très large spectre d’indicateurs issus d’une multiplicité de bases de données indépendantes, cette approche se justifie pour trois autres raisons majeures :

  • Elle permet de couvrir de manière exhaustive l’ensemble du pays,
  • La diffusion du virus dépend largement des interactions sociales,
  • Face au déni du gouvernement Bolsonaro, les politiques ont été conduites à l’échelle locale (États, municipalités). L’analyse porte donc sur les 5 570 municipalités du pays et a mobilisé le traitement de dizaines de millions d’observations.

Le premier résultat clef est la confirmation que le Covid-19 a fait, toutes choses égales par ailleurs, plus de ravages dans les municipalités les plus favorables au président Bolsonaro (telles qu’appréciées à partir de ceux qui ont voté pour lui au premier tour de l’élection présidentielle de 2018, la dernière information disponible à ce niveau de détail).

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Ammazza-ammazza

Enrico Peyretti
fonte fondazione serenoregis

Si ammazzano, si ammazzano. Per un pezzo di terra. Ammazza-ammazza. Per un orgasmo mentale della psicopatia di potenza. Ahimé, sono esseri para-umani, simil-umani, fermi al grado primitivo dell’evoluzione umanizzatrice. Ammazzano. Si ammazzano tra loro. Come tanti altri, tante altre volte, in tanti punti del mondo, anche oggi. Uno ha cominciato, un altro, prontamente, ha continuato. Per difendersi, ammazzano chi ammazza e diventano ammazzatori come lui. Offesi, offendono. Che fantasia microscopica! Tutti usano mezzi omicidi tremendi, scientifici, studiati da scienziati pazzi, freddi omicidi, tecnici della morte, anime di ghiaccio, menti morte. Non gli basta che le armi siano macchine tecnologiche ammazza-uomini: devono anche essere tormentose, bombe a grappolo, e cose simili, che moltiplicano la morte a pezzetti, che arriva in forma di gas, arriva a chi è ammazzato e a chi passa di lì, o vi passerà. Largheggiano, nell’ammazzare: prendono tutto, senza distinzioni. I bambini, i malati? Se sono lì, o passano di lì, negli ospedali, prendono anche loro, perché no? E’ la guerra, è ammazzare.

Si possono fare differenze, sembra all’inizio, poi diventano uguali. La morte da bomba è uguale per tutti. Chi ha tirato la bomba? Non importa. Dove arriva ammazza e abbatte le case, allo stesso modo, le case dove si vive, si ama, si dorme, si passa la vita, da bimbi a vecchi. Non voglio più sapere da chi viene l’ammazzare. Vedo su chi arriva: esseri umani ammazzati, esseri non umani ammazzatori, ammazzabili anche loro. Da tutte la parti ammazzatori. Forse i morti fanno la pace tra loro. Dove si trovano ora non si spara più.

Ci sono solo grandi larghe braccia, accoglienti come Emergency di Gino Strada, l’unico che non fa differenze, e adesso è là anche lui, come un santo, ad accoglierli tutti insieme, spogliati da divise, bandiere, armi e idee di guerra: pulitamente nudi, nelle mani del chirurgo guaritore. Ci sono anche quelli che combattere non volevano, mandati all’insaputa, con inganno, e non hanno avuto il tempo (ingenui, sprovveduti, imbambolati!) di disobbedire ai criminali comandanti. E poi ci sono quelli comandati, senza scelta. Ma, ragazzi, dovevate pensarci prima, quando vi hanno messo in mano un fucile e vi hanno detto che era lo strumento di lavoro per la vostra madre-patria, una maschia di ferro, con mammelle avvelenate, con un grembo di filo spinato, che dice di avervi partorito, ma in realtà le servite o da lavoratori sottopagati, o da morti sulle lapidi e sui monumenti. Stupidi soldati! Ma poveretti, per questo vi hanno istupidito, per usarvi come pedine spara-ammazza.

Va bene, mi dite che uno ha aggredito e l’altro si è difeso. È vero, non confondiamo la sfumatura nella tragedia degli ammazzamenti. Ma quelli che temono il vicino di casa, un  po’ alterato, si preparano solo armi e ne invocano da tutti gli altri vicini. Non sapete inventare altro che guerra alla guerra! E sareste dei politici? Ma la politica è il vivere insieme, buoni e meno buoni: non è la guerra! La guerra, ogni guerra, è la morte della politica. Non avete saputo per tempo inventare altro. Adesso siete nella merda e sangue.

Ci pensino anche gli altri stati: tante armi, più che scuole e vita! Voi vi preparate la fossa. Non avete idee migliori che ammazza-più-ammazza, armi più armi. E vivere, chi se lo ricorda? Non è il divertimento ignorante, nel tornare al mare, alla vita “normale”! Vivere è sentire, ragionare, cercare, è parlare, faticare, è l’arte costruttiva di mettere insieme le parole, le storie, i pensieri, i dolori e le speranze di un popolo e dell’altro, e quindi è potersi riconoscere come esseri uguali nel soffrire, nel godere, nello sperare, nel sapere che moriremo, e sarà meglio non morire come bestie.

Perché non vi siete parlati prima? Perché non avete provato ad ammorbidire la durezza di qualche comandante malato (nessuno ha diritto di comandare!), con proposte di intesa, di accordo, col concedere qualcosa tu e qualcosa lui, che è sempre la formula del vivere senza impazzire?

Ora, mentre vi ammazzate, parlate di vittoria. Ma sapete cosa dite? La vittoria è il premio per chi ammazza di più, e contiene la prossima guerra, la vendetta. Lo capiscono i bambini, lo capisco anche’io, nel mio piccolo, e non lo capite voi? La vera vittoria è del primo che smette di ammazzare e comincia a vivere. Non è facile vivere, ma è vivere! Avete altro oltre la vita, signori ammazzatori, schiavi della morte? Prenderà anche voi, e non ghignerete più sugli schermi, come fate ora, non abbaierete e non ringhierete come cani stupidi sulle frontiere che avete inventato.

Sarete morti, avrete perso una vita vissuta male, perché l’avete odiata e uccisa negli altri, cioè in voi stessi. Mi fate un’immensa pena, come le vostre vittime, nella vostra immensa stoltezza. Non sto con voi, se non nel dirvi queste cose della saggezza antica e di sempre, per aiutarvi (spero possibile, alla fine) a ridiventare umani.  Enrico (uno di quelli che provano a vivere, cioè condannano ogni guerra, senza concedere eccezioni).

“La guerra Usa è fino all’ultimo ucraino”, dialogo tra Noam Chomsky e Bill Fletcher

Una sintesi del dialogo “Una risposta di sinistra all’invasione russa dell’Ucraina” fra l’intellettuale e attivista politico Noam Chomsky e l’attivista e scienziato politico Bill Fletcher jr. trasmessa su Real News Network.

Fletcher. Partiamo da tre assunti. Il primo: la Nato non è un’alleanza difensiva. Il secondo: alla dissoluzione del Patto di Varsavia sarebbe dovuta seguire la dissoluzione della Nato. Infine: l’espansione della Nato, in particolare durante le presidenze di Clinton e Bush jr, è stata un errore e una provocazione.

Chomsky. Penso siano punti di partenza corretti, e vorrei aggiungerne un altro. Qualunque sia la spiegazione dell’invasione russa – che è una questione cruciale – l’invasione in sé è un atto criminale di aggressione, un crimine internazionale di suprema gravità, paragonabile ad altre violazioni della legge internazionale e dei diritti umani come l’invasione statunitense in Iraq o a quella della Polonia da parte di Hitler. Ma c’è un background che risale ai primi anni Novanta, quando l’Urss collassa e il presidente Usa George Bush senior raggiunge un accordo con il presidente dell’Urss Michail Gorbaciov, un accordo ben definito. Gorbaciov acconsente all’unificazione delle due Germanie e all’ingresso del nuovo Stato nella Nato, che considerato il contesto è una concessione notevolissima, a una condizione che viene ufficializzata: che la Nato non si espanda a est nemmeno di un centimetro, Not one inch. Gli americani rispettano il patto fino al 1994, quando Bill Clinton, per ragioni di consenso interno, incoraggia Paesi come Polonia, Ungheria e Slovenia a entrare nell’Alleanza atlantica. Poi, con il pretesto di fermare le atrocità serbe in Kosovo, Clinton bombarda la Serbia senza nemmeno informare i russi che ne escono umiliati. George Bush jr. invita a entrare nella Nato praticamente tutti gli Stati satellite russi, nel 2008 anche l’Ucraina e qui interviene il veto di Francia e Germania, ma la proposta resta sul tavolo a Washington. Un approccio pericoloso e cinico, perché viola le red lines russe. Anche la rivoluzione arancione di Maidan del 2014 è istigata dagli Usa e porta quella che chiamiamo Nato, ovvero gli Stati Uniti, a integrare l’Ucraina sempre di più con l’invio di armi e addestramento. C’è un documento ufficiale firmato da Biden nel settembre 2021, ignorato dai media ma non dall’intelligence russa, in cui si finalizza lo Strategic Defence Framework con l’Ucraina, si parla di forniture militari e dell’Ucraina come Enhanced Opportunities Partner della Nato, cioè apre le porte all’ingresso di Kiev nell’Alleanza.

Fletcher. Ma invece di accusare la Nato, Putin giustifica l’invasione con toni nazionalistici ed espansionistici. Come funziona il suo regime?

Chomsky. Putin ha sempre dichiarato che la decisione di dissolvere l’Urss è stata tragica. Ma anche che chiunque pensi di ricostituire quell’impero è un pazzo. È ovvio che la Russia non ha la minima capacità di farlo: anche se ha un grosso esercito ed è una potenza nucleare, è una cleptocrazia in declino con una economia debole e della grandezza più o meno di quella italiana. Non può conquistare nessuno. L’Ucraina è sempre stato un caso a parte e su questo le richieste russe ufficiali del ministro degli Esteri Lavrov sono sempre state, oltre all’indipendenza del Donbass, la neutralità e la demilitarizzazione, cioè la rimozione delle armi che minacciano la sicurezza russa. Uno status simile a quello del Messico rispetto agli Stati Uniti, che di fatto non può aderire ad accordi militari con la Cina. La proposta Lavrov poteva funzionare? Non lo sapremo mai, perché non è stata presa in considerazione.

Fletcher. Eppure nel 1994 con il memorandum di Budapest, l’Ucraina rinuncia al suo arsenale nucleare in cambio della promessa russa di non aggressione, e non cerca di entrare nella Nato fino al 2014 quando la Russia annette la Crimea e supporta la secessione in Donbass. Sembra che Mosca non voglia garantire la propria sicurezza, ma rendere l’Ucraina uno Stato satellite.

Chomsky. Il Messico è uno Stato satellite degli Usa? Lo erano l’Austria o la Finlandia? No, erano neutrali, con l’obbligo di non aderire a una organizzazione militare ostile guidata dagli Usa che facesse esercitazioni sul loro territorio [come la Nato in Ucraina, ndr]. Una limitazione di sovranità? Sì, ma non limitava la vita di quei Paesi. Uno status che si sarebbe potuto ottenere per l’Ucraina se gli Usa lo avessero voluto.

Fletcher. Ha senso per Austria e Finlandia. Perché Kiev dovrebbe fidarsi di un accordo con la Russia dopo l’annessione della Crimea nel 2014?

Chomsky. L’Ucraina può non credere al fatto che la Russia rispetterebbe un accordo, così come non li rispettano gli Stati Uniti in tanti luoghi del mondo. In Ucraina, la Russia sta commettendo crimini da tribunale di Norimberga, ma gli Stati Uniti violano trattati internazionali con l’abuso della forza. La domanda è: se gli Usa avessero rispettato le red lines russe, come consigliato da esperti, alti consiglieri, diplomatici, anche Francia e Germania, e avessero lavorato per la neutralità dell’Ucraina, la Russia avrebbe invaso? Non lo sappiamo. Per citare uno di quegli esperti, l’ex ambasciatore Usa, Chas Freeman, gli Stati Uniti “hanno scelto di combattere fino all’ultimo ucraino”, ovvero di abbandonare ogni speranza di un accordo. Tutto questo si poteva provare a evitare e si potrebbe ancora. Quando Biden dice che Putin è un criminale di guerra e verrà processato, lo mette al muro: l’unica strada è il suicidio o l’escalation, anche nucleare.

Fletcher. Addossi tutta la responsabilità agli Usa, ma nella Nato ci sono anche Paesi come la Germania e la Francia contrari all’ingresso dell’Ucraina. E i proclami di Putin sulla necessità di denazificare l’Ucraina sono ridicoli. C’è qualcosa che mi sfugge…

Chomsky. Ti sfugge la realtà dei rapporti di potere internazionali, dove gli Stati Uniti hanno un potere spropositato. Lo sappiamo tutti, la Russia lo sa benissimo. Chi capisce qualcosa di politica internazionale sa che gli Stati Uniti sono un violento stato canaglia che fa quello che vuole. Se al Cremlino ci fosse un uomo di stato abile e lungimirante, avrebbe cercato un compromesso con Germania e Francia, avrebbe provato ad aderire a qualche forma di casa comune europea come la immaginava Gorbaciov. Ma Putin e il suo entourage non hanno questa visione e capacità di leadership e hanno preso le armi, come fanno sempre le grandi potenze, inclusi gli Stati Uniti. Ed è una decisione criminale, che danneggia la Russia. Putin ha porto agli Stati Uniti sul piatto d’oro il più grande regalo immaginabile: potenze come Germania e Francia ora sono del tutto assoggettate agli Stati Uniti.

Il neonazismo dell’oligarca ebreo

Fonte: areaonline.ch

In Ucraina le milizie armate di estrema destra, come Azov, sono state create più per scopi economici che ideologici: l’analisi dell’esperto

di
Veronica Galster
La questione dell’ultranazionalismo ucraino è stata strumentalizzata ad arte da Putin per giustificare l’invasione dell’Ucraina, ma un problema legato alla presenza di gruppi armati di estrema destra esiste, anche se non ai livelli dichiarati dal presidente russoPer capirne l’effettiva natura, l’influenza che hanno avuto e hanno nel Paese e l’ampiezza del fenomeno, area ha intervistato Matteo Zola, giornalista, direttore responsabile di East Journal ed esperto di Europa centro-orientale e area post-sovietica.

 

Matteo Zola, come leggere la presenza di gruppi ultranazionalisti di estrema destra in Ucraina senza rischiare di essere tacciati di filorussismo?

La denazificazione dell’Ucraina proclamata da Putin è chiaramente strumentale ed è puramente retorica a fini di propaganda interna. Una cosa che è difficile da capire per chi conosce meno questi Paesi, è che il richiamo alla lotta contro il nazismo è un richiamo molto forte. L’identità russa si è forgiata sulla grande guerra patriottica, cioè sullo sforzo militare della Seconda Guerra mondiale che non era solo per salvare la Russia, ma anche per salvare il mondo dal nazifascismo. Il sentimento nazionale russo è alimentato ed è saldato a questa memoria della lotta al nazifascismo. Quindi, quando Putin parla di “denazificazione” lo fa sapendo che tocca certe leve nel suo popolo, risvegliando antichi ricordi, perché il loro immaginario va immediatamente a quei racconti dei nonni e allo sforzo della liberazione dall’invasione tedesca.

In secondo luogo, è chiaro che c’è una presenza di movimenti di estrema destra in Ucraina. Ci sono movimenti che esistono da quando l’Ucraina è indipendente, quindi ben prima del 2014. Si tratta di un’estrema destra che definirei “tradizionale” e che si rifà all’ultranazionalismo come lo conosciamo anche in altri Paesi d’Europa. Queste destre estreme fanno sempre riferimento a un passato, nel caso ucraino il riferimento è legato a un’identità ucraina di tipo etnico: un’Ucraina fatta di ucraini e dalla quale quindi tutta la componente russofona è esclusa. Questa visione si concentra principalmente nelle regioni occidentali, soprattutto in Galizia, attorno a Leopoli, dove c’è lo zoccolo duro.

 

Cos’è cambiato dal 2014, dopo la rivoluzione di Maidan?

A partire dal 2014, invece, si sviluppano altri movimenti, il più conosciuto è Pravyi sektor (Settore destro), guidato da Dmytro Jaroš. Inizialmente Pravyi sektor rappresentava solo l’indicazione di dove si trovava questo gruppo all’interno della piazza durante la rivoluzione, non c’era un’ideologia ben definita tra i suoi componenti. Sì, i suoi leader ce l’avevano, ma in quel momento non era importante la politica. Dopo poche settimane invece ha preso una connotazione ideologica molto forte di estrema destra.

Pravy sektor però non è un movimento che ha una grossa influenza politica e alle elezioni parlamentari del 2014 riesce a raccogliere solo l’1,8% dei consensi e il suo leader Dmytro Jaroš, candidato alle presidenziali lo stesso anno, raccoglie solo lo 0,7%.

 

Non ricevono consenso elettorale, questo significa che il popolo in maggioranza non li sostiene, eppure non sono stati proprio marginali…

Grazie al ruolo importante che questo movimento ha avuto nelle proteste in Piazza Maidan, è comunque riuscito a sfruttare le molte crepe di un sistema democratico vacillante, condizionato dal conflitto e plagiato dalla presenza degli oligarchi. La marginalità istituzionale dell’estrema destra non è sinonimo di debolezza, Pravyi sektor è, ad esempio, all’origine del famigerato battaglione Azov. Questa estrema destra militante e militare ha rappresentato una seria minaccia per la vita politica del paese: cercando di imporre la propria agenda estremista, si è infatti resa protagonista di intimidazioni e violenze verso oppositori di sinistra, gruppi femministi, attivisti Lgbt e minoranze etniche, minando il processo di democratizzazione.

 

E allora perché questi gruppi sono stati tollerati, se non promossi, dalle autorità politiche dell’Ucraina?

Non dobbiamo dimenticare la presenza di potenti oligarchi che controllano il Paese e promuovono i politici a seconda delle loro necessità. Uno di questi, molto potente e poco conosciuto, è Ihor Kolomojskyj, il cui nome ritorna spesso: è lui che ha favorito l’ascesa di Julija Tymošenko e di Petro Porošenko, con il quale però è poi entrato in conflitto, mettendogli così di fronte un degno avversario come l’attuale presidente Zelenskyj, favorendone l’elezione. Ed è sempre Kolomojskyj che ha finanziato la creazione dei battaglioni ultranazionalisti Azov, Dnipro e Aidar.

Ora, questo potente signore, vale la pena ricordarlo, è un ebreo con cittadinanza ucraina e israeliana, quindi tutto fuorché un neonazista.

 

Perché allora ha finanziato e armato dei gruppi di stampo neonazista?

Non lo ha certamente fatto per affinità ideologiche, lo scopo era invece quello di creare delle milizie private che, nella grande confusione del 2014-2015, gli servissero per difendere i propri interessi economici e politici nelle regioni orientali, nel momento in cui altre milizie private, orientate più verso gli interessi di Mosca, venivano finanziate da Achmetov e altri oligarchi del Donbass, come il battaglione Vostok. Si capisce quindi l’importanza del ruolo degli oligarchi, più che delle ideologie ultranazionaliste in contrapposizione a quelle filo-russe, nell’apparizione di questi gruppi paramilitari. Inoltre, la presenza di stranieri simpatizzanti dell’estrema destra tra le file di uno e dell’altro schieramento dimostra una volta di più che la chiave di lettura ideologica non regge per spiegare il fenomeno.

L’estrema destra ha sì un’influenza sul paese, ma questa influenza deriva dal fatto che sia collegata al potere oligarchico e risponda quindi anche a interessi che non sono di tipo ideologico-politico, ma piuttosto economico.

 

La guerra cambierà questi equilibri?

È chiaro che la guerra cambia un po’ tutto: il battaglione Azov è diventato necessario ora per lo Stato ucraino, lo stesso Stato che prima aveva cercato di integrare questa estrema destra per sottrarla al controllo degli oligarchi. L’ex-presidente ucraino Porošenko aveva interesse a far entrare questi battaglioni nell’esercito regolare perché questo significava toglierne il controllo agli oligarchi. Si potevano sciogliere questi battaglioni? No, non si poteva perché lo Stato era ancora debole, le istituzioni democratiche erano ancora deboli e il rischio era enorme, quindi si è cercata una via di compromesso integrandoli, anche se questo significava armare Azov come tutti gli altri battaglioni dell’esercito.

Dire che lo Stato ucraino ha protetto e tollerato l’estremismo di destra è sbagliato, ma lo Stato ucraino è tante cose e ci sono rappresentanti dello Stato che sono oligarchi e che quindi fanno i propri interessi. Si tratta di un discorso complesso e che non va “tagliato con l’accetta”, soprattutto se si parla dell’estrema destra del dopo 2014.

Se quando la guerra finirà l’Ucraina esisterà ancora, io credo che si riaccenderà il sentimento nazionalista, anche radicale, è inevitabile, ma non sarà necessariamente un nazionalismo di tipo etnico.

 

….Evaluation of science advice during the COVID-19 pandemic in Sweden…. ovvero la pratica della selezione naturale ….

Questo articolo disvela le negligenze e la “logica darwiniana” delle Autorità svedesi di lasciare fare al Corona virus il compito di fare “la selezione” nella popolazione, ovvero far fuori le persone fragili e/o anziane .
” Nessun lockdown, nessun allarme per non bloccare economia e cittadini. La Svezia negli ultimi due anni ha diviso l’opinione pubblica tra coloro che vedevano nella sua strategia di mitigazione del virus un esempio da seguire e chi invece temeva la poca prudenza. Oggi un primo studio scientifico sistematico, pubblicato su Nature, emette una sentenza: l’approccio laissez-faire del Paese scandinavo si è rivelato “moralmente, eticamente e scientificamente discutibile”, provocando un tasso di mortalità che nel 2020 è stato di 10 volte superiore rispetto a quello della vicina Norvegia. Da modello discusso a fallimento conclamato, dunque…..”

Vedi gli articoli di Nature : Evaluation of science advice during the COVID-19 pandemic in Sweden

e HuffingtonPost ” Gli anziani lasciati morire, i bambini usati per diffondere il virus. Il fallimento del modello svedese sul Covid “

QUANDO L’INTELLETTUALE RINUNCIA ALLA RAGIONE. A PROPOSITO DI FLORES E DI “MICROMEGA”.

FONTE IL BLOG DI ANGELO D’ORSI  CHE RINGRAZIAMO

Il 4 aprile 2022 l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ha diffuso il seguente comunicato:
“L’ANPI condanna fermamente il massacro di Bucha, in attesa di una commissione d’inchiesta internazionale guidata dall’ONU e formata da rappresentanti di Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili. Questa terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”.

“Questo comunicato è osceno, e infanga i valori della Resistenza”, è l’incipit del commento di Paolo Flores d’Arcais, direttore di “MicroMega”, mentre a me è parso un comunicato di buon senso, e di civile rigore. In un editoriale sul sito della rivista, invece di sostenere la linea della ricerca della verità, Flores la dà per assodata, e chiede, dopo una profluvie di insulti ai dirigenti ANPI e di volgarità contro i russi, reclama una Norimberga per processarli (e poi? pena di morte?): un editoriale di una rozzezza e di una violenza che può fare invidia ai fogli più osceni del bellicismo italiota.

E meno male che Flores si è sempre presentato come il campione del razionalismo neoilluministico! Ma che cosa chiedeva Romain Rolland nel 1914 quando si scatenò nel mondo della cultura, in tutta Europa, la canea bellicistica? Chiedeva agli intellettualie di stare “al di sopra della mischia”, non al di fuori, ma al di sopra, cercando di non cedere alle passioni nazionali, e di non perdere il lume della ragione critica. E che cosa invocava Antonio Gramsci, negli anni di quella stessa guerra? La necessità della verità: ad ogni costo.

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Traffico di organi tra Marocco e Turchia: banda criminale scovata grazie a annunci sui social network

 

Fonte AfricaExpress che ringraziamo 


7 aprile 2022

La polizia marocchina ha arrestato 4 persone perché sospette di far parte di una rete criminale di traffico di organi e droga, attiva tra Marocco e Turchia.

La direzione generale della Sicurezza nazionale (DGSN) di Rabat ha precisato che l’inchiesta è stata aperta dopo un annuncio pubblicato sui social network. L’inserzione offriva grosse somme di denaro in valuta, in cambio di espianto di reni, effettuate in cliniche private all’estero.

Scoperto traffico di organi tra Marocco e Turchia

Finora gli inquirenti marocchini hanno già identificate due vittime in Turchia e, secondo il quotidiano con base a Casablanca, Al Ahdat Al Maghribiya, le vittime avrebbero percepito 14.000 dollari per la cessione di un rene. Le quattro persone arrestate – 3 donne e un uomo – fungevano da intermediari in questo losco traffico, prestando il loro “aiuto” ai disgraziati, pronti vendere un loro rene per fuggire alla povertà.

La DSGN ha aggiunto che talvolta i criminali sfruttavano le vittime anche per ricezione e trasporto di stupefacenti, sia in Marocco sia in altri Paesi. Tutte queste attività sarebbero da attribuirsi a una rete che non opera direttamente nel regno ed sarebbe composta da cittadini stranieri.

Durante una perquisizione nelle abitazioni dei 4 arrestati, gli inquirenti hanno trovato grosse somme di denaro – sia in dirham marocchini che in valuta estera – ricevute di trasferimento di soldi oltrefrontiera, nonché telefoni cellulari, analisi di gruppi sanguigni di potenziali vittime e cannabis. Ovviamente si sospetta  che il contante trovato sia frutto di atti criminali.

Ora, grazie al coinvolgimento della filiale Interpol di Ankara, le indagini procedono a tutto campo anche in Turchia, per scovare tutti responsabili di questo traffico illecito.

Africa ExPress
@africexp